Una luce accecante si intromise fra le tende bianche ricamate, illuminando la piccola stanza arredata solo con letto matrimoniale, una cassettiera con specchio e una sedia per appoggiare i vestiti.
Vanessa si alzò lentamente, stiracchiandosi e andando alla finestra per ammirare il paesaggio che si estendeva oltre il vetro.
Il verde nelle sue più svariate sfumature e il cielo limpido.
Senza guardarsi troppo allo specchio, infilò le ciabatte e si diresse verso la solita sala da pranzo inglobata con la cucina.
Un open space molto ampio e luminoso, con una parete dedicata solo a libri e giochi in scatola.
Come entrò nella stanza constatò di essere la prima e guardando l'orologio notò che infatti erano solo le otto della mattina.
Essendo di buon umore e non avendo molto da fare, si cimentò a preparare la colazione per tutti; quindi, frugando in giro e aprendo tutti i cassetti, apparecchiò la tavola con una tovaglia a scacchi bianca e verde, tovaglioli di carta e posate in acciaio.
Tazza grande per il latte e una piccola per il caffè, abbinati a sacchetti misti di biscotti, cereali e pacchetti di fette biscottate.
Attivò il tostapane e mise vicino alle varie postazioni marmellate e miele.
Mentre indaffarata preparava la moka, una seconda figura entrò nella stanza, ammirando il lavoro che aveva fatto.
<< Buongiorno >>
A quelle parole Vanessa saltò sul posto, non essendosi accorta della presenza a cui apparteneva la voce.
<< Cristo Santo! >> urlò facendo un lungo sospiro e quando vide la faccia contraddetta di Gabriel, si pentì subito di quell'affermazione.
<< Oh, pardon >>.
Lui sorrise chinando il capo, accettando le scuse senza essersi offeso veramente e, continuando a guardare la tavola imbandita, andò a prendere posto.
Vanessa aveva subito notato il fatto che nonostante vestisse la classica camicia nera, non portava il collarino ecclesiastico.
Evidentemente non si sentiva più a suo agio in quelle vesti e comunque non ritenne necessario farglielo notare.
Quando la moka finì di brontolare, anche lei si accomodò a capotavola, servendo il caffè sotto lo sguardo di Gabriel che non smetteva di toglierle gli occhi di dosso.
Sembrava quasi volesse leggerla dentro, capire i suoi pensieri o sapere cosa le passava per la testa.
<< Perché non mi parli un po' di te, Vanessa? >> chiese lui iniziando a servirsi.
<< Cosa ti posso dire, mi piace molto leggere e ascoltare la musica, sopratutto anni settanta e ottanta. Quella sì, che è roba buona! >> Tutti e due risero all'enfasi che stava mettendo nella sua descrizione personale.
<< Amo andare a cavallo, anche se ormai sonno anni che non pratico più, tra il lavoro che, tra parentesi, ho appena perso e impegni vari, non sono più riuscita a starci dietro. >>
Gabriel l'ascoltava incantato perdendosi nei suoi occhi espressivi e al contempo indecifrabili, seguendo ogni gesto della mano, ogni ciocca di capelli spostata dietro l'orecchio e ogni espressione buffa che compariva durante le affermazioni sarcastiche.
<< Il tuo lavoro ti piaceva? >> continuò a domandare curioso come un bambino piccolo che pone sempre mille domande per scoprire il mondo e quello che lo circonda.
<< Stavo in una fabbrica. Non era niente di speciale ma neanche da denigrare. Al mondo bisogna lavorare per vivere e quindi si prende quel che viene. A volte ci si accontenta >>.
Sopra la testa di Gabriel comparvero dei punti interrogativi, non trovandosi d'accordo con il suo pensiero.
<< Quindi hai fatto un lavoro diciamo mediocre e non solo non ti dava nessuna emozione, ma ti ha tolto il tempo di fare le cose che amavi. E ora di ritrovi qui. Non dovresti sprecare la tua vita.>> Argomentò il suo ragionamento come se non facesse una piega, senza alterare il tono di voce e senza cambiare espressione.
Ma quelle parole fecero ribollire il sangue nelle vene a Vanessa, che non accettava che uno sconosciuto le impartisse lezioni di vita, non sapendo niente di lei.
<< Invece scommetto che tu hai vissuto l'infanzia come un ragazzino apatico e solitario, dove la tua famiglia ti ha inculcato in testa chissà quali idee, magari fanatici anche loro della Chiesa, dato il tuo nome di nascita e quello di tua sorella. >>
Si alzò in piedi con lentezza per avviarsi lentamente verso il suo interlocutore, come una serpe che striscia silenziosa al suolo, avvicinandosi cautamente alla sua preda per coglierla di sorpresa e ucciderla.
Gabriel smise di mangiare, deglutendo a fatica l'ultimo boccone.
Sì sentì morire dentro e una sfilza di ricordi ritornarono a galla dal passato, inondando il cervello di impulsi e messaggi dolorosi.
<< Hai passato chissà quanto tempo a studiare con il naso sui libri e partecipare a seminari per diventare prete, togliendoti ogni libertà di amare qualcun altro e avere una famiglia, togliendoti la libertà di assecondare ogni istinto, vizio e capriccio, passando le giornate segregato fra quattro mura a pregare un Dio che molto probabilmente non esiste. Forse, quello che sta sprecando la sua vita, sei tu. >>
lo accusò con l'indice puntato verso la sua faccia e di risposta, rimase pietrificato, senza proferire parola. Lo aveva decisamente messo al tappeto.
In quel momento entrò Michael che, assistendo alla scena, rimase leggermente scosso.
<< Momento sbagliato? >> chiese impaurito di prendersi anche lui la sua porzione di parole di prima mattina.
Nessuno dei due rispose e dopo essersi fissati per secondi interminabili, Vanessa tornò a sedersi.
Subito i sensi di colpa le graffiarono corpo e mente come un gatto che striscia gli artigli al muro per affilarli.
Era stata davvero dura e lo sguardo di Gabriel glielo aveva confermato.
<< Vogliate scusarmi >> disse quasi sottovoce e senza degnarli di uno sguardo, si alzò pulendosi le mani dalle briciole, uscendo poi fuori dalla malga per andare in direzione del laghetto.
<< Cazzo >> sbottò Vanessa, schiaffeggiandosi mentalmente per la scenata appena fatta.
<< Il buongiorno si vede dal mattino, eh? >> rise Michael, cercando di sdrammatizzare.
<< Mi ha detto che sto sprecando la mia vita. Ho reagito un po' male. >> ammise lei abbassando la testa come un cane bastonato.
<< Un po'? >> ironizzò il biondo, affondando due biscotti insieme nel caffè-latte.
<< Un po' tanto >> concluse alla fine, scuotendo la testa e sbuffando.
<< E cos'è che ti ha fatto imbestialire? Il fatto che abbia parlato a sproposito o il fatto che ci abbia azzeccato? >> Vanessa lo fulminò con lo sguardo.
Stava girando il dito nella piaga e quel era peggio, aveva maledettamente ragione.
Non era l'unica ad aver fatto centro nell'oscurità dell'anima di una persona fragile e capì che, discutere a suon di frecciatine, non poteva funzionare.
<< Forse è il caso che gli parli >> intervenne pulendosi la bocca con il tovagliolo, alzandosi poi per mettere nel lavello le stoviglie sporche.
<< Non chiederò scusa, è stato lui quello inopportuno >> precisò decisa, mettendo in chiaro la questione.
<< Non l'ho detto. Parlagli. Lui deve subirsi tutti i giorni confessioni di gente che non fa altro che lamentarsi della propria vita noiosa e dei loro peccati. Magari necessita anche lui di sfogarsi. >>
Vanessa annuì senza controbattere, ritrovandosi nuovamente d'accordo con lui.
Dopo aver fatto un lungo respiro per mettere in chiaro le idee, si decise per andare a disfarsi del pigiama, indossando una t-shirt nera e un paio di jeans strappati.
Una volta pronta e con le scarpe ai piedi, uscì fuori dalla porta aguzzando la vista per capire se il diretto interessato fosse nei paraggi.
Respirò a pieni polmoni l'aria pulita e mite, facendosi coccolare dai raggi caldi del sole estivo, mettendosi una mano davanti agli occhi per vedere meglio in lontananza.
Optò per scendere al laghetto, le sembrava la prima opzione sensata e dopo dieci minuti di camminata in discesa sul prato brillante e accuratamente tagliato, raggiunse la meta.
Vide una figura vestita di nero seduta sul ponticello, con la schiena ricurva in avanti e le gambe a penzoloni.
I tacchetti dei texani color cuoio che indossava, si fecero sentire sonoramente ogni passo sulle assi di legno, ma non fecero voltare la figura che fissava l'acqua limpida e immobile.
In silenzio Vanessa prese posto vicino a lui, copiando i suoi gesti e la sua posizione.
<< Non è meraviglioso? >> fu Gabriel a tagliare il silenzio, continuando a contemplare il cielo e le montagne.
<< Sì, lo è >> rispose lei impacciata, indecisa se cambiare subito discorso o aspettare una ramanzina riguardo al suo carattere imprevedibile.
<< Gabriel, io... >> provò a intavolare una frase di scuse, ma lui si girò si scatto inchiodando i suoi occhi profondi in quelli di lei, che illuminati dal sole, brillavano come ambra.
<< Non ti preoccupare >> la rassicurò con un lieve sorriso di apprensione.
<< Vorrei che mi parlassi ancora di te >> continuò a fissarla e in quel momento il battito del cuore di Vanessa accelerò, premendo forte contro la cassa toracica.
Il modo in cui aveva pronunciato quelle parole e lo sguardo insistente le fecero tremare per qualche secondo.
Tornò a guardare dritta davanti a lei, cercando di rimettere in ordine la confusione che aveva in testa, provando a tirare fuori qualcosa di sensato, visto che continuava a non capire perché fosse così fissato con la sua vita privata.
<< Il mio colore preferito è il viola. >> buttò fuori tutto d'un fiato.
Passarono almeno tre secondi prima che entrambi scoppiassero una sonora risata.
Gabriel mostrò un sorriso sincero e smagliante e anche lei trovò buffo la stupidaggine che aveva appena detto.
<< Scherzi a parte, vorrei che mi dicessi come mai hai scelto di intraprendere quest'avventura. >>
Ritornarono seri e Gabriel sembrò accigliarsi.
Lei percepiva la difficoltà nel tirare fuori le parole giuste, riusciva quasi a toccare la sua paura; quella di non essere capiti, di sembrare deboli o fragili.
Aspettò fino a che non trovò da solo il modo per iniziare.