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Autore: ohmyglowjk    22/01/2022    0 recensioni
2137, South of Korea.
Dopo un’importante crisi economica, il tempo è diventato la nuova valuta del mondo; un denaro immateriale che ha spinto l’uomo ad abbandonare la sua vera natura per convertirsi in merce, trattabile e scambiabile sul mercato della vita. L’umanesimo sembra decadere sotto il culto di una capitale che mira al ridimensionamento del singolo davanti ad organi di potere sempre più estesi e articolati. In una illusoria e breve parità di genere, ogni individuo invecchia fino al venticinquesimo anno d’età, dopo il quale “l’orologio umano” si attiva e ogni giorno e ogni ora e ogni minuto sono a pagamento.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Min Yoongi/ Suga
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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For a few to be immortal, many must die.







 

« how can you live with yourself 

watching people die right next to you? »

« you don't watch, you close your eyes. »

 








 

CAPITOLO I



 

Namjoon si sveglia in un letto fradicio di sudore. È estate inoltrata e le finestre spalancate non hanno aiutato a rinfrescare l’aria della stanza, ancora arida e pesante come poche ore prima. È una mattina tranquilla, silenziosa, il sole brilla sereno nel cielo limpido, ma l’umore di Namjoon è torbido come l’incubo appena fatto. Non si tratta di un caso isolato, capitano spesso questi bruschi risvegli, eppure non riesce ancora ad abituarsi. Troppe mani, un’oscurità asfissiante, quella odiosa sensazione di cadere nel vuoto: Namjoon è esausto. 

Nel mettersi a sedere può avvertire la canotta bianca che indossa per la notte aderire alla schiena, zuppa quanto le lenzuola bianche al di sotto del corpo. È ancora più infastidito, avverte il nervosismo scalare le vertebre in dolorosi colpi, ma a tenerlo a bada è l’orario che nota alla sua destra. Ha a disposizione ancora trenta minuti prima che la sveglia strilli. Può preparare la colazione per sua sorella e pagare le tasse prima di raggiungere la fabbrica, ma prima di tutto questo può fare una doccia e sistemare la stanza, il letto. Le lenzuola necessitano di un lavaggio, ma aspetterà il risveglio di Myunghee per avviare la lavatrice, ci penserà poi lei a stendere tutto al sole. Nonostante gli sbuffi e gli occhi al cielo, Namjoon sa che in realtà è ben felice di farlo. Una sera, tra delle chiacchiere un po’ alticce, Myunghee gli confessò di amare di occuparsi della casa, darsi da fare con le faccende domestiche. È un modo per sentirmi vicino alla mamma, aveva mormorato. Namjoon le offrì un sorriso comprensivo e a tratti nostalgico, perché in quel desiderio rivedeva la loro stessa madre, che adorava muoversi tra le mura di casa per sentirsi utile e vicino alla famiglia. 

È un ricordo che fa sospirare Namjoon, tanto. 

Il suo umore sembra peggiorare con quei pensieri, così decide di non perdere ulteriore tempo e di dirigersi nell’unico bagno presente in casa, piccolo e illuminato dalla luce esterna del sole. Ha con sé il solito cambio d’abito lavorativo: una maglietta sbiadita e dei jeans altrettanto usurati. Trova un paio di boxer su di una mensola e gli viene quasi da ridere, perché non ha idea di come siano finite lì le sue mutande. Almeno sono pulite e può metterle. 

L’acqua della doccia è tiepida, abbastanza fresca da fargli venire i brividi. Non hanno abbastanza soldi per aggiustare la caldaia, quindi devono stringere i denti e accettare quella fastidiosa temperatura. In estate non è male, perché possono rinfrescarsi anche con dell’acqua più fredda, ma in inverno la questione è un’altra e molto più seria. Non possono nemmeno scaldarla in delle pentole, perché ciò significherebbe consumare molto gas a vuoto e loro ne hanno bisogno per cucinare. Non che abbiano a disposizione granché, per lo più patate e verdure varie. Namjoon le cucina sempre separatamente, preparando stufati e zuppe all’apparenza gustose. Deve farlo, o la dispensa si svuoterebbe in un attimo. 

Pensa di cucinare degli asparagi per la cena, una mela a testa per completare il pasto, mentre per il pranzo di Myunghee chiederà alla signora Lee di cedergli un po’ di prosciutto. Il panettiere gli donerà come ogni giorno un solo panino per un minuto e mezzo di vita, che Namjoon donerà a sua sorella per offrirle un pasto fresco e leggero. È tutto ciò che possono permettersi quella settimana, pensa Namjoon, mentre la mente ancora assonnata viene inondata da tasse e altri pagamenti. Si sente già stressato. 

Quando esce dal bagno ha la testa ancora piena di pensieri, ma almeno il sudore è scomparso e può tirare un sospiro di sollievo. Il piccolo appartamento in cui vive è ancora immerso nel silenzio e se tende l’udito può sentire sua sorella russare nella sua camera, la porta spalancata alla sua destra. Molti anni prima decise di registrare il suo ronfare adorabile per riderci su tutti insieme, in famiglia, ma ebbe in risposta solo una ciabatta sulla nuca, quindi non lo ha più fatto. 

Nonostante abbia le fattezze di un armadio, sua sorella glielo fa sempre notare, Namjoon cerca di essere delicato con le stoviglie. Non vuole provocare rumori troppo forti, dal momento che Myunghee ha ancora molto tempo a disposizione per dormire. Le sue lezioni iniziano circa un’ora e mezza dopo l’orario lavorativo di Namjoon. Inoltre, ha un sonno molto leggero e difficile da ricomporre una volta rotto. 

Namjoon riesce nel suo intento, perché quando l’orologio appeso al muro segna le sette e venti la tavola è imbandita. Ci sono le due solite fette biscottate accanto al vasetto quasi vuoto di marmellata alle arance, la preferita di Myunghee, un bicchiere d’acqua e delle posate per spalmare la confettura profumata. Ha più di tre settimane, sua sorella ne usa davvero poca per timore di finirla in fretta. È stato un regalo per il suo compleanno, pagato quasi un occhio della testa, ma Namjoon lo ha fatto con amore e non se ne pente. Come può farlo, anche solo pensarlo, quando Myunghee ha letteralmente pianto per l’emozione? Ha sempre e solo ricevuto quaderni e penne colorate, tutti regali riciclati o rubati, meritava qualcosa di speciale quell’anno che potesse renderla davvero felice. Namjoon ne ruba solo mezzo cucchiaio, così da spalmarla su una fetta di pane tostato. Ha i bordi un po’ bruciacchiati, perché la piastra è vecchia, rotta e sulla soglia della morte, ma funziona ancora e per Namjoon è sufficiente per tenerla ancora in casa. Dopotutto gli piace il sapore che ha, l’abitudine lo ha reso amaro al punto giusto. 

Ha tempo a sufficienza per raggiungere la sua postazione, la numero 34, nella fabbrica in cui lavora ormai da quasi dieci anni. Tra tre mesi otterrà finalmente un aumento e, se continuerà a comportarsi bene per altri due, riuscirà anche ad avanzare di grado. Lo sposteranno di settore e questo, secondo i suoi accurati calcoli, comporterà un ulteriore piccolo aumento. Namjoon ha atteso così tanto questo momento e sa che non mollerà proprio ora che sta per realizzare il suo sogno, è determinato a raggiungere il suo obiettivo. Desidera così tanto avere una vita agiata, senza dover temere di abbandonare la vita da un giorno all’altro; o meglio, da un minuto all’altro. Avere più tempo a disposizione significherà anche poter mettere qualcosa da parte e donare dopo tanti anni una vacanza a Myunghee. Un bene di lusso, secondo le voci del distretto, ma non una tappa irraggiungibile. 

Poi, c’è chi è riuscito ad abbandonare il ghetto, così è chiamata la sua zona, e a vivere con il sorriso sulle labbra. Un certo Kim Taehyung, un minatore di appena centosei anni, ha battuto tutti i record e ora è un casinista nella zona otto. Non si sa più molto di lui da anni, dal momento che le notizie di un distretto non escono mai dai suoi confini, ma Namjoon è riuscito a intercettare qualche mormorio vago e a capire che ora vive sereno con il suo nuovo compagno. Namjoon è felice per lui, così come lo sono le persone che frequentava Taehyung, e gli augura con tutto il cuore di vivere una vita che sia degna d’essere chiamata tale, perché sa quanto possa essere torbida e sudicia la società della zona dodici, quanto possa essere menefreghista e subdolo il sistema della città. Namjoon non aspira a cambiare zona, ha abbandonato questa idea da tempo. Sta bene nella casa dei suoi genitori, vuole solo poter ottenere tempo extra per allontanare qualsiasi forma d’ansia e di tensione, dimenticare la corsa del proprio cuore in attesa del suo nettare vitale. 

È con questa catena di pensieri che arriva alla fabbrica, polverosa come sempre. Ha un sorriso cordiale sulle labbra e un buongiorno gentile per chiunque incroci il suo sguardo. Namjoon ama quella fase della giornata, perché sono tutti ancora assonnati e sembrano piuttosto pacifici, almeno nei primi secondi di una conversazione. La fabbrica sbuffa, ronza, alcuni macchinari stridono di tanto in tanto, ma l’atmosfera è serena. I corridoi non sono ancora affollati e lungo il tragitto per la sua postazione incontra Hoseok. È un giovane di appena quarant’anni, dal sorriso ampio e un tono piuttosto alto di voce. È arrivato alla Time Factory da circa due settimane e Namjoon sente già di adorarlo. A differenza degli altri lavoratori, Hoseok è sempre allegro e sembra che gli piaccia davvero portare caffé in giro e poi dedicarsi ai propri compiti. Il suo primo incarico riguarda la sicurezza del settore quattro e ha un turno di otto ore al giorno nella sala registrazioni. Deve osservare e denunciare i possibili furti o qualsiasi lavoro svolto male. È ancora in prova, ma sembra svolgere bene il suo lavoro. Naturalmente, pensa Namjoon, altrimenti sarebbe stato già licenziato.

Namjoon lo saluta con un ampio sorriso quel giorno e alza la mano in un veloce cenno. «Buongiorno, Hoseok. Come stai?» 

Il ragazzo gli offre un contenitore di carta fumante: ci sono dei fiorellini disegnati verso il fondo e non è affatto complicato intuire che lo abbia fatto Hoseok personalmente, dal momento che le sue dita vantano adorabili macchie di inchiostro. Namjoon riesce ad intravedere alcuni nomi scarabocchiati sugli altri contenitori e quando ruota il proprio ecco che compare anche il suo. Non si è trattata di una casualità, quindi. Sente un incredibile calore scaldargli il petto e si chiede se, dopo la loro ultima conversazione, non abbia fatto breccia a tal punto da meritarsi un simile premio. Lo riceverà anche domani? 

«Splendidamente, come sempre! E tu, piccolo gorilla? Dimmi, come sta la principessa di casa?»

Namjoon si concede alcuni secondi di silenzio per bere due sorsi di caffè: è bollente e poco zuccherato, ma non può permettersi di avere delle preferenze. Non è poi così male se pensa che Hoseok lo abbia fatto proprio per lui. 

«Sta bene, ronfa ancora nel letto. Le lezioni per lei iniziano più tardi. Io.. bhe, suppongo anche io bene. Fa solo già troppo caldo per i miei gusti.» 

Hoseok ride e gli dà ragione con un borbottio che lo diverte molto. È un personaggio particolare, bizzarro, quasi fosse saltato fuori da uno degli anime che sua sorella ama guardare di sera, mentre lui le accarezza i capelli dopo una stressante giornata scolastica. 

«Augurami buona fortuna, spero di non beccare nessun brontolone.»

Namjoon lo fa con un sorriso pieno sulle labbra, sperando in cuor suo che entrambi possano trascorrere una serena giornata. Manda giù un altro sorso del proprio caffè e accompagna Hoseok con lo sguardo lungo tutto il corridoio metallico, scuotendo la mano in aria quando il giovane si gira per sorridergli un’ultima volta. Namjoon è felice di avere una figura tanto tranquilla con cui avere un rapporto amichevole all’interno della fabbrica. Fino a quel momento i suoi imbarazzanti approcci si erano fermati ad un come stai? piuttosto timido e titubante, tentativi interrotti con molta fretta e grugniti infastiditi. Suppongo non bene. Un comportamento comprensibile per il loro stile di vita, ma nelle notti più tormentate Namjoon si chiede se non sia lui il vero problema, il pezzo difettoso del puzzle. Non ha un bel sorriso come quello di Hoseok, nemmeno un naso grazioso o degli occhi particolarmente belli, ma ha un’espressione tanto penosa sul viso? I suoi approcci sono così poco efficaci? Hoseok ha una dentatura perfetta e un animo scoppiettante, ma questi elementi mancanti sono così cruciali per la base di una conversazione? 

Namjoon raggiunge tristemente la propria postazione. È più isolata delle altre e richiede un camice differente e un tesserino per potervi accedere. Non è un settore differente, sarebbe l’unico dipendente a farvene parte, ma è abbastanza importante da avere delle guardie all’ingresso. Non fanno un granché, parlano ancora di meno dei suoi colleghi. Indossano perennemente dei caschi con una visiera scura, un completo nero e un giubbotto antiproiettile. Namjoon non ha mai visto i loro volti, non conosce nemmeno i loro nomi, ma può ammettere di riconoscere bene i loro passi e le voci. 

Quando giunge sul cerchio d’attesa, mostra il cartellino e loro annuiscono, permettendogli di procede, senza che nessuna frase superflua venga proferita. Se riflette e si proietta verso una particolare prospettiva della faccenda, può intravedere i vari aspetti positivi. Può, ad esempio, circondarsi di un sano silenzio quando è troppo stanco per parlare o quando è costretto a sopportare le sue frequenti emicranie. Altro, purtroppo, non gli viene in mente. 

Appena si siede alla sua solita postazione, Namjoon non avverte più nulla che non sia il freddo dell’ambiente metallico, il ticchettio della sveglia che ha sul ripiano alla propria sinistra e il ronzio delle macchine. Ha una scrivania ad u alle sue spalle, con un pannello scorrevole per il passaggio. Molti chiamano quello spazio ripostiglio delle emergenze, perché nato per custodire qualsiasi attrezzo utile nei momenti di crisi, come guasti e malfunzionamenti, ma Namjoon ha sempre odiato l’aspetto anonimo delle scrivanie altrui. Sulla propria ci sono foto, snack, piccoli giochi con cui passare il tempo, un telefono fisso e una moltitudine di attrezzi. Ha personalizzato tutto lentamente, giorno dopo giorno. Molte cose non potranno mai servire, ne è consapevole, ma a lui piace avere quell’angolo luminoso e colorato alle proprie spalle. Tra una pausa e l’altra può voltarsi dalla sua sedia girevole e sospirare beato, perché ha con sé un po’ dell’atmosfera di casa. Non è molto, ma abbastanza da confondere il cervello. Lo rilassa e gli permette di tornare ogni volta a lavoro senza un eccessivo carico di stress sulle spalle. 

Namjoon si occupa di chiudere le capsule del tempo, deve sigillarle e successivamente attivarle. La prima volta che gli spiegarono i passaggi non capì nulla e sbagliò innumerevoli volte. Era giovane e inconsapevole al tempo, prendeva tutto alla leggera e non si applicava molto. Quando il mondo iniziò a girare nel verso opposto, Namjoon decise che era giunto il momento di darsi una mossa e quando l’anno successivo riprovò il colloquio riuscì ad ottenerlo in quello stesso giorno. Veloce, silenzioso, minuzioso. Si era esercitato con dei modellini di carta per più di quattro mesi e tutte quelle notti insonni trascorse a pensare alla procedura si rivelarono utili, lo ricompensarono. 

Ora eccolo lì, a sessant’anni di distanza, nella sua postazione, immobile, ad eccezione delle braccia che prendono e assemblano, chiudono e avviano il programma di sicurezza; a detta di molti impossibile da raggirare. Eppure il nome di Jeon Jungkook nessuno l’ha mai dimenticato. Fu l’unico, trent’anni prima, a scoprire i codici della TimeBank per disattivare le capsule e rubare ciò che custodivano. Ancora oggi, ufficialmente, nessuno sa come abbia fatto. I misteri intorno al caso della volpe, così chiamato dalla gente comune e successivamente dai media, sono ancora molti. Ad esempio, come ha fatto ad ottenere tali capsule? I video di sorveglianza non offrono alcun indizio, le registrazioni non sembrano truccate e le guardie affermano di non aver visto nulla. Si sospettava fossero sue complici, almeno una, ma anche dopo giorni di duri e intensi interrogatori (Namjoon sospetta con della violenza psicologica e fisica) nessuno cambiò versione: non avevano visto nulla, se non i soliti collaboratori fidati che depositavano i contenitori metallici nelle casseforti. C’erano firme, filmati dettagliati delle loro azioni. Sembrava impossibile un furto, eppure quando alla fine del mese vennero controllate e contate le capsule ne mancavano all’appello circa trenta. Un tesoro assurdo e inestimabile per Namjoon, se pensa alle cifre che i grandi vertici dello Stato, come lo stesso proprietario della TimeBank, vi depositavano all’interno. 

Un giorno di fine inverno, a causa di un guasto piuttosto insolito, Namjoon dovette maneggiarne una già piena e fu davvero difficile rimanere professionale. La cifra esorbitante che vide avrebbe permesso alla zona dodici di fiorire come ciliegi in piena primavera e alle persone di vedere meno cari morire di stenti. Sarebbe stato un miracolo, un dono divino, la salvezza di tutti. Chiunque ne avrebbe rubato un po’, nessuno si sarebbe accorto della mancanza di qualche anno, eppure Namjoon teneva alla sua vita e al lavoro che svolgeva. Chi rubava ingenti somme di tempo poteva non vedere più la luce del giorno. Esistevano due condanne, una più orribile dell’altra. Se il tempo veniva rubato da capsule appartenenti a persone delle ultime otto zone, coloro che si macchiavano di questo illecito erano costretti a vivere in una cella maleodorante fino allo scadere del proprio tempo vitale, senza cibo né acqua. Invece, se il tempo proveniva dalle capsule delle prime quattro zone, colui che osava impossessarsi del tempo altrui veniva condannato a morte e fucilato all’istante. 

Se chi stava al governo avesse compreso i reali problemi dei distretti più emarginati avrebbe potuto eliminare queste torture. Sarebbe bastato un aumento equo tra i lavoratori più disperati, prendendo la risorsa primaria da chi ne possedeva così tanta da doverla immagazzinare in delle capsule esterne. Eppure lo Stato preferiva chiudere gli occhi e bearsi di quel fittizio silenzio, non sapendo che in realtà rappresentasse soltanto la quiete prima di una tempesta, una rivoluzione che avrebbe sconvolto l’intera nazione. 

L’aria in periferia già vibrava e puzzava di cenere, come se le anime dei lavoratori più deboli stessero accrescendo man mano l’odio verso coloro che si erano imposti, quasi senza consenso, al vertice del paese come guida. Si vantavano di aver portato la pace, di aver ristabilito l’ordine, quando non avevano fatto altro che coprire pietosamente il macello che i loro predecessori avevano creato. Nulla rimane nascosto per sempre e prima o poi la Corea del Sud sarebbe stata scossa da un cataclisma di insoddisfazione e sofferenza, creando panico e seminando sangue. Nessuno delle prime tre zone sarebbe stato al sicuro tra le proprie mura, perché la furia che si sarebbe abbattuta su di loro avrebbe eliminato qualsiasi barriera materiale. Namjoon credeva che nemmeno pregare i rivoluzionari in ginocchio, versando lacrime di perdono e promettendo doni, li avrebbero fermati dal decapitarli. Lo avrebbero fatto in piazza, come un evento da non perdere. Se fosse successo, Namjoon avrebbe promesso a Myunghee una crostata di ciliegia, così da farla rimanere a casa ed evitarle una scena così cruda e violenta. 

Quando Namjoon finisce il turno sono le sei inoltrate, il sole ancora splendente in alto nel cielo, nascosto solo da qualche nuvola passeggera. Sembra fare più caldo di quella mattina. Namjoon ha mangiato del ramen istantaneo a pranzo, una pausa di soli dieci minuti, ma era una confezione così piccola per un corpo spesso come il suo che ora si ritrova lo stomaco vuoto, che si agita e borbotta lamenti insoddisfatti. Purtroppo dovrà aspettare altre due ore prima di mangiare altro cibo. Deve pagare le tasse —sicuramente dovrà aspettare molto per la fila— e prendere l’autobus che lo terrà impegnato circa mezz’ora. Potrebbe correre lungo il tragitto fino a casa, risparmiando così qualche minuto, ma è già così stremato dal poco cibo che ha immesso nell’organismo che non se la sente di morire d’infarto. 

Quindi, si dirige alla CashTime, dove già una quindicina di persone stanno aspettando impazienti il proprio turno. Ecco un altro spreco, pensa. Basterebbe poco per sottrarre le tasse direttamente da ciò che guadagnano, invece di fare aspettare minuti interminabili a degli sportelli a cui non importa minimamente se muori o vivi. Chi ci lavora parla sempre troppo piano e agisce allo stesso modo, timbrando, firmando e consegnando il dovuto guadagno mensile con una lentezza che a Namjoon dà sui nervi. Devono avere un buon contratto, con delle agevolazioni sulle tasse della casa e dei vari servizi o non si spiegherebbe quel modo bizzarro di comportarsi. Forse non sono nemmeno della zona oraria 12, ma provengono da altre più benestanti. Si ritrova ad invidiarli un po’, giusto qualche secondo, prima che la sua mente sia troppo occupata ad osservarsi l’orologio vitale sul braccio per controllare quanto gli resta. 

«Nome?»

«Kim Namjoon.»

Il ragazzo, che porta il nome di Byun Baekhyun su di una targhetta luminosa, digita il suo nome nel database. Mastica una gomma in modo rumoroso, facendo tintinnare i bracciali ad ogni tasto pigiato. 

«Un giorno e trentasei minuti.»

Namjoon si sente mancare il terreno da sotto le suole delle scarpe usurate. Erano diciannove ore lo scorso mese, come quello precedente e quello prima ancora, quindi perché diamine ora è un giorno? E trentasei minuti! 

 «Scusi, può ricon—»

«Un giorno e trentasei minuti. Paga o verrai ammonito con due ore.»

Lo sguardo che incontra non gli piace, lo fa sentire piccolo, indifeso, difettoso, considerando anche tutti gli occhi della fila alle sue spalle che ora avrà sicuramente addosso. Vorrebbe sparire e rinascere in un altro stato come animale, magari come gatto. Almeno loro non devono preoccuparsi di tasse e tempo sprecato. Vivono alla giornata, mangiando, dormendo e riproducendosi. 

L’ansia e la tensione che percepisce lo costringono ad avvicinare il polso al lettore, cedendo il tempo richiesto. Solitamente non si avverte nulla quando si cede o si accetta del tempo, ma questa volta Namjoon può sentire ogni singola goccia amara di disagio bruciargli il petto ad ogni secondo sottratto. Un giorno e trentasei minuti, questo è assurdo. 

Ci pensa per tutto il tragitto in autobus, stringendo il braccio sinistro al petto in una stretta che fa male, ma non quanto il tempo che ha perso. Un giorno e trentasei minuti. Millequattrocentosettantasei minuti. Namjoon vuole vomitare, sente lo stomaco piangere acido contro le proprie pareti, eppure non vuole cedere quei pochi grammi di carboidrati che ha assunto. Prova a pensare ad altro, canta in modo strozzato la sua canzone preferita, ma quando Myunghee apre la porta di casa Namjoon scoppia in un pianto disperato. Odia mostrarsi a sua sorella così debole e afflitto, ma l’aumento del proprio salario è ancora lontano e non ha idee sufficienti per poter vivere abbastanza da pagare la seconda rata del mese. Piange e singhiozza tra le gracili braccia di Myunghee, aggrappandosi a lei avvilito. Ha solo cinque giorni scarsi a disposizione, ciò significa che anche evitando qualsiasi spesa non avrebbe tempo a sufficienza per raggiungere il prossimo Lunedì e ottenere il salario settimanale. 

«Jonnie..» La voce di Myunghee è soffice e calda nelle sue orecchie, a Namjoon ricorda il miele lasciato al sole per sciogliersi. «Abbiamo superato tante difficoltà in questi ultimi anni, continueremo a farcela. Puoi .. prendere il mio giorno.»

Ai diciotto anni, in vista del venticinquesimo compleanno, lo Stato cede ad ogni cittadino appena maggiorenne ventiquattro ore. Le famiglie più abbienti viziano i propri figli già in tenera età, cedendo loro interi anni, a volte millenni, così da avere un orologio vitale già sostanzioso al suo avvio. Myunghee, purtroppo, non ha avuto questa fortuna. Tutto ciò che guadagnano lo spendono in poco tempo per sopravvivere, non riuscendo a mettere nulla da parte. Sottrarre del tempo alla ragazza non comporterebbe nessun rischio, dal momento che il suo orologio è fermo, ma Namjoon sa quanto Myunghee tiene a quelle ore. Le sono state donate quando i loro genitori erano ancora vivi, trasformando quel tempo in un ricordo temporaneo sulla propria pelle.

«Non se ne parla.» Ribatte Namjoon fermamente, corrucciandosi tra le lacrime.

«Manca ancora molto tempo, Namjoon. Possiamo recuperare queste ore con calma, settimana dopo settimana. Dobbiamo farlo, altrimenti .. »

«Non dirlo, non succederà.»

«Lo dici anche tu, vedi? Quindi perché piangi quando sai che ce la faremo, mh? Non rovinare questo tuo bel visino con le lacrime, poi non vorrà sposarti nessuna!»

Namjoon protesta e Myunghee gli pizzica un fianco in ripicca. È in questo modo che iniziano una lunga e chiassosa battaglia a chi riesce a solleticare di più l’altro. Ridono a crepapelle, piangono di gioia, schiamazzano allegri: il mondo sembra fermarsi, frenando l’incessante scorrere del tempo tra le sue verdi braccia per concedere loro qualche minuto di serenitàÈ questo tipo di felicità che Namjoon desidera donare a sua sorella ed è la stessa che è intenzionato ad ottenere anche per se stesso. Myunghee ha ragione, hanno superato molte avversità, ce la faranno anche questa volta. Insieme.

 
   
 
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