Anime & Manga > Captain Tsubasa
Ricorda la storia  |      
Autore: Melanto    10/01/2022    2 recensioni
[Soulmate Series - #9]
Il secondo lunedì del mese di gennaio è il giorno in cui i ragazzi giapponesi diventano uomini, e dove tutto è concesso: fare tardi, vestirsi bene e schiopparsi d’alcool fino a scordarsi il proprio nome.
Mamoru lo sa, ed è consapevole che lo sa anche Yuzo.
Cosa potrebbe mai accadere nella serata più folle di un adolescente giapponese?
Un consiglio: mai svegliare il Morisaki che dorme!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Soulmate Series'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Seijin no hi crazyness

 

 

Seijin no hi crazyness

Soulmate series - #9

 

 

 

 

Quel lunedì di gennaio – il secondo del mese – faceva un freddo porco, ma dopo due birre e una decina di shot di tequila, Shuzo non lo sentiva più così tanto.

Aveva allentato la cravatta già a metà del discorso che il sindaco aveva sciorinato quella mattina nella hall del municipio dove tutti i giovani di Nankatsu, che avevano compiuto o avrebbero dovuto compiere vent’anni entro il primo di aprile, erano stati radunati per festeggiare la fine dell’adolescenza e l’arrivo della maggiore età. Era il Seijin no hi, un momento che le famiglie dei nuovi adulti preparavano con mesi di anticipo.

Una mattinata all’insegna di stronzate avvolte dalla solennità, di rigide guide su cosa la società si aspettasse da loro e come avrebbero dovuto conformarsi, integrarsi, rendersi utili, realizzarsi.

Erano adulti, ora. Basta giocare.

E chi cazzo aveva giocato fino a quel giorno?

Il culo che si era fatto per arrivare a prendere un diploma o a cercare di impedire che colletti bianchi come il sindaco non soffocassero la sua individualità con le loro formalità vecchie di secoli non contava?

Shuzo era stato sul punto di gridarlo forte e chiaro, ma si era morso la lingua per non mettere in cattiva luce suo fratello che, con la schiena ben dritta e l’espressione orgogliosa, aveva ascoltato il mare di cazzate con il solito, ampio sorriso da “adulto modello”. Il sindaco avrebbe dovuto tenerlo in palmo di mano uno così.

Con Yuzo si erano salutati alla fine della cerimonia, il tempo di un paio di fotografie nello spiazzo del municipio assieme a genitori e amici – suo padre aveva addirittura preso un permesso dal lavoro per esserci – in modo da avere un ricordo presentabile agli zii prima di ridursi a scendiletto con l’alcol, e si erano divisi. Per quel giorno, ognuno di loro avrebbe festeggiato separato dall’altro, ne avevano discusso già da tempo.

Shuzo doveva ammettere che l’idea lo aveva stranito, all’inizio. Non era mai capitato che feste così importanti le passassero lontani, ma era anche vero che quel seijin no hi non sanciva il passaggio nell’età adulta solo per quanto riguardava la vita professionale e sociale che avrebbero affrontato da quel momento in poi, ma anche quella personale: non erano più bambini, non avrebbero potuto stare appiccicati per sempre.

Si cresceva anche così, con le prime piccole assenze.

Le aveva rimandate fino a che aveva potuto, riducendo all’osso il distacco che li aveva visti per un po’ uno a Nankatsu e l’altro a Shimizu-ku, ma non avrebbe potuto continuare per sempre a essere la sua ombra. Bisognava allentare la presa, staccare di tanto in tanto la spina che li teneva assieme. Lo stava facendo per quanto riguardava l’otto-mano Izawa, avrebbe dovuto farlo anche per il resto.

Così, ora non aveva idea di dove Yuzo fosse andato a festeggiare con i suoi ex-compagni di scuola, rientrati dalle rispettive città di adozione calcistica e pronti a dire addio ai ragazzi che erano stati, per ubriacarsi da uomini veri.

Le strade di Nankatsu erano ancora piene di giovani in neri reifuku che sciamavano da una parte all’altra, e ragazze in coloratissimi furisode dai colli di pelliccia allentati e le acconciature spettinate. Ad alcol non stavano messe meglio degli amici maschi, ma avevano una grande dignità nel portare a spasso la propria ubriachezza fino a casa.

L’eco delle risate moleste arrivava a sprazzi alternati, da un gruppetto all’altro. Qualcuno finiva per addossarsi con troppa veemenza al compagno più vicino e tutto il gruppo si spostava a sinistra o a destra a seconda del caso. Appunto, sciamavano. Peggio delle zanzare.

Lui, Masa e Ryuchi avevano solo adocchiato alcuni dei loro vecchi compagni di scuola e a parte un paio di cenni di saluto non si erano calcolati più di tanto. Non avevano mai sentito la necessità di essere in tanti per stare bene, e poi c’erano molte altre teste calde di loro conoscenza con cui avevano bevuto un giro di shot. Tutti e tre avevano scelto di indossare abiti occidentali: giacca, cravatta. Shuzo si era vestito bene solo per far contenta sua madre che ci teneva e perché aveva sentito che non farlo sarebbe stata una grave mancanza di rispetto, ma non sapeva bene verso chi o cosa, né perché. Doveva essere tutta colpa della disciplina ferrea impartita dal suo horishi, Mori-san. Un tempo non ci sarebbe rimasto due minuti “impinguinato” – come diceva sempre suo fratello – in abiti tanto formali. Quel giorno, invece, aveva realizzato che un piccolo sacrificio non gli avrebbe cambiato la vita.

Gli venne in mente sua madre, ferma sulla soglia della stanza a osservarlo mentre si annodava la cravatta, con un sorriso orgoglioso sulle labbra. Era certa che non le sarebbe ricapitata un’altra occasione per vederlo vestito così, aveva detto.

«Allora, dove andiamo adesso? Io ho tutta l’intenzione di tornare a casa strisciando sui gomiti!»

Masa corse in avanti, con le braccia spalancate come un aeroplano. Si girò con un salto e mostrava la lingua. Ryuchi aveva la cravatta annodata attorno alla fronte e improvvisava qualche passo di danza alla musica che veniva da un cellulare di un gruppetto poco più avanti, i ragazzi intonavano un coro da arresto immediato per “rumori molesti”.

Shuzo sorrideva, un passo indietro, e pensava che avessero ancora tutta la notte per bere: i locali non avrebbero chiuso prima delle due per ordinanza del sindaco, ed era appena passata la mezzanotte. Il cappotto – anche quello indossato per l’occasione – aperto al vento della notte, le code della cravatta infilate nel taschino della giacca, le mani infossate nelle tasche dei pantaloni dal taglio classico del completo scuro. Ma nessuno aveva potuto impedirgli di indossare gli anfibi col rinforzo di metallo sulla punta, così come nessuno aveva potuto impedire a Yuzo di calcare le solite Nike da ginnastica. Almeno un briciolo di sregolatezza in mezzo a tutta quella maturità ce lo avevano dovuto mettere.

Il cellulare gli vibrò contro le dita e gli bastò captare le prime note della suoneria affinché il sorriso si aprisse di più, virando da una smorfia a labbra chiuse, in uno snudare di denti pieno di soddisfazione.

«Sapevo che il mio fratellino avrebbe chiamato per propormi di bere un goccetto da maggiorenni insieme! Dove sei? Ti raggiungo e ci infiliamo nel primo bar per festeggiare come si deve, invece che stare con quelle quattro educande dei tuoi amici calciatori.»

«Punto primo: non sono tuo fratello. Punto secondo: quest’educanda può darti le piste, buffone.»

Shuzo allontanò il cellulare dall’orecchio come fosse divenuto incandescente e il sorriso vittorioso si trasformò in una smorfia di puro schifo.

«Otto-mano?! Che cazzo fai col telefono di mio fratello? Cos’è, sarai mica uno di quei fidanzati gelosi che glielo controlla? Ti faccio il culo se vengono a sapere che è così! Mi hai capito, stronzo?»

«Ehi! Non offendere la mia intelligenza!»

«Ah, perché, ne hai una? E da quando?»

All’altro capo sentì Izawa sbuffare con forza e trattenere quella che, ne era certo, avrebbe dovuto essere una risposta al vetriolo. «Senti, non ti ho chiamato per fare a gara a chi ce l’ha più lungo.»

«Tanto perderesti e ora passami mio fratello.»

«Ecco. È per questo che ho telefonato e, credimi, non immagini quanto mi sia costato farlo, ma… non avrei potuto chiederlo a nessun altro.» Mamoru prese l’ennesimo respiro e poi ammise: «Ho bisogno di aiuto.»

 

Mamoru batteva le dita sullo schermo del cellulare che aveva sequestrato a Yuzo prima che avesse iniziato a chiamare gente a caso. Non faceva che ripetersi che quella non era proprio la piega che aveva pensato per la serata.

La colpa era sua, si era distratto.

Chi lo chiamava a destra, chi a sinistra e lui era saltato da un amico all’altro, per sfruttare quell’occasione in cui erano riusciti a stare quasi tutti insieme in un solo posto che non fosse a un ritiro calcistico. A ogni battuta, poi, era stato un bicchierino da buttare giù; che fosse stato di sakè o qualsiasi altro alcolico aveva fatto poca differenza. Le ragazze erano state bellissime nei loro furisode sgargianti, si erano fatti foto, immortalato il momento e tra uno shot e una canzone al karaoke cantata a squarciagola aveva perso di vista la sobrietà di Yuzo.

Anche Yuzo l’aveva persa, perché l’aveva lasciato che si reggeva in piedi e capiva tutto quello che gli veniva detto e l’aveva ripreso che ci mancava poco si denudasse nell’izakaya e salisse in piedi sul bancone.

Yuzo non era abituato a bere come lui, e per quanto reggesse una buona dose di alcol, una volta superata la linea partiva in tromba. Lui lo aveva imparato poco più di un anno prima, e proprio per questo si era detto che quella sera lo avrebbe tenuto d’occhio e bloccato prima che perdesse la testa.

Non ci era riuscito e ora erano fermi in un parco non troppo lontano da casa Morisaki, perché Yuzo stava sragionando e quando sragionava poteva diventare tante cose: seducente, aggressivo… e molesto.

In quel momento era molesto.

«… e sono perfettamente in grado di badare a me stesso, hai capito?»

«Sì, ma abbassa la voce, Yuzo.»

«Non venirmi a dire cosa devo fare!»

Mamoru alzò gli occhi al cielo. Avevano lasciato gli altri quando ormai era chiaro che il portiere avrebbe avuto solo bisogno di una sana dormita e di svegliarsi con un mal di testa da premio, stile “mitico Natale”. Aveva lo stesso sguardo guerrafondaio di quella volta che gli vibrava nelle iridi nocciola.

«Okay, ma calmati.»

«Ancora?! Ti ho già detto che non devi—»

«Dirti cosa devi fare! Ho capito!»

«E allora, se hai capito, portami a bere una birra e non seccarmi! Non sei mia madre!»

«Io adesso ti porto solo da una parte: a casa.»

Yuzo continuò ad agitargli il minaccioso indice sotto al naso e a guardarlo con un sopracciglio così inarcato e labbra arricciate da farlo sembrare incredibilmente più simile a suo fratello.

Ubriaco, molesto e con la faccia di Shuzo.

Un incubo!

«A casa ci torno quando lo dico io!»

«Yuzo, non sei nelle condizioni di bere ancora.»

«Che cazzo dici? Sto benissimo, guardami! Mi reggo in piedi» – anche se continuava a dondolare da una parte all’altra – «e so contare anche fino a dieci! Sono a posto! Posso bere fino a domattina!»

Mamoru alzò gli occhi. «Certo…»

«Vuoi litigare per caso? Oh, io non vedo l’ora!»

«Siamo indisponenti, bro

La voce canzonatoria di Shuzo arrivò a battere il gong, tanto che Mamoru rilasciò un lungo sospiro al cielo, mentre socchiudeva gli occhi.

«Bro!» esclamò invece Yuzo, spalancando le braccia e, da che era la persona più incazzata sulla terra, divenne di colpo quella più felice per poi virare, inesorabilmente, in quella più disperata, quando si lanciò addosso a Shuzo. Lo agguantò in un abbraccio da anaconda. «Oh, bro… mi dispiace così tanto. Sono un pessimo, pessimo fratello,» diceva, quasi piangendo. «Avrei dovuto festeggiare anche con te, ti voglio tanto bene.»

«Anch’io, fratellino.» Shuzo aveva l’espressione rassegnata di chi lo aveva già visto ridotto così, e ben più di una volta, e gli batteva piano una mano sulla schiena. Guardò verso di lui e bisbigliò: «Sbronza triste.»

«Allora andiamo a bere qualcosa insieme! Siamo ancora in tempo!» L’umore di Yuzo tornò alle stelle, ma Shuzo non cambiò il tono rilassato e accondiscendente, mentre lo sosteneva con un braccio attorno alla schiena e lo conduceva verso l’uscita del parco.

«Possiamo sempre farcelo a casa un goccetto. Solo io e te. Bicchierino della staffa.»

«Bicchierino della staffa!» Yuzo alzò un pugno al cielo e poi abbracciò di nuovo suo fratello. «Sono così contento che sei qui, mi sei mancato tanto.»

«Questa cosa un po’ mi offende…» Mamoru lo borbottò piano piano, incrociando le braccia al petto, ma pure da ciucco Yuzo dimostrò di avere un udito da uomo bionico.

«No!» esclamò, mollando il fratello. «No, io… Sono felicissimo di aver festeggiato con te!» Mamoru se lo ritrovò addosso l’attimo dopo, stretto nello stesso abbraccio da anaconda. «Non sai quanto! Scusami, sono un pessimo fidanzato…»

L’odore della colonia, mista all’essenza dell’alcol gli riempì le narici e invece di provocargli un moto di fastidio, ebbe lo stranissimo effetto di eccitarlo un po’. Forse perché quello stesso connubio gli faceva venire in mente la famosa notte di Natale e sua replica.

«Sono una persona orribile! Rendo tutti infelici! È questo che significa diventare adulti? Oddio non voglio! Non sono preparato!» Yuzo si allontanò, la disperazione negli occhi e la presa spasmodica sulle sue spalle.

«Ehi, stai tranquillo.» Mamoru provò a prendere esempio dalla tranquillità del tamarro in technicolor che restava un passo indietro, adesso. «È tutto a posto, non sei orribile.»

«Sì che lo sono! Non ho festeggiato la maturità con mio fratello, ho rovinato a te la serata e ho deluso Genzo!»

«Cosa c’entra Genzo?»

«Perché non l’ho sostituito a dovere nel WY! Faccio schifo come portiere!» Yuzo girava in tondo tracciando un piccolo cerchio nello spazio che divideva lui da Shuzo. Le mani nei capelli corti e spettinati. «Devo chiamarlo, devo scusarmi!»

«Non ce n’è bisogno!»

«Allora devo bere!»

«No!» risposero in coro.

Yuzo si fermò, afflosciò le spalle. «Scusate…» poi allargò di nuovo le braccia, questa volta verso entrambi. Li cercò con testardaggine, uno a destra e uno a sinistra, per tenerli stretti e piagnucolare in mezzo a loro. «Oh, vi amo tantissimo. Siete la cosa più bella che mi potesse capitare nella vita.»

Shuzo sospirò per l’ennesima volta, con la solita mano a battergli la schiena e lui, suo malgrado, si ritrovò a fare lo stesso. «Andiamo a casa, fratellino. Forza.»

Il trio sgangherato si mosse barcollando da una parte all’altra. Shuzo e Mamoru erano le ali di Yuzo, che adesso aveva un sorrisino ebete stampato in faccia.

«Sapete cosa renderebbe perfetta questa serata?» chiese. «Che voi due prometteste di andare d’amore e d’accordo.»

Mamoru e Shuzo si sporsero in avanti, a cercare l’uno lo sguardo dell’altro.

«Err…»

«No.»

«Ci ho provato. Visto che non sono così ubriaco? Goccetto?»

«Cammina.» Mamoru lo tenne più stretto e velò il tono di sottile minaccia.

«Va bene… Mi accontento di avervi qui, insieme.»

La stretta al collo si fece più salda e Mamoru si trovò a sporgersi appena in avanti. Poi, Yuzo iniziò a cantare I will survive e lui fu quasi certo che la serata stesse finalmente per volgere al termine. Per fortuna a quell’ora nel parco non c’era anima viva.

«E siamo alla fase allegra,» sospirò.

«Se si ferma a queste due e salta la fase aggressiva e quella arrapata, possiamo dirci fortunati,» aggiunse Shuzo, che inasprì il tono di voce. «Come ti è saltato in mente di farlo bere così tanto? Pensavo lo sapessi che non regge un granché.»

«Non sono la sua balia, che cazzo vuoi?» ringhiò di rimando. «E comunque lo so benissimo com’è tuo fratello ubriaco, ho già passato tutte le sue fasi. Anche tu dovresti saperlo.»

Come ogni volta, Mamoru provò un sottile piacere nel ricordare a Shuzo che lui e Yuzo facevano sesso. Tanto, selvaggio e bellissimo sesso. Giusto per fargli salire la bile.

«Anche quella aggressiva?» fece eco Shuzo, scettico. «Tsk. Ne dubito.»

«Sì, invece.»

«No, non credo proprio. Fidati.»

«Ma di che parli? Stiamo insieme da un anno, credi che ancora non conosca tuo fratello? Abbiamo frequentato la stessa scuola fino al liceo, te lo sei scordato? Penso di conoscerlo meglio di te.»

La risata di Shuzo era fastidiosa e a bocca spalancata, priva di qualsiasi forma di grazia e gli fece storcere il naso. Anche perché, il tamarro aveva arricciato il proprio in quella smorfia che per certi versi gli ricordava quella adorabile di Yuzo. «Questa stronzata è grossa, ma figurati, fighetta, ti lascio alla tua pia illusione. Chi sono, io, per rovinarti il piacere della scoperta delle tante piccole cosette che non sai di mio fratello?»

Mamoru scosse il capo, lo ignorò. Lui conosceva tutto di Yuzo, suo fratello poteva dire quello che voleva, tanto voleva solo farlo imbestialire.

«Cosa state confabulando, voi due?» Yuzo sporse la testa in avanti, girandosi a guardare prima l’uno e poi l’altro. Stavano camminando piegati quasi a quarantacinque gradi, come le vecchiette con la gobba.

Mamoru raddrizzò l’intero trio con un moto orgoglioso. «Niente, niente.»

«Dovete essere carini l’uno con l’altro, perché siete il mio ragazzo e mio fratello,» mugugnò Yuzo. «Mi mettete sempre nella condizione di dover scegliere, e non è giusto! Siete voi le persone orribili!»

«Io vorrei essere carino con lui, ma è impossibile. Basta guardarlo.»

Yuzo lasciò andare entrambi e si piantò con le mani ai fianchi nel mezzo del parco. «Che vorresti dire? È ovvio che mio fratello sia carino: è uguale a me!»

«Grazie, bro…» ironizzò Malerba.

«Questo non significa nulla.»

«Cosa? Vuoi dire che io non sono carino?»

«No!» Mamoru s’affrettò a sollevare le mani. «Perché mi metti in bocca parole che non ho detto?»

«Perché se io lo sono, lo è anche lui! Per forza! Siamo gemelli, lo hai scordato? Identici!»

Yuzo afferrò Shuzo per il mento. I loro visi appiccicati, guancia a guancia.

Il tamarro alzò gli occhi. «Oddèi. Grazie per averlo fatto finire in questo loop, idiota! Avresti solo dovuto dire “sì”!»

«Tu sta’ zitto! Ti ho chiamato per darmi una mano, non per creare casino!»

«Non cambiate discorso! Parla chiaro, Mamoru!»

«… aiuto,» gnaulò quest’ultimo. Quella serata era un salire e scendere che sembrava non dovesse finire mai; la via per casa Morisaki allungata all’infinito e quel parchetto quieto pareva il Dungeon pieno di mostri e trabocchetti. Mamoru non desiderava altro che mollare il suo ragazzo davanti al cancelletto di casa e andarsi a bere qualcosa in totale solitudine, perché ne aveva proprio bisogno. «Quello che voglio dire è che tu sei tu, e siete diversi. Tu sei bellissimo e ti riempirei di baci, a lui invece lo riempirei di schiaffi!»

«Devi solo provarci, stronzo. Ti spacco la faccia.»

«Ma non ha senso!» Yuzo alzò le braccia con piglio capriccioso. «Io l’ho sempre riempito di baci mio fratello!»

Mamoru sgranò gli occhi. «… cos—?! Scusa in che senso?»

«Certo! Da piccoli lo baciavo di continuo. Te lo ricordi?» Il portiere rivolse un sorriso a Shuzo che, mentre gli circondava le spalle con un braccio, rivolse a lui un sogghigno subdolo.

«Già. Io ho baciato mio fratello prima di te.»

«Cosa?!» Mamoru non sapeva avere altra domanda, al momento, e occhi così sgranati che pensò dovessero cadergli dalle orbite, ma quella piccola rivelazione gli aveva scatenato un minuscolo quanto esplosivo “OH!” nella testa.

«Tu non hai mai baciato tuo fratello?» Yuzo lo chiese con tutto il candore di un ubriaco, lui era sconvolto.

«No!»

«Che problemi hai con Sen, Mamoru? Davvero, parliamone…» Il portiere gli strinse la spalla, l’espressione comprensiva e che voleva intavolare una seduta di psicoanalisi quando mancava un quarto all’una di notte.

Lui si sottrasse con un moto deciso. «No! Ma! Aspettate… Tu baci ancora quello lì?»

«No.» Yuzo rise, agitando una mano. «Ma non ci vedo niente di male. È mio fratello.»

«Okay… Si aprono scenari interessanti.»

«Frena la tua mente perversa da maiale, Izawa. Adesso. O ti stacco la testa dal collo.»

«Io non ho detto niente, tamarro!»

«Ma lo hai pensato! Dio, che schifo!»

«Non puoi sapere cosa ho pensato.» Stavolta fu il turno di Mamoru di non riuscire a trattenere un sorrisetto pieno di tutti i sottintesi possibili e immaginabili che, porca puttana se avevano preso corpo nella sua mente. Erano addirittura in 4K Ultra HD.

Shuzo, invece, schiumava come un cane idrofobo.

«Oddio, quanto siete infantili.» Yuzo sbuffò, quasi che l’unico sano di mente fosse lui e gli ubriachi erano gli altri. Si volse, afferrò il viso di Shuzo e gli scoccò un bacio sulla bocca. «Ecco qua. Contento? Non è cambiato niente, io sono ancora perfettamente in grado di scolarmi un’altra birretta.» Gli diede di gomito con fare complice. «Birretta?»

«Oh, sì. Anche due, in questo momento.» Mamoru era frastornato e al film che si era già fatto in testa si aggiunse pure il sequel.

Shuzo gli abbaiò contro. «Ti ho detto di piantarla, Izawa! Il tuo cervello è tarato!»

«Io continuo a non aver detto nulla.»

«Scordati che me lo farei mettere nel culo da te!»

«Ehi!» Yuzo spinse Shuzo. Lo guardò male. «Mettere cosa a chi? È il mio ragazzo, okay?»

«Non guardare me, è lui che ha fatto pensieri porci su di noi!»

Mamoru si beccò la stessa spinta e la stessa occhiataccia. «Ehi! Ma che problemi hai? È mio fratello, okay?»

«Sei tu che lo hai baciato!» tentò di difendersi.

«Io gli ho dato un bacetto a stampo, se avessi voluto baciarlo davvero avrei fatto così!» Yuzo gli prese il viso tra le mani e se lo tirò addosso. Le loro labbra cozzarono, in un’esplosione di sakè, birra e forse qualcos’altro che non riuscì a identificare neppure quando ebbe la sua lingua a esplorarlo a fondo, cercare la sua quasi avesse voluto divorarla. Mamoru assecondò subito quello slancio appassionato che in mezzo alla strada Yuzo non si concedeva praticamente mai, ricordando inoltre che non lo baciava da quella mattina, in cui avevano rubato un bacetto mille volte più casto mentre si trovavano nei bagni del municipio. Un incontro rapidissimo, un modo come un altro per salutarsi e poi erano tornati dagli altri.

Ma quello… quel bacio… era uno che presagiva il sesso.

Il famoso primo che non dovevano essere mai più di tre, ma lì dentro dovevano esserne stati condensati una quindicina insieme. Tanto che quando Yuzo lo lasciò andare, aveva il fiatone.

«Questo però è solo per te.» Il sussurro del portiere fu una carezza fugace di labbra contro il lobo che, alla fine, gli strappò un sorriso soddisfatto.

«Potreste evitare di fare queste schifezze davanti ai miei occhi?» Shuzo protestò, la mano sollevata a schermare lo sguardo.

Yuzo barcollò di un paio di passi in avanti, scacciò dei moschini inesistenti. «Io non dico niente quando infili la lingua in bocca a Ike, non seccare.»

Suo malgrado, a Shuzo sfuggì un mezzo sorriso, ma scomparve subito quando fulminò lui con lo sguardo.

«Sciacquati la testa dai pensieri porci, otto-mano,» sussurrò.

«Quanto sei pesante.»

«Ti uccido.»

«Sì, come no.»

Yuzo li stava aspettando, con le braccia sollevate, in attesa che ognuno di loro occupasse un posto al suo fianco. Solo quando tornarono a essere le sue ali sorrise soddisfatto e riprese a camminare, trascinandoli con sé.

«I miei eroi,» chiosò con espressione un po’ ebete e un sorrisone ingenuo e felice. Fece dondolare la testa da una parte e dall’altra e poi la poggiò contro il suo collo, infilò il naso sotto ai capelli e gli lasciò una piccola scia di baci che lo fecero sorridere e preoccupare al tempo stesso.

Cioè, fossero stati da soli, avrebbe benedetto quel momento, ma far virare la sbronza verso la fase arrapata non era il massimo mentre erano per strada e con Shuzo lì accanto che pareva volesse davvero ucciderlo a ogni passo.

«Su, fai il bravo.»

«Io sono bravissimo. Vero, Shu-chan?»

«Vero. Tranne quando sei ubriaco.»

«Non sono ubriaco.» Poi tornò ad appoggiarsi contro Mamoru. Alle labbra, sostituì la lingua e il centrocampista cercò di ritrarsi.

«Yuzo,» lo ammonì, ma era divertito. «Non in mezzo alla strada. Quando lo faccio io, ti incazzi sempre.»

«Sì, perché tu sei poco discreto.»

«Per favore. Risparmiatevi anche di farmi sapere le maialate che fate in pubblico, okay? Ho lo stomaco forte, ma fino a un certo punto.»

«Che palle che sei, fratello.»

«Dèi, che schifo! Ma ci sono anche dei froci in giro?»

Mamoru girò la testa di scatto e gli occhi trovarono tre ragazzi seduti presso una panchina. Su di loro cadeva a picco la luce di un lampione. Sembrava avessero più di vent’anni e dall’abbigliamento non sembrava gente con cui scambiare due chiacchiere e una birra. Quello che aveva parlato era seduto al centro della panchina, mentre gli altri restavano in piedi; tra le gambe varie lattine.

Mamoru lanciò loro un’occhiataccia, ma fece per tirare dritto: ci mancava solo che qualcuno li riconoscesse; allora sì che sarebbe stato un casino, soprattutto per Yuzo.

«Altro che farli festeggiare, questi ragazzini. Dovrebbero dar loro una lezione seria sulla vita. Vent’anni e finocchi. Che disagio.»

«Senti, stronzetto, non è serata. Facciamo che mi lasci il tuo numero e domani ti chiamo per prenderti a calci in culo, ci stai?» Shuzo gli mostrò anche il medio e lui alzò gli occhi al cielo. Ovviamente la politica implicita del non dar corda agli idioti non funzionava tra gli idioti stessi come il tamarro.

«Lasciali perdere,» disse allora e il tipo seduto sulla panchina fece eco.

«Sì, lasciaci perdere, non sai contro chi ti metti. E abbassa lo sguardo.» Poi risero.

«Ah, io non lo saprei?» masticò Shuzo affilando un sogghigno. «Non devono avermi riconosciuto perché sono vestito troppo bene, stasera, ma aspetta che faccia le presentazioni e poi—»

«Vuoi smetterla di fare sempre il gradasso? Yuzo a stento si regge in piedi e di certo non rischio che qualcuno possa fargli del male solo perché ti senti ferito nell’orgoglio del cazzo che ti ritrovi.» Mamoru lo sibilò il più basso possibile, affinché gli altri tre non sentissero.

«Senti stronzo, io sono il primo che sa quando non è il caso di mettere Yuzo nei casini e, credimi, questo non rientra tra i “pericoli”. Puoi starne certo. Te l’ho detto che di mio fratello conosci meno di quello che credi.»

«Un momento… quello lì mi ha appena dato del frocio?» biascicò Yuzo.

«Non ascoltarli, sono tre cretini.» Lo blandì Mamoru, preoccupato per la reazione del portiere. Sapeva quanto contasse per lui il pensiero comune della società, quanto lo spaventasse, e ringraziò il cielo che al momento era forse troppo ubriaco per far lavorare la parte più dura e spaventata di sé, quella che era da un anno che stava cercando di ammorbidire. Provò ad aumentare il passo, ma il compagno rallentò il proprio e si fece pesante.

«Sì, ma mi ha dato del frocio. E anche a voi. Col cazzo che ce ne andiamo così.»

Con un movimento fluido Yuzo riuscì a divincolarsi dalla presa di entrambi.

«Ehi!» Mamoru fece per riprenderlo, ma il portiere lo tenne a distanza.

«Tranquillo, ci scambio solo due parole. Voglio che chiedano scusa.»

«Bro, devo ricordarti com’è finita l’ultima volta? Avevamo fatto una promessa a papà,» sospirò Shuzo. «Lascia che ci pensi io domani.»

«No! Faccio da me!»

Mamoru guardò l’uno e l’altro e non capì di cosa stessero parlando. Si proiettò in avanti per fermare quel pazzo del suo compagno prima che finisse per tornare a casa anche con un occhio nero, quando Shuzo lo bloccò con un braccio. «Che stai facendo, sei impazzito?!»

«Ma come? Non hai detto di conoscere tutto di mio fratello?» Shuzo era divertito, sulle labbra aveva sempre quel sorriso storto che tirava la bocca solo da un lato.

«Ma di che stai—»

«Sarà un’interessante lezione, per te.»

Mamoru guardò di nuovo verso Yuzo. L’apprensione gli strinse lo stomaco nel vedergli aprire le braccia verso i tre che ora lo guardavano con sospetto.

«Signori, non è carino quello che avete detto. Insomma, siamo tra persone adulte. Dovremmo, non so, discuterne e voi dovreste scusarvi,» stava dicendo, prima di fermarsi e guardare fisso quello seduto sulla panchina. Ciondolava un po’ verso destra. «Non sei d’accordo, gioia

A Mamoru si ghiacciò la schiena. «Oddio. Parla come te.»

«E chi dice che sia lui a parlare come me e non viceversa… gioia?» L’occhiata traversa di Shuzo, quel sorriso affilato che appena affiorava da sotto le labbra lo fecero ghiacciare ancora di più.

«Oh! Ma vedo che qui si beve in allegria. Posso servirmi? È il mio seijin no hi, oggi, sono ufficialmente “diventato adulto” per la società. Ah. Che bella la società. La stessa che sforna perdenti dalla bocca larga come voi.» Yuzo prese una delle birre ancora chiuse e l’aprì, mentre i tre lo fissavano. «Alla vostra, stronzetti.» Sollevò la lattina, la tracannò in un lungo e unico sorso, con un rivolo di birra che colò lungo la gola. Il rutto supersonico che liberò subito dopo doveva essere stato sentito anche sulla luna, ma Yuzo non batté ciglio. Stritolò la lattina nella mano e la lanciò di nuovo ai piedi della panchina, facendo strike con le altre vuote e abbandonate.

Mamoru pensò che fosse morto. Lo avrebbero ucciso. Minimo.

Ma il braccio di Shuzo era ancora lì e per quanto lo detestasse era certo al mille per cento che non avrebbe mai messo in pericolo il fratello. Certissimo.

«Che cazzo è successo l’ultima volta?» chiese allora.

«Oh, sai. È stato qualche anno fa.» Shuzo minimizzò.

«E quindi?»

«Ma niente, eravamo andati a un concerto. Cioè io ce lo avevo portato di nascosto, e avevamo alzato il gomito. Sempre di nascosto.»

«Sì, ma arriva al punto!»

«Uno ha detto la cosa sbagliata. Capita. Yuzo però, lo sai, è un po’ rigidino. Paladino del cazzo.»

«Sì, sì, e allora?!»

«Allora!» Yuzo aveva battuto le mani, sfregandone i palmi. «Chi è il primo che si scusa? Sei tu?» e indicò quello in piedi, alla sua sinistra. Un tipo più basso di Yuzo e che non aveva la sua stessa prestanza fisica, ma aveva un ciuffo da yanki che gli faceva guadagnare almeno cinque centimetri. «Ci avete dato dei “froci” e, ehi!, fa male, sai? Quindi fammi capire, hai qualche problema con gli omosessuali… o sei solo un cacasotto che invece vorrebbe provare?» Nel dirlo gli si fece vicino con passo un po’ malfermo, ma la mano non ebbe esitazioni nell’afferrargli il pacco e sollevarlo.

Il tizio ululò e poi lo spinse via, tra disgusto e terrore.

Yuzo rise, alzò le mani. «Abbiamo un pallemosce. No, non sei il mio tipo. Preferisco quelli che con la sostanza nelle mutande, se capisci che intendo.»

«Io intendo che vuoi morire.» Quello seduto sulla panchina si alzò di slancio e venne avanti. Era più alto di Yuzo di scarsi dieci centimetri e più spallato dello yanki. L’espressione più cattiva.

«Io? Ne sei sicuro? Vieni avanti, grand’uomo. Ho qualcosa di speciale per gli stronzi come te.»

Yuzo tolse il giaccone, incurante del freddo di gennaio. Lo lanciò a terra, e prese qualche passo di distanza, le gambe appena divaricate. Dondolava avanti e indietro, pareva dovesse cadere da un momento all’altro.

Il cuore di Mamoru arrivò dritto nella gola.

Lo avrebbe raccolto con la cannuccia. La cannuccia.

Come lo avrebbe giustificato a suo padre? L’Ispettore gli avrebbe sparato in mezzo agli occhi.

«Vediamo se me lo ricordo ancora… Bro, qual era il piede d’appoggio?»

«Per cosa?»

«Un 540

«Pivot 180 e poi un 360. Il piede che entra è quello che—»

«Sì, sì! Ci sono!»

Yuzo sembrava così sicuro di sé, come quella famosa partita a scacchi: aveva la stessa espressione di quando l’aveva battuto un pedone dopo l’altro. Ma, appunto, allora erano stati innocui e semplici scacchi. Qui rischiava di mettersi sotto scacco le ossa.

Yuzo sciolse le spalle, sollevò appena le braccia e poi Mamoru non capì bene cosa accadde: vide solo le gambe del portiere tagliare lo spazio che lo separava dal tizio come pale di un elicottero. Il rumore dell’impatto tra il piede di Yuzo e la faccia dello sconosciuto fu sordo e cupo: l’altro cadde secco a terra, Yuzo atterrò con l’eleganza di un airone ubriaco.

«Tamaki!» esclamò allarmato il terzo del trio, ma non si avvicinò al suo capo rimasto sull’asfalto, perché Yuzo gli torreggiava sopra.

«Lo vedete quello?» disse, indicando verso di loro. «È Malerba.»

«M-Malerba…» biascicò il tizio a terra.

«Hello,» salutò Shuzo, alzando una mano.

«E io sono suo fratello. Quindi, gioia, la prossima volta ci penserei molto bene prima di offendere qualcuno in maniera tanto gratuita: non sai mai chi puoi trovarti davanti. Ci siamo capiti? Grazie della birra.»

«N-non c’è di che…»

Yuzo recuperò il giaccone da terra e aveva la stessa espressione tronfia di quando lo aveva battuto a scacchi. «E mi ricordo ancora come si dà un calcio 540! Lo devo dire a Wakashimazu!»

Il portiere fece una breve corsetta barcollata per raggiungerli e appena fu abbastanza vicino, lui e suo fratello saltarono e si colpirono petto contro petto.

Yuzo ondeggiò all’indietro di un paio di passi, si tenne l’addome e piegò le labbra in una smorfia di disappunto. «Nh… forse questa non è stata una mossa geniale… credo che—» il rumore di un rigurgito, la mano portata alla bocca e gli occhi sgranati. «Devo vomitare!»

Mamoru lo vide correre al cespuglio più vicino e svuotarsi anche l’anima. Lui era ancora sconvolto e fissava i gemelli con occhi grossi come noci. «Che cosa cazzo…»

«Come puoi immaginare, c’è anche del positivo ad avere uno sbirro cazzuto come padre. Ah! Non ti ho poi detto cosa era successo al concerto.» Shuzo gli poggiò una mano sulla spalla. Il sorriso smagliante brillava di orgoglio sotto le luci dei lampioni.

«Penso di non volerlo più sapere…»

Shuzo sorrise ancora di più. Poi si volse, per raggiungere il fratello. «Butta fuori, bro! È tutta salute!»

Rimasto più indietro, Mamoru affondò una mano nei capelli. Lanciò un’occhiata ai due che stavano alzando il compagno da terra, dove aveva lasciato un paio di denti.

Pensò che, dopotutto, gli era andata di gran culo se, a quel famoso Natale, la loro discussione era finita con una sana e selvaggia scopata.

«E quindi io sto con un allievo della Scuola di Hokuto. Fantastico.»

 

Il resto del tragitto fino a casa Morisaki filò liscio come l’olio, se considerato tutto ciò che lo aveva preceduto.

Yuzo era mezzo crollato sulla spalla di suo fratello e Mamoru non riusciva a capire come riuscisse a camminare e russare contemporaneamente.

Doveva essere l’ennesimo dei tanti misteri che ancora gli aleggiavano attorno.

Si rese conto d’esser stato naif.

«Avevi ragione,» disse, rivolgendosi al tamarro. Si erano appena fermati davanti al cancelletto di casa Morisaki: dall’altra parte c’era la tanto meritata fine di quella serata.

Shuzo sollevò le sopracciglia in due archetti, mentre lo guardava da sopra la testa del fratello. «Io ho sempre ragione.»

«Non è vero, ma in questo caso… Alla fine io sto imparando a conoscere davvero tuo fratello solo da un anno. Tutto il tempo prima lo abbiamo passato a fare castelli in aria l’uno dell’altro.» Mamoru osservò il profilo di Yuzo e sorrise. «Non potevo pretendere di conoscerlo meglio di te. Ho ancora molto da scoprire, e considerando i risvolti di stasera… penso mi possa riservare qualche interessante sorpresa. Grazie di essere venuto ad aiutarmi.»

«Mi dai ragione e mi ringrazi, tutto in una sola frase.» Shuzo ammiccò. «È davvero la festa della maturità. A ogni modo, mio fratello svalvola solo quando si ubriaca male, e poi se ne pente pure. Domani si vergognerà come un ladro per quello che è successo, non sfotterlo troppo.»

Mamoru annuì.

«E se poco poco mi accorgo che fai di nuovo disgustose fantasticherie su noi tre insieme, ti stacco il cazzo.»

«Dai, devi ammettere che io sono figo.»

«Ti concedo “belloccio”.»

«Figo. E seppure finissi nel mio letto non avresti di che pentirti.»

«Piuttosto mangio la cicuta. Non sei il mio tipo, Izawa. È uno smacco troppo grande per il tuo ego, immagino.»

«Ah, nemmeno tu sei il mio tipo, ma se sei bravo almeno la metà di tuo fratello, potrei fare il sacrificio.»

«Ti uccido.»

Mamoru si godette quel momento ora che Yuzo non era in grado di intervenire per separarli. «Ti stai ripetendo.»

«No, giuro che prima o poi lo faccio.»

«Fare cosa?» Il portiere sollevò piano la testa, aveva gli occhi a mezz’asta e l’aria stravolta.

«Buongiorno, principessa.»

«Fanculo, fratello.» Yuzo portò una mano alla fronte. «Dio, che male… ho lo stomaco a pezzi… mi ci vorrebbe un goccio.»

«Oddio, ma non ti arrendi?» Mamoru scosse il capo, rideva ancora.

«Arrendermi? I Morisaki non si arrendono mai, non lo hai capito?» Yuzo gli sorrise nel modo che lo mandava in estasi. «E poi mio fratello mi aveva promesso il bicchierino solo noi.»

«Ah, quello te lo ricordi, eh?»

«Certo! Devo festeggiare anche col mio fratellone.» Il portiere diede un pugno leggero sul braccio di Shuzo e poi ne abbandonò il sostegno, solo per caracollare tra le sue braccia, ma non per addormentarsi sulla spalla, quanto per stringerlo forte.

Se solo si fosse deciso a essere così affettuoso e rilassato in mezzo alla strada anche quando era sobrio, Mamoru avrebbe potuto piangere dalla contentezza, ma c’era ancora molto da lavorare. Aveva appena conosciuto i suoi genitori, non poteva fare passi troppo lunghi, doveva lasciar sedimentare quello che aveva conquistato.

Per quella sera si accontentò, strinse il compagno con la stessa forza e affetto. Gli passò il palmo aperto sulla schiena.

«Scusa. So che ti aspettavi una serata migliore, ma io ho adorato tutto. L’importante era stare insieme, e insieme ai nostri amici.»

«È stata una serata magnifica. Vai a dormire, ci sentiamo domani.» Gli lasciò solo un bacio sulla guancia.

Yuzo compì qualche temerario passo all’indietro. Shuzo aveva già aperto il cancelletto e si fece trovare pronto a prenderlo di nuovo in spalla, per trascinarlo fino a casa, al sicuro.

Mamoru era certo che prima di crollare a letto, il suo ragazzo avrebbe bevuto e vomitato ancora nella più classica delle serate memorabili, ma stavolta lo avrebbe fatto con una consapevolezza diversa: non erano più adolescenti idioti, ma adulti che si sarebbero presi la responsabilità di ogni sbronza.

Attese che il cancelletto venisse chiuso e poi indietreggiò per indugiare ancora un istante con lo sguardo.

Non aveva preso l’auto, quella mattina. Non l’aveva presa nessuno di loro, si erano tutti fatti dare uno strappo, perché sapevano che non sarebbero tornati a casa in grado di percorrere una linea retta e, proprio per quella maturità che avevano festeggiato, non sarebbero stati tanto sciocchi da mettersi al volante e diventare dei pericoli pubblici.

Adesso aveva un bel po’ di strada prima di arrivare al quartiere Shutetsu, e magari si sarebbe fermato al primo bar ancora aperto per fare un ultimo brindisi in solitudine. Festeggiare sé stesso, il percorso che aveva compiuto e quello che ancora lo aspettava. Da lì non si scherzava più, c’era la vita ad attenderlo per la partita più lunga e impegnativa che avesse mai giocato.

Ma nel frattempo sorrise ancora, fuori da quella casa modesta e accogliente in cui era entrato solo una volta, ma che l’aveva fatto sentire subito il benvenuto.

«Penso di essermi innamorato di te un po’ di più, stasera…» scrollò il capo, rivolse il sorriso alle proprie scarpe e si allontanò per il quartiere immerso nel sonno dei giusti. «Maledetti Morisaki.»

 

 

 

 

 


 

 

Note Finali: questa storia è pronta da un bel po’, ma non avendo scritto la #7, la #7.5 e la #8 non potevo mollarvi la #9 che chiude anche il ciclo di one shot della serie Soulmate.

Ciò che seguirà – quando riuscirò a lavorarci con lo stesso tempo e amore avuti fino adesso – sarà una long fic, già strutturata per intero e lunga. XD

Sarà la storia che chiuderà l’intera serie e spero di non dovervi far aspettare troppo. Sapete che detesto lasciare le cose a metà (e che non riesco a stare lontana da quel tamarro di Shuzo troppo a lungo XD), quindi prima o poi arriverà anche quest’ennesima fine.

Vi anticipo, però, che non sarà un percorso facile e che forse succederanno cose che non vi sareste aspettati fino a questo momento, ma la vita è fatta così: è tutto un insieme di ciò che non ti aspetti. :3

Intanto ringrazio ognuno di voi per essere rimasto con me fino a quest’ultima one shot.

Da quando ho iniziato a pubblicare questa serie, di cose ne sono accadute e chissà quante altre ancora ne accadranno. Io cerco di sperare in qualcosa di meno tragico della pandemia che ci accompagna da un po’.

Nel frattempo, vi saluto, con questi Mamoru e Yuzo sempre più legati e innamorati, che non smettono mai di conoscersi un po’ alla volta e che ancora tanto hanno da scoprire l’uno dell’altro.

 

A loro e a voi, grazie di tutto.

Mela.

 

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Melanto