Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: Nariko_koi    25/01/2022    1 recensioni
Regione dello Hubei, 1939.
Dopo essere stato ferito sul campo di battaglia e congedato, Wang Yao, tenente dell'esercito Nazionalista, si trova costretto a scortare il proprio aguzzìno lontano dal fronte. All'incarico di per sé insolito si aggiunge il fatto che Honda Kiku, l'ostaggio, non è un volto nuovo nella vita di Yao. Dopo aver condiviso un'estate sulle sponde rigogliose del Fiume Azzurro, i due si ritrovano a distanza di anni a camminare fianco a fianco indossando divise di schieramenti tra loro opposti. Yao è sfuggente, impenetrabile e pieno di collera, una collera di cui Kiku, incorruttibile e legato alla propria causa, non comprende fino in fondo la motivazione. Due spiriti fratelli, entrambi brillanti e inquieti, un ricordo che emerge da dietro la devastazione attorno ai passi dei due soldati, due nazioni senza speranze.
Sulla strada per Chongqing, il passato tornerà a chiedere la resa dei conti, e Kiku e Yao saranno costretti ad affrontare i loro demoni, nel tentativo di preservare la loro scarna, sofferta, umanità.
[NiChu/ChuNi] [Accenni ad altre coppie e personaggi]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Cina/Yao Wang, Germania/Ludwig, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo II
La montagna blu
 
 
«Alzati.»
Yao gli toglie di dosso la coperta, lo espone al freddo del mattino primaverile. Kiku ha la testa indolenzita e la prima cosa che avverte quando si sveglia è il vuoto del dente mancante sulla gengiva. Si alza a sedere senza emettere un suono. Dal riflesso torbido sul vetro della finestra di fronte a lui può vedere Yao tirarsi le bretelle sopra la canottiera.
«Muoviamoci.» dice mentre infila la testa nello scollo del maglione bianco. Così Kiku ha pochi minuti per sciacquarsi il viso con l’acqua della borraccia e prendere due bocconi di mántou. All’inizio ha sperato di potere resistere al graffiare della fame contro il suo stomaco, ma Yao deve aver capito che stava di nuovo tentando la strada dell’autodistruzione.
«Abbiamo un’ora di cammino, se svieni per la fame ti trascino fino a Qingshan per un piede.»
«Non lo faresti.»
Yao ha posato sul tavolo la borraccia di metallo con un tintinnio. «Non puoi immaginare cosa farei.»
E così Kiku ha mangiato. Che altro poteva fare? Lasciarsi trascinare sulla polvere come Ettore il massacratore sarebbe di gran lunga più umiliante. E non ha nessun interesse a provocare uno che ha tranciato la testa a quaranta soldati giapponesi nel giro di qualche minuto. Mentre ha formulato questo pensiero ha strappato un pezzo di mántou con più forza del previsto. Davvero ha pensato questo di Yao, il giovane uomo che recitava poesie e conosceva il significato dei fiori? Il pane gli diventa colla tra le fauci. Cosa gli è capitato? Quando si è separato dalla sua natura benevola da re? È degenerato in un barbaro immorale, come tutti quelli da cui i suoi superiori e suo padre lo hanno messo in guardia, oppure è sempre stato empio, e Kiku non se n’è mai accorto? E tuttavia, mentre attraversano in silenzio la campagna, Kiku deve impegnarsi per sopprimere l’eco delle parole della scorsa notte, che gli strisciano sottopelle e gli stringono il cranio con artigli da lupo.
Demoni.
Cos’hanno fatto per meritarsi tutto questo veleno?
Ma tutto quel rimescolare di valutazioni si arresta in modo brusco di fronte alle porte di ciò che un tempo dov’essere stato un villaggio, e che ora appare come un cumulo di mattoni e ferraglia sparso sul suolo. I pochi muri ancora in piedi sono crivellati di fori da proiettile, qualcuno conserva ancora la corona nera lasciata dallo scoppio delle granate, qualcun altro ha stampato addosso il sangue rappreso di chi è stato lì prima di loro. In quei minuti di vuoto girovagare tra le stradine deserte, Kiku è convinto di aver visto pochi luoghi così silenziosi nella sua vita. L’unico rumore percepibile è quello del vento che passa attraverso le rovine delle case, e le crepe lo deformano in un lamento spettrale.
Qingshang.
Gli è stato detto che questa parola può significare “montagna blu” o “collina verde”, ma allo stesso tempo può indicare le gioie della vita, la giovinezza, la vivacità dei luoghi fisici e spirituali. Sembra assurdo pensare che un tempo quelle rovine dovevano ospitare tutto ciò.
«Pensi che ci sia ancora qualcuno?»
Yao lo ignora. Al suo posto risponde l’improvvisa apparizione di un uomo di mezza età da una stradina che taglia parallelamente quella su cui si trovano loro. L’uomo è imbacuccato in un chángpáo1 di lana, ha lo sguardo basso mentre spinge una carriola ricolma di fagotti bianchi. A Kiku basta uno sguardo per riconoscere la forma di corpi ben coperti dai sudari, gli stessi che ha visto trasportare per l’ospedale militare innumerevoli volte.
Yao alza un braccio nella sua direzione. «Mi scusi,» lo chiama. Lui solleva il viso occhialuto verso di loro, un riflesso del sole sulle lenti gli copre lo sguardo mentre Yao si appresta a chiedergli indicazioni. Ma prima che lo sconosciuto possa rispondere, d’improvviso sembra rendersi conto della presenza di Kiku dietro all’interlocutore. Allora il volto gli si apre in un’espressione tesa, e con una forza che pare sproporzionata per quel corpo mingherlino spinge la carriola precipitandosi a tutta velocità lontano da loro.
Kiku solleva un sopracciglio. «Ma che gli è preso?»
«Ha visto la divisa, ecco che cazzo gli è preso.» Yao ondeggia sulla stampella continuando a dargli le spalle. Si fruga nella tasca alla ricerca delle sigarette, e anche dopo essersi acceso la sua dose quotidiana di veleno continua a non guardarlo e a borbottare imprecazioni. Kiku si passa un pollice sotto al naso, braccia conserte. Vorrebbe chiedere: ora cosa facciamo? Ma è sicuro che se si lasciasse sfuggire un fiato in un momento del genere Yao lo inchioderebbe a un muro col miao dao. Mentre concorda con se stesso che la cosa migliore da fare è cercare anche lui le sigarette nella giacca, nota un bagliore verdognolo, appena percettibile, macchiare la ghiaia in un punto trai suoi piedi. Così poggia un ginocchio a terra e con una mano guantata raccoglie quello che ha tutto l’aspetto di un orecchino di giada verde. Lo sporco incrostato sulle finiture rivela in qualche punto l’oro sottostante, il pendente, grande come una falange, è circolare e cavo all’interno come quelle vecchie monete dentro alle quali si passava una corda per tenerle insieme. Per qualche motivo decide che vale la pena conservarlo nella tasca della divisa, come un cimelio. Quando risolleva lo sguardo, pronto ad alzarsi, il gioiello quasi gli cade dalle mani di fronte alla vista di due paia di occhi.
Sbarrati e vicinissimi tra loro, appartengono a due bambine rintanate sotto alle macerie di un edificio, strette l’una all’altra. Restano a osservarsi in silenzio per almeno cinque secondi, la più grande tra loro ha una mano premuta sulla propria bocca e l’altra su quella della compagna. Kiku interrompe quel momento di stallo quando si accorge che lei, la più anziana, ha lo stinco destro rigato di sangue incrostato.
«Yao!»
Le bambine sussultano all’unisono e sembrano volersi rintanare ancora di più sotto ai rottami. Nonostante barcolli ancora sulla stampella, Yao gli si getta accanto in pochi secondi. Quando le vede sembra vacillare anche lui per un brevissimo attimo.
«Presto, aiutami a tirarle fuori.»
Una per volta le ragazzine vengono prese da sotto le ascelle e messe a sedere su un masso squadrato. La più anziana delle due sembrerebbe avere dodici o tredici anni, ha lo sguardo spento e tutta l’aria di avere la febbre. L’età della piccola, invece, si aggira attorno ai cinque. Emettono entrambe un olezzo vomitevole di fogna, come se si fossero tuffate dentro al canale. A giudicare dall’aspetto umidiccio degli orli dei vestiti dev’essere successo davvero. Yao posa lo zaino a terra e ci fruga dentro alla ricerca del kit medico.
«Parlate mandarino?» chiede. La più anziana annuisce, non ha staccato gli occhi da Kiku un secondo, né ha lasciato la mano della più piccola. Non ha mai visto degli occhi così.
«Io sono il tenente Wang Yao, e lui è il caporal maggiore Honda. Perché non mi dite come vi chiamate?»
Ma la più grande non sembra sentirlo, sta ancora guardando Kiku. È piena di paura, ma non solo. Per la prima volta in vita sua si sente come spogliato e fustigato di fronte a un giudice, sente che la ragazzina di fronte a lui gli legherebbe una corda attorno al collo e darebbe un calcio alla sedia che lo sostiene, se ne avesse il potere. E dunque, quella ragazzina è piena di paura, sì, ma al tempo stesso ha più coraggio ad affrontare in quel modo un soldato nemico di quanto lui ne abbia mai posseduto in tutta la sua vita. Kiku non ha tempo di meditare su quanto sia ingiusto essere odiati per qualcosa che non si ha commesso, perché Yao ripete la domanda.
«Come ti chiami, tesoro?»
«Yu Mo. Lei è mia sorella Yu Meihua.» Ha una vocina minuscola e rauca da uccellino mutilato.
«Avete entrambe nomi splendidi. – Yao stira il viso in un largo sorriso – È una fortuna, davvero. Nessuno si sentirebbe di torcere un solo capello chi ha nomi così belli. Ma qui qualcuno ha la febbre! Come vi viene in mente di tuffarvi nel canale a marzo?» Intanto ha tirato fuori dal kit garze, cotone e disinfettante. Kiku ha conservato un pezzo di mántou dentro a un fazzoletto di stoffa. Lo tira fuori da dentro la divisa, si toglie il guanto per porgere il pane alle ragazze. Meihua allunga la manina paffuta verso di lui, ma in un attimo Mo la cattura nella sua, piccola e sottile, e la abbassa sul proprio fianco. Yao ha osservato la scena mentre bagna il cotone col disinfettante.
«Da quanto tempo eravate lì sotto?»
«Tre giorni.»
«Tre giorni. E immagino che non abbiate avuto molto da mangiare, ho ragione?»
Ha ragione, sì. Con quella fronte bollente e la gamba martoriata, Mo potrebbe svenie da un momento all’altro, ed è un miracolo il solo fatto che sua sorella non sia ferita o febbricitante anche lei. Kiku spezza il panino con tre dita, prende quel pezzetto minuscolo e se lo porta alla bocca senza staccare gli occhi da Mo. Solo alla fine, quando ingoia il boccone, Mo si convince a prendere la pagnotta tra le mani e dividerla tra lei e sua sorella. Mentre Yao le disinfetta la ferita non emette alcun suono.
«Avete qualcuno che si occupa di voi?»
«Mamma.» Meihua ha parlato per la prima volta, ha una voce sottile come quella della sorella, ma ancora più acuta.
«Oh. E dove potrebbe essere mamma adesso?»
Mentre Yao le avvolge la gamba con le garze, Mo manda giù l’ultimo boccone e si passa una mano sul muso. «Vivevamo con lei e mia sorella Lan vicino al canale.»
«Vicino al canale.»
«Sì.»
«E poi cos’è successo?»
Mo si volta a guardare Yao per la prima volta. «Sono arrivati i giapponesi.»
C’è un lungo momento di silenzio nel corso del quale Kiku può giurare che stia passando qualcosa tra loro, un muto dialogo in mezzo ai loro sguardi, mentre Yao è inginocchiato in quel modo di fronte a lei, con le mani intrecciate sul suo ginocchio purpureo. Sembra quasi che lui le stia chiedendo perdono. Guardando quel loro scambio silenzioso dall’esterno Kiku avverte un brivido percorrergli la colonna vertebrale e sollevargli tutti i peli delle braccia.
«Ci siamo tuffate nel canale appena li abbiamo sentiti entrare.»
A quel punto Kiku può giurare di aver sentito Yao sospirare. È stato un soffio impercettibile, insieme all’abbassarsi delle sue spalle, ma reale. Solo allora capisce che qualcosa di orrendo sta per venirgli addosso come un treno, e che non è pronto a sopportare l’impatto. Ma Yao si batte le mani sulle cosce e stira la faccia in un sorriso artefatto fino all’ultima ruga. «Bene! Allora dichiariamo aperta la missione: cerchiamo mamma e Lan. Meihua, tu sarai il nostro generale.» esclama, e con queste parole si toglie il cappello e lo cala in testa alla bambina.
«Ma signore – Meihua si sistema meglio il copricapo sopra la fronte – non dovrebbe essere Mo il generale? Lei conosce la strada.»
«Giusta osservazione. Allora Mo sarà il generale, e tu, Meihua, il colonnello. Bene, – fa per imbracciare la stampella e passare un braccio sotto al sedere di Mo per sollevarla – allora per prima cosa… ah
Kiku sussulta. Ma a cosa stava pensando? Non sarebbe mai riuscito a portarla, è già un miracolo che riesca a trascinarsi dietro l’equipaggiamento.
«D’accordo. D’accordo, va bene, va tutto bene. – mentre parla Yao cerca di sopprimere una smorfia di dolore; deglutisce e accosta trionfalmente la mano tesa alla fronte – Generale Mo, signora, ho paura che per stavolta sarà il caporale a portarla.»
«Il caporale?»
«Signorsì.»
Allora Kiku decide di assecondarli esibendosi in un saluto militare rigido e caricaturale, poi si mette in equilibrio sui calcagni e si allunga verso di lei. Mo però scatta all’indietro come una seppia. «Non mi toccare!» soffia. Kiku ha un sussulto. È stato talmente rapido che non ha avuto modo di elaborarlo, come una frustata in faccia. Si dà dell’idiota: come può aver combattuto tra cannonate e colpi di mortaio e reagire così per l’insolenza di una ragazzina? Eppure, anche dopo questo tentativo di darsi un contegno, la sferzata continua a bruciare.
«Mo.» Con quel tono è evidente che Yao stia avendo serie difficoltà a continuare a giocare.
«È giapponese!»
«Esatto, e io sono storpio.»
«Non mi faccio portare da lui, non esiste. Gli dica di non toccarmi.»
«Mo.» Yao le prende il viso tra le mani e lei si volta a guardarlo. Lui ha la stessa posa da penitente di un minuto fa. «Adesso ascoltami. Vi devo portare da qualcuno che possa aiutarvi, e non posso farlo da solo. Hai bisogno di cure mediche, tu e tua sorella non mangiate da giorni, e io ho una ferita sulla schiena che non mi permette di muovermi come vorrei. So che sei arrabbiata, e che sei spaventata e che non stai bene, ma se vogliamo andarcene da qui allora devi fidarti di me.»
Così dopo averlo guardato negli occhi per un po’, Mo abbassa lo sguardo. Allora Kiku si volta da seduto, e indietreggiando sui calcagni accosta la propria schiena al ventre della ragazzina. Quando le braccia di Mo gli passano attorno al petto, lui la afferra per l’incavo delle ginocchia e si mette in piedi con un colpo di reni, prima che Yao si tolga la cappa per posarla sulle spalle di entrambi. Mentre camminano sa che quell’orrore che si preannunciava poco prima non l’ha ancora toccato.
 
 
***
 
 
Il cappello di Yao sulla testa di Meihua dondola da tutte le parti. Ogni tanto la tesa le cade sugli occhi e lei deve risistemarselo in modo che le salti sulla nuca a ogni passo. All’inizio Kiku era quasi convinto che fosse muta, ma adesso si chiede come abbia fatto a pensare una cosa del genere, perché da quando hanno iniziato a camminare la bambina non ha smesso di parlare un secondo. Racconta di tutto, di tutto. Che Lan ha diciassette anni ed è una sbadata cronica, che con mamma litigano perché mette il sale nel tè, le scarpe nella credenza e perde i calzini quando li lava, e quindi è costretta a indossarli spaiati. E poi non distingue bene i colori, come il verde e il marrone, e una volta si è presentata a una festa con un qípáo verde brillante e calze, cappello e guanti rossi, e quando mamma l’ha vista arrivare ha dovuto riportarla a casa correndo. E che con Mo litigano sempre.
«Non è vero.»
«Dici sempre che è inaffidabile e buona a nulla.»
«Sta’ zitta.»
«È la verità.»
«Qualche volta mi arrabbio perché è sempre distratta. Non significa che lo penso davvero.»
C’è un momento di silenzio brevissimo, poi Meihua riprende a pigolare, stringendo più forte la mano di Yao. «Però sai… Lan è buona come lo zucchero. Ed è anche generosa. Una volta le ho detto che mi piacevano i suoi guanti, e sai che ha fatto? Il giorno dopo me ne ha preso un paio uguale della mia misura.»
«Ma i suoi erano marroni, a te li ha presi viola.»
«Perché non distingue i colori. Ma mi ricordo che aveva messo da parte dei soldi per comprarsi un cappotto, capito? E invece con quelli mi ha preso i guanti.»
Mentre si avvicinano a un ponte, in lontananza torna il cigolio della carriola. Meihua si solleva la tesa del cappello dagli occhi per cercare quelli di Kiku. «Ehi, – lo chiama – ehi, pss. Ma tu sai contare?»
«Come?»
«Lan dice che i giapponesi non sanno contare.»
Kiku le sorride, spostando le braccia sotto alle ginocchia di Mo, così da avere le mani libere. «Certo che so contare. Guarda, – inizia a contare con le dita – uno, due, tre… novantaquattro, ventisei, diciassette…»
Meihua apre la bocca a forma di “O” e resta in apnea per un secondo, poi dà uno scossone alla mano di Yao. «Hai visto, allora è vero che non sanno contare! Che ti dicevo, Mo, che ti dicevo?»
«Siamo arrivati.»
Si arrestano all’unisono di fronte a un insieme di edifici bruni a schiera che si affacciano sul canale simili a palafitte, collegati da ponticelli e scale di legno. Mo indica la porta di casa col dito ossuto, gli infissi sono tutti sbarrati. Yao fa cenno a Kiku di metterla a sedere sulla panchina di ghisa vicino a loro. Lui lo asseconda, poi Yao si sgranchisce la schiena.
«Bene, adesso inizia la seconda parte della missione: battere il caporale al gioco del silenzio mentre il tenente cerca mamma e Lan.»
Kiku gli rivolge un’occhiata storta «Come?»
«Voglio venire anch’io!»
«Meihua – la bambina si volta a guardare la sorella con un broncio pronunciato, Mo però non si lascia incantare – facciamo come dice.»
Yao lo ha ignorato, e di nuovo ammicca alle bambine. «Benissimo. Allora io adesso vado lì dentro, e quando ritorno voglio sapere chi ha vinto.»
Ma Kiku tenta di avvicinarsi all’orecchio largo di lui per mormorare: «Senti, parliamone un secondo.»
«Attente al caporale, è difficilissimo batterlo.» E così Yao gira i tacchi e si dirige su per le scale di legno.
«Wang!» Niente. Kiku distorce la mascella alla vista della sua schiena ondeggiante che si allontana. Ancora non gli è chiaro se Yao sia un pazzo o uno che si è stancato di vivere, perché solo una delle due alternative può giustificare il fatto di star cercando delle persone dentro a un ammasso di case buie, dove potrebbero nascondersi soldati ancora incolumi, da solo e barcollando su una stampella. Stringe i pugni, la pelle dei guanti produce uno stridio. Quando si volta verso le ragazze Yao è già sparito sul retro degli edifici.
«Voi cominciate la gara, io torno subito.»
«Il tenente ha detto di non muoverci.»
«Il tenente non si accorgerà di nulla, promesso.» dice ammiccando, e girandosi di tanto in tanto a guardarle percorre la stessa strada di Yao. Passando accanto alle finestre fa attenzione a chinarsi a gattoni. Quando gli è accanto, sul lato dei porticati rivolto al fiume, lui sta caricando il fucile.
«Wang –
«Che diavolo ci fai qui sopra?» sibilla.
«Potrebbero esserci dei soldati!» Kiku risponde bisbigliando anche lui.
«Non mi dire! Per questo dovevi guardare le ragazze.»
«Se pensi di affrontarli da solo allora devi essere completamente–
«Chiudi la bocca! – Yao si piazza un indice di fronte alle labbra contratte – Se ci tieni ad aiutarmi allora non dire una parola. Mi sono spiegato?» Kiku lo guarda con le palpebre a mezz’asta e dopo aver preso un respiro dal naso annuisce. «Bene. Sappi che se succede qualcosa alle ragazze la colpa sarà tua.»
Si mettono entrambi spalle al muro, sopra di loro ondeggiano lanterne rosse. Yao infila la canna del fucile nella fessura della porta scorrevole. Dopo un lungo momento di attesa deve aver appurato che non c’è pericolo, perché con la mano fa segno a Kiku di seguirlo all’interno. La prima cosa che avverte, dopo aver varcato la soglia ed essere entrato nel buio denso, è un odore pestilenziale, rivoltante, al punto che Kiku si preme una mano sul muso appena l’olezzo inizia a pizzicargli le narici.
«Cos’è quest– ah!» Il legno sotto di lui cede, e si ritrova con una gamba incastrata nel pavimento. Deglutisce. «Merda.»
«Sei tutto intero?»
«Sembra di sì – dice mentre libera la gamba dal buco che guarda il fiume – Riesco a muovermi.»
«Bene.»
Ma quando Yao tira giù le tende, inondando la stanza di luce fredda, Kiku fa un balzo all’indietro, il cuore gli martella le orecchie. A una visione del genere non avrebbe potuto prepararlo niente, nessun avvertimento, nessun addestramento. Di fronte a lui compare un viso opalino di ragazza, ha gli occhi sbarrati e le labbra violacee. Kiku vorrebbe distogliere lo sguardo, ma per qualche motivo si trova incatenato a quella visione orrida, i capelli incollati alla fronte, il collo contornato di sangue rappreso, la congestione delle mani chiuse a pungo. Il corpo nudo. Non ha mai visto un corpo trattato con tale crudeltà.
«Lan.»
Voltandosi si accorge che sulla parete alla sua sinistra sono appesi dei poster di donne nude, una foto di Hirohito2 e un drappo che raffigura un sole rosso splendente su sfondo bianco3. A ridosso del muro, una tinozza d’acqua, per terra è stato abbandonato un fundoshi4. Una sensazione di sporco lo avvolge, si sente storcere lo stomaco e stringere le tempie. Ha riconosciuto ognuno di quegli oggetti, li ha visti nelle tende dei suoi compagni e nella sua, persino in casa, e ha un fundoshi addosso in questo momento, identico a quello sul pavimento.
Cerca Yao con gli occhi. Lo trova di fronte alla finestra, in piedi con il capo chino e le spalle curve. Oltre la sua figura opaca in controluce, una sedia si frappone tra lui e la finestra. E su quella sedia un’altra donna, nuda anche lei, riposa col mento sul petto azzurrognolo, i polsi legati ai braccioli di legno. Anche lei vestita di sangue.
Kiku deglutisce a fatica. «Quanto…»
«Due giorni.»
La voce di Yao è roca, bassa come un tenore. Kiku lo vede scuotere la testa in un gesto debole, per poi lanciare in aria la tenda e lasciarla cadere morbida come un mantello su quel povero corpo. Poi, con pazienza, Yao le slaccia i polsi dalla sedia. Vedendolo fare quei gesti calcolati, Kiku si chiede quante altre volte li abbia ripetuti con lo stesso rispettoso distacco, la stessa muta rassegnazione. Yao si gratta la nuca, sembra esitare.
«Senti, sei in grado… riesci a spostarle sui letti?»
No, non è assolutamente in grado di fare una cosa del genere. Ha trasportato decine di compagni sulle spalle, ha strisciato in mezzo ai loro corpi putrefatti e infestati di larve durante la battaglia, ha visto il sangue, ha visto molto altro, ma l’idea di toccare quelle persone così ridotte gli dà la nausea.
«Certo.»
Così solleva quel fagotto con estrema delicatezza, come se potesse ferirla ancora con un movimento brusco, trasportandola come una sposa occidentale. La posa su uno dei letti a baldacchino addossato alla parete, l’uno di fianco all’altro. Poi si avvicina a Lan – oddio, Lan – e le prende le caviglie con la stessa cura. Ma appena guarda in basso vede qualcosa che gli fa perdere la presa e i talloni di lei si abbattono sul pavimento.
«Oh mio Dio! – esclama, voltandole le spalle e portandosi le mani agli occhi – oddio.» In quel momento di assenza si sarebbe anche scusato con lei per averla lasciata cadere, se solo non avesse avuto in testa tutt’altro.
«Va tutto bene – Yao gli è accanto in un secondo – ehi, shhh. Guardami. Ci penso io, tu voltati, non guardare.»
E così Kiku resta immobile a osservare la parete di fronte a lui, mentre alle sue spalle avverte un suono orrendo. Ancora una volta, sembra che Yao abbia fatto questa cosa migliaia di volte, come una prassi, che ormai esegua ciò che va fatto in modo meccanico. Portano sul letto anche lei, avvolta da un lenzuolo che hanno trovato in un cassetto. Insieme a quello ci sono delle candele rosse e una scatola di fiammiferi, bastoncini d’incenso, una fotografia sbiadita. Un paio di guanti viola.
La foto ritrae i volti pacati di cinque persone, e vedendo quelli Mo e Meihua in basso hanno la conferma di aver trovato chi cercavano. Insieme a loro, chiuso nel riquadro bianco, un uomo sulla trentina avvolto nella divisa dell’esercito Nazionale deve essere (o essere stato) il padre delle ragazze. Così Yao dispone la foto e le candele sulla cassettiera che separa i due lettini, sistema l’incenso sul piattino di metallo e, dopo aver acceso questo e le candele, entrambi si inchinano tre volte di fronte alla foto. Yao ha conservato i guanti.
Appena si richiudono alle spalle la porta d’ingresso e vengono avvolti dalla luce grigia, Kiku avverte la netta sensazione di vuoto allo stomaco di quando guardi in basso mentre ti arrampichi su un precipizio. Così corre verso il bordo del pontile e cade in ginocchio. Prima ancora di elaborare cosa sta accadendo ha già svuotato lo stomaco sul canale, ad è talmente preso dal disgusto per il sapore di bile da non accorgersi che Yao gli tiene la fronte con una mano. Tossisce, il viso umido di sudore, e quando si volta e poggia la schiena sul palo della balconata, mettendosi a sedere, Yao gli allunga borraccia e fazzoletto.
«Sciacquati la bocca.» dice senza guardarlo. Kiku invece lo guarda, dal basso, come il suddito penitente di un brillante sovrano, e si chiede quante altre volte Yao abbia sopportato viste del genere, quanti corpi innocenti abbia seppellito e onorato e quanti e quali altri orrori ancora possa testimoniare. E quel gesto, si chiede, questa premura da fratello nei confronti di uno che indossa la stessa divisa di chi si è macchiato di tutto questo, da dove sorge?
Kiku prende borraccia e fazzoletto, si sciacqua la bocca e sputa nel canale, poi si tampona le labbra con la stoffa. Quando ha finito nota che Yao si è acceso una sigaretta.
«Che facciamo con…?» Kiku non finirà la frase.
Yao inspira la nicotina in un tiro profondo. «Me ne occuperò domani. Non possiamo seppellirle di fronte alle bambine, ma t’immagini.» Per un lungo momento non si avverte rumore oltre quello dell’acqua che scorre sotto di loro, Yao è ancora di spalle quando parla di nuovo. «Io torno da loro. Senti – si gratta il sopracciglio con l’unghia del pollice – è meglio se non ti fai vedere così dalle ragazze.»
Così al rumore dell’acqua di sommano i passi scomposti di Yao che si allontana, accompagnato dal ritmico abbassarsi della stampella sul legno. Kiku si passa una mano sul viso, cerca le sigarette nel taschino della giacca, e quando si accorge che il pacchetto è sparito impreca a denti stretti, e d’istinto tira una testata al palo dietro di lui. C’è un piccolo tremore di assi e un po’ di polvere piove dal soffitto e gli sporca i capelli e le ginocchia, così si gratta il naso col palmo della mano. Dal retro delle palafitte, la voce di Yao taglia il silenzio.
«Generale Mo, signora, non le ho trovate. Bisogna continuare a cercare.»
 
 
___
Note (non siate troppo sollevati, nei prossimi capitoli potrebbero tornare i miei papiri a fine capitolo):
  1. Il chángpáo, o chángshān, è il tradizionale abito manciù maschile, usato in Cina durante la dinastia Qing e nei decenni successivi alla caduta della stessa;
  2. Conosciuto anche col nome di Shōwa, Hirohito fu il 124° imperatore del Giappone e comandante dell’esercito imperiale dal 1941 al 1945;
  3. Introdotta nel periodo Edo, la bandiera del Sole Nascente è la bandiera militare giapponese, considerata simbolo di buon auspicio; divenne bandiera nazionale durante il periodo Meiji;
  4. Il fundoshi è una sorta di perizoma maschile tradizionale giapponese, si tratta di un unico pezzo di stoffa lunga due metri;
Prima di salutarci ci tengo a fare una precisazione: sicuramente la reazione di Kiku all’episodio degli ultimi paragrafi può sembrare fuori contesto, e qualcuno potrebbe vederci un buco di trama. Ecco, volevo assicurarvi che tutto troverà una spiegazione nei capitoli successivi, verso la fine della storia. In attesa di ricevere un parere vi mando un buffetto affettuoso, al prossimo lunedì <3
 
 
(Si spera.)
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Nariko_koi