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Autore: Padme Mercury    10/01/2022    0 recensioni
Una serie di brutali omicidi solletica l'interesse di Sherlock Holmes e del suo amico John Watson. All'apparenza slegati l'uno dall'altro, sono dei biglietti molto particolari che li uniscono sotto il nome di un unico assassino.
I segreti si estendono a tutta la famiglia Holmes: l'entrata in scena della giovane Charlotte cambia gli equilibri dell'appartamento al 221B di Baker Street, forse per sempre.
Sherlock si troverà davanti ad una scelta difficile che aveva sempre cercato di evitare: cuore o cervello? A cosa darà ascolto il detective?
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[N/A
La timeline è modificata rispetto alla serie originale. John è sposato con Mary anche se Moriarty è ancora vivo. Reichenbach non è ancora successo. L'età dei personaggi è leggermente modificata, così che Sherlock, John e Mycroft si trovino tutti tra i trentadue e i quarant'anni]
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo nove


Chiunque avesse guardato dal finestrino dell'auto, avrebbe fatto fatica a credere che quelle tre persone potevano veramente stare assieme in uno spazio così ristretto. E soprattutto che due uomini grandi e grossi lasciassero che fosse una ragazzina magrolina e decisamente più piccola di loro a guidare. Ma in effetti Charlotte non avrebbe mai permesso a nessuno di toccare la sua auto, quel piccolo gioiellino rosso che teneva come la cosa più preziosa del mondo.
Non stavano scomodi, alla fine. Con Charlotte alla guida, Sherlock era seduto al posto del passeggero e John dietro. La scelta era stata molto semplice: John aveva le gambe più corte, quindi non avrebbe avuto problemi nei sedili posteriori, mentre Sherlock si sarebbe trovato con le ginocchia in bocca. Erano anche riusciti a stipare le borse nel bagagliaio e ne era rimasta solo una, posizionata di fianco a Watson.

Erano riusciti a cavarsela prima di pranzo, così che potessero tornare a Oxford con calma e cominciare a studiare tutto quello che avevano visto quella mattina. Sherlock aveva riempito provette su provette di ogni minima sostanza, visibile o meno agli occhi degli altri, che gli sarebbe potuta essere utile, mentre Charlotte aveva deciso di scattare qualche fotografia alla scena del crimine. Se mai dovesse servire, si era giustificata davanti al sopracciglio alzato dello zio.
Erano montati in auto quasi in religioso silenzio, ognuno perso nei dettagli di quell'omicidio che più ritenevano singolari. Il silenzio non durò molto, poiché cominciarono a scambiarsi subito le prime impressioni su quel caso. Per lo meno, Charlotte e John cominciarono a parlarne, Sherlock era rimasto perso nei suoi pensieri con le mani giunte appoggiate sulle labbra. Non sapevano nemmeno se li stesse ascoltando, probabilmente incamerava le loro parole senza prestarci particolare attenzione. Le conservava nel suo subconscio, da qualche parte nel suo palazzo mentale, pronte ad essere tirate fuori all'occorrenza.
Ben presto finirono anche quegli scambi di battute, percorso reso ancora più veloce dai continui rimbrotti che Sherlock rivolgeva a Charlotte riguardo la sua guida. Tieni la sinistra. Rallenta. Sei troppo arrabbiata alla guida, devi calmarti. Guarda che il semaforo sta diventando rosso, comincia a rallentare. La ragazza, infastidita da quegli interminabili commenti, rispondeva a monosillabi, cercando di trattenere parolacce ed insulti per il detective.

All'ennesimo rimprovero, però, Charlotte non riuscì più a contenersi e gli si rigirò contro, come un gatto selvatico. Passarono alcuni istanti di assoluto silenzio in quel cubicolo a seguito di quella piccola ribellione. Era un silenzio soffocante in cui i due Holmes sembravano essere a loro agio ma che a John stava stretto. Aveva voglia di aprire la portiera e buttarsi giù dall'auto. Rotolare sull'asfalto sarebbe stata una soluzione migliore rispetto al subire quella situazione, quel discorso senza parole, l'aria pesante che si sentiva tra i due. Era la prima volta che John si sentiva veramente estraneo agli Holmes. Ormai era come se facesse parte anche lui della famiglia, ma in quel momento si rese conto che non lo sarebbe mai stato. Si sentiva un intruso, qualcuno che sarebbe stato meglio da qualsiasi altra parte del mondo piuttosto che lì con loro.
Posò lo sguardo sulle mani di Charlotte. Le nocche contratte, le unghie quasi conficcate nel volante. Era irritata da come Sherlock le aveva parlato ma si stava trattenendo. Non sapeva se perché ci fosse lui con loro o perché erano in auto o per chissà quale altro motivo. Il piccolo cerotto che le aveva messo sembrava sul punto di saltare via. Si era graffiata con il bordo della canna dell'organo e John l'aveva pulita alla bell'e meglio con dell'acqua e un cerotto che teneva in tasca, dicendole che poi, a casa, l'avrebbe disinfettata per bene. Era solo un graffio, ma chissà da quanto non pulivano lo strumento, avrebbe potuto comunque fare infezione. In fondo al suo cuore, tuttavia, non poteva nascondere che sotto quella scusa ci fosse la voglia di tenerle ancora la mano, sentire la sua pelle liscia sotto i polpastrelli. Percepire quel leggero calore che emanava dal palmo e l'impercettibile tremore che la attraversava - per quale motivo tremava?
John decise allora di prendere in mano la situazione e cercare di alleggerire l'atmosfera. Aveva annunciato che Sherlock si era trovato una fidanzata, Janine, e provò uno strano piacere nel vedere l'espressione del detective mutare. Strabuzzò gli occhi e gli lanciò uno sguardo infuocato, mentre Charlotte sembrava una bambina il giorno di Natale e aveva cominciato a riempirli di domande.

Per il resto del viaggio andò così, Charlotte continuava a stuzzicare Sherlock e John le dava man forte. Ogni occasione era buona per prendersi una rivincita su Sherlock Holmes, dopotutto. Il moro si salvò da un ulteriore fiume di domande solo all'arrivo a destinazione, quando la ragazza percorse la rampa che avrebbe portato la sua amata Cinquecento al parcheggio coperto sotto casa. Smontarono dall'auto con tutte le valigie ed entrarono nella piccola villetta a due piani che Charlotte occupava da sola.
John non era riuscito a vederla da fuori, l'entrata dal garage era diretta su un pianerottolo che portava alla cantina da una parte e al salotto dall'altra. Oltre il piccolo disimpegno si apriva, per l'appunto, la sala, semplice e poco decorata. Aveva un divano e un paio di poltrone attorno ad un tavolino basso decorato con un piccolo vaso di fiori e, di fronte, un mobile essenziale con in mezzo una televisione. La finestra a bovindo aveva una panca imbottita che ne seguiva tutto il profilo e, in un angolo, c'era un piccolo pianoforte verticale.
Una porta scorrevole metteva in comunicazione la sala con una cucina abitabile piccola e funzionale, divisa dal disimpegno in cui si trovavano da un bagno provvisto di doccia. Di fronte alla porta d'ingresso cominciava una scalinata che portava al piano superiore dove, John ne era certo, c'era la camera da letto, un altro bagno e forse una o due stanze in più.

La ragazza li invitò ad entrare e poggiare i miseri bagagli vicino ad un mobile a cassettoni. John non riuscì a trattenersi dal guardare le fotografie che ne decoravano il ripiano. Ve ne erano diverse assieme a David scattate in diversi anni, da quando erano piccoli fino a poco prima che partisse. Alcune erano con un altro ragazzo, biondo e dagli occhi celesti e il sorriso più grande che esista. In alcune di queste erano accompagnati anche da un altro giovane, la pelle scura e gli occhi dolci. John si chiese chi fossero, come mai non erano lì con lei in quel momento, ma non osò formulare la domanda a voce alta.
Non riuscì però a trattenere un sorrisetto alla vista di alcune fotografie di famiglia. Mycroft con un'orribile permanente che teneva in braccio una Charlotte ancora in fasce. Un ritratto con tutti gli Holmes, Wanda e Timothy seduti su delle sedie con in braccio Charlotte, che non doveva avere più di tre anni, e dietro di loro, come due angeli custodi, Mycroft e Sherlock. Ne notò una che prese in mano per poterla vedere meglio. Era molto più recente rispetto alle altre, che rappresentavano tutte la prima infanzia della ragazza.

Quella poteva essere di uno o due anni prima, Charlotte era quasi uguale a quel momento ma leggermente più in carne - no, non più in carne, più in forma. Erano vestiti entrambi eleganti, un vestito celeste le fasciava il busto e le gambe mettendo in risalto le forme del suo corpo. Adesso le starebbe largo, si trovò a pensare. I capelli arricciati e raccolti in una pettinatura elegante la facevano somigliare a Cenerentola della Disney. Si teneva abbracciata a Sherlock, una mano poggiata sul suo sterno e la testa dritta, mentre anche lui le teneva un braccio attorno. Il detective aveva il capo inclinato, così da guardarla, e un sorriso che John non gli aveva mai visto addosso. La guardava come se fosse un gioiello, qualcosa di prezioso e bellissimo che aveva paura di perdere. Ma lei non lo vedeva. Lei aveva lo sguardo puntato in camera e sembrava stesse guardando John negli occhi.

"Ti piacciono?"

La voce di Charlotte arrivò dolce e delicata alle orecchie del medico. Gli si era messa di fianco e gli arrivava nelle narici il dolce aroma del suo shampoo e del profumo di rosa che si era spruzzata quella mattina. L'odore dolciastro e nauseante della scena del crimine ora era lontano, non ne era rimasta traccia. John girò la testa e le sorrise, indicando la fotografia che teneva in mano.

"Non lo avevo mai visto così."

Charlie ridacchiò e poggiò il mento sulla spalla del medico, passando le sue braccia sottili attorno a quello più robusto di John.

"Alla fine dell'ultimo anno di liceo hanno organizzato un ballo. David era in accademia e non gli hanno permesso di venire. Allora mi ha accompagnata lui. È stata... una delle cose più carine che abbia mai fatto per me." raccontò, finendo con un sussurro che John riuscì a sentire senza problemi grazie alla vicinanza.

Mise a posto la cornice e fece spostare Charlotte dolcemente. Le prese la mano e le tolse il cerotto, ormai mezzo staccato e rovinato. La tirò piano verso il divano, dove la fece sedere e la raggiunse dopo aver preso il disinfettante, del cotone e un cerotto nuovo. Colse con la coda dell'occhio lo sguardo e il sorrisetto di Sherlock, seduto su una delle poltrone, ma si scrollò di dosso il tutto bagnando il batuffolo con il liquido.

"John, davvero, non ce n'è bisogno." tentò di sottrarsi lei, ma la tenne ferma.

"Char, il medico sono io. Lasciami fare, mh?" la ammonì, alzando solamente lo sguardo sul suo volto come a dirle 'smettila di fare i capricci e dammi ascolto'. Lei sbuffò, ma non si lamentò più e rimase ferma a farsi medicare.

"Quanto avete intenzione di rimanere?" chiese allora, senza però togliere gli occhi da quello che stava facendo John finché non finì di metterle il cerotto nuovo.

"Finché sarà necessario." rispose lapidario Sherlock, prendendo in mano la busta gialla che Charlotte aveva recuperato dall'organo.

"E dove pensate di alloggiare?"

"Qui, ovviamente." Sherlock la guardò come se fosse ovvio, le dita sull'apertura della busta.

Charlotte lo osservò per qualche istante, quasi stesse aspettando che finisse con un 'stavo scherzando, abbiamo affittato due stanze all'hotel qui vicino'. Ma dato che Sherlock non parlava e continuava a sostenere il suo sguardo, si rese conto che non la stava prendendo in giro.

"Non ho spazio, zio." comunicò, scandendo bene le parole. "Ho solo la mia camera."

"Che ha un letto matrimoniale, e quello è un divano letto. C'è posto per tutti." replicò prontamente il detective.

"Non ho intenzione di dividere il mio letto con un uomo che non sia David." lo informò, il tono basso e minaccioso. John notò che la voce le usciva quasi come un ringhio gutturale. Era un avvertimento che Sherlock non sembrava prendere sul serio, anzi. Si sporse appena, le braccia sulle ginocchia e la busta che pendeva pigra dalle sue mani.

"E sappiamo entrambi che stai mentendo. Poco prima di venire qui, hai avuto un incubo e sei scappata nel lettone di papà."

John era sicuro che la ragazza sarebbe scoppiata. Il tono accondiscendente di Sherlock le aveva infiammato le orecchie e aveva stretto la mano in un pugno che teneva sulla coscia. Aveva visto i muscoli della mascella contrarsi, stringeva i denti e contava fino a dieci per non urlare.

"Lui è mio padre, non conta." il respiro era affannato, la voce di qualche tono più bassa. John avrebbe tanto voluto dare una mano, cercare di distendere gli animi. Mosse una mano per toccarle una spalla e tentare di trasmetterle la sua calma, ma ci ripensò immediatamente.

"E io sono tuo zio, anche io non conto." terminò Sherlock, con il tono di chi non ammetteva repliche. "John dormirà sul divano." si alzò e porse a Charlotte i fogli che aveva estratto dalla busta. "Questo è di tua competenza."

La ragazza li prese con stizza, non rinunciando a guardare male lo zio. Se avesse potuto ammazzarlo, si trovò a pensare John, lo avrebbe fatto senza pensarci due volte. Diede un'occhiata anche lui al plico che la ragazza aveva in mano e vide uno spartito pieno di note. Ma c'era qualcosa di strano, non era la notazione che aveva intravisto sugli spartiti di Sherlock. Le note erano quadrate ed ogni rigo musicale aveva solo quattro linee invece che cinque.

"Notazione medievale." dissero Sherlock e Charlotte allo stesso momento e con lo stesso identico tono dalle inflessioni differenti. Sherlock era saccente, Charlotte era affascinata. John scosse appena la testa. Quei due stavano sempre a beccarsi e stuzzicarsi, ma erano più simili di quanto credessero. Il problema era che non lo vedevano.

"Perché dovrebbe essere di sua competenza? Non studia musicologia." disse prima di rendersi conto che non avrebbe dovuto parlare. Si morse la lingua, osservando Sherlock che alzava un sopracciglio con estenuante lentezza.

"Lotte?"

"Ho... Seguito alcune lezioni di musica medievale. Papà non ne sa niente... Ma economia è così noiosa!" tirò in fuori il labbro inferiore, cercando di impietosire lo zio. Lui si limitò a sospirare e alzare il mento, come a dire che non gli importava se stava seguendo le lezioni che doveva ma che, alla fine, era un bene che avesse scelto di bigiare e prediligere quell'insegnamento.

"Comunque posso tradurre lo spartito. Mi servirà un po' di tempo, però... E la prima parte." commentò, sfogliando il plico e poggiandolo poi sulle gambe. John guardò i fogli a sua volta, cercando di capire come avesse fatto a scoprire che mancava una parte. Charlotte notò il suo sguardo e sorrise, indicandogli la prima battuta. "Vedi questa virgolina?" gli disse piano, indicando col dito un segno sotto la prima nota. "È una ligatura. Vuol dire che c'è almeno un'altra battuta prima di questa."

Silenzioso come un felino, Sherlock era andato ad aprire la sua valigia. Ne aveva tirata fuori un'altra busta e la fece cadere sulle gambe di Charlotte.

"Dal caso di Laura Palmer, come lo hai chiamato tu. Per fortuna era dentro un sacchetto di plastica impermeabile e chiuso sottovuoto. La vittima, Carolyn Thrumple, lo aveva tra le mani quando l'hanno fatta riemergere dal Tamigi." la informò, per poi prendere alcune delle provette che aveva riempito quella mattina e dirigersi alla porta. "Divertiti." le augurò prima di uscire dalla porta di ingresso, diretto sicuramente al laboratorio universitario di chimica.

John sospirò e si alzò per sistemare la bottiglia di disinfettante e andare a lavarsi le mani. Charlotte aveva aperto la busta e aveva cominciato a guardare i nuovi fogli. I bordi erano leggermente rovinati dall'umidità, ma la parte interessante era ancora intatta. Scorse fino alla fine e notò che si collegava perfettamente alla prima battuta del nuovo ritrovamento. Impilò tutti i fogli e li soppesò. Non erano più di cinque o sei pagine scritte fronte e retro. Avrebbe avuto bisogno di almeno un paio di giorni per tradurre e poi necessitava di altro tempo per poter aggiustare il tutto secondo la notazione contemporanea. Forse anche di più, considerate le lezioni che avrebbe dovuto seguire, lo studio e sicuramente altri imprevisti causati dalla presenza di Sherlock e John.
Prese un grosso respiro. Ce l'avrebbe fatta. Era una cosa importante e ci avrebbe dato la giusta rilevanza. Se fosse riuscita a svelare quel piccolo enigma, si trovò a pensare, suo zio avrebbe cominciato a considerarla meno stupida, a vederla come una potenziale alleata. Comincerebbe a chiedere aiuto anche a te, Lotte. Si mordicchiò il labbro inferiore, strappandosi qualche pellicina. I suoi occhi saettavano nervosi da un lato all'altro del foglio, cercava di incamerare quante più informazioni fosse possibile. Non era una scrittura particolarmente complicata, non avrebbe avuto difficoltà a sbrogliare la matassa. Non vi erano altre scritte, nessun testo, quindi tutto ciò che c'era da dire era contenuto nella musica.

"Char? Ho preparato qualcosa da mangiare, vieni?" il richiamo di John la tirò via dai suoi pensieri.

Lo guardò, per qualche istante non capì cosa ci facesse lui lì. Poi si chiese perché aveva frugato nella sua cucina, perché si era messo ai fornelli. Una veloce occhiata all'orologio le rivelò che era quasi l'una e dunque aveva avuto forse ragione a preparare il pranzo. Al momento il panico la assalì e le si chiuse la gola. Non sapeva cosa aveva cucinato, in che quantità e con quali ingredienti. In più doveva mangiare davanti a lui, che la osservava e di sicuro l'avrebbe giudicata.
Si fece forza e annuì. Poggiò i fogli sul tavolino e filò in bagno sotto lo sguardo di John che sembrava dire 'se non ti lavi le mani, qui non entri'. Si sedette quindi a tavola, guardando il suo piatto pieno di fagiolini, due piccole fette di petto di tacchino e del pane di fianco. John mangiava la stessa cosa ma in quantità diverse. Non le tolse lo sguardo di dosso finché non la vide mandare giù almeno il primo boccone, allora cominciò a mangiare anche lui.
Le parlò di qualsiasi cosa gli passasse per la mente. Le raccontò di alcuni pazienti bizzarri che gli erano capitati, di scenate che alcuni avevano causato. La fece ridere con l'imitazione di uno di quelli che più lo avevano colpito e che prendeva ancora in giro con Mary a casa. Parlarono poi degli ultimi libri che avevano letto - John era alle prese con la rilettura di Brave New World di Aldous Huxley, uno dei suoi libri preferiti, mentre Charlotte aveva appena iniziato ad affrontare I dolori del giovane Wertheril capolavoro di Goethe. Si ritenne soddisfatto solo quando vide che la ragazza aveva terminato il suo piatto senza neanche accorgersene. Avrebbe voluto chiederle se era stato così tanto difficile, ma si trattenne. Aveva un'altra domanda che gli girava in testa e premeva per uscire, un'informazione che le avrebbe sicuramente mutato l'umore e non aveva intenzione di peggiorare la situazione con un'osservazione superflua.

Sparecchiarono e Charlotte lavò i piatti mentre John si era offerto di preparare il caffè. Si sedettero nuovamente al tavolo, uno di fronte all'altra, zucchero e latte a portata di mano. John inspirò a fondo, guardando il piccolo giardino che si intravedeva dalla portafinestra della cucina. Un giardino curato, imbiancato ora dal freddo e dalla brina che non voleva sciogliersi. Tornò a puntare il suo sguardo su Charlotte, su quella ragazza bellissima ma così triste. Era come un dipinto romantico, uno di quelli con la figura umana piccola piccola di fronte all'immensità e crudeltà della natura. E ora stava per scoccare un dardo anche lui, stava per farla preoccupare e Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto evitare. Ma aveva bisogno di risposte.

"Char... Tu cosa ne sai di Magnussen?"

La vide sussultare a quel nome. Alzò la testa e lo guardò con occhi grandi, due pezzi d'ambra che le illuminavano il volto. Rilassò una mano che aveva contratto e rilasciò un respiro che non si era accorta di trattenere.

"Non molto. Papà non ha mai voluto che lo incontrassi. Credo... che sia l'unica persona al mondo che papà teme. Lo rispetta ma ne ha paura." si passò una mano tra i capelli. "Tu come lo conosci?"

"È venuto a Baker Street. Ci ha fatto pipì nel caminetto." fece una smorfia al ricordo. Aveva provato un immediato disgusto per quell'uomo, quasi gli faceva rimpiangere Moriarty che non si faceva sentire da qualche tempo a quella parte. "E poi Mycroft ci ha minacciati di lasciare stare. Ma sai com'è fatto tuo zio..."

Charlotte storse la bocca in un piccolo sorriso amaro.

"Già... ma papà ha ragione. È meglio fare finta che non esista. Se ci stai lontano, non può farti del male." allungò le braccia e gli prese una mano tra le sue. Lo guardava e lui ricambiava il suo sguardo, lasciando che il suo calore gli passasse attraverso le dita fin dentro alla pelle. "Promettimelo, John. Promettimi che gli starai lontano."

John sospirò e posò l'altra mano su quelle di Charlotte. Guardò per qualche istante i loro arti intrecciati, stretti gli uni agli altri. Lei non aveva esitato a stringerle, a toccargli il palmo con dolcezza e urgenza. Così come non esitava mai ad avvicinarsi a lui, prenderlo sottobraccio, fargli le moine come un gatto. E lui come la ripagava? Facendola preoccupare, tirando fuori un argomento che sarebbe dovuto restare nascosto. E se l'avesse messa in pericolo? Magnussen era come Moriarty, anche lui sapeva? Aveva modo di scoprire quando una persona gli arrivava vicino? O magari già sapeva della sua esistenza, aveva già avuto a che fare con lei e Mycroft si era dovuto mettere in mezzo. Per quello aveva avuto quella reazione, esagerata nei confronti di qualcuno che si professava di non conoscere. Forse si era avvicinato a lei abbastanza per toccarla e Mycroft aveva dovuto trovare un accordo perché si scordasse di lei e la lasciasse in pace.
Ma Magnussen non dimenticava niente, lui accumulava tutte le informazioni che poteva.

John alla fine sorrise e le strinse di più le mani. Una stretta rassicurante, affettuosa. Le accarezzò anche il dorso con il pollice, come faceva con sua madre, sua sorella e anche con Mary quando voleva trasmettere loro sicurezza. Stava per mentirle e si sentiva male al solo pensiero, avrebbe preferito farsi sparare o rivivere ogni giorno gli incubi della guerra. Non sapeva se lei lo avrebbe capito o gli avrebbe creduto. Ma dire una bugia a quegli occhi, a quella ragazza che gli aveva aperto il suo cuore con tanta rapidità e fiducia, gli faceva rivoltare lo stomaco e attorcigliare le budella.

"Te lo prometto, Char."

 

   
 
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