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Autore: Chiccagraph    21/01/2022    0 recensioni
"Perché ci vuole coraggio a lasciare andare uno dei fili che tiene insieme il complesso reticolato del tuo cuore.
Ci vuole coraggio a reciderlo sapendo che difficilmente potrai riannodarli insieme ai tuoi. È un filo sciolto che può decidere di legarsi dove vuole: allacciarsi nuovamente ai tuoi o lasciarsi trasportare via dal vento.
E lui aveva mille ragioni per farlo, per tagliare via quella rosa pericolosa e tornare a prendersi cura del parco incontaminato dei suoi sentimenti. Aveva mille motivi per andarsene. Ed uno solo per restare. Ma quell’unico motivo, cazzo, aveva degli occhi bellissimi."
O la fic Serquelicia di cui tutti abbiamo bisogno
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Il professore, Raquel Murillo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I raggi di sole si intrufolavano tra le tende della camera da letto, illuminandola con i suoi fasci di luce, accarezzando il viso della donna ancora addormentata.

Infastidita dai raggi caldi, Raquel, sprofondò il viso nel cuscino e stringendo il lenzuolo nei pugni lo tirò verso l’alto, coprendosi il volto, cercando di ripararsi dalla luce.

Spostò un braccio alla sua sinistra scorrendo con il palmo della mano aperta sulle lenzuola al suo fianco.

Le dita scivolarono sulle lenzuola fresche, accarezzandole, alla ricerca del corpo caldo di Sergio; mosse la mano su e giù, un paio di volte, fino a che, sbuffando, le tirò da parte scoprendosi il viso.

Il letto era vuoto. Il cuscino freddo. Le lenzuola sgualcite.

Il tessuto conservava ancora l’odore persistente del suo profumo, anche se la loro freschezza indicava che l’uomo doveva averle lasciate da tempo.

Osservò le lenzuola aggrovigliate, potendo quasi distinguere tra le loro pieghe l’impronta fredda del suo corpo.

Raquel allungò contemporaneamente le braccia e le gambe, stiracchiandosi, inarcando la schiena. Distese ogni singolo arto, mugugnando parole – per lo più suoni - di piacere, e poi sbadigliando si tirò in una posizione seduta per alzarsi.

Allungando un braccio afferrò la vestaglia, appoggiata scompostamente sulla poltrona accanto al letto, e incrociando i lacci la legò stretta in vita. A piedi nudi camminò per la stanza e passando davanti lo specchio si fermò per sistemarsi i capelli in una coda bassa, lasciando i ciuffi della frangia scendere liberi intorno al viso. Le punte si arricciavano leggermente verso l’alto a causa della costante umidità dell’aria.

Canticchiando, tamburellò il contorno occhi con i polpastrelli e arrotolò tra le dita la parte finale della coda, formando un’onda morbida. Dei riflessi dorati si perdevano tra le ciocche castane dei suoi capelli, formando un gioco caldo di colori e sfumature.

Si diresse verso la porta e girandosi solo con la testa di lato diede un’ultima occhiata allo specchio alle sue spalle prima di uscire dalla stanza.

--

La casa era insolitamente tranquilla.

Silenziosa.

A quest’ora Sergio doveva essere già di ritorno dalla sua passeggiata in spiaggia e Alicia in giro per la casa con la bambina ancorata al fianco.

Victoria si svegliava presto la mattina, dormiva poco la notte e aveva un sonno molto leggero: una combo micidiale se vivi con un neonato in casa. Il più delle volte svegliava tutti alle prime ore del mattino, sempre che li avesse lasciati dormire per più di due ore consecutive durante la notte. E servivano a ben poco le parole di Alicia per tranquillizzarla e non farla piangere, quando a separarli c’era solo un muro di pochi centimetri.

Quella mattina però non aveva sentito la bambina, non si era svegliata nel caldo abbraccio di Sergio e cosa più importante non aveva incontrato ancora nessuno aggirarsi per casa.

Di entrambi non c’era neanche l’ombra.

Mentre scendeva le scale, però, si ritrovò di fronte a una scena piuttosto insolita.

Sergio stava rientrando in quel momento dalla spiaggia, camminava guardandosi costantemente intorno come se si stesse nascondendo da qualcosa – o da qualcuno?

Continuava a tirarsi gli occhiali sul naso con il dito indice della mano destra e a muoversi sul posto, come se avesse le pulci, girando la testa a destra e sinistra in maniera compulsiva.

Raquel era abituata agli strani atteggiamenti dell’uomo, ma questo di gran lunga li batteva tutti. Continuò a studiare attentamente le sue azioni, stringendosi tra le dita il labbro inferiore.

Sergio, dandole le spalle, accompagnò la porta con le mani, per evitare che facesse rumore – era da tempo che si riproponeva di oliarla per risolvere il problema del costante scricchiolio delle cerniere. Si sfilò la giacca, appendendola nell’armadio a muro dietro la porta, si scrollò dalle scarpe la sabbia che si era accumulata sulla soletta interna e poi, con un lungo sospirò, appoggiò le spalle alla porta chiusa.

Mmh, sì deve essere sicuramente successo qualcosa, pensò Raquel.

Mentre continuava a studiarlo dalla sua posizione, un filo di vento caldo le accarezzò la pelle delle caviglie, distraendola. Girò la testa alla sua destra, verso il lato opposto della stanza, e proprio mentre l’uomo, ignaro della sua presenza si dirigeva verso il salone, successe una cosa ancora più insolita.

Alicia entrò in casa utilizzando la porta sul retro.

Non era tanto il fatto che fosse entrata dalla porta sul retro, anche se a pensarci bene non l’aveva mai fatto da quando si erano trasferiti sull’isola, quanto piuttosto il fatto che si muovesse in tandem al professore, come se seguissero i passi di una stessa coreografia. Si spostava come se fosse un ladro, camminando lentamente e schivando con maestria qualsiasi oggetto che avrebbe rivelato la sua presenza dentro casa.

Dei grandi occhiali da sole scuri le coprivano metà del volto, lasciandole scoperta solo la bocca, serrata in un’espressione di nervosismo.

Cosa diavolo era successo nelle ultime 12 ore?

Raquel continuava a guardarli con sospetto dalla sua posizione sulle scale, ripensando agli eventi della sera prima. Cercando un dettaglio o un minimo indizio che avesse potuto spiegarle il loro comportamento bizzarro.

Avevano cenato e guardato un film insieme. Alicia era salita nella sua stanza non appena erano finiti i titoli di coda, con la scusa di dover portare Victoria a dormire nel suo lettino, mentre Sergio era rimasto seduto fuori al patio fino a tardi, con il suo solito libro e bicchiere di vino in mano.

Fino a qui tutto bene. E poi cosa?

Possibile che fosse successo qualcosa durante la notte di cui non fosse a conoscenza?

Con una mano sul corrimano scese gli ultimi gradini. Alle sue spalle Alicia temporeggiava guardando la bambina che dormiva tranquillamente tra le sue braccia, e di fronte a lei Sergio continuava a guardarsi intorno, scansionando la stanza, come se ci fossero dei fantasmi.

Quei due non gliela raccontavano giusta.

Ahem! Si schiarì la gola.

Alicia e Sergio si girarono contemporaneamente, colti di sorpresa, rendendosi conto solo in quel momento che erano entrambi agli angoli opposti della stessa stanza.

I loro sguardi si incontrarono per un attimo all’altezza delle spalle di Raquel e poi si allontanarono di nuovo, fissando due punti diversi della stanza.

Alicia continuava ad indossare quei ridicoli occhiali da sole dentro casa, nascondendo dietro le lenti scure i suoi occhi e Sergio continuava a guardarsi intorno, facendo rimbalzare lo sguardo per la stanza come una pallina da ping-pong.

«È tutto ok?» chiese Raquel sospettosa.

Nessuna risposta.

«È successo qualcosa?» ci riprovò.

«No!» risposero contemporaneamente come se li avesse punti una vespa.

«Va tutto bene?»

Le loro voci si sovrapposero ancora una volta.

Sergio cercò di mantenere un tono più tranquillo, distaccato. «È tutto ok» lo aveva mormorato lentamente, scandendo bene le parole.

Diversamente Alicia sembrava ancora lottare con le sue stesse parole, che si rincorrevano tra loro accavallandosi. «Sì! Certo!»

Raquel passò lo sguardo da uno all’altro, per niente convinta delle loro risposte.

Dopo brevi secondi di silenzio Alicia si girò su sé stessa, agganciando con la mano la cesta di giochi della bambina e uscì dalla stessa porta dalla quale era entrata.

Nello stesso momento Sergio afferrò un berretto pronto ad uscire anche lui dalla stanza.

«Sergio» lo chiamò Raquel.

L’uomo la guardò con occhi colpevoli. Il sorriso tirato non era altro che un inutile tentativo di distrarla.

«Sergio» sibilò, quando l’uomo continuava ad evitare il suo sguardo.

Non era mai stato bravo con le parole, specie quando c’erano dei sentimenti coinvolti, e così, balbettando scuse sconnesse e parole senza senso, fece tre passi indietro e uscì anche lui lasciandola da sola.

Raquel continuava a guardarsi intorno senza capire cosa stesse succedendo. Il suo istinto le diceva che doveva essere successo qualcosa, ma al tempo stesso sapeva che non sarebbe servito a nulla rincorrerli per sapere la verità, questa sarebbe arrivata da sola. Tutti i nodi vengono tutti al pettine. Bastava solo avere pazienza e aspettare.

E così, dirigendosi verso la cucina per fare colazione, continuò a pensare a quei due.

«È successo decisamente qualcosa» ripeté ad alta voce a sé stessa, fissando lo sguardo sulla lampada poggiata sul piano della cucina.

--

Verso l’ora di pranzo Alicia si riaffacciò di nuovo dentro casa, arrossata a causa di tutte quelle ore trascorse fuori in giardino, con ancora gli occhiali piantati sul viso.

Raquel era seduta su una sedia in cucina. Una gamba ciondolava nel vuoto mentre l’altra era piegata sotto di lei. Si portò il retro della penna alla bocca, agganciando il tappuccio con i denti.

«Lista di domande» mormorò, tamburellando una mano sul tavolo, mentre contava le caselle del cruciverba.

«Questionario» Alicia rispose alle sue spalle entrando in cucina.

Raquel alzò lo sguardo verso la donna, pensando alla risposta. «Que-stio-na-rio» sillabò la parola mentre riempiva ogni casella con una lettera. «Questionario!» ripeté sbalordita della risposta corretta.

«Come ho detto io»

«Cavolo! Era da dieci minuti che ci pensavo» sbuffò, passandosi una mano sulla fronte.

Alicia alzò le spalle, sorridendo tra i denti, mentre passava alle spalle della donna. «Lo abbiamo sempre saputo che tra le due sono io quella intelligente» disse sorridendo sorniona.

Mise seduta Victoria nel suo ovetto e poi, avvicinandosi al lavandino, aprì il rubinetto lasciando scorrere l’acqua, in attesa che diventasse fresca. Ci passò sotto due dita della mano sinistra, per essere sicura che fosse sufficientemente fredda, mentre con la destra fece scivolare un bicchiere sotto il fiotto dell’acqua riempendolo fino all’orlo.

Lo portò alle labbra e con una lunga sorsata lo bevve tutto d’un fiato.

«E lo dici portando gli occhiali da sole in casa?» disse Raquel, arricciando le labbra.

Alicia strabuzzò gli occhi, lottando per non strozzarsi con l’acqua che proprio in quel momento aveva deciso di bere, e poi, una volta ripreso il respiro, posò il bicchiere vuoto sul lavello, e si girò, appoggiandosi con i fianchi al bancone della cucina sospirando pensierosa. Con il sorriso tirato e un’espressione impertinente.

Entrambe sentirono la porta d’ingresso aprirsi.

Alicia fingendo di essere tranquilla continuava a giocherellare con le mani, affondando le unghie nel palmo della mano, lasciando delle mezze lune impresse sulla carne - tesa come la corda di un violino. Non venire. Ti prego. Ti prego. Ti prego.

Come per magia l’oggetto dei suoi pensieri si materializzò sullo stipite della porta con la stessa espressione da cucciolo smarrito della mattina.

Non appena Victoria vide Sergio iniziò ad agitare le manine e le gambette felicemente. Con un sorriso sdentato ed urletti di gioia cercava di attirare la sua attenzione. Alicia guardò sua figlia, completamente assorta nell’incantesimo di quell’uomo. Non è possibile, riesce ad attrarre anche le bambine di tre mesi.

Non appena l’uomo entrò nella stanza Alicia si voltò di schiena, evitando il suo sguardo, concentrando la sua attenzione sulla bambina che aveva iniziato a tirare un angolo della tovaglia, gettando a terra la pila di tovaglioli posati sul bordo della tavola. Sbuffando rumorosamente, si chinò a terra iniziando a raccogliere i tovaglioli e allungando solo un braccio verso l’alto li riposò sul tavolo, senza mai staccare gli occhi dal pavimento. Sergio inizialmente rimase immobile ad osservarla e poi, vedendo la distesa di carta che colorava le mattonelle, si chinò anche lui a terra per aiutarla.

A carponi raccoglievano la carta dal suolo dandosi le spalle.

«Victoria, no, basta!» urlò Alicia afferrando i tovaglioli appena raccolti, prima che cadessero nuovamente al suolo. La bambina di tutta risposta afferrò la tovaglia dall’altro lato spingendosela addosso. «No!» tornò a ripetere cercando di sfilarle il tessuto dalle mani della bambina prima che lo portasse via tutto.

Sergio si alzò in quel momento da terra, non rendendosi conto della posizione della donna, che di spalle, con i fianchi poggiati sul tavolo, si allungava verso la bambina per toglierle la tovaglia dalle mani.

Il tempo di sorridere per quello che stava succedendo che Alicia si girò su sé stessa, scontrandosi contro il suo petto. Ancora una volta erano bloccati insieme, nello spazio di poche mattonelle, così vicini da sfiorarsi a ogni respiro. La vicinanza dei loro corpi, appoggiati insieme al bordo del tavolo, portò subito alla mente le immagini della notte appena trascorsa.

Ogni fotogramma bruciava vivido nelle loro menti. Una scia di pelle d’oca colorava la pelle delle loro braccia. Il respiro caldo che colpiva ancora una volta i loro volti così vicini. Potevano ancora sentire traccia di quel calore che li avevi avvolti in una nube tossica di desiderio.

Con il respiro attaccato in gola si fissarono per quello che sembrava un’eternità e poi Sergio fece un passo indietro, permettendo alla donna di uscire dalla presa dei loro corpi.

Non appena si allontanarono distolsero lo sguardo, fissando due punti opposti della stanza.

Raquel, che aveva appena assistito alla scena, era certa più che mai che qualcosa fosse successo tra i due, anche se nessuno di loro avrebbe confessato. Neanche sotto tortura.

Sembrava che non fossero più in grado di condividere la stessa aria nella stanza.

«Quattro verticale, nove lettere: l’ansia che disturba la pace»

«Imbarazzo» dissero in coro.

Raquel cercò di trattenersi, guardandoli seria, e poi scoppiò in una risata fragorosa; con entrambi i gomiti poggiati sul tavolo cercava di parlare tra le risate, ma il risultato erano solo lettere aspirate e gridolini acuti.

Alicia e Sergio la guardarono con occhi torvi prima di ritornare a concentrare la loro attenzione sulle fughe delle mattonelle del pavimento.

«Ok, ora basta» disse Raquel, spostando lo sguardo su entrambi. «Alicia togliti quei maledetti occhiali» intimò alla donna «E tu» continuò puntando il dito verso l’uomo. «Tu non credere di farla franca. Cos’hai combinato?»

«Io…» balbettò impreparato. «Io non ha fatto nulla»

Alicia si sfilò gli occhiali, stringendoli tra le mani.

«Seduti» imprecò. «Tutti e due»

Alicia fece un passo alla sua sinistra, mentre Sergio si spostava alla sua destra. Iniziarono a muoversi in sincronia, avanti e indietro, continuando a incontrarsi e scontrarsi a metà strada.

Al terzo passo nella stessa direzione, l’uomo si fermò, spostandosi di lato per farla passare, obbligandola in questo modo a passare nello spazio ristretto, sfiorando ancora una volta il lato incriminato del tavolo. Alicia guardava il pianale del legno come se fosse un predatore mitologico, una mossa sbagliata e le tavole che lo componevano si sarebbero aperte mangiandola con le sue fauci.

Uno sguardo al tavolo e uno a Sergio… tra i due il tavolo sembrava un nemico più facile da domare.

Si spostò di lato, dando le spalle all’uomo, e appiattendosi il più possibile sul legno, passò nello spazio stretto dei loro corpi.

Raquel li osservava attentamente, mentre prendevano posto ai lati opposti del tavolo, cercando di sedersi il più distante possibile, con lo sguardo fisso sul legno.

Si schiarì la gola cercando di attirare i loro sguardi.

Nessuno dei due si mosse.

Non sarebbe stato facile risolvere questa matassa di sentimenti ingarbugliati.

Scuotendo la testa sconsolata si rese conto del riflesso di un raggio di sole sul muro. Corrugò lo fronte, concentrata e seguendo con lo sguardo la traiettoria della luce, raccolse da terra un piccolo frammento di vetro, che si nascondeva dietro le gambe della sua sedia.

Lo portò al viso esaminandolo da vicino.

Sia Alicia che il professore seguirono le sue azioni, puntando a loro volta lo sguardo sul muro e capirono immediatamente cosa stesse producendo quel gioco di luce bianca sulla parete.

Le guance di Alicia si accesero della sfumatura esatta di quella dei suoi capelli.

Tombola!

Raquel appoggiò il frammento di vetro sul tavolo, picchiettando con le unghie sul pianale.

«Ieri notte ad Alicia è caduto un bicchiere» sbottò Sergio, non più in grado di gestire la tensione accumulata.

«Mi è caduto?» Alicia lo guardava incredula.

«Sì, beh… ti è scivolato a terra mentre io-» Sergio muoveva le mani in aria cercando un modo per raccontare quello che era successo la sera prima senza dover confessare ogni cosa.

«Non mi è caduto» lo interruppe Alicia scontrosa, alzando lo sguardo verso l’uomo. «Sei tu che mi hai spaventata»

«S-sì, ma-» rispose passandosi una mano tra i capelli arruffati dalla salsedine. «Io credevo che fossi un ladro»

Alicia aprì la bocca per ribattere, ma non c’era modo che fosse lei a raccontare a Raquel cosa era successo quella notte. È stato un incidente, nulla di più, continuava a ripetersi da tutta la notte. Aprì e richiuse la bocca tre volte e alla fine affondò nella sedia sconfitta.

Raquel li osservava rapita, spostando lo sguardo da uno all’altro, studiando ogni più piccolo dettaglio.

«Mi dispiace» disse Sergio, cercando con lo sguardo gli occhi di Alicia.

Alicia annuì, continuando ad ignorare la sua presenza, fissandosi le mani chiuse a pugno sul tavolo.

Sergio allungò il braccio posando una mano su quelle della donna, cercando di richiamare la sua attenzione.

Non appena le loro mani si toccarono Alicia alzò lo sguardo, perdendosi nelle sfere di cioccolato più dolci che avesse mai visto. Lasciò il calore irradiarsi in ogni poro della sua pelle e poi quando si rese conto del tocco gentile delle sue mani sulle sue, le tirò indietro, perdendo il contatto.

Abbassò lo sguardo e guardandosi le cosce un altro treno di ricordi le attraversò la mente. Poteva sentire ancora la miriade di sensazioni che aveva provato nel momento in cui i loro corpi si erano trovati così vicini. L’esatto istante in cui le loro mani si erano cercate e toccate per la prima volta.

Attraverso il tessuto leggero dei pantaloni di lino, sentiva il ricordo del calore di quelle mani irradiarsi dalla sua pelle. Come se avessero impresso la loro impronta su di lei, bruciandole la carne. Lasciando il segno.

Era troppo.

Troppe sensazioni a fior di pelle che le facevano perdere la lucidità del momento.

Guardando Raquel seduta alla fine del tavolo, provò un forte senso di colpa nel desiderare di afferrare nuovamente quelle mani e riscoprire l’effetto magico che avevano su di lei.

Era il fidanzato della sua amica – forse unica amica – e l’uomo che aveva rincorso, odiato e maledetto negli ultimi nove mesi.

Come poteva avere certi pensieri?

Come poteva anche solo desiderarlo?

Spingendosi con i palmi delle mani sul bordo del tavolo, allontanò la sedia e si alzò in piedi. «Nessun problema» ripeté con le mani alzate, più per convincere sé stessa che le altre due persone nella stanza.

Prese in braccio Victoria e con la scusa di volerla portare in spiaggia uscì dalla stanza.

Raquel e Sergio videro con la coda dell’occhio come la sua coda alta volteggiava nell’aria, seguendo i suoi movimenti affrettati, e poi spariva attraverso la porta.

Era fuggita un’altra volta.

--

Raquel rimase in silenzio in un primo momento, aspettando che fosse l’uomo a parlare per primo.

Sergio continuava a fissarsi i palmi delle mani, come se nel reticolato complesso delle linee che li componevano si nascondessero le risposte a tutte le domande che gli affollavano la mente.

«Sergio» lo chiamò debolmente.

L’uomo distolse lo sguardo dalle sue mani e girò a testa verso la donna.

«Cosa è successo?» chiese nuovamente. «Per davvero dico. Cosa è successo per davvero?»

Sergio si sfilò gli occhiali appoggiandoli sul tavolo e poi si strizzò gli occhi, allungando la pelle all'angolo con i pollici.

«Ieri sera non riuscivo a dormire e mi sono alzato» guardò Raquel chiedendosi se fosse il caso di raccontarle davvero tutto. Magari avrebbe saltato qualche piccola parte; un dettaglio insignificante se paragonato alla platea di sentimenti sommersi che turbinavano nella sua testa e trovavano un posto nel suo cuore. Un’omissione a fin di bene non avrebbe fatto male a nessuno. «Ho sentito un rumore e credevo che ci fosse un ladro in cucina. Così, uhm, ho preso una lampada» disse spostando lo sguardo verso l’oggetto che ancora era poggiato nello stesso punto in cui lo aveva lasciato. «E sono sceso al piano di sotto per controllare»

«Una lampada?» sorrise la donna divertita.

«Sì, una lampada» rispose sorridendo anche lui.

«Ok, e poi?»

Raquel lo guardava con una curiosità genuina.

Sergio dovette ripetersi ancora una volta che la donna conosceva i suoi segreti, mentre una puntura di panico iniziava a scorrergli nelle vene. Era forse paura per aver approfittato della buona fede della donna?

«L’ho spaventata» rispose conciso. «Sono entrato in cucina di soppiatto e l’ho spaventa» afferrò gli occhiali con entrambe le mani per rimetterseli. «Lei aveva una tazza di latte in mano e le è scivolata a terra. Fine della storia.»

Raquel continuava a guardarlo, per nulla convinta che un bicchiere rotto fosse il motivo di tanto imbarazzo. Aveva visto anche lei il rossore che aveva infiammato le guance della rossa non appena aveva posato il pezzo di vetro sul tavolo, ed era più che sicura che c’era qualcos’altro che l’uomo non le stava dicendo.

«E?»

Dannazione, possibile che non le posso nascondere nulla? Si chiese con il cuore che gli martellava nel petto.

«E poi…» inspirò profondamente preparandosi al gran finale. Ingoiò una grande boccata d’aria spingendola dentro i suoi polmoni. Affondò come un sasso nella sua cassa toracica. «Epoil’hopresainbraccioequasibaciata» disse tutto d’un fiato.

«Cosa?» chiese Raquel perplessa. «Non ho capito»

Sergio ripeté la frase, se possibile ancora più velocemente.

«Sergio…» sibilò irritata, massaggiandosi le tempie con entrambe le mani. Quest’uomo mi fa venire il mal di testa.

«L’ho quasi baciata.» sussurrò più lentamente.

«L’hai quasi baciata?» urlò la donna.

«Non urlare!»

«L’hai quasi baciata?» ripeté di nuovo, sussurrandolo tra i denti.

«Sì» annuì consapevole.

Raquel si passò le mani tra i capelli, tirandoli all’indietro. «E cosa ne è stato del: “le racconto tutta la verità?”» sbuffò irritata.

Sergio la guardò sbalordito. «Okay, quindi fammi capire bene…» appoggiò entrambe le mani sul tavolo spingendosi in avanti. «Sei arrabbiata per questo?» chiese picchiettando con l’indice sul tavolo. «Ti ho appena detto che volevo baciarla, e tu sei arrabbiata perché non le ho detto la verità sui passaporti e su quello che provo per lei?»

Raquel rimase a bocca aperta, in un primo momento a corto di parole.

«Sì, maledizione!» imprecò sbattendo i pugni sul tavolo. «Possibile che tu non lo capisca?»

«Capire cosa?»

«Sei un’egoista Sergio e con il tuo egoismo rischi di rovinare ogni cosa» disse alzandosi dalla sedia. «Devi dirle la verità, prima che ti scoppi in faccia. Perché nel momento in cui lo scoprirà non ti crederà mai e la perderai per sempre» spostò lo sguardo sul pezzo di vetro ancora poggiato sul tavolo, accarezzò con il polpastrello il suo lato liscio, attenta a non tagliarsi. «La perderemo per sempre» mormorò.

«Non è che sia così facile, sai?»

«Sei tu che hai deciso di giocare a questo gioco. E sappi che, questo sentimento, più provi a negarlo e più diventa forte. Io lo so bene».

«Raquel» disse Sergio, prima che la donna lasciasse la stanza. «Perché mi stai spingendo a dirle la verità?»

Raquel rimase di spalle alla porta.

«Perché penso che non esista un modello standard di amare. Accettarlo e sperimentarlo è una parte importante di questo viaggio chiamato amore. Con te ho imparato che amare significa comprendere, significa capire, significa ascoltare, significa creare connessioni» inclinò il volto di lato, guardandolo rimanendo voltata di schiena. «Questa tua confusione non ci semplifica la vita. Le relazioni sono un duro lavoro, e quello che vuoi tu richiede un lavora extra. È tutto molto più difficile, molto più complicato. Ma ho deciso di lavorare con te per farlo funzionare» appoggiò una mano sullo stipite della porta, spostando il peso del suo corpo di lato.

«In tutto questo, che cosa ci guadagni?»

«Cosa ci guadagno?» chiese sbalordita che l’uomo non l’avesse ancora capito. «In questo modo vinciamo tutti» disse, abbassando lo sguardo timida, come se avesse appena confessato un grande segreto. «Bisogna lasciare andare il proprio ego e permettersi di essere felice. Perché quando qualcuno che ami è felice, anche se non ha nulla a che fare con te, sei felice lo stesso» sorrise dolcemente alzando gli occhi per incontrare quelli dell’uomo. «E io sono felice lo stesso».

   
 
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