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Autore: Kimando714    26/01/2022    0 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 12 - TAKE ME HOME


 

Il vento freddo che tirava lungo le calli strette e grigie sembrava penetrargli fin sotto i vestiti, fino alla carne e alle ossa, facendolo tremare ancora di più di quanto non stesse già facendo per l’agitazione.
Era ora di pranzo, ma non aveva ancora mangiato nulla: aveva lo stomaco troppo chiuso e troppo in subbuglio anche solo per prendere in considerazione l’idea di masticare qualcosa. Pensava solo a camminare e a stringersi nelle spalle per disperdere meno calore possibile.
Aveva smesso di piovere solo da quella mattina, ma l’odore di pioggia era ancora nell’aria: riempiva i polmoni di Nicola, ricordandogli più una fredda giornata invernale piuttosto che una dei primi giorni di maggio.
Da quando era arrivato a casa di Alessio non aveva più smesso di piovere, salvo sporadici e brevi momenti di tregua. Si erano alternati pochi momenti di pioggia fine e leggera ad altri in cui su Venezia si era abbattuta una vera e propria tempesta. In gran parte della città si era dovuto ricorrere alle passerelle per diverse ore per far fronte all’acqua alta, e dove non era stato possibile utilizzarle non era rimasto altro che restarsene in casa, sperando che il livello dell’acqua non si alzasse ulteriormente.
A Nicola, forse per reale impedimento o forse ritenendosi fortunato di quell’imprevisto, non era rimasto che rimanere da Alessio. Non aveva messo in conto una possibilità del genere: non aveva davvero pensato di rimanere fuori casa due giorni interi – quasi tre, tenendo conto del pomeriggio in cui era scappato-, senza sapere come se la stesse passando Caterina, ma non gli era rimasto altro che accettare quella realtà.
Non aveva nemmeno avuto il coraggio di telefonarle, in quei due giorni. Immaginava che Alessio l’avesse chiamata al posto suo per spiegarle la situazione, ma non aveva davvero voluto sapere cosa le avesse detto, o cosa lei avesse risposto. Sapeva solo che, dopo tutto quel tempo passato lontano da lei, si sentiva in obbligo a ritornare a casa il prima possibile.
Non aveva idea di come sarebbe stato ritrovare Caterina dopo tutto quel tempo, ma era sicuro che non sarebbe potuto essere peggio dell’inferno che aveva appena passato in quelle sessanta ore.
Non si era mai sentito così tanto fuori posto come lo era stato nell’essere distante da casa sua e da lei. E si era sentito tremendamente a disagio, quando Alice era rientrata dal lavoro, ed Alessio le aveva dovuto spiegare velocemente cos’era successo: non credeva di aver mai visto uno sguardo più basito e scosso di quello che Alice gli aveva rivolto subito dopo aver appreso gli ultimi avvenimenti.
Aveva pensato molto in quei due giorni, forse talmente tanto da aver confuso le idee ed essere giunto ad un’unica conclusione: doveva tornare da Caterina.
Ancora non sapeva cosa le avrebbe detto, o come avrebbe reagito lei, ma a quello ci avrebbe pensato una volta giunto a casa. Per il momento, ciò che più gli importava era non sprecare altro tempo.
Arrivò davanti al suo palazzo trafelato e con il fiato corto, tremante per il freddo e l’ansia, con i vestiti che Alessio gli aveva prestato troppo larghi per il suo fisico gracile e snello. Tirò fuori le chiavi da una delle tasche della felpa, inserendole nella toppa del portone per farlo scattare. Si infilò dentro nell’ingresso, avviandosi alle scale.
Ora che era finalmente arrivato cominciava a sentire il groppo allo stomaco ancor più nitidamente. Fece gli scalini più lentamente, come per avere più tempo per prepararsi, ma arrivò sul pianerottolo comunque troppo presto per sentirsi davvero pronto ad affrontare Caterina.
Quando si trovò di fronte alla porta dell’appartamento si bloccò, indeciso: avrebbe dovuto usare le sue chiavi, ed entrare magari sorprendendo del tutto Caterina, o avrebbe fatto meglio a suonare, per farle almeno capire che era tornato e che non voleva entrare di soppiatto?
Rimase lì alcuni secondi, prima di portare una mano al campanello, e premendo poi con fare abbastanza deciso. Il cuore cominciò a battergli ancora più forte, tanto da sentirlo in gola.
Restò immobile in attesa per diversi secondi che, però, diventarono minuti: la porta non si aprì, né avvertì il rimbombo dei passi di Caterina dall’interno dell’appartamento. Non cambiò esattamente nulla.
Nicola sbuffò, risuonando di nuovo il campanello, cercando di tenere a bada l’apprensione: Caterina poteva benissimo non essere in casa in quel momento, ma non poteva averne la certezza. E se ci fosse stata, ma in preda a qualche malore che le impedisse di aprire o di muoversi? D’altro canto, i primi mesi di gravidanza erano sempre i più a rischio, e quelli in cui si avevano più indisposizioni.
Cercò di scacciare i pensieri troppo drammatici che cominciavano ad affollargli la testa, senza buoni risultati. Era sempre stato freddo e razionale, ma non riusciva ad esserlo altrettanto in quel momento: doveva ancora abituarsi a quell’ansia che lo attanagliava, e che non sapeva ancora come gestire.
Rovistò di nuovo nella tasca della felpa, estraendone le chiavi di casa. Aprì la porta velocemente, richiudendola subito con un tonfo sordo, in modo che, se Caterina fosse stata in casa, potesse rendersi conto che qualcuno era appena entrato.
Non arrivò alcun segnale della presenza di Caterina da nessuna stanza: nessun fruscio, nessuno scalpiccio di passi, niente di niente. Nicola fece un giro rapido per l’appartamento, che non fece altro che confermargli che Caterina non si trovava lì.
Sbuffò sonoramente, buttandosi lungo disteso sul letto in modo maldestro. Da un certo punto di vista era sollevato nel sapere che avrebbe avuto ancora un po’ di tempo per chiarirsi le idee, ma dall’altro lato era deluso e preoccupato: non aveva idea di dove fosse Caterina, di quando sarebbe rientrata. Non aveva nemmeno idea di come stesse in quegli ultimi giorni.
Si pentì di non averle telefonato nemmeno una volta, così come si pentì di non aver chiesto ad Alessio cosa si erano detti. Se lo avesse fatto, forse, non si sarebbe trovato lì, steso su quel letto, a porsi tutte quelle domande a cui non sapeva rispondere.
Il pensiero che Caterina potesse essersi sentita male lo spaventava troppo: poteva benissimo trovarsi in ospedale in quello stesso momento, e lui sarebbe rimasto all’oscuro di tutto. Non sarebbe stato accanto a lei in un momento così terribile.
Tentò ancora una volta di scacciare quei pensieri, di essere meno pessimista: se fosse accaduto qualcosa probabilmente, in un modo o nell’altro, l’avrebbe saputo. Magari l’avrebbero chiamato dall’ospedale, o forse Caterina non gliel’avrebbe tenuto nascosto in ogni caso.
L’inquietudine, comunque, non sembrava andarsene in nessun modo, amplificata dai mille sensi di colpa che stava provando da due giorni a quella parte. Avrebbe dovuto fare qualcosa, anche solo per capire dove si trovasse Caterina, solo non sapeva ancora bene cosa.
Gli ci volle un altro po’ di tempo di riflessione, steso su quel letto, per decidere se scriverle un messaggio o no. Si era come ritrovato bloccato, fermo a fissare la tastiera del suo cellulare davanti agli occhi, incapacitato a premere anche solo una lettera per iniziare una frase qualsiasi.
La verità era che non sapeva bene come e cosa avrebbe dovuto dire, senza sembrare troppo apprensivo ed in ansia o troppo menefreghista.
Non sapeva bene come aveva fatto poi a trovare un giusto compromesso a quel dilemma. Sapeva solo che, in un momento di impulsività, aveva scritto quello che poi, a rileggerlo, gli sembrava solo un messaggio confuso e scritto troppo velocemente. Lo aveva inviato comunque perché, se ne rendeva conto, se non lo avesse fatto in quel momento non ci sarebbe riuscito mai più.
 
*
 
-Ancora niente?-.
La voce di Giulia ormai non era più speranzosa come le prime volte che le aveva posto quella domanda. Forse persino lei aveva perso qualsiasi speranza.
Caterina scosse il capo, anche se in verità aveva abbandonato il suo cellulare da ore. Non ricordava nemmeno più per quale motivo l’avesse acceso quella mattina.
La giornata era iniziata con la fine del temporale che aveva allagato Venezia negli ultimi due giorni. Poteva essere un segno di buon auspicio, ma la realtà era che non era cambiato nulla: non fosse stato per Alessio e i suoi continui aggiornamenti, Caterina non avrebbe assolutamente saputo dove fosse andato a cacciarsi Nicola in quel lasso di tempo. L’ultima cosa che aveva saputo era che se ne era definitivamente andato da casa di Alessio e Alice, per chissà dove non lo sapeva. Forse per tornare a casa, forse per andare altrove.
Quando aveva letto quell’ultimo messaggio di Alessio, quella mattina, aveva trovato piuttosto ironico il fatto che, se si fosse affacciata dal salotto di Giulia, molto probabilmente avrebbe potuto intravedere la figura di Nicola uscire fuori, in una Venezia ancora fangosa e uggiosa, ma in cui la pioggia aveva perlomeno smesso di scendere.
Era arrivata a casa di Giulia giusto in tempo, la mattina precedente in un momento in cui la pioggia era gestibile, stanca di rimanere sola in un appartamento in cui il silenzio le era diventato assordante. Aveva chiamato la sua migliore amica quando era già per strada, trattenendo a stento le lacrime, e non riuscendoci più quando Giulia le aveva chiesto cosa fosse successo per voler venire a stare da lei per un paio di giorni. Le aveva raccontato tutto appena arrivata, sotto lo sguardo furioso di Giulia e a quello perplesso di Filippo.
Nondimeno Giulia aveva provato a mostrarsi positiva con lei. L’aveva rassicurata sul fatto che Nicola si sarebbe fatto vivo, che sarebbe tornato a casa loro, ma ora Caterina cominciava sul serio a notare segni di cedimento persino in lei.
-È un idiota- Giulia lo borbottò mentre andava a sedersi accanto a lei, sul divano letto ora richiuso e che era stato il giaciglio di Caterina per la scorsa notte – Sul serio, pensavo che quel che era successo anni fa gli fosse bastato come lezione. E invece è sempre il solito idiota-.
Caterina quasi rise: era incredibile come Nicola fosse riuscito a far irritare così tanto persino Giulia. La sua risata mentale però morì nel giro di qualche secondo, quando le parole dell’altra la colpirono come uno schiaffo in faccia.
Nicola se n’era andato per una seconda volta. Stavolta era letteralmente scappato di casa, senza nemmeno farle sapere di persona dove fosse andato a cacciarsi.
A quel pensiero, e al ricordo degli eventi di due giorni prima, sospirò pesantemente, il dolore e la rabbia mischiati tra loro.
Prese in mano il cellulare senza un motivo in particolare, anche solo per controllare l’ora, ma fu in quel momento che si rese conto che forse la sua risposta a Giulia era stata troppo veloce: la notifica di un messaggio era proprio sullo schermo, e non c’erano dubbi sul fatto che provenisse dal numero di Nicola.
-Aspetta- si lasciò sfuggire inconsciamente, con le mani che tremavano e l’angoscia che tornava a schiacciarle il petto.
-Cosa?- chiese Giulia, che la stava osservando, e Caterina era sicura che stesse tenendo gli occhi sgranati.
Lesse velocemente il messaggio, anche per una seconda e una terza volta, prima di rispondere con voce flebile:
-Nicola è tornato a casa-.
A dirlo ad alta voce pareva strano persino a lei.
-Mi ha chiesto come sto e dove sono-.
La faccia di Giulia si trasformò in un’espressione talmente contratta dall’ira che, in un qualsiasi altro momento, Caterina l’avrebbe trovata buffissima. In quel frangente, invece, si ritrovò solo a ringraziare il fatto che Filippo fosse al lavoro, o di sicuro sarebbe rimasto traumatizzato da quel che sarebbe successo di lì a poco.
-Ah, lui lo chiede a te, eh?- sbottò Giulia, quasi urlando – Giuro che se lo avessi di fronte … -.
Sbuffò sonoramente, e Caterina non poté darle torto. Se avesse avuto più energia – e meno nausea- avrebbe espresso anche lei la sua rabbia in quel modo. Stavolta, però, lasciò che fosse solo Giulia a sfogarsi così apertamente.
-Che faccio?- le chiese, con un filo di voce.
Il nervosismo di Giulia sembrò sgonfiarsi nel giro di pochi secondi, quando tornò a puntare gli occhi su di lei. Era evidentemente preoccupata, ma Caterina aveva bisogno del suo consiglio più di qualunque altra cosa in quel momento.
-Non sei tenuta a rispondergli subito- le disse, dopo alcuni secondi – Lui non si è fatto vivo per giorni-.
Era vero, rifletté Caterina: se da una parte avvertiva l’urgenza di dover parlare con Nicola per decidere come muoversi, dall’altra tentennava sul volergli anche solo rispondere a quel messaggio nell’immediato. Un po’ voleva fargli provare quel che aveva provato lei stessa in quegli ultimi giorni, ma non sarebbe comunque durato molto. Provava già il desiderio di tornare, di sentirlo accanto a sé, di tranquillizzarsi e sapere che dopo un primo momento di paura Nicola si era deciso a non abbandonarla a se stessa.
La mano che Giulia le posò su una spalla la fece riportare alla realtà:
-Prima pranziamo e poi ci pensiamo-.
-E poi?-.
Caterina lasciò scivolare fuori dalle sue labbra quelle parole in un vuoto silenzioso che la lasciò ancor più inquieta. Sapeva che avrebbe dovuto prendere una decisione lei, e che Giulia non poteva farlo al posto suo, ma c’erano già così tante cose a cui avrebbe dovuto pensare, su cui avrebbe dovuto decidere, che in quel momento avrebbe lasciato volentieri il comando a qualcun altro almeno per quella.
Giulia le si fece più vicino, ormai definitivamente più calma rispetto a prima:
-Tu cosa gli diresti?- la spronò con delicatezza – Cosa ti senti di fare?-.
Era difficile esprimere a parole tutto il turbinio di emozioni in cui si ritrovava a soffocare, ma Caterina tentò ugualmente:
-Sono incazzata con lui, ma allo stesso tempo ho bisogno di vederlo. Non ci capisco più niente-.
Giulia le passò un braccio attorno alle spalle:
-Di sicuro avrete molto di cui parlare-.
A quel solo pensiero Caterina avvertì la nausea farsi più forte. Era inevitabile che accadesse, e doveva succedere il prima possibile per non perdere tempo che sarebbe potuto risultare molto prezioso, ma si sentiva male all’idea in ogni caso.
-E se volesse lasciarmi?- sospirò, d’un tratto sentendosi impossibilitata ad escludere anche quella possibilità.
-Non credo che qualcuno che ti vuole lasciare ti scriverebbe un messaggio simile- ragionò Giulia – È una testa di cazzo, ma non credo lo sia così tanto-.
“Spero proprio di no”.
In un modo o nell’altro le parole di Giulia riuscirono a confortarla a sufficienza. In qualsiasi caso doveva agire.
-Devo tornare- disse a mezza voce, più a se stessa che a Giulia.
-Prenditi ancora un po’ di ore per stare qui- mormorò l’altra – Quando te la sentirai tornerai anche tu, e parlerete-.
Caterina si ritrovò ad annuire passivamente, con l’ansia per quel momento che già si faceva sentire.
 
*
 
A distanza di parecchie ore si ritrovava ancora solo, in quell’appartamento, ancora senza nessuna notizia di Caterina. Nicola aveva controllato già troppe volte il telefono, ma non c’era possibilità di sbagliarsi: non gli era arrivata nessuna risposta, né alcuna chiamata. Si era ripromesso di pazientare ed aspettare che decidesse di rispondergli o che rientrasse, ma quello stoicismo autoimposto cominciava già ad andargli troppo stretto.
Aveva perso il conto delle ore che erano già passate dall’invio di quel suo messaggio, ed aveva anche perso il conto di quante cose aveva cercato di fare per distrarsi almeno un minimo: aveva acceso la tv, messo su un disco nello stereo, aveva provato a leggere qualche libro di Caterina. Nulla era riuscito a tranquillizzarlo o a farlo pensare ad altro anche solo per pochi minuti.
Erano passate da poco le otto, e l’idea di prepararsi qualcosa per cena non lo aveva nemmeno sfiorato: non mangiava nulla da quella mattina, ma non sentiva neanche il morso della fame. Aveva lo stomaco troppo in subbuglio e la gola troppo chiusa per pensare seriamente di riuscire a mangiare qualcosa.
Decise di farsi una doccia, in un ultimo tentativo di ingannare il tempo; passò dalla cucina al salotto, e si bloccò per un attimo a dare un ultima occhiata al telefono.
Non si aspettava davvero di trovare un messaggio da parte di Caterina, e quasi credette di aver appena avuto un’allucinazione quando si accorse che, invece, il display indicava chiaramente l’arrivo di un messaggio.
Dovevo fare alcune cose. Non aspettarmi per cena”.
Doveva essergli arrivato già una mezz’ora abbondante prima, e Nicola rimase in parte deluso nel leggere che Caterina aveva preferito omettere del tutto dove si trovasse o cosa stesse facendo – anche se, almeno, poteva intuire che stesse bene.
Più rileggeva quelle parole e più gli davano un senso di freddezza e lontananza che non fece altro che farlo sentire ancor più in colpa.
Tirò di nuovo un sospiro, a metà tra la rassegnazione e l’esasperazione.
Avrebbe dovuto aspettare ancora, per un tempo ancora imprecisato. Ancora in attesa, nell’unica compagnia di se stesso.
Quella casa era sempre così silenziosa quando non c’era lei. Vuota ed avvolta da un silenzio che rimbombava ancor di più in quel momento, visibile ed autentico.
Nicola buttò malamente il telefono sul divano, con un gesto secco. Rinunciò subito all’idea di chiamarla o di scriverle ancora: le parole che gli aveva scritto suonavano fin troppo come un invito a non disturbarla, a lasciarla sola ancora.
Si lasciò scivolare sul pavimento del salotto, appoggiando la testa contro il bordo del divano, lasciandosi sfuggire un respiro stanco e preoccupato.
Forse, se avesse agito diversamente, se le cose fossero andate in un’altra maniera, nulla di tutto quello che stava passando sarebbe accaduto. Se non avesse esagerato, se non se la fosse presa con lei come se fosse solo sua la colpa, allora forse Caterina sarebbe stata già lì con lui.
Forse non avrebbero passato giorni interi senza nemmeno vedersi, distanti l’uno dall’altra come due sconosciuti.
Il viso rigato di lacrime di Caterina e i suoi occhi lucidi, così come l’aveva vista due giorni prima, gli vorticò tra i pensieri. Si sentì morire dentro ancora un po’, esattamente come si era sentito varie volte in quegli ultimi giorni.
 
E no, non piangere che non sopporto le tue lacrime
Non ci riuscirò mai
 
Forse, per la prima volta sul serio, riuscì almeno in parte a capire Caterina, a comprendere come poteva essersi sentita nel dargli quella notizia.
Non era solamente lui ad esserci rimasto male, ad essersi sentito mancare la terra sotto i piedi. Non era l’unico ad essersi visto i propri progetti andare in fumo per un test di gravidanza positivo.
Chiuse gli occhi, stancamente. Avrebbe solamente voluto mandare avanti il tempo, trasferire quella situazione nel futuro, quando lui e Caterina avrebbero già concluso l’università, quando avrebbero deciso deliberatamente di metter su famiglia. In una situazione del genere si sarebbe sentito felice. Forse anche Caterina sarebbe stata più gioiosa, meno in collera con il mondo, meno in collera con lui. Avrebbero pianto insieme per la contentezza, e non di certo per un litigio che ora appariva stupido e insensato.
Nicola riaprì gli occhi, scuotendo appena il capo: no, la realtà in cui viveva non era quella felice che avrebbe tanto voluto. Viveva in quella in cui era scappato da Caterina appena saputo della gravidanza, quella in cui erano ancora degli studenti che arrivavano a fatica alla fine del mese e che solo con grandi difficoltà avrebbero saputo mantenere un bambino. Sentì gli occhi farsi lucidi, ma non di commozione o felicità.
Che razza di futuro aveva da offrire a un figlio?
“Un futuro fatto di stenti e di fatica”.
Seduto su quel pavimento freddo, Nicola si sentì disorientato, perso, quel silenzio che lo circondava che si faceva sempre più assordante ed intenso. Lo stordiva, lasciandolo lì a terra con le spalle ricurve per il peso che stava portando sulle sue spalle.
Si alzò piano, le gambe un po’ tremanti, e muovendo qualche passo si avvicinò lentamente alla finestra aperta a qualche metro dal divano. Appoggiò i gomiti sul davanzale: non vi era più traccia di pioggia, e la brezza si era fatta più tiepida e primaverile. Fuori stava già calando il buio, interrotto solo dalle lontane luci giallognole dei lampioni e dei vaporetti in lontananza.
Venezia di sera era ancora più bella che di giorno: l’acqua dei canaletti che dividevano le calli brillava alla luce dei lampioni, e rifletteva la forma delle case, dei ponti e delle gondole. Riusciva a vedere in lontananza la grande cupola di San Marco e la Torre dell’Orologio, stagliate nel cielo plumbeo, e le acque scure della laguna oltre la basilica.
 
È solo che
Che quando non ritorni ed è già tardi e fuori è buio
Non c'è una soluzione, questa casa sa di te
 
Stava calando il buio, e Caterina non era ancora rientrata.
Nicola si passò le mani sul viso, sforzandosi ancora una volta di non pensare al peggio. Gli risultava difficile, in quel frangente, distogliere il pensiero da Caterina: avrebbe voluto sentire finalmente la serratura della porta d’entrata scattare, e vederla entrare. Non gli importava nemmeno più della loro discussione, niente di niente. Voleva solamente riaverla lì, al sicuro.
Rimise la mani appoggiate al davanzale. Sentiva di nuovo gli occhi farsi lucidi, e cercò di ricacciare indietro quelle lacrime amare. Venne distratto solo dal rimbombo lontano e ovattato di passi lenti che percorrevano la calle proprio sotto quella finestra.
Cercò di sporgersi ancora un po’, spinto da una seppur minima speranza che potesse essere Caterina. Assottigliò lo sguardo e, guardando bene, vide che a camminare lungo la calle era una ragazza.
Era abbastanza sicuro di ciò che aveva visto, ma il buio appena calato e la lontananza gli impedivano di riconoscerla davvero.
Forse era solo la sua speranza a fargli credere che fosse lei, e non una qualsiasi altra donna che stava camminando proprio per quella strada. Solo un’inutile ulteriore illusione.
 
E ascolterò i tuoi passi e ad ogni passo starò meglio
E ad ogni sguardo esterno perdo l'interesse
 
Preferì allontanarsi dalla finestra, tornando al centro della stanza, la testa che cominciava a girargli per la debolezza che sentiva in corpo.
Raggiunse la porta d’ingresso, appoggiandovisi di schiena e lasciandosi scivolare a terra, entrambe le mani giunte sulla testa, a coprirgli il viso.
Cercò di percepire il rumore dei passi di Caterina che salivano le scale fino al pianerottolo del loro appartamento, ma non sentì altro che silenzio. Lo stesso silenzio che lo aveva accompagnato per tutto il giorno, assordante e doloroso.
Si chiese se anche Caterina si fosse sentita così, negli ultimi giorni, quando era rimasta sola in quella casa. Forse anche lei aveva trovato quella solitudine tremendamente angosciante, a tratti paurosa.
Sì, doveva averla trovata paurosa. Paurosa come la percepiva lui in quel frangente.
Paura per il futuro, paura per i loro progetti, paura per qualsiasi cosa e per cose che non avrebbe nemmeno saputo definire.
Tutte le preoccupazioni tornarono prepotentemente ad occupargli la mente, come se, una volta addormentato, si fosse appena calato in un incubo interrotto poco prima di essersi svegliato.
 
E questo fa paura
Tanta paura

Paura di star bene
Di scegliere e sbagliare
 
Nicola respirò affannosamente, cercando di trattenere un’altra volta quelle lacrime che da tempo premevano per uscire dai suoi occhi. Strinse le mani così tanto che sentì le unghie conficcarsi nella carne dei palmi.
Tutti quei sentimenti contrastanti lo facevano stare male. Così male che gli sembrava che gli fosse stato tolto il respiro, come se l’aria cominciasse a scarseggiare nei suoi polmoni, in una sensazione simile a quella del soffocamento.
Sentì una lacrima rigargli una guancia, finendogli oltre il mento e cadendo sulla maglietta.
Respirò a fondo, cercando di calmarsi, in un intento che gli sembrò inutile già in partenza.
Le mani tornarono di nuovo a coprirgli il viso, come a voler nascondere quella maschera di sofferenza.
Fu in quel momento che gli parve di udire dei passi provenire dal pianerottolo, ma probabilmente era solamente la sua immaginazione. Non vi badò nemmeno.
 
Che quando non ritorni ed è già tardi e fuori è buio
Non c'è una soluzione questa casa sa di te

E ascolterò i tuoi passi e ad ogni passo starò meglio
E ad ogni sguardo esterno perdo l'interesse

E tanto ti amo
 
I passi si fecero sempre più vicini. Tese l’orecchio, e stavolta il rumore di passi in avvicinamento non sembrò solo una pura illusione. Rimase seduto, spostandosi dalla porta, teso come una corda di violino, pronto a percepire anche solo il minimo fruscio. Non dovette attendere a lungo: sentì la serratura della porta d’ingresso scattare, e poi dei passi veloci.
Aveva ancora le mani a coprigli il viso quando sentì qualcuno avvicinarsi a dove si trovava; scorse, tra le dita delle proprie mani che ancora gli coprivano il viso, un’ombra che si stagliava sopra di lui.
-Non pensavo che il pavimento fosse così comodo-.
La voce di Caterina gli giunse chiara e concreta: nessuna allucinazione, solo la pura realtà. Aveva parlato piano, quasi sussurrando, ma lui aveva sentito bene ogni parola.
Nicola tolse finalmente le mani dalla faccia, e le posò cautamente a terra. Alzò il viso in alto, da dove proveniva la sua voce. Caterina era accanto a lui, in piedi, ferma a guardarlo con uno sguardo che Nicola non avrebbe saputo definire in modo univoco. Gli occhi sembravano un misto di stanchezza, rabbia, malinconia e sollievo. Nicola si sentì infinitamente meglio solo nel ricambiare lo sguardo che Caterina gli stava rivolgendo.
 
Che per quegli occhi dolci posso solo stare male
 
Si alzò pian piano da terra, appoggiando le mani contro la parete, mentre Caterina si allontanava di qualche metro da lui per andare ad poggiare la giacca sul divano, dandogli le spalle. Non sembrava intenzionata a far durare a lungo il contatto visivo che c’era appena stato, anzi. Sembrava piuttosto volenterosa nel voler rimarcare la lontananza che, da soli due minuti e almeno sul piano fisico, sembrava essersi ridotta di parecchio.
Nicola le si avvicinò piano, mentre lei gli dava ancora le spalle: se ne rimaneva immobile in quella posizione, anche dopo essersi sfilata la giacca con movimenti lenti e stanchi.
Non pensò sul serio a ciò che avrebbe dovuto fare o dire, e probabilmente per la prima volta in vita sua agì solamente d’istinto: le cinse i fianchi con entrambe le mani, senza stringerla troppo, ed avvicinandola piano a sé. Caterina si voltò repentinamente verso di lui, con aria interrogativa: l’aveva evidentemente colta di sorpresa.
Non cercò di divincolarsi, né di sottrarsi alla presa di Nicola. Rimase lì ferma, ancora una volta, e lui quasi si stupì nel rendersi conto che non aveva nemmeno provato a sfuggire a quella specie di abbraccio inaspettato.
Caterina alzò piano gli occhi, incontrando quelli azzurri di Nicola. Sembrava essere sul punto di dire qualcosa: aprì la bocca un paio di volte, ma non pronunciò alcuna parola. Non sembrava arrabbiata, solo disorientata.
Nicola sentì stringersi il cuore, nel vederla così vulnerabile e, allo stesso tempo, più forte di quanto si era dimostrato lui fino a quel momento.
Agì di nuovo d’impulso, senza pensare a ciò che era successo nei giorni passati e senza curarsi di ciò che sarebbe accaduto da lì in avanti: si sporse verso di lei, fino a quando le loro labbra si incontrarono.
 
E quelle labbra prenderle e poi baciarle al sole
 
Nicola sentì le labbra di Caterina piegarsi in un sorriso appena accennato, non sapeva se per il sollievo di trovarlo finalmente a casa, o in una tacita conferma che sì, avrebbe accettato le sue scuse.
Quando si staccarono, però, di quel sorriso non vi era già più traccia. Era come se fosse scomparso da tempo, come se Caterina avesse perso la luminosità e la gioia che l’aveva accompagnata fino a quel momento.
Avrebbe voluto rivederlo, quel sorriso. Rivederlo ancora per qualche altro secondo, rivederlo ad illuminarle il viso ancora una volta.
 
Perché so quanto fa male la mancanza di un sorriso
Quando allontanandoci sparisce dal tuo viso
 
Caterina tornò a guardarlo, senza dire nulla. E a Nicola bastò, perché non c’era davvero nulla da dire che non potessero comunicarsi solo così, in un abbraccio e con uno sguardo.
Avevano paura entrambi, una paura enorme, ma sembrò svanire per un attimo quando Caterina appoggiò la testa sul suo petto, lasciandosi cullare dal suo respiro ora calmo e dal calore del corpo.
Nicola sospirò piano, appoggiando il mento sul capo di Caterina, socchiudendo gli occhi.
Sentì la maglietta bagnarsi per le lacrime silenziose, e non poté fare altro che stringerla ancora un po’ di più a sé, le braccia che la cingevano e la proteggevano dal mondo esterno.
 
E fa paura
Tanta paura
Paura di star bene
Di scegliere e sbagliare
 
Era un paradosso, ma con Caterina di nuovo lì, con lui, non poté fare a meno di sentirsi bene.
Perché era con lei, in quella casa, il suo posto. Avrebbero avuto tutti i problemi di quel mondo, tutti i momenti più difficili della loro esistenza, ma li avrebbero affrontati insieme.
Nicola inspirò profondamente, godendosi il profumo dei capelli di Caterina, e chiudendo gli occhi, non pensando a nulla.
 
Ma ciò che mi fa stare bene ora sei
 Tu amore
E fuori è buio
Ma ci sei tu amore

E fuori è buio*



 

*il copyright della canzone (Tiziano Ferro - "E fuori è buio") appartiene esclusivamente al cantante e ai suoi autori.

NOTE DELLE AUTRICI
Sembra che infine Nicola abbia deciso di fare ritorno a casa, ma proprio lì scopre che Caterina non c'è. E in una scena parallela scopriamo infatti che anche lei ha preferito andarsene, ospite di una Giulia parecchia infuriata (e come darle torto!). E proseguendo, abbiamo anche scoperto che Caterina ha preferito temporeggiare e prendersi il tempo di cui aveva bisogno prima di parlare con Nicola, anche se alla fine anche lei è tornata a casa, dove ora sono di nuovo insieme.
I due ragazzi, senza l'uso di tante parole, sembrano quindi aver fatto pace... Ma come andranno ora le cose? Secondo voi Nicola resterà al fianco di Caterina qualunque decisione prenda in merito alla gravidanza o avrà altri ripensamenti?
Si accettano congetture! Nel frattempo vi diamo appuntamento a mercoledì 9 febbraio con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy

 
 
 
 
 
   
 
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