Film > The Avengers
Ricorda la storia  |      
Autore: sheishardtohold    20/01/2022    4 recensioni
One shot post Avengers: Age of Ultron in cui Bruce non va mai via e decide di rimanere con Natasha.
"[...] L’ha intuito o è solo tenerezza quella che avverte nei suoi gesti? Non crede di averla mai vista così: indulgente, aperta, affettuosa. Bruce si sente terribilmente in colpa per la sua incapacità di accogliere le sue attenzioni senza metterle in discussione". - o anche Bruce è molto insicuro e Natasha si lancia in un gesto plateale per dimostrargli il suo amore (ma un pochino anche per fargliela pagare).
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao a tutti! Sono un po' emozionata di tornare a scrivere e pubblicare dopo otto anni - è dura liberarsi della vita da fangirl quando praticamente ossessiona la tua esistenza in modo costante. Faccio giusto un paio di premesse prima di lasciarvi alla lettura: la prima - già presente nella presentazione della storia, ma lo ripeto comunque - è che si tratta di una one-shot post AoU in cui Bruce non se ne va mai. Non mi dilungo molto sul perchè o il come Bruce decide di restare con Natasha dopo la battaglia, ma piuttosto mi soffermo sul possibile sviluppo della loro storia (dando per scontanto che ovviamente c'è una relazione di cui parlare); la seconda riguarda il titolo tratto da una citazione di Bruce nel primo Avengers ("I don't get a suit of armor. I'm exposed, like a nerve. It's a nightmare") che ho trovato particolarmente calzante per il modo in cui i personaggi si espongono e si ritraggono a seconda delle situazioni in cui si trovano; la terza, ma decisamente la più impotante, è la mini dedichina alla Nat to my Yelena - nonchè mia amica storica da quando ne ho memoria, fangirl di qualsiasi ship che io shippi (anche perchè se non le shippa se le sorbisce tutte di riflesso) e beta di qualsiasi cosa io abbia scritto nella mia vita - ovvero Dani. ❤️ Avrei voluto tanto finirla per il suo compleanno (che è stato 5 giorni fa), ma tanto lei sa che sono sempre in ritardo quindi non credo neanche si stupirà della cosa lol Happy belated birthday, honey! E dopo questo sproloquio totalmente inutile e a caso vi auguro buona lettura!



Exposed like a nerve.


Bruce inspira rumorosamente. Si immerge, va in apnea. Appoggia la schiena alla libreria, si toglie gli occhiali e li abbandona sul pavimento accanto alle gambe intrecciate. Si massaggia gli occhi, le tempie. Espira. Atti di frustrazione, una sequenza talmente interiorizzata da essere riprodotta meccanicamente.

“Più forte che non ti ho sentito”, alza lo sguardo per incontrare la figura di Tony. Riposiziona gli occhiali sul viso, mette a fuoco cadendo nell’ennesimo riflesso – la mano che preme sul collo che si muove prima a destra e poi a sinistra. Sono movimenti scollegati dal volere del suo corpo e dall’ambiente stesso - il suo solito senso di inadeguatezza acutizzato solo dalle risposte pungenti di Tony. Sarebbe la norma se solo non fosse l’ennesima notte insonne tormentata dagli incubi. Sarebbe gestibile se solo non lo sentisse – l’altro – che non dà pace, né a lui né tantomeno alla sua rabbia. Non ci sono ragioni per impuntarsi, per fare i difficili – sicuramente non ne ha lui, maestro nell’evitare conflitti – eppure ogni parte del suo corpo rimane tesa, in allerta, tradendo la sua stessa natura: l’ansia di chiedere sempre scusa, più profonda e radicata persino dell’ira.
Dal lato opposto della stanza, Natasha osserva la scena senza smettere di far scorrere i fogli che ha tra le mani. Finge di leggere, mentre accenna un movimento del capo come a volerlo alzare per studiare Bruce – la sua insolita resistenza – e Tony – la sua solita insofferenza. 
“È che qui non c’è” si lascia sfuggire Bruce – il filtro cervello-bocca totalmente perso. Natasha guarda il suo volto contrarsi in una smorfia di sofferenza tanta è la fatica nel fermare invano le parole. Stanno facendo un lavoro inutile, anche lei lo sa. Il file che Tony cerca con così tanta ostinazione è andato perso nella battaglia di New York, ma la sua ossessione gli impedisce di vedere le cose chiaramente.  
Testardo, risoluto nel farsi carico di un fardello che gli compete solo in parte – salvare l’intera umanità. Per Natasha è come guardare una partita di tennis: sfinimento vs senso di colpa, mentre aspetta il colpo finale. Lo sente montare nella schiena che assorbe tutta la tensione della stanza: la colonna vertebrale si irrigidisce come la lama di un coltello, ma le spalle sono rilassate e l’espressione del viso neutra - dissimulazione, la sua seconda pelle.
“Sei impossibile”, esclama Tony mancando il tavolo. I fogli cadono a terra, mentre si lascia la stanza alle spalle in preda alla collera. Bruce rimane fermo immobile a fissare la scena. Muove gli occhi avanti e indietro tra la porta ed il posto vuoto lasciato da Tony. Solo dopo alcuni minuti si concede un attimo per accarezzare la figura di Natasha in lontananza. Fatica a sostenere lo sguardo temendo il suo giudizio. Si stringe nelle spalle facendosi sempre più piccolo. Preme con forza le scapole alla libreria e accoglie il dolore delle mensole contro la colonna vertebrale. Si sente come un bambino in trappola: imbarazzato dal suo comportamento, divorato dal senso di colpa per il solo fatto di esistere, respirare, sentire e occupare un qualunque spazio nel mondo - come se non se lo meritasse. Natasha lo sa, non ha bisogno di guardarlo per saperlo, per questo continua a fissare il tavolo girando e rigirando i fogli tra le mani. Gli offre solo un “vuoi parlarne?” nel tono più dolce che possiede, fingendo distrazione. Bruce riconosce e accetta quel duplice regalo - l’essere visto senza essere esposto ulteriormente – non riuscendo però a restituirlo. Vorrebbe essere più indulgente nei confronti di Natasha e di sé stesso e invece scuote le spalle e abbassa nuovamente lo sguardo cedendo all’unica risposta in grado di farla infuriare: il silenzio. Natasha interrompe i movimenti fino a quel momento fluidi e alza bruscamente il viso puntando gli occhi su di lui. Con un solo passo falso, Bruce riesce ad ottenere ciò che più smania e teme allo stesso tempo: la totale attenzione di Natasha. Inutilmente tenta di resistere a quelle immagini sensoriali - la sua silhouette, il movimento dei fianchi mentre gli si avvicina, l’odore della sua pelle, il palmo della mano sulla sua. Più ne assorbe, più si sente soffocare, perché sa di non meritarseli – lei, il suo amore, la sua fiducia.
Natasha si china al suo fianco – le ginocchia che sembrano cedere con un crack in realtà sorreggono perfettamente il peso del suo corpo in modo stabile e solido. Sembra una statua – immobile, pelle chiara, i lineamenti scolpiti nel marmo – mentre gli sorride ancora.
“Lo sai che Tony non intendeva davvero quello che ha detto” gioca con le dita della mano di Bruce passandole tra le sue, stringendole, accarezzandole, facendole cadere delicatamente sulle sue gambe, riprendendole. Bruce prova a cercare in Natasha il sollievo della “ninna nanna” realizzando con grande stupore di avercela con lei e la conseguente impossibilità di ricevere conforto.
“Bruce”, si lascia sfuggire, accarezzandogli la guancia. L’ha intuito o è solo tenerezza quella che avverte nei suoi gesti? Non crede di averla mai vista così: indulgente, aperta, affettuosa. Bruce si sente terribilmente in colpa per la sua incapacità di accogliere le sue attenzioni senza metterle in discussione. L’afferra per un polso – piano, delicato – facendolo ricadere lungo il suo fianco. Conversazioni silenziose fatte di sguardi, tutta la palestra delle notti insonni passate a scambiarsi pensieri, a studiarsi a vicenda, a conoscere la parte più intima l’una dell’altro.
“Potevi dire qualcosa” afferma, provando a leggere l’espressione sul suo viso. Natasha spiazzata, lui più di lei - per la reazione in sé e per essere stato in grado di causarla. Si ritrae su sé stessa nel tentativo di occupare meno spazio lei e di interporne il più possibile tra loro. Si mette in guardia, riprende il controllo delle sue emozioni e Bruce crede di riuscire a vedere i suoi occhi perdere un po’ di quel verde caldo e rassicurante in favore di uno sguardo più freddo, distaccato. Non capisce come – si stupisce più dell’esserci riuscito che del modo, - ma sente di averla ferita. Lo intuisce da come incassa il colpo, da come mantiene lo sguardo – non cederebbe neanche sotto tortura. Tutta la dolcezza completamente svanita. Bruce la guarda e non può fare a meno di ripeterseli in testa tutti quegli aggettivi che gli si appiccicano addosso e lo definiscono, nonostante provi ad opporvisi: ingestibile, intrattabile, immeritevole, impossibile – sicuramente impossibile da amare visto il modo ostinato di allontanare chiunque gli mostri un briciolo di gentilezza, di compassione. Una lista infinita che si conclude con un’unica domanda: possibile che sia anche così insicuro?
Natasha riconosce la sua colpa - costringerlo ad affrontare una battaglia che non avrebbe voluto combattere – e capisce la rinuncia di Bruce – abdicare la sua libertà in favore di un futuro al suo fianco. Si chiede se la loro relazione sia tutta lì, in quel compromesso. Se sia ormai irrimediabilmente fondata sul sacrificio, sulla fiducia a metà. Se non esista altro modo di intenderla. Se è l’ennesimo rapporto difficile da gestire, la solita danza da imparare – quanto starsi lontani e quando. Teme che Bruce non possa mai perdonarla e si accontenti di ciò che pensa di meritare: affetti dolci-amari ai quali corrispondono momenti di dolore pari o maggiori agli attimi di felicità.
“Cosa avrei dovuto dire?” è infastidita, eppure non c’è rabbia nella sua domanda, ma solo un onesto dubbio – la voglia di capire cosa lui si aspetta da lei. Bruce scuote le spalle e si affretta a dire “niente” come se improvvisamente ci avesse ripensato e volesse tornare velocemente sui suoi passi, fare bruscamente marcia indietro. Sa quanto questo atteggiamento irriti Natasha, quanto ognuno degli atteggiamenti avuti fino a quel momento la facciano infuriare, anche se non lo dimostra. Natasha odia quando Bruce si comporta come se nulla importasse – come se a lei non importasse di lui. Eppure, l’aveva scelto lei, in modo anche abbastanza insistente, facendo il primo passo. Per quanto le riguarda, si era letteralmente gettata tra le sue braccia, cercando di convincerlo che questa cosa tra loro poteva davvero funzionare. Aveva coscientemente dismesso le sue maschere e gli aveva permesso di avvicinarsi alla parte più profonda della sua persona. Qual era il problema adesso? Il fatto che non si fosse esposta pubblicamente?
“Bruce, sono solo una persona molto riservata”, dichiara riluttante all’idea di doversi giustificare, pensando che almeno lui l’avesse capita, che avesse imparato ad interpretare correttamente ogni suo gesto, ogni suo pensiero. Controlla le sue emozioni senza concedere spazio a quei meccanismi di difesa radicati nel tempo. Nonostante provi a dimostrargli che lei è lì, presente, al suo fianco, Bruce non può fare a meno di sentirla lontana anni luce – fredda, rigida, chiusa in sé stessa.  Una statua di cera che lo fissa. Distoglie lo sguardo incapace di sostenere quello di Natasha – incapace di affrontare tutte quelle incomprensioni che avrebbero potuto essere evitate se solo non fosse stato così scontroso.
“Lo so. Hai ragione. Scusa,” si affretta a dire nel tentativo di rimediare ad una situazione che sta rapidamente andando a rotoli. Vuole solo che Natasha smetta di guardarlo in quel modo, prima che quegli occhi gli trapassino la pelle, arrivino dritti al suo cervello e lo facciano esplodere.
“Bruce, parlami” dice piano, azzardando un nuovo contatto – gli afferra il volto tra le mani calde e sorride. Lui la guarda totalmente meravigliato dal suo modo di capirlo, accoglierlo, farlo sentire al sicuro. Non può fare a meno di abbozzare un sorriso mentre sente le grandi ondate di ansia placarsi. Era tutto nella sua testa?
Esita. Il primo istinto è quello di mettere le mani avanti, premettere che è una cosa stupida, ma non vuole rischiare nuovamente la sua fortuna con Natasha. Allora ci prova – chiude gli occhi e fa un salto nel vuoto. Ripete ad alta voce la frase che ha provato prima nella sua testa - il tono esitante.
“Ho paura che ti vergogni di...” gli muoiono le parole in gola mentre accenna un paio di gesti con la mano. Prima indica lo spazio vuoto che va dal suo petto a quello di Natasha e poi la sua figura per intero. Non sa se si sente più scemo per quell’ammissione di timore o per non essere neanche riuscito a finire la frase. Tossisce per mascherare l’imbarazzo e si massaggia gli occhi in segno di frustrazione. 
“Intendi che mi vergogno di te?”, sorride divertita dal cambio di eventi – Natasha è sempre divertita quando il suo interlocutore è a disagio e lei si trova in una posizione di potere.
“Sì”, si schiarisce la voce “della relazione”. Pausa, “di noi – qualsiasi cosa ci sia tra noi”. Si corregge – non vuole né esporsi né affermare qualcosa che ancora non è stato discusso o deciso. Natasha trattiene una risata e annuisce con la testa. Sta per dire qualcosa quando lui la interrompe, questa volta più serio. 
“Quando ti guardo penso a quanto sono fortunato”, un’altra pausa – un imbarazzo diverso. Non sono mai così diretti. Certe cose non le dicono mai ad alta voce - tutte le cose banali che uno sente quando si innamora. “Passo la maggior parte del mio tempo accanto ad una donna forte, libera...” gli si spezza la voce appena prima di pronunciare l’ultima parola: “bellissima” - forse il complimento più scontato, ma entrambi sanno cosa intende. L’ammirazione che Bruce prova per lei è palese nel modo in cui la guarda – nel modo in cui la riesce a vedere, prescindendo e allo stesso tempo accogliendo il suo passato. Natasha sa che quando dice “bellissima” non complimenta il suo aspetto fisico, ma quella parte di sé a lui riservata - la sua anima. C’è una strana atmosfera, non tanto per le parole, quanto per le sensazioni. Pensavano entrambi che il momento più intimo sarebbe stato fisico non mentale - andare a letto insieme, spogliarsi, percorrere ogni centimetro della pelle dell’altro, sentirsi, toccarsi. Questo, invece, era un modo diverso di vedersi, riconoscersi. Si ritrovavano a guardarsi spiazzati, chiedendone di più – più amore, più complicità, più di quel contatto sorprendente che li scaldava dall’interno e li faceva sciogliere, fondere insieme. Questo era un altro modo di essere nudi l’uno davanti all’altra.
“Non so spiegare”, è la sua prima vera ammissione di difficoltà. “È come se qualsiasi tuo successo fosse anche mio”, dice mentre le accarezza il viso spostandole una ciocca di capelli dietro all’orecchio. “Non che sia merito mio, non intendo quello. Dico solo che il senso di orgoglio è talmente grande che vorrei che tutti sapessero che c’è un legame tra noi”. Vacilla sull’ultima frase - avrebbe palesemente voluto dire “che sei mia”, ma sa che Natasha appartiene solo a sé stessa. “Stare con te, in un qualche modo, dà un nuovo valore alle mie scelte”, prova a chiarire pur restando nel vago. “Mi chiedevo se fosse lo stesso per te”.
“Perché non mi sono esposta?” risponde genuinamente incredula perché lei non era fatta così e quel rapporto le era tanto speciale perché lontano da sguardi e attenzioni esterne.
“Perché non riesco a capire”, ammette. “Perché me?”. Finalmente c’era arrivato. Natasha l’aveva intuito fin dal principio, ma aveva preferito far finta di nulla nella speranza che la conversazione prendesse un’altra piega. Lei sospira e lui non riesce a capacitarsi di come il suo pensiero possa apparirle tanto assurdo. “Nat, andiamo. Sai cosa pensano tutti di me”. Natasha aggrotta la fronte turbata. Tutti chi? Sa che è inutile provare a discutere, farlo ragionare, convincerlo che nessuno pensa proprio nulla – o che, anche se fosse, non sarebbe importante. Allora si alza in piedi e gli porge una mano per fare altrettanto. Lui l’accetta riluttante, prendendo posizione al suo fianco. Se lo tira dietro come un peso morto lasciandosi alle spalle il laboratorio. Natasha cammina veloce, Bruce sta alcuni passi indietro e la segue confuso - a tenerli uniti solo le due mani che si avvicinano, si allontanano, si strattonano, ma non si lasciano mai. Solo quando arrivano alla sala comune intuisce le sue intenzioni. Bruce pianta i piedi a terra, pesanti come due blocchi di marmo e la strattona per un braccio. “Natasha” con una leggera nota di panico, Bruce bisbiglia il suo nome per non farsi sentire da Tony, Steve, Clint e Thor seduti sul divano a ridere e scherzare. Lei si gira e con un gesto rapido e distratto gli fa cenno di zittirsi. Riesce a trascinarselo dietro fino al centro della stanza dove si schiarisce la voce per attirare l’attenzione del gruppo. Bruce si sente morire.
“Volevamo condividere qualcosa con voi”, dice voltandosi verso Bruce in cerca della sua approvazione. Lui rimane immobile, incapace di qualsiasi reazione e pensa che no, non vuole condividere proprio niente, anzi vorrebbe solo tornare indietro, all’inizio di quella conversazione per rimangiarsi qualsiasi insicurezza. Quando realizza tutta la pesantezza del venire allo scoperto arriva alla conclusione che l’idea di mantenere la relazione segreta non era poi così terribile - che lui in fondo ci stava bene nelle zone di penombra della vita in cui si è esposti il tanto che basta. Invano continua a sperare che all’improvviso Natasha cambi idea, che si inventi qualsiasi altra cosa pur di risparmiarli dalla gogna pubblica. Invece no, invece dice “io e Bruce ci stiamo frequentando”. Bruce perde un battito, mentre Natasha si sorprende della reazione involontaria del suo corpo - i palmi delle mani le iniziano a sudare. Pensava che il silenzio l’avrebbe aiutata – lei, che di solito ci stava così bene – e invece iniziava ad essere nervosa per colpa della totale mancanza di reazione: Bruce ancora non dava cenni di vita; Clint aveva la stessa espressione persa, ancora intento a processare le informazioni; Thor probabilmente non aveva neanche capito di cosa stesse parlando; Tony era sul punto di esplodere per tutte le domande che avrebbe voluto fare, ma soprattutto per lo sforzo fisico che stava facendo per trattenersi; Steve era l’unico che sembrava reagire - le braccia conserte e il sorriso di approvazione di chi sa che prima o poi sarebbe successo.
“Quanto è sicura questa cosa?” è la voce lontana di Tony a sbloccare una situazione che sembra paralizzata. Natasha alza gli occhi al cielo - ovviamente doveva sfidarla in un qualche modo. 
“Scusa?” scontrosa, accigliata – si mette sulla difensiva come ogni volta che si sente attaccata sul personale.
“Dico che mi sembra un po’ pericoloso-” ed eccola lì, l’unica parola che non avrebbe mai dovuto pronunciare davanti a lei. In modo quasi impercettibile, Natasha butta fuori un sospiro e un’imprecazione in russo. Steve accenna una smorfia di disappunto mentre si gira verso Tony e gli fa cenno con la mano di tagliare corto. Bruce non si accorge neanche dell’insinuazione talmente è concentrato su Natasha. Le stringe la mano accarezzandone il dorso col pollice. Cerca di sciogliere il nodo di tensione, assorbirla totalmente nelle sue dita per restituirgliela sotto forma di calma. La mente di Natasha viene inondata da una serie di flash, stregata da quel contatto delicato: il battito del suo cuore sotto la punta delle sue dita, le loro mani che si toccano e si riconoscono, gli occhi verdi accesi cedere il passo ad un castano intenso – la stessa espressione dolce quando la guarda. 
“Non c’è nulla di pericoloso”, lo interrompe a metà della frase, mentre gli altri continuano a fissarli – sguardi veloci che si posano sul viso di Natasha e di Tony ad intermittenza.
“No?”, chiede sarcastico. “Non ti sembra di mettere in pericolo la squadra?”
“Non mi sembra di dover nulla a nessuno”, dice lei che ha letteralmente sacrificato la sua intera esistenza per gli altri. “Oltre che, per quanto ne sappia, non sto infrangendo nessuna regola”. Natasha incrocia per un attimo lo sguardo di Steve che, per tutta risposta, sorride facendole intendere di aver capito il riferimento. 
“Andiamo Romanoff, sei più intelligente di così”. Natasha alza un sopracciglio. “E se litigate?”
“E se litighiamo? Cosa abbiamo cinque anni?”, replica scocciata.
“Non stai rispondendo alla domanda”, le fa notare.
“Okay”, ribatte in fretta nel tentativo di zittirlo. “É sicuro.”
“Sì?”, cerca di incalzarla per ostacolare qualsiasi obiezione. “Quindi siamo in missione e voi avete litigato e non vi parlate. È sicuro?”
Natasha sapeva che la discussione si stava spingendo oltre ogni logica, che nessuna risposta, nessuna spiegazione sarebbe mai bastata a Tony che voleva solo insinuare il dubbio, creare una situazione scomoda e, se possibile “romperla”, vederla andare in mille pezzi. Nel tentativo di non dargliela vinta, Natasha risponde con l’ennesimo “è sicuro” – testa alta, sguardo fisso su di lui. Tony, però, non molla la presa e rincara la dose.
“Quindi anche se vi lasciate malissimo rimane sicuro?”
Natasha a quel punto perde totalmente il controllo. “Sono sicura”, sbotta esasperata maledicendosi sia per la facilità con cui ha permesso alle sue provocazioni di insinuarsi sotto la sua pelle, sia per quell’ammissione strappata a forza sul fatto che lei era già totalmente coinvolta da quella relazione. 
Bruce sorride a quella rivelazione inaspettata. La parte più insofferente della sua persona temeva che Natasha l’avesse costretto a quella confessione pubblica per fargliela pagare, per punirlo della sua insistenza sul venire allo scoperto – chiaramente contro tutti i suoi principi. La parte più romantica – quella che in quel momento era ancora accanto a Natasha a tenerla per mano – sapeva, invece, che quello era stato l’atto d’amore più estremo, il gesto più plateale che conosceva per farlo sentire scelto e amato. Così, quando Tony prova a ribattere nuovamente, Bruce non se la sente proprio di lasciare Natasha da sola a combattere la loro battaglia. 
“Tony”, la voce morbida che chiede tregua. “Ha detto che è sicura”. Stringe più forte la mano di Natasha nella sua e bisbiglia più per lei che per gli altri, “siamo sicuri”. 
“Okay, allora dimostratelo”, chiede in tono beffardo, mentre Natasha gli scoppia a ridere in faccia. 
Bruce la guarda turbato, non tanto per la reazione del momento – più che comprensibile -, quanto per quella pericolosa che potrebbe avere – staccare la testa di Tony a mani nude. Non sa se è per l’assurdità della situazione, o per il fatto che Natasha sembra bellissima anche mentre ride in quel modo sgraziato – o forse perché anche lui ha totalmente perso la testa, - sta di fatto che si convince che il modo migliore per evitare una catastrofe sia baciarla. Così, senza pensarci, si gira, l’afferra per la vita e la bacia. Lo shock di quel contatto è così violento che per un attimo Natasha smette di respirare. Bocca contro bocca, rimangono entrambi a fissarsi con gli occhi spalancati – lui, totalmente terrorizzato dalle sue azioni, lei presa ancora dalla confusione. Con una piccola nota di ammirazione, pensa che non era affatto una cosa da Bruce. Il suo Bruce – timido, riservato, schivo, quasi privo di iniziativa – che adesso faceva scivolare le mani tra i suoi capelli per tenerla ancora più stretta. Petto contro petto, Bruce sente il suo respiro farsi più calmo. Natasha si rilassa e chiude gli occhi – lui di rimando. Non è un bacio appassionato, ma pur sempre intimo.
“Figo”, esordisce Thor in sottofondo, forzandoli a riprendere coscienza delle circostanze. Si staccano l’uno dall’altra, riluttanti e impacciati. Natasha è totalmente presa alla sprovvista da quell’imbarazzo così fuori luogo per lei, abituata a concepire il suo corpo come l’ennesimo strumento tratto dal catalogo delle sue armi di seduzione.
“Se non ci sono altre domande…” chiede con fare retorico, incrociando nuovamente lo sguardo Tony che sorride soddisfatto - aveva fatto tutto questo solo per infastidire Bruce e ripagarlo della spiacevole mattinata in laboratorio. Natasha scuote la testa in segno di tregua, mentre si volta per lasciare la stanza. Alle sue spalle, Tony, Steve, Clint e Thor rimangono in silenzio a scritare Bruce che si gratta la nuca come se avesse un tic nervoso.
“Io devo andare”, bofonchia inciampando contro un tavolino nel tentativo di dileguarsi – proprio mentre pensava che peggio di così non sarebbe potuta andare. Si rialza rapidamente e si sistema gli occhiali sul viso totalmente paonazzo. 
“Natasha” la chiama correndole dietro per recuperare il passo – gli altri continuano a seguirlo con lo sguardo mentre si allontana.
“Che avventura incredibile!”, Thor è il primo a rompere il silenzio. “Delle montagne russe di emozioni!”, continua scuotendo per un braccio Clint che, per tutta risposta, se ne esce con un “che cos’è appena successo?”, rimanendo in trance a fissare la parete bianca.
“Non lo so”, risponde Steve “ma sono felice che Natasha non sia la mia di ragazza”.

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: sheishardtohold