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Autore: Parmandil    01/01/2022    0 recensioni
[https://it.wikipedia.org/wiki/Dune_(film_1984)]
"Il principio è un periodo oltremodo incasinato. Sappiate che questo è l’anno Diecimila e Rotti. L’Universo Conosciuto è unificato sotto l’Impero Analogico, governato dall’Imperatore Pascià Sofà IV. In questo periodo, la più preziosa e vitale sostanza dell’Universo è il melange, la Spezia. La Spezia esalta tutte le facoltà della mente e del corpo. La Spezia fa arrapare anche i nonnetti. La Spezia è essenziale per annullare lo spazio, tenendo unito l’Impero Analogico. La potente Gilda Spaziale, e i suoi Navigatori che la Spezia ha sballato in oltre quattromila anni, usano il gas arancione del melange che conferisce loro la capacità di annullare lo spazio, e cioè di viaggiare in qualsiasi parte dell’Universo... senza mai muoversi.
Oh, già... ho dimenticato di dirvelo. La Spezia esiste su un solo pianeta nell’intero Universo Conosciuto. Un arido e desolato pianeta, con vasti deserti roventi. Nascosta tra le rocce in queste zone desertiche, vive una popolazione conosciuta come i Femen, che attende – secondo un’antica profezia – l’avvento di un giovane emo, che li guiderà finalmente verso la vera libertà. Il pianeta è Arrankis, così detto perché tutti arrancano come dannati nelle sue sabbie, conosciuto anche come... Dune. TUM-TUM-TU-TUUUM!”.
Genere: Avventura, Comico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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-Capitolo 4:

 

   “Mio padre, l’Imperatore Pascià Sofà, aveva settantadue anni – ma era ancora arzillo, grazie alla Spezia – quando meditò la morte del Duca Letonto e il ritorno degli Scarafonnen su Arrankis. Raramente compariva in pubblico indossando qualcosa di diverso da un’uniforme dei Sardonen e un elmetto da Sturmtruppen. Così ricordava a tutti la fonte del suo potere. Non era sempre così urtante: quando voleva, era un gran compagnone. Ma ad anni di distanza, comprendo che fosse un uomo perennemente in lotta contro le sbarre di una gabbia invisibile. Non dimenticate che era Imperatore, capo di una dinastia le cui origini si perdevano nel tempo; e le sue eredi, per dirla con parole sue, erano «un branco di stupide oche». Non è questa la peggior sconfitta che possa subire un capo?”.

da Nella casa del mio paparino, della Principessa Iruxol Corrida

 

   “L’Emo poteva davvero vedere il futuro, ma il suo potere aveva dei limiti. Pensate alla vista: voi avete gli occhi, ma non potete vedere senza luce o dietro a un ostacolo. Allo stesso modo, l’Emo non poteva scrutare sempre nel misterioso territorio dell’avvenire. Egli ci dice che una singola decisione profetica, forse la scelta dei calzini, potrebbe cambiare l’intero futuro […].

   Profezia e preveggenza: com’è possibile provarne la verità? Considera: in quale misura la visione è profetica, e quanto invece il profeta contribuisce a plasmare il futuro perché si adatti alla sua visione? Il profeta vede chiaramente l’avvenire, oppure una linea di frattura, una crepa, un difetto che lui potrebbe spezzare con le decisioni o le parole, come un intagliatore spezza una gemma con un colpo di scalpello? Quando glielo chiedevo, l’Emo rispondeva così: «Non ci ho mai capito una cippa»”.

da Chiacchiere con l’Emo, della Principessa Iruxol Corrida

 

   Districandosi tra i rottami del porcicottero, Paul e Godiva uscirono alla luce abbagliante del sole. Neanche loro avrebbero saputo dire com’erano sopravvissuti, venendo sbatacchiati per ore dalla tempesta di sabbia. Quando finalmente ne erano usciti, il velivolo danneggiato aveva cominciato a precipitare. Solo all’ultimo momento Paul era riuscito a riattivare il motore, probabilmente perché la caduta aveva soffiato via la sabbia che intasava gli ugelli. Non era abbastanza per riprendere quota, così il giovane aveva dovuto eseguire un atterraggio d’emergenza, praticamente una caduta controllata. Avevano urtato il fianco di una duna e da lì erano scivolati, perdendo velocità, finché il porcicottero si era arrestato in una depressione. Paul aveva dovuto sfondare dall’interno il vetro, già ridotto a un colabrodo, per uscire.

   «Stai bene?» chiese il giovane, aiutando sua madre a venir fuori dall’abitacolo.

   «Ho la nausea, ma sì, sono tutta intera» rispose lei. «Che caldo!».

   «Dobbiamo indossare al più presto le tute distillanti» annuì Paul. A differenza del precedente trasporto, il porcicottero del dottor Kinkes ne era provvisto; e lui le aveva già infilate nello zaino. «Ma è ancora più urgente allontanarci. Questo rottame potrebbe esplodere da un momento all’altro» avvertì. Si assicurò bene in spalla lo zaino e saltò giù dal velivolo, atterrando sulla sabbia.

   «Siamo nel territorio dei Vermoni» avvertì Godiva, guardandosi attorno con apprensione. Lasciò che il figlio l’aiutasse a scendere a terra.

   «I nostri amici Vermoni» commentò Paul. «Mangeranno questa carcassa, così gli Scarafonnen non sapranno dove siamo atterrati. Quanto a noi, dovremo raggiungere il sietch a piedi. Per fortuna non siamo lontanissimi» commentò, osservando la cartina. Come tipico delle mappe di Arrankis, era centrata sul polo nord.

   «Intanto raggiungiamo quelle rocce» consigliò Godiva, indicando degli affioramenti in lontananza. Potevano proteggerli dai Vermoni, oltre a offrire un po’ di privacy per il cambio d’abiti.

   Madre e figlio lasciarono in fretta i resti del porcicottero, da cui saliva un filo di fumo. I loro scarponi affondavano nella sabbia fine, così che ogni passo era una faticaccia. «Dobbiamo procedere con un ritmo spezzato, come quello dei movimenti naturali della sabbia, per non attirare i Vermoni» disse Paul. «Conosci il Passo Arrancante dei Femen?».

   «Ne ho sentito parlare, certo, ma non conosco l’esatta cadenza» ammise Godiva.

   «Io sì!» si vantò Paul, lieto di poter finalmente essere utile. «Guardami e fai come me. È così che i nativi passano inosservati» disse con aria navigata. Fece un passo avanti, trascinando il piede sulla sabbia fino a tracciare un semicerchio. Poi eseguì un saltello, cui seguirono un passo normale e una brevissima sosta. Dopo di che tracciò un nuovo semicerchio, con l’altro piede, e così via. Scivolata... saltello... passo... sosta. Scivolata... saltello... passo... sosta. Il ritmo era spezzato, irregolare come quello del vento sulle dune. Ma i muscoli protestavano a questo movimento incostante, innaturale.

   «Così facciamo dieci volte più fatica!» protestò Godiva.

   «È solo fino alle rocce, cerca di resistere» la esortò Paul.

   Il tempo si dilatava intorno a loro, le alture sembravano non avvicinarsi mai. Eppure tra passi, scivolate e saltelli, i due guadagnavano lentamente terreno. Avevano percorso più di metà del tragitto, quand’ecco che un’onda si propagò nella sabbia, oltrepassandoli. Dal basso saliva un suono simile a un bisbiglio, un raschiare che si faceva sempre più forte.

   «Un Vermone!» si allarmò Paul.

   «E come ha fatto a scovarci? Non avevi studiato il Passo Arrancante?!» inquisì Godiva.

   «Io sì... forse non l’ha studiato lui!» si difese il giovane, interrompendo la sua pantomima. «Okay, lasciamo perdere il Passo. Dobbiamo correre!». Prese sua madre per un polso, esortandola ad affrettarsi.

   Le rocce erano vicine, ma la creatura si avvicinava a una velocità spaventosa. I due umani corsero a perdifiato, inveendo contro la sabbia che li rallentava. Davanti a loro c’era la salvezza, nella forma di un ripiano roccioso, quasi una spiaggia digradante nella sabbia. A un tratto udirono, dietro di loro, il fracasso spaventoso del metallo frantumato. Il porcicottero era appena finito nello stomaco del Vermone.

   «Mangiano il metallo... ma lo digeriscono anche?!» si chiese Godiva, trafelata.

   «Boh? Ci sono tante cose che non sappiamo, di loro. Corri!» la esortò ancora Paul, quasi trascinandola.

   La sabbia cominciava già a sollevarsi sotto i loro piedi, quando raggiunsero la sicurezza della roccia. Tuttavia non si fermarono, per timore che la creatura riuscisse comunque a travolgerli. Dovevano addentrarsi tra gli affioramenti, salire di quota per mettersi davvero al riparo. Il suolo tremava in modo spaventoso, il rimbombo si era fatto assordante. Paul si guardò indietro: del porcicottero non c’era più traccia. In compenso, una duna increspata veniva dritta contro di loro. Piccoli fulmini d’elettricità statica sfrigolavano verso l’alto. In quella la duna si aprì, rivelando la creatura.

   Mai prima d’ora Paul aveva visto un Vermone così bene, e così da vicino. La sua epidermide bruna era così spessa e dura da sembrare rocciosa. Non aveva una testa riconoscibile: niente occhi, niente vie respiratorie. C’era solo l’immensa bocca tripartita, colma di lunghi denti, tanto affilati da tranciare l’acciaio. La sua circonferenza era di decine di metri. Dunque la creatura, ancora in gran parte celata dalla sabbia, doveva misurarne molte centinaia in lunghezza. Non c’erano parole per descriverla... era Shai-Hulud, il Vecchio Incazzoso del Deserto, e questo è tutto.

   Il Vermone impattò contro le rocce, facendole tremare. Un’ondata di sabbia schizzò in avanti, colpendo Paul e Godiva con tale violenza che quasi li buttò a terra. «Più in alto, più in alto!» rantolò il giovane, sputacchiando sabbia. S’inerpicarono sulle rocce, sempre sotto i getti di sabbia, perché il Vermone reiterava gli assalti, spingendosi in avanti. A un certo punto Godiva incespicò sulle pietre smosse e prese a scivolare all’indietro, verso la bocca spalancata della creatura; ma Paul la prese di nuovo per il polso e la trascinò in avanti, finché lei riuscì di nuovo a far presa sul suolo.

   «Infiliamoci qui!» esclamò il giovane, indicando uno stretto passaggio tra le rocce. Troppo stretto, perché il Vermone potesse inseguirli. S’infilarono tra le pietre scolpite dal vento, mentre il boato della creatura li assordava e le scariche statiche facevano rizzar loro i capelli. Infine il Vermone si ritirò, come richiamato dalle sabbie; in pochi attimi era sparito e il deserto appariva di nuovo calmo.

   «Stavolta c’è mancato poco!» ansimò Paul, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato. «Avevo letto che erano grossi, ma non mi ero reso conto...».

   «Neanch’io» mormorò Godiva.

   Sedettero a terra, riprendendo fiato. Ora che il Vermone si era ritirato, c’era un gran silenzio. E faceva caldo, un caldo micidiale, sebbene fossero all’ombra delle rocce. «Dobbiamo indossare le tute» disse Paul, aprendo il suo zaino. Ne offrì una a sua madre, poi andò dietro una roccia per indossare la sua. Dovette armeggiare un pezzo per ricordare come s’indossava, ma in qualche modo ne venne a capo. Infine i due si ritrovarono, controllandosi a vicenda per accertarsi di averle indossate correttamente.

   «Bevi da qui» raccomandò Paul, accennando al tubicino da cui bere l’acqua riciclata.

   «Non ho sete» sostenne Godiva.

   «Dovresti aver cura di te... in fondo devi bere e mangiare per due» disse però il giovane, con uno sguardo eloquente.

   Godiva restò interdetta per un attimo. «Allora sai, monellaccio» mormorò, sfiorandosi l’addome.

   «Già» annuì Paul. «Hai pensato al nome da dargli?».

   «Da darle. È una femmina, stavolta» rivelò la Lady. «No, non l’ho ancora deciso. Comunque non devi preoccuparti per me. Tua sorella non nascerà prima di molti mesi, e io mi sento ancora in forze». Aveva appena detto questo che fu assalita dalla nausea, così forte da farle rimettere quel poco che aveva nello stomaco.

   «Grandioso» mugugnò Paul, distogliendo lo sguardo. Servivano dieci giorni di marcia per raggiungere il sietch più vicino, ma con sua madre in quelle condizioni potevano diventare molti di più; nel qual caso avrebbero esaurito acqua e viveri.

 

   Appena Godiva riuscì di nuovo a camminare, ripresero la marcia. Restarono sulle rocce affioranti, per sfuggire ai Vermoni. Anche questo tuttavia si rivelò complicato, perché non c’erano sentieri: sarebbe servito un equipaggiamento da scalatori per salire e scendere i dirupi senza pericolo. Così dovettero arrancare con mille precauzioni, saggiando ogni passo. Più volte uno dei due scivolò, venendo salvato in extremis dall’altro.

   «Groan, di questo passo non arriveremo mai!» si lamentò Paul, dopo l’ennesimo incidente che aveva rischiato di farlo scivolare in un crepaccio.

   «Cosa ti aspettavi, una scala intagliata nella roccia e un cartello con su scritto “sietch”?» lo rampognò sua madre.

   Rimessisi in marcia, i due aggirarono un macigno... e si trovarono innanzi a una scala intagliata nella roccia. Lì accanto vi era un cartello infisso su un palo. Paul si avvicinò. «Perbacco, dice proprio “sietch”!» lesse ad alta voce. «Questi Femen non sono poi così difficili da trovare. In effetti, se c’è riuscito Duncan...» ragionò.

   «... potevate riuscirci anche voi!» completò una voce stentorea, che proveniva dall’alto. «Ma ve ne pentirete, stranieri. Gli intrusi rimpiangono di trovarci!».

   Paul alzò gli occhi e scorse un Femen appollaiato sulle rocce, come un avvoltoio in cerca di carcasse. Indossava l’inconfondibile tuta distillante e aveva anche la testa protetta da una sorta di turbante. Nella sua mano scintillava il pugnale pyss, ricavato da una zanna di Vermone. Per una reazione istintiva, Paul accennò a buttarsi di lato, dietro alcune rocce.

   «Non correte, intrusi!» intimò il nativo. «Sprechereste l’acqua dei vostri corpi. E quella serve a noi. Il sole è alto e ci attende una lunga marcia». Mentre parlava, altri Femen armati sbucarono dalle rocce, tra cui si erano perfettamente mimetizzati. In men che non si dica, Paul e Godiva si trovarono circondati. Ogni via di fuga era tagliata. E disarmati com’erano, non potevano opporre alcuna seria resistenza contro i predoni.

 

   Senza che tra loro corressero altre parole, i Femen vennero giù dalle rocce e strinsero il cerchio intorno ai fuggiaschi, come sciacalli attorno alle prede. Fra le tute distillanti e i turbanti, non si vedeva molto dei loro volti, a parte gli occhi di un blu impressionante. Uno di loro venne proprio davanti a Paul e berciò: «Cignoro hrobosa sukares hin mange la pchagavas doi me kamavas na beslas lelele pal hrobas!». Dal tono, sembrava che fosse la cosa più importante del mondo.

   «Amico, non ho capito una cippa» ribatté Paul, cercando di non mostrarsi intimidito.

   «Perché parla in cip-ciop, la nostra antica lingua» disse quello che pareva il capo della combriccola, facendosi avanti a sua volta. «Dice che forse siete spie nemiche, nel qual caso siete fottuti» tradusse. Vedendo il suo ceffo patibolare, Paul fu colto da un’illuminazione.

   «Sticazz, sei proprio tu!» esultò il giovane. «Non mi riconosci? Sono Paul Formaldeides, figlio del Duca» disse, mostrando l’anello che aveva ereditato. «Ero con mio padre alla capitale, quando venisti a trattare i diritti del tuo popolo. Ci siamo anche sputati in faccia, in segno di stima!» ricordò, improvvisamente grato per quell’esperienza.

   «Uhm... sì, è vero» borbottò Sticazz, fissandolo con quei suoi occhi balenghi. «Ricordo che ci promettesti scorte di lassativi. Non ne abbiamo visto mezzo».

   «Cerca di capire... anche noi siamo ridotti male, da quando gli Scarafonnen ci hanno attaccati a tradimento» confessò Paul. «Mio padre è morto; io e mia madre siamo fuggiti a stento. Il dottor Kinkes, vostro stimato amico, ci ha indirizzati al vostro sietch, garantendoci che ci avreste dato asilo».

   «Rispettiamo Kinkes, ma non avrebbe dovuto fare promesse!» sbottò il Femen che in precedenza aveva parlato in cip-ciop. «Noi diamo valore alla forza; e voi non ne avete, ora che vi hanno sbattuti fuori dai vostri saloni dorati».

   «Però hanno avuto coraggio ad attraversare la strada di Shai-Hulud» disse Sticazz, meditabondo.

   «Sono precipitati nel deserto!» insisté l’altro. Tornò a squadrare Paul con ostilità. «Io sono Jingle, dei Femen, e dico che non c’è posto per voi nel nostro sietch!» sentenziò.

   «Abbiamo amici potenti» intervenne Godiva, per dare un po’ di respiro al figlio. «Aiutateci a tornare su Calamar e sarete ben ricompensati» li tentò.

   «Quale ricompensa puoi darci, a parte l’acqua del tuo corpo?» disse però Sticazz, rivolgendole la parola per la prima volta.

   «Sono una Mala Gesserit; ho molte conoscenze che potrebbero esservi preziose» rivendicò la Lady, cercando di passare da una vaga promessa a qualcosa di più concreto.

   I Femen parlottarono tra loro in cip-ciop; infine Sticazz si rivolse di nuovo a Godiva. «Stabiliamo noi che cos’è prezioso» disse. «Tuo figlio verrà con noi; è giovane, può apprendere le nostre usanze. Ma tu sei troppo vecchia per imparare...».

   A quelle parole, Godiva gli scattò contro con una velocità mai vista. Nel momento in cui Sticazz estraeva il pugnale, lei lo colpì col taglio della mano, facendogli perdere la presa. Con l’altra mano, afferrò al volo l’arma che cadeva; e gliela puntò alla gola. «Negli ultimi tre giorni mi hanno fatto di tutto, e ho sopportato» ansimò, premendogli la lama affilatissima contro la giugulare. «Ma non tollero d’essere chiamata vecchia!».

   Vedendo sua madre scattare, anche Paul fece lo stesso. Notando un Femen che estraeva un’arma da fuoco – segno che lì non si usavano Scudi – ebbe una breve colluttazione con lui. Riuscì a strappargliela, colpendolo sotto alla cintura. Il loro scontro passò quasi inosservato, perché l’attenzione di tutti era concentrata su Godiva e Sticazz.

   I Femen si fecero avanti per soccorrere il loro capo, ma questi li fermò: «Indietro, teste di Vermi! Mi taglierà la gola, se fate un altro passo!».

   «Ora sì che c’intendiamo» ghignò la Lady. «Allora, ci aiuterete?».

   «Pace, donna! Ti ho mal giudicata» ammise Sticazz, improvvisamente conciliante. «Se sei una combattente e una Mala Gesserit – cosa che ormai credo – allora vali dieci volte il tuo peso in acqua!». Riprese fiato, parlando con più calma. «Stranieri, verrete con noi al sietch, dove sarete nostri ospiti. Avete la mia parola d’onore che nessuno vi torcerà un capello».

   Godiva scambiò un’occhiata con Paul, che annuì leggermente, esortandola a liberare l’uomo. La Lady eseguì di malavoglia, spintonandolo in avanti. Dopo qualche momento, tuttavia, gli restituì persino il pugnale.

   Ora che la tensione si era stemperata, e anche lui si sentiva più tranquillo, Paul si guardò attorno. Allora si accorse che, sebbene avesse strappato un’arma da fuoco a un Femen, ce n’era un altro appollaiato sulle rocce che lo teneva sotto tiro. Avrebbe potuto ucciderlo in ogni istante, se la situazione fosse degenerata. Poiché invece le cose si erano risolte felicemente, Paul osò abbassare la sua arma, nella speranza che l’altro facesse altrettanto. Il cecchino però rimase fisso nella sua posizione.

   «Ho detto di lasciarlo stare, Cianidrina, maledetta figlia d’una lucertola!» sbottò Sticazz.

   «Se insisti...» mugugnò l’interessata, riponendo l’arma. Saltò agilmente giù dalle rocce, atterrando proprio davanti a Paul. «Non ti avrei permesso di far del male ai miei compagni» mise bene in chiaro. Era l’unica donna della banda, notò il giovane. Anche lei indossava una tuta distillante, con una sorta di velo attorno alla testa per proteggersi dal sole micidiale; ma quando gli fu vicina, Paul la vide bene in faccia. E il suo cuore batté forte, perché quella era la misteriosa fanciulla che tante volte lo aveva visitato in sogno e in visione. Adesso era lì davanti a lui, in carne ed ossa... magari un po’ meno affascinante di come l’aveva sognata, infagottata com’era negli stracci Femen, e con quell’espressione malfidente. Ma era lei, di sicuro.

   «Buffo come, pur avendola vista tante volte, non immaginassi le circostanze del nostro primo incontro» si disse Paul. Ma se le visioni erano veritiere, allora quella squinzia gli sarebbe stata accanto in momenti decisivi del futuro. Era il caso di presentarsi al meglio... aveva letto da qualche parte che le persone si formano un’idea degli sconosciuti in appena venti secondi, e una volta fatto questo, la cambiano difficilmente. Non poteva lasciare che Cianidrina – così si chiamava! – si facesse una pessima impressione di lui. «Salve, milady... sono Paul Formaldeides, Duca di Calamar» si presentò, facendole un lieve inchino.

   «Sì, ho sentito» sbuffò lei, squadrandolo con diffidenza.

   Vedendo che la squinzia non sembrava impressionata dai titoli, Paul ricordò che i Femen davano gran valore alle loro usanze, tra cui quella del saluto. Venir meno allo “scambio dell’umidità” costituiva una grave offesa e poteva compromettere per sempre i rapporti con loro. «Ehm... lascia che ti faccia dono dell’umidità del mio corpo, in segno di stima e rispetto» disse il giovane, riempiendosi ben bene la bocca di saliva. Quando ritenne di averne a sufficienza, le sputò in faccia. Poi rimase in fiduciosa attesa che lei facesse lo stesso. Ma invece di un amichevole sputo, ricevette un gancio destro che lo fece barcollare.

   «Come ti permetti, cervello di sabbia!» inveì Cianidrina. «Avete visto tutti? Questo buzzurro mi ha gravemente offesa!». Dalle file dei Femen salì un «Oooohhh!» di costernazione.

   «Come sarebbe, offesa?!» protestò Paul, massaggiandosi la mascella dolorante. «Siete voi che salutate in questo modo. Sticazz mi ha sputato in faccia, al nostro primo incontro, e ha preteso che io facessi lo stesso!».

   «Tra uomini ci si sputa in faccia, e anche tra donne» spiegò il capo dei Femen. «Ma quando un uomo saluta una donna che non conosce, deve sputarle sulla mano, sempre che lei gliela tenda. Tu, ragazzo, hai commesso un grave affronto».

   «Non lo sapevo!» ansimò Paul, sconvolto da come le cose precipitavano in fretta.

   «La legge non ammette ignoranza!» sentenziò Sticazz. «Ora c’è un solo modo in cui puoi farti perdonare. Devi dimostrare forza, coraggio e onore. Uno dei nostri ti sfiderà, e combatterete fino alla morte. Chi si offre?».

   «Io, io!» gridò Jingle, quello che fin da subito si era mostrato più ostile verso gli stranieri. Sembrava felicissimo di avere un’occasione per sbudellare Paul.

   «Accordato» disse il capobanda. «Cianidrina, spiega le regole al nostro giovane ospite. Così non commetterà altri errori, e sarà un combattimento leale».

   Paul si appartò con la squinzia, mentre il suo sfidante raccoglieva le lodi e gli incoraggiamenti dei compagni. Più discosta, Godiva guardava il figlio con apprensione, maledicendo la sua inesauribile capacità di mettersi nei guai.

   «Alcuni dicono che tu sia l’Emo» disse Cianidrina a Paul. «A me sembri solo un ragazzo sperduto».

   «Una cosa non esclude l’altra» ribatté il giovane, in tono rude. Non aveva più tanta voglia di piacerle, visti i risultati del primo approccio.

   «Vero» concesse la squinzia. «Io non credo che tu sia l’Emo, ma voglio comunque che muori con onore». Gli porse il suo pugnale, lungo e affilatissimo. «Questo pyss apparteneva alla mia prozia. È fatto con un dente di Shai-Hulud, il Vermone delle Sabbie. Sarà un grande onore, per te, morire impugnandolo».

   «Mi dai già per spacciato, eh?» brontolò Paul. Non potendo tirarsi indietro, prese il pugnale che gli veniva offerto.

   «Per quanto riguarda le regole, sappi che non ce ne sono molte» proseguì Cianidrina, ignorando il suo commento. «È un duello all’ultimo sangue, quindi non puoi arrenderti, né chiedere soste. Sei libero di usare qualunque stile di combattimento. Puoi anche fare lo sgambetto, se credi; ma lo scontro termina solo con la morte».

   «Dov’è il ragazzo di un altro mondo? Non vedo l’ora di sbudellarlo!» gridò Jingle, brandendo la propria lama. I suoi sodali lanciarono grida d’incoraggiamento.

   «Jingle è un buon combattente; non ti farà soffrire» disse Cianidrina, in tono di definitivo commiato.

   «Al mio ritorno, parleremo di come dai le cattive notizie» disse Paul, e la lasciò, venendo incontro all’avversario.

   Su tutti loro scese un silenzio surreale. I Femen si erano disposti sulle rocce, grossomodo in cerchio, delimitando l’area di combattimento. Jingle attendeva col pyss sguainato, immobile, in una strana posa accucciata.

   «Beh, devi fare i tuoi bisogni?!» lo provocò Paul, restando bene in piedi.

   A quella frecciata, il Femen si alzò a sua volta, fissandolo incollerito. «Che il tuo coltello possa spezzarsi!» augurò.

   «Non è mio, l’ho preso in prestito» corresse Paul, accennando a Cianidrina.

   «Allora lo riavrà presto» ghignò Jingle. «Accogli in te la mia lama!».

   Paul ebbe un brivido di paura. D’un tratto si sentì solo e nudo, senza la protezione dello Scudo, in quella confusa luminosità gialla, al centro dei Femen. Le sue visioni gli avevano rivelato sprazzi del futuro, ma questo era il presente, e la morte lo attendeva in un’infinità di varianti. Avanzò cautamente, ripetendo fra sé la Litania contro la Paura. Anche se era solo uno slogan pubblicitario delle Male Gesserit, ebbe il potere di calmarlo.

   Jingle balzò contro di lui e sferrò un colpo al cuore; ma trafisse solo aria, perché il giovane si era spostato con agilità.

   «Prima devi beccarmi, cocco bello!» lo canzonò Paul. La soddisfazione fu breve, perché il predone tornò all’attacco, costringendolo a parare o schivare disperatamente.

   Godiva assistette allo scontro con il cuore in gola. Sapeva che suo figlio era stato addestrato da Duncan e altri grandi maestri, arrivando a padroneggiare molte tecniche di combattimento. E aveva il vantaggio d’essere giovane, agile, scattante. Ma era abituato a combattere con lo Scudo, che respingeva gli attacchi troppo veloci, lasciando invece passare quelli lenti. Qui era tutto il contrario: in mancanza di Scudi era la velocità a sancire il vincitore.

   «Questo pianeta ti ucciderà... così è più semplice!» ridacchiò Jingle, ancora convinto della propria superiorità.

   «Mai piaciute le cose semplici» ansimò Paul, che cercava di correggere il proprio stile per uscir vivo dal confronto.

   Gli avversari girarono l’uno intorno all’altro, sferrando rapidi colpi. Paul sentì il pyss nemico passargli a un soffio dalla gola e indietreggiò. Jingle lo incalzò, convinto che fosse l’occasione buona per sopraffarlo; ma il giovane sgusciò di lato e gli fece lo sgambetto. Il predone incespicò, cadendo su un ginocchio; in un lampo si trovò il pyss alla gola.

   «Ti arrendi?!» chiese Paul, non volendo ucciderlo.

   «Ehi, ehi!» protestò Sticazz, che stava sgranocchiando dei popcorn. «Non hai sentito le regole? Non c’è resa, si combatte fino all’ultimo sangue!».

   «Paul non ha mai ucciso nessuno» mormorò Godiva. «Non vuole uccidere... è un bravo ragazzo!».

   «Sarà un bravo ragazzo morto, se non si adatta alle circostanze» avvertì il capobanda.

   Approfittando dell’esitazione di Paul, Jingle riuscì a scostarsi, mettendosi a distanza di sicurezza dal suo pugnale. Allora cambiò stile; adesso era molto più cauto e faceva delle finte prima di lanciarsi in un vero attacco.

   «Adesso è ancora più pericoloso» si disse Paul. «Ha scoperto che non sono uno sprovveduto, e farà qualunque cosa per vincere». Ricordò le lezioni di Duncan: «Un uomo terrorizzato lotta contro se stesso. Alla fine attacca per disperazione. È pericoloso, ma si può star certi che commetterà un errore. Tu devi coglierlo e approfittarne». Fin qui era tutto semplice, lineare. Il guaio era che anche lui aveva paura, e chissà che non fosse Jingle ad approfittarne!

   Ad un tratto, Paul si trovò con il sole negli occhi. Erano usciti dal riparo delle rocce, trascinati dallo scontro, e Jingle era stato abbastanza furbo da trarne vantaggio. Ora poteva attaccare, e Paul si sarebbe trovato in difficoltà a parare. Era la fine? No, forse gli restava un trucco. Notando che il pugnale, pur venendo da un dente di Vermone, rifletteva la luce come se fosse stato d’acciaio, Paul lo tenne avanti a sé, riflettendo il sole proprio mentre Jingle attaccava. Il predone fu abbagliato nell’istante decisivo e colpì a vuoto. Paul gli sgusciò accanto e menò un rapido affondo, dritto al cuore. Infine si ritrasse di alcuni passi.

   Jingle cadde faccia a terra, come uno straccio. Rantolò per qualche attimo, infine giacque immobile sulla roccia. I Femen si precipitarono in avanti, rompendo il cerchio. Avvolsero il compagno caduto nei mantelli e lo sollevarono da terra, salmodiando nella loro lingua. Paul immaginò che lo avrebbero seppellito alla loro maniera... probabilmente nel deserto. Alzò gli occhi su Cianidrina, che gli parve in preda a sentimenti contrastanti; ma sulle prime non riuscì a parlarle.

   «Ecco il momento critico» pensò tuttavia Godiva, osservandolo. «Ha ucciso un uomo con la propria abilità; non devo permettergli di gioirne, di prenderci gusto». Gli venne accanto e lo fissò duramente. «Allora, come ci si sente ad essere un assassino?!» lo redarguì.

   «Penso che tu lo sappia meglio di me» fu la secca risposta. «Quei tre soldati Scarafonnen sul velivolo... erano i primi esseri umani che uccidevi? O alla scuola Male Gesserit assegnano anche lavoretti del genere?» chiese, ricordando come la Reverenda Madre lo avesse quasi accoppato.

   La Lady non rispose, ma si ritrasse, confidando che il figlio non sarebbe diventato un serial killer dopo quella brutta esperienza. Certo, la guerra contro gli Scarafonnen era tutta da combattere...

   Affrontata sua madre, Paul si trovò davanti Cianidrina e Sticazz. «Mi dispiace per l’accaduto» mormorò, accennando alla vittima.

   «Ah, non pensarci, figliolo!» disse il capobanda in tono comprensivo. «Sarebbe accaduto comunque, prima o poi. Il povero Jingle non aspettava altro che un’occasione per sfidarti. Beh, quel che è fatto, è fatto. Ora sei dei nostri. Benvenuto nella banda!».

   «Io... un Femen?!» fece Paul, sconcertato.

   «Certo» confermò Cianidrina. «Vedi, le nostre risorse sono limitate, per cui se uno entra nella banda, un altro deve uscire. All’inverso, se uno esce» accennò al corpo di Jingle «c’è un posto disponibile. Tu hai del potenziale, ma hai bisogno di conoscere il deserto, e noi possiamo insegnarti».

   «E mia madre?» s’inquietò il giovane, osservando Godiva. «Dovrei ammazzare un altro dei vostri, per farle posto?».

   «Oh, no!» lo rassicurò Sticazz. «Devi sapere che presso di noi le donne valgono meno di uno sputo, quindi non sono considerate “persone della tribù”. Beh, è tardi... raccattate Jingle, torniamo al sietch!» abbaiò ai suoi sottoposti. La banda si mise in marcia tra le rocce, canticchiando uno strano motivetto: «Ehi-ho! Ehi-ho! A casa ritorniam!».

 

   Si erano mossi da poco, quando Godiva si accostò a Sticazz. «Ora che siamo parte della tribù, spero che non vorrete più l’acqua dei nostri corpi» commentò.

   «Ah, ah, no!» rise lui. «Ma in effetti siamo rimasti un po’ a corto, e la strada è lunga. Se avete qualche scorta da condividere, lo apprezzerei molto».

   Dopo una breve esitazione, la Lady gli consegnò una bottiglietta che aveva nello zaino.

   «Molto obbligato» riconobbe Sticazz, ricevendola nelle sue mani. «Dov’è il Maestro d’Acqua?!» chiamò, finché un Femen gli venne accanto. «Ah, Shimoonit, misura la quantità necessaria, non una goccia di più. Quest’acqua appartiene alla Lady, e le sarà rimborsata dal sietch alla tariffa del deserto, dedotte le spese d’imballaggio» puntualizzò.

   «Caspita, come siete organizzati!» si stupì Godiva. «E qual è la tariffa del deserto, tanto per sapere?».

   «Dieci a uno. Una regola molto saggia, come scoprirai» spiegò Sticazz. «C’è ancora tanto che tu e tuo figlio dovete apprendere... ma lo farete, col tempo».

   Godiva gli restò accanto, rimuginando tra sé. D’un tratto rialzò la testa. «Vi siamo grati per l’ospitalità, ma non potremo trattenerci a lungo con voi» mise in chiaro. «Paul è pur sempre il Duca di Calamar. Ora che suo padre è morto e gli Scarafonnen spadroneggiano, deve tornare in patria per assumere il comando e organizzare la resistenza».

   «Grandi progetti, eh?» fece il capobanda, con un sorriso sornione.

   «Voi potete aiutarci, ne sono certa. Siete in contatto con contrabbandieri, potete procurarci un passaggio su qualche nave non registrata...» insisté la Lady.

   «No!» disse inaspettatamente Paul. «L’Imperatore ci ha inviati qui, e che gli piaccia o no, qui resteremo. Non per la Spezia, ma per questa gente» disse, accennando ai Femen. Dopo di che fronteggiò Sticazz. «Gli Scarafonnen controllano di nuovo Dune. Era previsto che accadesse così, una volta distrutto il mio Casato. Voi però siete ancora qui; che avete in mente di fare?» indagò.

   «Non possiamo più tollerare le angherie degli Scarafonnen» borbottò Sticazz. «Credo proprio che le tribù insorgeranno. Se non ora, quando?».

   «Già, se non ora quando?!» chiese Paul con voce stentorea, rivolgendosi a tutta la banda. «E noi saremo con voi. Vi aiuteremo a riconquistare il pianeta e respingere gli Scarafonnen in quella latrina da cui sono usciti!» s’infervorò. In quella, però, vide sua madre ed esitò. «Se tu vorrai tornare a Calamar, capirò» le disse. «Ma la mia strada conduce al deserto... ormai è chiaro».

   «Se tu resti, io farò lo stesso» sospirò Godiva. «Me lo sentivo, che eri l’Emo. Farai grandi cose per questo mondo: è il tuo destino».

   Stavolta Paul non rifiutò quel titolo, anzi, lasciò che i Femen lo ripetessero attorno a lui. Terminate le acclamazioni, riprese la strada con loro. Erano sempre diretti al sietch, dove avrebbero potuto convocare altri capi-tribù e fare piani di battaglia.

 

   Giunti al limitare degli affioramenti rocciosi, i viaggiatori si predisposero ad attraversare le insidiose dune che erano il dominio incontrastato dei Vermoni. Per far questo si disposero in fila indiana, procedendo col famigerato Passo Arrancante: non la brutta copia in cui Paul si era esibito in precedenza, ma l’autentico passo degli abitatori del deserto. Paul e Godiva li osservarono attentamente, riuscendo a imitarli dopo qualche tentativo.

   «Sei ancora un disastro!» commentò Cianidrina, venendo accanto a Paul. «Guarda qui, hai il sondino nasale tutto storto. Così sprechi il vapore acqueo. Aspetta, te lo aggiusto» si offrì, passando subito all’azione. Paul la lasciò fare. Gli sembrava che la squinzia avesse un atteggiamento diverso rispetto a prima... più affabile. Era una piacevole novità.

   «Ecco, ora è a posto» disse Cianidrina, finendo di armeggiare.

   «Grazie. Ti preoccupi per me?» indagò Paul.

   «Sticazz mi ha ordinato di badare che tu non muoia durante il viaggio» fu la risposta.

   «Che gentile. E dimmi, sarà un viaggio lungo?» chiese il giovane, guardando apprensivo sua madre. «Io avevo calcolato una decina di giorni, ma non ne sono sicuro».

   «Uhm, sì, dieci o undici giorni dovrebbero bastare» convenne Cianidrina. «Ma ne basteranno un paio, se saremo fortunati» aggiunse, scrutando il deserto ondulato avanti a sé.

   «Un paio? Com’è possibile, prenderemo un porcicottero?» si stupì Paul.

   «Ma quale porcicoso! Noi viaggiamo in un altro modo!» s’illuminò la squinzia, indicando qualcosa all’orizzonte.

   Paul spinse lo sguardo in avanti, scorgendo una duna semovente che avanzava a gran velocità contro di loro. «Un Vermone!» si allarmò. «Dobbiamo metterci al riparo... ma le rocce sono lontane. Qualcuno di voi ha un Martellatore?!» chiese, stupito dalla calma dei Femen.

   «Non servono Martellatori» disse Sticazz, con uno strano sorriso. «È quello, il nostro mezzo di trasporto».

   Paul aguzzò la vista, scorgendo qualcosa sulla groppa del Vermone. Era un Femen, che incredibilmente riusciva a cavalcarlo. Si teneva agganciato con due piccozze, che probabilmente usava anche per dirigerne il tragitto, a mo’ di briglie. «Non ci credo...» mormorò il giovane, stropicciandosi gli occhi. Ecco in che modo il buon Kinkes contava di attraversare il deserto... sempre che i Sardonen non lo avessero preso. «Mio padre aveva ragione, dopotutto. Eccolo, il potere del deserto...» disse fra sé.

   «E questo è solo l’inizio!» promise Cianidrina, sorridendogli per la prima volta. Per un attimo, fu proprio come l’aveva vista in sogno. Poi il gruppo riprese a farsi strada tra le dune e i massi affioranti, diretto verso il Vermone. E verso il futuro.

 

 

FINE DELLA PRIMA PARTE

 

 

-Commento:

   Come nell’opera originale, Paul e sua madre hanno un incidente col velivolo, che li porta a perdersi nel deserto. Qui hanno il primo incontro ravvicinato con un Verme gigante, per poi trovare finalmente i nativi. Nell’originale, il duello coi pugnali è dovuto al fatto che uno dei Fremen, Jamis, non crede che Paul sia l’Eletto e quindi lo sfida a uno scontro mortale. Nella mia versione, Paul come al solito si mette nei guai da solo (complici le astruse leggi locali!). In ogni caso, l’esito è lo stesso: Paul vince e si guadagna un posto nella tribù. Al tempo stesso, decide di rimanere su Dune, contando sui nativi per riconquistare il pianeta.

   In questo capitolo facciamo finalmente conoscenza col personaggio di Chani (nella mia versione Cianidrina), che in precedenza era più volte apparsa in visione. Così Paul scopre la differenza tra un sogno idealizzato e la rude realtà; ma le basi della loro relazione sono comunque poste.

   Ho deciso di finire qui, perché è qui che termina il remake del 2021; ma la storia ovviamente prosegue, con la lotta di Paul e dei Fremen contro gli Harkonnen e l’Imperatore stesso. Il film del 1984 copriva tutto il primo romanzo, mentre ora si prevede una trilogia. Se troverò il tempo e la voglia, proseguirò con la mia parodia. In caso contrario vi saluto, con la promessa che – come in tutte le grandi saghe d’avventura – anche stavolta i nostri eroi prevarranno sulle avversità...

 

   
 
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