Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart
Segui la storia  |       
Autore: Little Firestar84    25/01/2022    2 recensioni
Il mentalista Patrick Jane irrompe ancora una volta nella vita di City Hunter: quando le tracce dei gemelli Jonathan e Cameron Black lo portano ancora una volta a Tokyo, è a Ryo e Kaori, coppia nel lavoro e nella vita, che il consulente dell'FBI chiede aiuto.
Senza sapere che City Hunter- e tutto il loro sgangherato gruppo di alleati- sta già seguendo il caso... solo da un'altra angolazione!
Da New York a Tokyo, la caccia ai ladri ha inizio, ed il tutto per proteggiere il misterioso e prezioso gioiello noto solo come Serpenti!
Genere: Commedia, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Consultant'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Casa Saeba- Makimura, Shinjuku

“Quindi, questo sarebbe il piano?” Kay chiese nuovamente, occhi sgranati per lo scetticismo. “Rubare la collana? Tutto qui?”

“Rubare la collana per primi,”  Jane le spiegò. “Mettendola così al sicuro. Ed assicurandoci così anche l’attenzione della nostra ladruncola assassina.”

“L’ideale è farlo prima dell’inaugurazione della mostra,” Ryo rifletté, mentre studiava i lucidi del sistema di sicurezza del negozio Bulgari dove sarebbero stati esposti quei tesori, fornitegli dalla ditta stessa. “In questo modo prenderemo in contropiede la vostra donna del mistero, che sono certo vorrebbe aspettare invece l’inizio dell’esposizione.”

“Perché pensa che noi siamo qui pronti ad attenderla!”  Kaori lo interruppe, quasi leggendogli nel pensiero. La donna verse percorsa nel profondo dell’animo da un brivido, mentre Ryo le lanciava un sorriso pigro: quella conversazione aveva il sapore di un déjà-vu, le riportava alla mente quando Kaibara era entrato nella loro casa, e loro aveva deciso di attendere il giorno dopo per attaccare la nave su cui aveva installato il suo quartier generale, per coglierlo di sorpresa.

”Certo!” Ryo fece un cenno di assenso, sempre impressionato dall’ottimo istinto di Kaori, che nel corso degli anni si era rivelata stranamente portata per quel lavoro, specie le parti organizzative e investigative. “Ma anche perché mi sono letto un po’ di rapporti dell’FBI sulla vostra amichetta. Potrà essere brava quanto volete, ma alla fine dei giochi è solo una sempliciotta a cui piace la strada più facile.”

Ryo gettò sul tavolo della cucina i fogli freschi di stampante che aveva appoggiato fino ad un attimo prima sulla panca su cui era seduto. Stupefatta, Kay prese a sfogliare i fogli, uno per uno, la fronte aggrottata. “Cartine dell’intero edificio… queste non le ha solo chi si occupa della sicurezza di un evento…”

“Scommetto che c’è lo zampino del Professore… quel vecchietto pazzerellone!” Jane ridacchiò. Il mentalista stava sorseggiando da una tazza azzurra un the fumante, rimescolandolo in bocca per far arrivare meglio alle papille gustative il retrogusto di spezie; socchiuse gli occhi mentre emise un gemito di piacere, e sul suo volto spuntò un sorriso compiaciuto: per quanto fosse un estimatore di Earl Grey, i classici The Invernali avevano sempre avuto un posto speciale nel suo cuore, nonostante li avesse potuti gustare appieno solo durante le poche occasioni in cui il padre lo aveva trascinato a fare spettacoli nel nord degli Stati Uniti. 

“In realtà, no.” Ryo ridacchio, ed indicò col pollice Kasumi, che stava in piedi, rigida, in un angolo, le guance arrossate quasi fosse in imbarazzo. “Kasumi le aveva salvate sul suo computer. Secondo me la nostra ladruncola progettava qualcosina…”

Quattro paia di occhi si voltarono verso di lei, stupefatti e irriverenti quelli degli uomini, colmi di giudizio quelli delle donne.

“Stavo solo…. Lo stavo solo studiando in teoria!” La ladra/cameriera/studentessa rispose, sbattendo i piedi come fosse stata una bambina petulante. “e comunque, irrompere lì dentro è praticamente impossibile, seppiatelo! Nessuno potrebbe mai rubare nulla da quel caveau, né noi né l’amichetta della poliziotta!”

Federale, cocca, Kay pensò a denti stretti, stringendo gli occhi. Decise però di rimanere zitta: aveva la netta impressione che fosse meglio averli come amici, quel gruppo strampalato che a Jane piaceva tanto, invece che avversari, e ci mancava solo che si facesse prendere in antipatia passando per una perfettina petulante.

Ryo sorrise, sollevando un sopracciglio, poi si voltò nuovamente sulle planimetrie e prese a studiarle, mostrandole ai partecipanti a quella curiosa riunione, mentre Kasumi li raggiungeva e si metteva in piedi dietro ai proprietari dell’appartamento, le braccia incrociate come se fosse ancora arrabbiata. 

“Il caveau sotterraneo è raggiungibile da un sistema di tre camere stagne, ed in ognuna di esse c’è un tipo di controllo differente…” Kasumi iniziò a spiegare, facendo scorrere il dito lungo la mappa. “Controllo dei documenti nel primo, biometrici il secondo e terzo.”

“Perché due controlli biometrici?” Kaori domandò, onestamente perplessa. Bulgari aveva affidato loro la sicurezza della mostra, ed il loro incarico, in teoria, sarebbe partito solo nel momento in cui le porte della boutique fossero state aperte, con i gioielli esposti nelle loro teche.

“Sono probabilmente di tipo diverso,” Jane si morse il labbro, grattandosi il mento. “Direi… fisiologico il primo, comportamentale il secondo. Analisi della camminata?”

Kasumi fece cenno di sì. “Il primo controllo scannerizza iride, impronta della mano ed impronte digitali, il secondo analizza la deambulazione attraverso un sistema di sensori posti lungo il corridoio, in questo modo, in caso di incongruenze con i dati presenti nel database, si viene fermati all’ultima camera stagna.”

“Dove, se sei un piantagrane, ti trattengono degli agenti con mitra puntato alla testa fino all’arrivo della polizia…” Ryo sbuffò. Prese a guardare tutte le cartine, alla ricerca di indizi, di capire come arrivare a rubare la collana prima della donna del mistero, ma ci vedeva davvero poco da fare. “E se usassimo un condotto di areazione?”

“No, impossibile. Non c’è un solo condotto, ma una serie di micro-condotti in cui non passerebbe nemmeno un topo.” Kasumi sospirò, sentendosi leggermente affranta. “E lavorano in entrambe le direzioni: forniscono ossigeno al caveau sotterraneo ma possono anche succhiarlo fuori.”

“Giusto perché voi lo sappiate, il coma non è nei miei piani futuri. Ho una moglie ed un figlio. E una nipote che mi adora sebbene io sia solo uno zio acquisito.” Jane scherzò, tuttavia, la conformazione della struttura lo preoccupava. “Se non sei nel database non entri. Voi siete nel database?”

“No, noi siamo stati solo contattati per quel che riguarda la mostra all’interno della gioielleria. Anche se…” Ryo incrociò le braccia, ed alzò il capo verso il soffitto. “Tanta sicurezza per dei gioielli, mi sembra strano…”

 “Se fossero gioielli antichi non me ne meraviglierei, ma per quanto preziosi questi non sono certo pezzi di interesse archeologico…” Jane sorrise, radioso, scuotendo leggermente il capo. “Anche se questo mi fa tornare indietro nel tempo, ad un caso a cui Teresa ed io lavorammo ai tempi in cui eravamo al CBI… dei ladri avevano svuotato l’intero contenuto del caveau di una banca per nascondere l’unica cosa a cui fossero veramente interessati: un hard disk con dati sensibili.”

“Che dici, sevizi segreti?” Ryo domandò, tuttavia, la sua domanda sembrava quasi avere già in sé la risposta. Jane scrollò le spalle, senza mai cessare quella sua espressione beffarda. 

Sì, lo credeva anche lui: in quel caveau dovevano esservi dei piccanti segreti di stato. 

“O magari qualche ricco nababbo. Non certo segreti compromettenti o denaro sporco,” Jane rifletté, sbuffando, pensando a quanto fosse quasi ironico tutto questo. “Ma hard disk, copie di back up delle banche dati, elenchi clienti completi con coordinate bancarie e codici di accesso… non mi meraviglierei se facessero ai clienti più affezionati questo servizietto.”

“A casa mia i servizietti sono tutt’altra cosa, Jane.” Ryo ridacchiò stupidamente, facendo schioccare la lingua contro il palato, mentre si spaparanzava sulla panca con le mani incrociate dietro al capo. “Anche se questa cosa ci potrebbe tornare utile. Sarebbe molto più semplice infiltrarci!”

“Sicuro? Perché chiunque entra deve essere schedato, se non lo hai capito, amico mio. A meno che….” Jane si picchietto con l’indice sul labbro, poi si voltò verso Kasumi. “Mi dica, signorina Kasumi, sa anche dove si trova il server su cui sono contenuti gli indici biometrici?”

“In realtà, sì…” La ragazza rifletté, pensierosa. “Il primo controllo, quello dei documenti, avviene incrociando gli archivi anagrafici con il registro dei clienti contenuto sul computer del direttore della boutique. Invece i dati biometrici sono inseriti in un server che si trova fuori Tokyo. Per la precisione… qui!” Mostrò un punto su una mappa sul cellullare, dove era pressappoco ubicata la server farm

“Sì, sì, sì, fantastico, ma come facciamo, comunque?” Kaori lo interrogò, apparendo sempre più scoraggiata. “Non possiamo passare dai condotti, non possiamo certo entrare dalla porta principale, con tutti questi controlli… non potremmo semplicemente dire a Luca di ritirare la collana dalla mostra, magari portarla in un luogo sicuro?”

Ryo alzò un sopracciglio, leggermente innervosito: da quando Silvestri era diventato Luca? Quel tizio si stava prendendo troppe confidenze con Kaori… l’antipatia immediata che aveva provato a pelle per l’uomo non faceva che crescere. Impedire alla donna del mistero di prendere la collana equivaleva a salvare il posto, probabilmente, a Silvestri, e a Ryo tutto sommato non sarebbe dispiaciuto vedere quel tipo andare a gambe all’aria…

“Neanche per idea!” Abbaiò, incrociando le braccia e mettendo il broncio, sotto lo sguardo divertito di Jane – che sembrava aver capito che ci fosse un leggero astio tra i due- e quello sbigottito di Kay e Kaori. “E poi, non sappiamo se la donna del mistero abbia una qualche talpa nell’organizzazione! Se Silvestri, ammesso e non concesso che non sia lui a darle informazioni, sposta la collana, potrebbe benissimo rubarla mentre la stanno spostando da una location all’altra!”

“Però… sarebbe più semplice anche per noi, no?” Kasumi provò a spiegargli. L’idea di fallire un colpo – ancora prima di averlo messo in atto – non le piaceva per nulla, ma quello era davvero impossibile, anche per lei. “Assaltare un blindato con i giusti agganci non è cosa complicata. Falcon potrebbe occuparsi di un assalto frontale, fermando con un colpo di bazooka il veicolo, mentre noi tre assalteremmo il blindato…”

“No, troppo rischioso, quella donna potrebbe anticiparci, o peggio, potremmo trovarcela tra i piedi, e questa tizia mi sembra abbastanza spietata da non farsi troppi problemi ad ammazzare la gente…” Ryo sghignazzò. “E comunque, chi lo ha detto che non possiamo entrare nel caveau dalla porta principale?”

Da qualche parte…

Aveva guidato per ore, mentre loro erano stati nel retro del van oscurato, occhi bendati per non vedere, tappi alle orecchie per non sentire rumori che avrebbero potuto rendere il tragitto distinguibile; Cameron era quasi certo che avesse anche girato in tondo, per confondere loro ancora di più le idee. Jonathan era stato soggetto allo stesso trattamento – segno che lei iniziava a vederlo alla stregua del gemello, qualcuno da temere, di cui non fidarsi. E se lei avesse smesso di fidarsi di lui, lui avrebbe smesso di credere in lei.

Cameron, mani nelle tasche die pantaloni di velluto, prese a girare per il salotto dell’elegante villa, guardando fuori dalle finestre alla ricerca di un qualcosa che potesse indicargli la loro posizione, ma era inutile: la casa era circondata da una fitta vegetazione, rendendo impossibile trovare punti di riferimento precisi, e le porte erano chiuse a chiave. Avrebbe potuto scappare? Sì, ma poi? Sarebbe riuscito a trovare una via di fuga, o avrebbe finito per incappare in guai ancora più grossi? Seguire Jonathan era stata una mossa azzardata, ma gli era parsa la più intelligente – peccato che nella fretta, nella frenesia di riallacciare i rapporti col gemello non avesse considerato che avrebbe finito con l’essere solo. 

Senza appoggi. 

Senza rinforzi. 

“Non puoi prenderti un libro e sederti? Mi fai venire il mal di testa!” Stravaccato sul divano dallo stile ottocentesco, i piedi sul tavolino da caffè, Jonathan, vestito con una maglietta bianca ed i jeans, capelli spettinati come un novello James Dean, sbuffò mentre faceva pigramente passare le pagine di una rivista scandalistica Giapponese – o almeno, immaginava che lo fosse, date le fotografie, dato che in quella lingua conosceva forse quattro parole in croce. 

“Andiamocene!” Cameron lo incitò, avvicinandosi al fratello, palando a bassa voce quasi temesse di essere udito da qualcuno, o credesse di poter usare quel tono come scusante. Se fosse sembrato insicuro o spaventato, il fratello lo avrebbe preso meno sul serio?

“Johnny, hai visto cosa ha fatto a quegli uomini. Davvero credi che una volta che avremo smesso di servirle ci lascerà andare?” Cameron lo pregò. Si fissarono negli occhi, che chiunque avrebbe definito identici, se non per cosa era riflesso in essi: paura per Cameron, rabbia e frustrazione e rancore per Jonathan. 

Jonathan non gli rispose. Richiuse la rivista e la gettò con noncuranza sul tavolino, mancandolo, e la carta patinata finì sul tappeto persiano. Non disse una sola parola, ma mantenne il contatto visivo col gemello, senza nemmeno battere le ciglia una sola volta, quasi la loro fosse stata una gara a chi avrebbe ceduto per primo. 

E Jonathan sapeva chi lo avrebbe fatto: Cameron. Era sempre stato il più debole, il più fragile. Quello che i bulli prendevano di mira. Quello che, spaventato dalle ire del padre, finiva pe assecondarlo in qualsiasi cosa, rimanendo in silenzio e chinando il capo davanti ai soprusi del genitore. Jonathan era stato il custode di suo fratello, lo aveva protetto, supportato, aveva vissuto nella sua ombra, ed ora lei gli aveva fatto dire basta.

Pregare per le proprie vite non sarebbe servito a nulla. Non con come stavano le cose in quel preciso istante, ma forse c’era ancora una speranza, una possibilità. Jonathan aveva sempre avuto tanti difetti quanti pregi, ma non era mai stato crudele per il semplice gusto di esserlo.

Forse, se qualcun altro fosse stato in pericolo… allora… Cameron poteva davvero sperarci?

Non ne era certo, ma decise comunque di provarci, e sospirò, con un nodo in gola, il cuore che gli batteva a ritmo folle nel petto, quel nome che da ormai tanto tempo accendeva fantasie di ogni tipo nella sua mente, casti ed innocenti sogni di un domani con una famiglia, oppure folli desideri di brucianti notti passionali.

“Kay.” Bisbigliò il nome a bassa voce, gli occhi chiusi, quasi dirlo gli procurasse un dolore tanto al corpo quanto all’animo, sentendo di averla tradita quando si era unito, senza dirle spiegazioni, sparendo, a Jonathan. “La ucciderà. Lo sai anche tu.”

“Magari allora avresti fatto meglio a lasciare la fidanzatina fuori da questa faccenda.” Jonathan lo ammonì, in tono piuttosto cinico e freddo. Prese dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette, e ne accese una, sputando il fumo in faccia al fratello. “Anche se mi chiedo  perché abbia deciso di venirti dietro dopo quello che il suo caro, dolce Cameron le ha detto…”

 Terminò la frase, colma di scherno, ridacchiando, ed intanto spense nel posacenere di cristallo la sigaretta. 

“Di cosa stai palando?” Cameron gli domandò, la voce tremula. Quasi temendo la risposta del fratello, fece un passo indietro, mentre il suo corpo, in preda all’angoscia, si irrigidiva. “Cosa hai fatto, Johnny?”

Jonathan spalancò le braccia, appoggiandole allo schienale del divano, e continuò a fissare Cameron, guadandolo quasi fosse una creatura sconosciuta- o peggio, che gli causava disgusto.

“Presente quando ho preso il tuo posto mentre tu ti facevi un pisolino?” Cameron strinse i denti, furente, alla menzione dell’episodio: era andato a trovare il fratello in carcere nella speranza di convincerlo a dargli ancora un po’ di tempo per tirarlo fuori dai guai, e la risposata di Jonathan era stato un destro ben piazzato che aveva steso Cameron, che si era svegliato due ore dopo nell’infermeria della prigione con addosso la divisa del carcere e tutti che lo credevano Jonathan. Per togliersi dai guai aveva dovuto chiamare un avvocato, perché, e adesso cominciava a capirne il motivo, Kay non aveva accettato la telefonata.

“Cosa hai fatto, Jonathan?” Cameron ripeté, scandendo le parole – stavolta usando il nome del fratello per intero. Non a caso: il solco che li divideva diventava sempre più profondo. 

Che si fosse sbagliato? Johnny era dunque davvero perduto?

“Mettiti comodo che te lo racconto, fratellino…”

“Te ne vai?” Jonathan si voltò non appena sentì la voce di Kay provenire dall’ingresso della casa che era passata di padre in figlio, di generazione in generazione, dal loro bisnonno fino a loro. Il giovane prese un profondo respiro, mordendosi il labbro mentre si apprestava ad andare in scena, consapevole che se non avesse fatto più che attenzione Kay avrebbe capito di avere davanti il gemello sbagliato.

“Beh, rammenti che avete lasciato andare la nostra donna del mistero?” Senza guardarla negli occhi, raccolse da terra la sua sacca. Addosso aveva i vestiti del fratello, ma lì aveva messo cose che sentiva più sue, molto più casual ed informali di ciò a cui Cameron era abituato e che amava indossare.

Le dava la schiena: meno si guardavano, meglio era. Meno  scrutava i suoi occhi, più facile sarebbe stato vendere l’inganno.

“Quella donna è sotto protezione. Ed intanto potremo cercare un’altra strada…” Lei lo supplicò, con voce flebile; tuttavia, il tono sembrava suggerire che nemmeno lei stessa credesse alle sue stesse parole. 

Johnny ebbe un sussulto al cuore, provando infinita pena per lei - anche Kay si sentiva tradita dalla stessa istituzione a cui aveva deciso di dedicare tutta la sua stessa vita – ma la pietà ebbe vita breve, e immediatamente il suo cuore tornò ad indurirsi: lo spettacolo doveva continuare come aveva  pianificato. 

“Oh, per favore.” Ridacchiò, aprendo le braccia in modo drammatica, mentre la sua voce conteneva una nota di disgusto. “Davvero credi che non vi scapperà?”

“Ehy, guarda che io non ho rinunciato ad aiutarvi!” Si avvicinò all’amico, collega, e le afferrò per la spalla, forzandolo a voltarsi ed a guardarla negli occhi. 

“Puoi pure smetterla con la tua sceneggiata, Kay, tanto io ho smesso di credere a te ed in te, e dato che nemmeno più mio fratello mi vuole vedere…” Lei era impaurita e disperata – emozioni che Jonathan conosceva fin troppo bene – ma lui si fece forza ancora una volta. Si morse il labbro, ed ingoiò a vuoto, mentre le si avvicinava così tanto che Kay poté avvertire il suo respiro sulla pelle. “Io faccio le valigie e cambio aria.”

Il giovane fece un passo indietro e le voltò le spalle. Riprese in mano il borsone che aveva lasciato scivolare a terra e si incamminò verso l’ingresso della casa, mentre lei guardava la sua schiena divenire sempre più piccola e lontana. 

Poi, quando lui era ormai giù, al fondo della rampa di scale, lo raggiunse. E lo chiamò: con tutte la disperazione che aveva in corpo.

 “Cameron, aspetta… guardami in faccia!” Lo pregò, tra le lacrime. “Se pensi di dovertene andare, lo capisco. E se hai un modo per aiutare Jonathan di cui non mi puoi parlare, capisco anche questo. Perché se potessi tornare indietro e salvare mia sorella, farei qualsiasi cosa. Ogni cosa. Perciò non ti fermerò. Non sarò quella persona. Se lo facessi sarei soltanto l’agente dell’FBI con cui lavori, e io… io non voglio essere solo questo.”

Jonathan prese un profondo respiro: quella donna stava testando tutte le sue migliori capacità recitative, e si dimostrava molto diversa da cosa aveva sempre creduto. Scosse il capo, e si voltò verso di lei, un’ultima volta. Senza dire nulla.

“Voglio solo sapere che ti rivedrò ancora.” Lei sussurrò, dopo averlo raggiunto e aver poggiato la mano sulla guancia di lui. Jonathan godette di quel tocco, ma poi strinse il pugno, intorno alla maniglia del borsone: quel tocco non era per lui, ma per Cameron.

Come ogni altra cosa: lui aveva sempre e solo avuto le briciole.

“Spiacente tesoro, ma ho chiuso con le promesse…. Soprattutto a te!”

Le sue parole, acide e velenose, furono come una pugnalata in pieno petto, e Kay sentì le forze venirle meno. Cadde sulle ginocchia, mentre perfino al forza di piangere le veniva a mancare.*

“Il fatto che l’ultima volta che vi eravate visti tu l’avessi scansata a malo modo mi ha aiutato a vendere il fatto che a me, di lei, non importasse nulla.” Jonathan fece schioccare le dita, quasi quel suo comportamento fosse stato un colpo di genio, e intanto Cameron sentiva montare la rabbia – non per ciò che Jonathan aveva fatto a lui, ma per come si era comportato con Kay. Cosa le aveva fatto credere. “Aggiungi la sparizione del diario e della mappa del bisnonno Alistair dal magazzino prove dell’FBI, e farle credere che io fossi te è stato come rubare caramelle ad un bambino. E anche quando tu sei stato scarcerato… ormai lei in testa aveva quell’idea fissa, di non potersi più fidare di te.”

Cameron si allontanò; stringendosi a sé, si appoggiò contro il camino, dove un fuocherello scoppiettava allegro, trasmettendo pace – il contrario di come Cameron si sentiva in quel momento. 

Jonathan lo raggiunse, e gli pose una mano sulla spalla, stringendola. La mascella serrata, Cameron alzò il capo verso il fratello.

“Fratellino, è andata meglio così.” Jonathan lo ammonì. “Non ci servono gli sbirri per complicarci la vita, no?”

“Ha tentato di ucciderla, Johnny. Quella donna voleva uccidere Kay, e se non fosse stato per City Hunter….”

“City Hunter è solo una leggenda metropolitana, come l’uomo nero!” Jonathan scoppiò in una fragorosa risata. “Se Kay se ne starà buona, non le capiterà nulla. Deve solo fare le valigie.”

“Già, ma la sai una cosa? Kay non si fermerà, non finché non mi avrà riportato a casa, e non avrà ripulito la tua fedina penale!” 

“E allora? Io cosa dovrei farci?” Jonathan scrollò le spalle, e fu allora che a Cameron ritornò in mente cosa il fratello gli avesse detto mentre lo stendeva in galera. 

Non è che non voglio fuggire, è che non voglio farlo con te. 

Aveva pensato che lo avesse detto perché non voleva metterlo in pericolo, ma si sbagliava: a Johnny, della sua famiglia, non importava più nulla. 

Lei aveva vinto, alla fine: lo aveva reso uguale a lei. 

Cameron alzò lo sguardo verso la mensola di legno grezzo sopra al camino, e lo vide, luccicare alla luce del lampadario.

“Mi spiace, Johnny.” Sussurrò, scuotendo il capo. “Mi spiace davvero.”

Jonathan strinse gli occhi, quasi non capisse di cosa stesse parlando Cameron, e poi…poi fu risucchiato dal buio, mentre una sola goccia di sangue gli usciva da una piccola ferita al capo.  Cameron lasciò cadere con un tonfo il pesante candelabro di ottone, poi si chinò: il cuore batteva, e respirava – aveva solo perso i sensi. Prese a cercare nelle tasche del fratello fino a che non trovò le chiavi, e poi spalancò la porta, trovandosi in un enorme parco. Corse a perdifiato, mentre sentiva in lontananza il latrato di cani da guardia. 

Corse, cadendo più volte, rovinando a terra, nel freddo terreno melmoso, le unghie che si rompevano mentre cercava di salire sugli alberi per capire dove fosse, cercare aiuto, una via di fuga. 

Alle sue spalle, gli ululati si facevano sempre più vicini, ma a Cameron non importava: voleva solo raggiungerla. Voleva solo salvarla. Solo Kay era importante. Se l’avesse potuta salvare… allora, avrebbe accettato anche di morire, per lei.

Si lasciò scivolare già dall’albero su cui era salito per cercare di capire dove potesse essere, coi polmoni che bruciavano per il freddo, ormai senza più sentire le gambe e le mani, sentendo sempre di più la stanchezza.  Ma non voleva cedere, Non poteva farlo. 

Solo un attimo, si disse, mentre si appoggiava contro un tronco e chiudeva gli occhi. Solo un minuto.

Uno sparo riecheggiò all’imbrunire, mentre il vento sibilava ed i cani si acquietarono. 

*Questa scena riprende quasi del tutto fedelmente l’ultima del finale di serie della serie Deception.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart / Vai alla pagina dell'autore: Little Firestar84