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Autore: Pandora13    23/01/2022    0 recensioni
Evelyn voleva solo godersi quella piovosa giornata d'autunno, ma una lettera inusuale rovinò i suoi piani.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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NdA: Questa storia è un'originale che avevo scritto per partecipare ad un concorso su Wattpad nel 2018, in particolare alla collaborazione Halloween AmbassadorsITA 2018, ma che di fatto per me è stata la dimostrazione che non sono in grado di scrivere per dei contest. Non perché io non sia soddisfatta della storia in sé, ma perché ho avuto la conferma di non essere in grado discrivere sottostando a regole altrui, seguendo prompt rigidi e lunghezze predefinite, la mia fantasia pretende di andare a briglia sciolta.
Troverete due frasi in grassetto corsivo, si tratta di due citazioni di 
Dracula di Bram Stoker, la prima era quella associata al prompt da me scelto per il concorso sopracitato, la seconda è venuta naturalmente di conseguenza poiché perfetta per la storia.
Ci sono molte cose che devo ancora revisionare (ad esempio mi è stato fatto notare di aver usato un linguaggio "medievale", laddove ne sarebbe servito uno settecentesco, cosa su cui intendo lavorare il prima possibile, ma per cui dovrò fare delle ricerche che prenderanno molto tempo), ma ho voluto comunque pubblicarla per avere dei riscontri, anche perché ci sarebbe un mezzo progetto di creare una long a partire da questa OS e mi farebbero piacere alcuni pareri in più, prima di iniziarlo.
Sperando che indipendentemente da tutto vi possa piacere: Buona lettura!

 




Evelyn guardò per l'ennesima volta fuori dalla finestra, sperando di veder arrivare il postino.
Erano giorni che attendeva quella lettera, ma niente, solo l'ennesima bolletta, da Glasgow nessuna notizia.
Sospirando, andò in cucina per prepararsi del tè, quella -da buon inglese- era un'abitudine a cui non poteva rinunciare! Inoltre era intenzionato a godersi quella giornata autunnale, dunque quale modo migliore, se non mettersi di fronte al camino acceso, con un buon libro ed una tazza fumante, ascoltando la cadenzata melodia della pioggia?
Mise a scaldare l'acqua in un antico bollitore, preparò su di un vassoio la propria tazza, la zuccheriera, il piattino con il limone ed il bricco del latte: quello era il suo rituale e ogni elemento era sempre meticolosamente al proprio posto.
Venne distratto da un suono metallico: era la cassetta della posta che veniva aperta, ne era certo!
Si affacciò nuovamente alla vetrata, ma non vide nessuno nelle vicinanze, decise comunque di andare a controllare.
Camminò lentamente, la leggera pioggia che gli accarezzava i capelli e i battiti del cuore che acceleravano.
Aprì la cassettina e... ERA LÌ!
Rimase ben presto deluso, quella non era assolutamente la lettera che stava aspettando. Era una busta ingiallita dal tempo, vergata con una bellissima grafia, elegante e sottile, scritta con una penna stilografica e chiusa da un sigillo di ceralacca verde.
La prima cosa a cui pensò, fu un qualche tipo di scherzo: la festa di Halloween si stava avvicinando ed era più plausibile quella eventualità, che un qualche invito ad un party, del resto nessuno lo aveva mai invitato, era sempre stato un uomo piuttosto taciturno, introverso... strano, inoltre il nome scelto da sua madre per lui -tipicamente femminile- unito alla sua omosessualità, non avevano aiutato ad arricchire la sua vita sociale.
Sulla busta non c'erano nomi, solamente gli indirizzi di mittente e destinatario. Sebbene fosse indirizzata a casa sua, decise di ignorarla e riprendere la sua pacifica giornata.
Tuttavia il pensiero di quella lettera, abbandonata sul tavolinetto lì vicino, si era insinuato come un tarlo e non voleva andarsene, sembrava chiamarlo, sembrava implorare di essere letta e -alla fine- la curiosità ebbe la meglio.
"Mia amatissima metà,
mio tosco, tormento, irraggiungibile amore.
A voi volgo il pensier mio, all'alma vostra, cui la mia anela, affogando nel disio dei vostri occhi d'ambra, delle vostre labbra dolci di tè, del vostro profumo di pioggia, che tutto avvolge ed ogni dolore placa.
Ivi rimango, in attesa di un cenno vostro.
Il ricordo solo rimane: memoria fugace di un destino crudele.
Persi in un limbo quei giorni d'amore, causa dell'ambizione che ci rese estranei.
Ma in cor mio la speranza mai si spense.
A presto dunque,
Eternamente Vostro,
Gayelord."
Quella era... una lettera d'amore di un uomo alla propria amata?
Trovò in quella scoperta la conferma che quel manoscritto fosse solo uno scherzo di cattivo gusto.
Decise di accantonarlo e andò a dormire.
Quando però, nei giorni successivi, uscendo per le commissioni, o anche semplicemente in giardino, nessuno diede segni di volerlo deridere, comprese che c'era dietro ben altro e la curiosità di scoprire quel mistero si insinuò lentamente sotto pelle.
Finì col leggerla nuovamente, più e più volte, totalmente rapito dalla dolcezza di quelle parole e dal dolore che esse celavano.
I giorni passavano, Ottobre stava per finire e lui non riusciva ad abbandonarla.
Era tanto concentrato su quella lettera, da aver per un attimo dimenticato quella che stava aspettando.
Quando se ne ricordò, pensò che fosse andata persa e collegò: anche quella lettera poteva esser stata scritta diversi anni prima ed essersi smarrita, probabilmente, quando era stata ritrovata, qualcuno aveva pensato di portarla al giusto indirizzo, magari pensando che adesso vi abitasse qualche lontano parente della destinataria, il quale avrebbe avuto piacere a custodirla.
Di certo i due protagonisti di quella triste storia, ormai non avrebbero più potuto raccontarla, avrebbero dovuto essere ultracentenari.
Chi sa -si chiese- se si erano mai ritrovati.

 





Erano le tre del mattino ed Evelyn era ancora sveglio, a scaldarsi l'anima con le profonde parole di quell'uomo innamorato. Non riusciva a comprendere perché le sentisse tanto sue, era qualcosa di assurdo! Irrazionale! Evelyn al di fuori dei suoi romanzi, viveva solo di logica.
Nonostante ciò, continuava a rileggerla, pensando che quell'uomo parlasse a lui, desiderandolo, innamorandosi, a poco a poco, dell'amore che quella lettera racchiudeva.
Basta! -si disse il mattino successivo- Avrebbe riconsegnato quella lettera e smesso di pensarci! Ma come?
Iniziò una ricerca incessante e minuziosa, dal municipio, alla biblioteca, fino ad internet, ma non trovò niente riguardo a chi avesse abitato quella casa secoli addietro.
Beh, se non vi era modo di scoprirlo, pensò, sarebbe andato direttamente alla fonte ed avrebbe semplicemente restituito la lettera al mittente, o meglio, alla sua famiglia.
Aveva solo l'indirizzo, ma era certo che, giunto a Salisbury, non avrebbe fatto fatica a trovare l'abitazione e riconoscerla.
 



Forse sarebbe stato più difficile del previsto: girava da un'ora per la contea, vagando tra case e negozi, tutti semplici e identici.
Stanco e scoraggiato, si sedette in un bar. Sovrappensiero, estrasse la busta di tasca ed iniziò a girarsela tra le mani.
Improvvisamente si alzò un bisbiglio, si ritrovò con tutti gli occhi puntati addosso. Chinò il capo arrossendo, imbarazzato da tante attenzioni e fece per riporla, ma una mano, esile e segnata dalla vecchiaia, si posò con gentilezza sulla sua, fermandolo.
«Dove l'hai trovata, caro?» chiese l'anziana.
Evelyn le rivolse uno sguardo indagatore, ma non riuscì a mostrarsi infastidito di fronte a quel sorriso dolce e materno.
«Io... l'ho ricevuta» rispose sospirando.
«Girano molte voci a riguardo... Lui non esce da anni... e una tenuta così grande, in quelle condizioni... parlano di fantasmi, altri la ritengono soltanto disabitata... ma se proprio ci tieni... in cima alla collina, dove sorge la grande quercia...» disse, senza perdere il sorriso.
Evelyn ci mise un attimo ad elaborare tutto ciò che gli era appena stato detto, quando si voltò per ringraziarla, era già scomparsa.
In un misto di ansia ed anticipazione, si incamminò verso il luogo indicato.
«Ma dove va lo sconosciuto?» sentì chiedere.
«Non starà davvero andando...».
«Ma sì! Vi dico che aveva una busta con lo stemma dei Richardson, vuole andare là!».
«Quello è pazzo!».
Le voci dei paesani, tutte attorno a lui, non facevano che aumentare quel senso di angoscia che stava provando.
Il cuore correva impazzito, anche se, forse, il sentimento che lo stava spingendo non era davvero così totalmente negativo.
Proseguì il proprio cammino, nonostante il respiro corto e le mani leggermente tremanti, giunse fino al lato ovest del villaggio, laddove si ergeva la collina di cui parlava l'anziana.
Alzando lo sguardo, vide che un alto muro, ricoperto d'edera e rovi, chiudeva il passaggio. Lo seguì finché non giunse di fronte ad un enorme cancello che ricordava l'ingresso degli antichi manieri e al cui centro spiccava lo stesso simbolo impresso sulla busta.
Non appena vi fu di fronte, il cancello iniziò ad aprirsi con un cigolio sinistro, facendolo sobbalzare.
Il cuore accelerò ancora i propri battiti, ma ben presto la razionalità prese nuovamente il sopravvento.
Certamente -si disse- anche se l'aspetto era quello di secoli addietro, erano state installate videocamere di sorveglianza e meccanismi di apertura automatica.
Deglutì ed attraversò l'ingresso, proseguendo sul sentiero sterrato.
L'enorme giardino appariva meraviglioso e perfettamente curato eppure dall'esterno avrebbe giurato che l'intera zona fosse abbandonata.
Pensò che fosse un'illusione creata ad arte, una scelta del proprietario per tenere lontani ladri e scocciatori.
La logica non trovava altre plausibili risposte, la mente non comprendeva altre possibilità eppure il cuore palpitava e lo faceva d'emozione, come se fosse un luogo a lui caro che lo stava accogliendo, come se quella villa e il suo proprietario fossero lì ad attendere lui.
Si godette la lunga passeggiata tra siepi, roseti e fiori di ogni genere, finché non scorse in lontananza la vecchia villa, che da lì appariva tutt'altro che fatiscente e -sulla soglia- una figura che lo lasciò senza fiato per la propria bellezza.
Era un uomo affascinante: alto e muscoloso, con spalle ampie sulle quali ricadevano lunghi capelli mossi, neri come la notte più profonda.
Avvicinandosi poté notare l'inusuale abbigliamento: indossava un completo in tre pezzi alla francese, di quelli tipici di fine 1700; i colori erano brillanti, ma raffinati: giacca e culottes erano color antracite con arabeschi argentati, il panciotto e le scarpe di un bellissimo verde smeraldo, perfettamente intonato -notò- ai suoi occhi.
Era rimasto immobile ad osservarlo, stupito e rapito da quella visione, si riprese quando questi si inchinò, prendendogli la punta delle dita con le proprie e facendo un galante baciamano.
«Vi stavo aspettando, messere...» affermò con voce calda e decisa.
Imbarazzato, Evelyn accennò un inchino con il capo e lo seguì all'interno.
Tentò di essere cortese e discreto, ma non poté fare a meno di guardarsi attorno ammirato, entrando nel salone: sembrava uscito da un libro di storia!
La stanza era adornata con raffinati dipinti e ritratti d'epoca Georgiana, la legna scoppiettava in un ampio camino incassato nella parete a fianco ai due divani, al centro dei quali, un tavolo da fumo in mogano era apparecchiato con un pregiato servizio da tè.
«Si accomodi.».
«Grazie. Senta io...» iniziò titubante, l'eleganza ed i modi di quell'uomo, assieme alla sua incredibile bellezza, lo mettevano in soggezione.
«È qui per la lettera.».
«Ma... come..?».
«È per lei!» lo interruppe deciso, senza guardarlo.
«Per chi?» chiese l'ospite, credendo che l'uomo si riferisse a una delle dame rappresentate nei ritratti alla parete.
«Lei!» ribadì, stavolta guardandolo negli occhi con un'intensità disarmante, facendogli correre un brivido lungo la schiena.
Fece per ribattere, ma l'altro lo precedette: «Beviamoci un tè, vuole? Poi parleremo con calma.» disse, porgendogli la tazza fumante.
Bevvero lentamente in un placido silenzio, che sembrò interminabile.
Evelyn si asciugò i palmi delle mani sui pantaloni più volte: si sentiva immotivatamente agitato.
Dopo l'ultimo sorso, con un profondo respiro, posò la tazzina e drizzò la schiena, pronto a parlare. Quel momento di pace era servito a schiarirsi le idee e ritrovare un po' di sicurezza.
«Cosa intendete dire -chiese adeguandosi al suo modo di interloquire- come può quella lettera essere per me?».
«Ahimè, grandi risposte non posso darvi, messere, forse anzi, aggiunger dimande. Tre giorni rimangono, prima che la luna nuova coincida con la notte dedicata agli spiriti erranti. Venite allora, se la memoria avrà fatto ritorno. Di più non vi è concesso conoscere dalla voce mia, al silenzio costretto, io che ho attraversato gli oceani del tempo per trovarvi».
«La memoria? Ma di che parla?».
«Dissi già più di quanto concessomi, messere... non voglio sfidar fortuna, che già una volta la persi, quando nessuno le era più vicino di me. Arrivedervi, messere.» e con quell'ennesimo enigma ed un rispettoso inchino, lo accompagnò alla porta, frastornato e confuso.
Il cuore batteva ancora a mille, ma -ora ne era certo- non aveva niente a che vedere con la paura.
Avrebbe dovuto. Razionalmente avrebbe dovuto esser terrorizzato da quell'uomo con abiti e modi d'altri tempi, che sembrava conoscere i suoi pensieri e che parlava per enigmi.
Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa: un folle, uno stalker, oppure... NO! Quello non era possibile! Mostri, vampiri e fantasmi non esistevano, si stava solo lasciando condizionare dal contesto e dal fatto che l'uomo avesse citato il suo libro preferito: "Dracula" di Bram Stoker.
Che davvero si trattasse di uno scherzo? Sembrava un po' troppo articolato per esserlo.
Poi gli sguardi di quell'uomo e la dolcezza delle sue parole... c'era l'eco di un sentimento profondo e sincero, seppur lontano.
Forse era semplicemente un uomo innamorato di lui, un ammiratore -anche se la cosa gli sembrava strana- che per conquistarlo aveva deciso di stupirlo, agendo e vestendo come un nobiluomo della sua epoca storica preferita.
Anche questo gli pareva eccessivo, poi perché mai avrebbe dovuto far riferimento alla sua memoria? Qualcosa non quadrava!
Arrivando a casa notò, a proposito di memoria, che la cassetta delle lettere era ancora vuota.
 
 

Gaylord si lasciò cadere sul divano con un movimento regale ed aggraziato, in totale contrasto con il pesante sospiro che fuoriuscì dalle sue labbra.
Era sempre difficile avere a che fare con Evelyn, soprattutto senza potergli dire la verità. Era quasi impossibile, soprattutto quando tutto ciò che avrebbe voluto fare era baciarlo, stringerlo tra le proprie braccia e ribadire il proprio amore per lui, ascoltando assieme il dolce suono della pioggia.
 

*1790, alla corte di re Giorgio III*
 

Era ritornato in Inghilterra, la patria dei suoi genitori, era un mago poco più che ventenne , fortemente attratto dai valori dell'illuminismo e della Rivoluzione francese, quando quella stessa Rivolta gli aveva sottratto il padre che in segreto lavorava al servizio del Popolo da più di un secolo.
Il nome della sua famiglia, i suoi già grandi poteri ed il suo acuto ingegno, gli avevano assicurato immediatamente la fiducia da parte del sovrano.
Lavorando a corte aveva avuto modo di conoscere ogni genere d'uomo, dal più umile stalliere, al più ricco degli aristocratici. 

Aveva conosciuto prostitute e Dame di corte, ma di ogni persona che aveva incontrato nella sua vita, solamente una aveva attirato la sua attenzione: si trattava di un ragazzo -un uomo- poco più giovane di lui, il quale lavorava come alchimista presso il re, tuttavia egli non era un mago, bensì un uomo di scienza.

Aveva iniziato a girargli attorno per controllarlo: nel suo mondo, quelli come lui, non erano umani ben visti! Tuttavia con il tempo aveva finito per rimanerne inevitabilmente ammaliato.
Era un uomo di bell'aspetto, longilineo, capelli castani, quasi biondi, occhi color ambra ed un sorriso raro, ma contagioso. Era estremamente razionale e passionale al tempo stesso, o meglio, non riusciva a contenere le emozioni che affioravano nei suoi occhi, quando la ragione lo portava a nuove scoperte.
Aveva imparato che amava il tè e che era molto metodico, per cui se possibile esso doveva essere preparato seguendo un preciso rituale; infine che la pioggia lo rilassava.

Prima ancora di accorgersene erano legati l'uno all'altro dalle catene dell'amore.

Un giorno, parlando delle rispettive ricerche, avevano scoperto di avere un obiettivo comune, la creazione di un elisir di lunga vita.
Mentre lo scienziato voleva crearlo principalmente per sopperire all'insufficienza di tempo in una vita umana per placare la sua sete di conoscenza, il mago voleva crearlo per poter passare l'intera esistenza al fianco dell'uomo che amava.
Si potrebbe pensare che questo mostrasse un dislivello nei loro sentimenti, ma non era così ed i fatti lo dimostrarono.

Dopo dieci lunghi anni di ricerche ed esperimenti, riuscirono a creare l'elisir: si trattava di una sorta di pozione -o composto chimico che dir si voglia- dal colore intenso del tè nero e dall'odore di pioggia, ma berlo non era sufficiente, perché esso avesse effetto doveva essere assunto regolarmente, seguendo un preciso rituale, molto simile alla "cerimonia del tè" Giapponese.
La gioia nello scoprire che il rituale funzionava, però durò poco.

In una fumata bianca comparve di fronte a loro una figura oscura ed incappucciata, simile all'immagine che oggigiorno abbiamo della morte.
Evelyn stava per chiedere chi fosse, quando essa e Gayelord parlarono contemporaneamente:
«La grande Dea!» sospirò lui, con tono di reverenziale ammirazione.
«Sono Rhiannon.» disse semplicemente lei, prima di dilungarsi in spiegazioni per l'umano che per ovvi motivi non conosceva la sua esistenza.
Spiegò di essere una creatura super partes, il cui scopo sin dagli albori era quello di mantenere gli equilibri sulla terra, in particolar modo quello dei poteri magici e delle conoscenze.
Il problema era semplice, un umano aveva ottenuto una conoscenza che nessun mortale avrebbe dovuto avere, dunque il responsabile avrebbe pagato con la vita.
«Questo non ha senso! -esclamò Evelyn frapponendosi tra l'uomo che amava e il pugnale estratto dalla Dea- uccidendolo otterreste la morte di un uomo colpevole a metà e io continuerei a conoscere questo segreto, vi prego risparmiate la sua vita e prendete la mia!».

Gayelord era sconvolto da quella reazione, Rhiannon invece rise soddisfatta, come se si aspettasse ogni singola parola.
«Sapevo che non mi avreste deluso, giovane Evelyn! La vostra estrema razionalità, che tuttavia non cancella le vostre emozioni, era ciò in cui speravo.».
«Cosa intendete?» chiese allora il mago.
«Era una prova.» risposero simultaneamente.
«E l'ha brillantemente superata. -continuò a spiegare lei- perciò lascerò ad entrambi salva la vita, ma in cambio prenderò la sua memoria. Se un giorno essa dovesse riaffiorare, sotto le giuste condizioni, considererò estinto il vostro debito, ma non è detto che ciò accadrà mai.».
«E sia.» acconsentì Evelyn, inchinandosi.
Una lacrima cadde dall'occhio sinistro della dea, posandosi sul capo del giovane, il quale perse conoscenza, mentre lei svaniva in una nuvola di fumo.
 

Da allora erano passati più di tre secoli. Gayelord, grato al fato che Evelyn non avesse dimenticato il rituale pur non avendo più coscienza di sé: aveva continuato ad inseguirlo ovunque si spostasse nel mondo, cercando -in un primo momento- di far riaffiorare i suoi ricordi, ma ogni volta che ciò accadeva, egli li perdeva nuovamente e tutto ricominciava daccapo; così aveva deciso di farlo nuovamente innamorare di sé e rivivere la loro storia, questo funzionava per un po', ma quando Evelyn iniziava a porsi domande sul proprio rimanere giovane e si avvicinava alla verità il ciclo ricominciava di nuovo.

Gayelord aveva studiato ogni mossa ed ogni possibilità negli anni, quella notte di Halloween avrebbe potuto essere la loro unica possibilità: quell'anno la luna nuova avrebbe coinciso esattamente con quella notte, inoltre si sarebbe presentata una combinazione astrale estremamente rara, che si era verificata la notte in cui la dea li aveva separati. Se Evelyn avesse riacquistato la memoria completamente da solo e lo avesse baciato prima della fine di quel 31 Ottobre, c'era un'alta probabilità -quasi una certezza- che la maledizione si spezzasse.
Non intervenire per anni, da quando lo aveva ritrovato in centro a Londra, attendendo quel momento, era stato straziante, ma necessario.

La memoria aveva iniziato a riaffiorare, tanto che Evelyn si era convinto di soffrire di allucinazioni e si era sottoposto a diversi esami medici, di cui era stato fin troppo facile far scomparire i risultati -ovviamente negativi- che attendeva da Glasgow.
Sapeva di avergli dato una preoccupazione in più, non facendogli ottenere quelle risposte, ma non poteva permettere che, convinto di avere un problema, egli si rivolgesse ad un qualche psicanalista.
Sarebbe passato per pazzo ed avrebbero finito col sopprimere chimicamente i suoi ricordi, o peggio avrebbe ricordato, ma con intervento di terzi, facendo scattare nuovamente la maledizione e perdendo quell'occasione più unica che rara.
Non poteva permetterlo!
 



Evelyn sistemò per l'ennesima volta il colletto della camicia settecentesca che portava, indossò la giacca dorata, tirò indietro i capelli -troppo corti per essere raccolti in una coda bassa- con il gel, fece un profondo respiro e guardandosi un'ultima volta allo specchio, si diresse all'uscita.

Passare inosservato con quei lussuosi abiti settecenteschi non fu un problema dato che era la sera di Halloween, tuttavia era quasi certo che il battito furioso del suo cuore fosse percettibile persino da chi gli stava intorno e ciò non faceva che aumentare la sua agitazione.
Nei giorni precedenti, i suoi strani sogni e quelle che credeva essere allucinazioni erano diventati sempre più frequenti e chiari, così aveva preso una decisione.

 


 

Il portone si aprì prima ancora che potesse mettere mano sul battente per annunciare il proprio arrivo.
Muovendosi come se fosse in casa propria, si diresse al salone centrale, dove il camino scoppiettava illuminando l'intera stanza e proiettando un cono d'ombra ancora più scuro sulla figura che vi stava di fronte.
Gayelord osservava le fiamme, godendosi i suoni della natura e sorseggiando un calice di vino rosso.
Ostentava una sicurezza che non possedeva, mentre fremente attendeva la mezzanotte.

«La pioggia sembra voler accompagnare ogni nostro incontro, messere.» la melodiosa voce di Evelyn lo distrasse dai propri pensieri. Era talmente in ansia da non essersi accorto del suo arrivo, per fortuna quella casa riconosceva i suoi padroni e lo aveva lasciato entrare.
«Siete venuto.» non era una domanda e non si girò mentre lo diceva.
«Voi credete al destino? Che persino i poteri del tempo possono essere alterati per un unico scopo? -iniziò il giovane, avvicinandosi- L'uomo più fortunato che calpesta questa terra, è colui che trova il vero amore.».
La conclusione la soffiò direttamente al suo orecchio, abbracciandolo da dietro e appoggiando l'orecchio al centro della sua schiena, ascoltando il suo cuore perdere un battito, prima di riprendere a correre impazzito quanto il suo.

«Voi...» iniziò il padrone di casa, girandosi nell'abbraccio ed alzando il mento di Evelyn con due dita, in modo da ritrovarsi occhi negli occhi.
«Ricordo.» rispose semplicemente lui.
Una sola parola, che racchiudeva tutto ciò di cui avevano bisogno, mentre gli occhi, lucidi d'emozione, si specchiavano gli uni negli altri, raccontandosi in silenzio anni di sofferenza, ma un amore mai appassito.
Le palpebre si abbassarono lentamente, quasi timorose di interrompere quella conversazione muta, mentre le bocche si avvicinavano, scambiandosi un bacio che sapeva di riconciliazione.

Fuori dall'enorme vetrata, sotto la pioggia battente di Ottobre, una figura di nero ammantata sorrideva con dolcezza.
«Il vostro debito è estinto, messeri.».

 

Evelyn sistemò per l'ennesima volta il colletto della camicia settecentesca che portava, indossò la giacca dorata, tirò indietro i capelli -troppo corti per essere raccolti in una coda bassa- con il gel, fece un profondo respiro e guardandosi un'ultima volta allo specchio, si diresse all'uscita.
Passare inosservato con quei lussuosi abiti settecenteschi non fu un problema dato che era la sera di Halloween, tuttavia era quasi certo che il battito furioso del suo cuore fosse percettibile persino da chi gli stava intorno e ciò non faceva che aumentare la sua agitazione.
Nei giorni passati, i suoi strani sogni e quelle che credeva essere allucinazioni erano diventati sempre più frequenti e chiari, così aveva preso una decisione.


Evelyn sistemò per l'ennesima volta il colletto della camicia settecentesca che portava, indossò la giacca dorata, tirò indietro i capelli -troppo corti per essere raccolti in una coda bassa- con il gel, fece un profondo respiro e guardandosi un'ultima volta allo specchio, si diresse all'uscita.
Passare inosservato con quei lussuosi abiti settecenteschi non fu un problema dato che era la sera di Halloween, tuttavia era quasi certo che il battito furioso del suo cuore fosse percettibile persino da chi gli stava intorno e ciò non faceva che aumentare la sua agitazione.
Nei giorni passati, i suoi strani sogni e quelle che credeva essere allucinazioni erano diventati sempre più frequenti e chiari, così aveva preso una decisione.

 
   
 
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