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Autore: FreDrachen    28/01/2022    0 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 20 parte 1


La faccia che si dipinse sul viso non appena mi vide fu esilarante.

Quella mattina mi scrisse presto, aggiornandomi che la febbre era passata e che sarebbe venuto a scuola. Inutile dire che colsi al volo la palla al balzo, non facendomi sfuggire l'occasione di andarlo a prendere a casa per accompagnarlo a scuola.

Mia madre non fu difficile da convincere, era ormai risaputa la sua simpatia nei confronti di Akira.
Secondo me, se ne avesse avuto l'occasione avrebbe fatto volentieri scambio di culla, era abbastanza evidente che Akira sarebbe stato un figlio migliore per i miei genitori.

Preso da questi pensieri tetri arrivammo di fronte al portone di Akira proprio mentre lui stava uscendo, il volto coperto per metà da una spessa sciarpa amaranto e le mani infilate nelle tasche di un cappotto nero che rendeva la sua figura ancora più slanciata.

Abbassai il finestrino e mi sporsi, non tanto da cadere (non si sa mai) e neanche da farmi falciare la testa da in auto in movimento.

«Aki» lo chiamai cercando di sovrastare il rumore delle auto e quello fastidioso dei clacson.

Lui sussultò per la sorpresa e si voltò nella mia direzione.

«Sali che ti diamo un passaggio» lo invitai e lo vidi tentennare, reazione che non riuscivo a comprendere.

«Ti devo forse venire a prendere di peso?» lo minacciai scherzosamente, ben sapendo che se davvero avessi dovuto mettere in pratica la minaccia sarebbe stato alquanto problematico.

Quando pensai di aver perso ogni speranza lui si avviò finalmente verso la nostra auto.

Gli feci spazio e per questo riuscì a scivolare elegantemente al mio fianco.

«Arigato gozaimasu*» disse Akira, e diversamente da quanto mi aspettassi mia madre sorrise.

Quindi ero solo io il povero disagiato che non capiva un accidenti di quella lingua?

«Suvvia non essere così formale. É un piacere, soprattutto dopo quello che stai facendo per Luca» ribatté mia madre, e notando la mia occhiata perplessa riflessa sullo specchietto rise.

«Ho dei contatti legati ai miei clienti in Giappone. So capire alcune frasi ma non so ancora parlarlo bene. Akira, se hai intenzione di fare lezioni private sappi che sono disponibile».

Solo io avevo la malsana idea che mia madre ci stesse provando con lui?

«Se deve fare a qualcuno lezione di qualsiasi cosa, quel qualcuno sarò io» mi lasciai scappare troppo in fretta.
Non appena realizzai ciò che era appena uscito dalle labbra arrossì senza ritegno, lo stesso rossore che si propagò anche sulle goti di Akira che cercò ogni modo possibile per non incrociare il mio sguardo. Avvertì mia madre ridacchiare senza ritegno.

Pensava forse che non la sentissi?

Che insensibile!

Le conversazioni successive furono più brevi e decisamente più innocue rispetto alla precedente.
Arrivammo, per fortuna, a scuola in largo anticipo e incolumi. O meglio apparentemente. Ancora mi rimproveravo di aver messo a disagio Akira, ma più di tutto mi dava a pensare il motivo per cui lui non mi diceva una volta per tutte di smetterla di metterlo in imbarazzo con le mie uscite abbastanza fuori luogo.

Dovevo trovare un modo per filtrare i miei pensieri anzichè mettere semplicemente in moto la lingua.

Per fortuna adocchiai il trio dei Nerd a poca distanza. La perfetta distrazione che mi serviva!

Fu Capelli Tinti a vederci per primo e salutò Akira con contentezza, non considerando minimamante il sottoscritto.

Scusa tanto se esisto, eh!

Akira ringraziò mia madre con estrema gentilezza e rispetto, prima di allungare il passo verso il trio, e lo stesso feci io con meno tatto e voglia.

«Ti sei ripreso per fortuna» sentì dire da Roberto, quello che pareva più contento dei tre a rivedere l'amico.

Akira di tutta risposta fece un debole sorriso e gli scompigliò i capelli in un gesto affettuoso da cui lui si sottrasse bofonchiando un qualcosa legato al non spettinarlo.

«Ma sei pazzo o cosa? Ti rendi conto che se la situazione peggiorava potevi anche andare incontro alla morte?» domandò invece Capelli Tinti poggiandogli le mani sulle spalle e scrollandolo un poco.

A quelle parole avvertì le mie sopracciglia alzarsi di scatto. Wow che sensibilità!
Akira abbassò lo sguardo sconsolato e questo mi fece irritare.

«Ma ti dai una calmata? Un pezzo di granito è più sensibile di te» lo ripresi, stupendomi di questa mia presa di posizione. E lo stesso parve colpire Capelli Tinti, che fu preso in contropiede.

«Luca, va tutto bene. Simo-kun é solo...»

«No, affatto. Sai il motivo per cui l'ha fatto e non di certo per stupidità, la stessa che caratterizza ogni cosa che ti esce di bocca» continuai rivolto verso Simone che vidi stringere la mano a pugno.

«Non prendo lezioni di vita da uno preso solo e unicamente da se stesso. Perchè in fondo è questo che sei. Adesso ti atteggi da grande difensore di chi é più..."debole" di te. Ma la verità é questa. Fai così solo perché altrimenti saresti solo» ribattè a tono. «Lo ha capito la tua ragazza, il tuo ex migliore amico e tutti gli altri che ti venivano dietro come cagnolini. E alla fine lo capirà anche Akira».

Ma chi cazzo si credeva di essere a sparare sentenze?

«Almeno ero qualcuno. Tu al mio posto potresti dire lo stesso? Non è che in verità non sei altro che geloso di quello che ero?» risposi a tono, evidentemente irritato.

Akira e gli altri cercarono di calmarci ma non riuscirono nel loro intento. Finalmente Simone esprimeva i suoi sentimenti senza il vincolo di cercare di sopportarmi. E di certo non gli avrei permesso di farmi abbassare la testa. Se la stava prendendo con uno dalla testa più dura della sua. Eravamo entrambi dello stesso segno zodiacale, il Leone, e il dividere il proprie amicizie ci veniva troppo stretto. Uno dei due se ne sarebbe dovuto andare e di certo non sarei stato io, non se questo avrebbe significato rinunciare ad Akira.

Questo mio insolito attaccamanto mi spaesava ma era ciò che in quel momento mi faceva sentire più vivo.

Le mie ultime parole andarono a segno perchè lo vidi sussultare. Si mosse tanto veloce da lasciare spiazzati gli altri. Un attimo dopo avvertì la sua mano a pugno entrare in collisione con il mio zigomo destro.

D'istinto mi mossi in avanti e gliene diedi uno all'altezza dell'addome, visto che il viso era fuori dalla mia portata e provai un po' di soddisfazione nel sentirlo emettere un mugolio di dolore.

Sentivo pulsare il punto in cui mi aveva colpito ma mi faceva sentire bene, mi rendevo davvero conto di essere vivo e non rotto, guasto. Era in pensiero masochistico ma era meglio di niente.

«Come faccio a essere geloso di un qualcuno così privo di sentimenti da sembrare un automa?» mi sputò addosso debolmente, il mio colpo doveva essere andato a buon segno.

Feci per rispondergli a tono quando sentì la voce stridula della mia docente di matematica. Che goduria sentirla di primo mattino.

«Tremonti e il tuo...amico. In presidenza!» ci ordinò con il volto paonazzo. Doveva aver assistito al nostro diverbio, e la stessa cosa doveva aver fatto quasi tutta la scuola perchè me li ritrovai tutti attorno a osservarci con malsana attenzione,  manco avessero assistito a una corrida. E, di certo, non ero io il toro.

Di malavoglia seguì la megera e lo stesso fece in modo seccato Simone. Era colpa del suo carattere di merda che si ritrovava ad averci fatti finire in quella situazione. Un carattere troppo simile al mio, ma non lo avrei mai ammesso a me stesso.

Akira cercò di intervenire in nostra difesa ma lo bloccai con un cenno del capo. Non volevo che venisse coinvolto più del dovuto in questa storia.
Anche se il vero motivo era che non ero certo che tra me e Capelli Tinti avrebbe preso le mie difese. Egoisticamante avevo paura della sua scelta. Preferivo rimanere con il beneficio del dubbio. Perché se davvero avesse scelto Simone avrebbe avuto ragione lui. Sarei stato completamente solo.

L'arpia ci guidò fino all'ufficio in presidenza, mi ricordavo il tragitto che avevo fatto a suo tempo in compagnia di mia madre, il luogo dove mi era stato annunciato il tutoraggio in compagnia di Akira. Potevo quasi vedere l'ombra del vecchio me stesso che con rabbia e irritazione non riusciva a comprendere quanto bene gli avrebbe fatto.

Certo, non mi consideravo del tutto perfetto, ma un netto miglioramento lo intravvedevo. Ma per essere del tutto una brava persona il cammino era ancora lungo e in cima a una vertigginosa salita.

Non appena entrammo nella stanza Simone si appolaiò prontamente su una delle poltrone di fronte alla scrivania, mentre io, invece, parcheggiai di fianco, l'adrenalina che ancora cirvolava nel corpo e che mi rendeva sensibile agli stimoli, a cominciare dalla sua vicinanza.

Il preside era già presente nella stanza e, dopo aver ultimato ciò che stava facendo, ci osservò con cipiglio severo come se l'avessimo deluso.

«Di tutto quello che poteva succedere non mi sarei mai aspettato un simile comportamento da parte tua Abruzzo».

Guardai di sottecchi Capelli Tinti che teneva le labbra serrate. Non conoscevo il suo cognome ma mai mi sarei aspettato quello. Mi immaginavo più un qualcosa tipo: "RompiamolepalleaLuca".

«Avrai senza dubbio cominciato a capire che picchiare un disabile non è corretto» continuò l'uomo togliendosi gli occhiali.

Eh? Era questo che mi vedeva? Una creatura incapace, a parer suo, di difendersi?

Se avesse fatto altre allusioni di quel tipo era meglio che mi stesse lontano altrimenti gli avrei tirato un pugno nelle parti dove non dovrebbe battere il sole. Allora si che avrebbe capito quanto ero "debole".

«In quanto a te Tremonti non mi aspettavo che ti riabituassi così in fretta alla quotidianità scolastica a tal punto da dare problemi».

Alzai le sopracciglia. Detto così mi faceva passare per uno che prima andava in giro a tiranneggiare sulla gente. Non avevo mai picchiato nessuno a meno che non fosse stato per legittima difesa ed era successo si e no tre volte. Di solito prediligevo lo scontro verbale, mi sentivo più a mio agio e sciolto. E poi se fossi tornato a casa pieno di lividi mio padre non mi avrebbe fatto uscire di casa se non per andare a scuola, accompagnato sotto stretta sorveglianza, e agli allenamenti. Ne ero certo perché era successo e da quel giorno avevo smesso di fare a botte. A ripensare a quei momenti mi sembrò che fossero passati secoli, pareva un barlume lontano ormai irraggiungibile.

Ma anche in questo caso era stato legittima difesa e per questo mi permisi di sottolinearlo.

Il preside scosse la testa.

«Anche se fosse, Tremonti, dovevi avvisare un docente, specie se ci sono questi fenomeni di bullismo nei tuoi confronti».

Aspetta che?

Anche Simone lo fissò con sguardo sconvolto.

«Ma io non...».

«Abruzzo, più testimoni vi hanno visto, passatemi il termine, "discutere" in più di un occasione. Non mi sembra alquanto corretto farlo con chi è nelle sue condizioni».

A quelle parole avvertì un moto di stizza. Mi trattava come se fossi un oggetto delicato, ma la verità tutt'altra. Nessuno andava considerato in quel modo, tutti avevamo la nostra forza, solo che alcuni la lasciavano celata dentro di sé.

«Sono perfettamente in grado di difendermi da solo» borbottai seccato incrociando le braccia al petto.

Lui capì in parte la sua gaffe perchè con un cenno della mano cercò di minimizzare l'accaduto.

«Non lo metto in dubbio, ma non posso passare sopra su comportamanti simili».

«Che si tratta solo di discussioni, nulla più. Oggi sono stato io a provocarlo. Se ha reagito é solo per colpa delle mie parole. Presumo che gliel'abbiano riferito quanto solo abile a irritare il prossimo. Simone aveva tutti i suoi diritti di colpirmi».

Con la coda dell'occhio lo vidi fissarmi con espressione sorpresa. E pure io lo ero dentro di me. Malgrado mi stesse il più delle volte sul cazzo stavo prendendo le sue difese. Sarebbe stato facile affossarlo e metterlo così contro Akira e gli altri, ma non sarebbe stato corretto.

Scontri verbali con il sottoscritto a parte, era una brava persona che non meritava alcuna punizione, in particolar modo se non aveva fatto nulla di quello per cui veniva incolpato.

Ripetei il mio discorso mentale al preside e vidi che la sua convinzione stava via via vacillando. Se non fosse che era il lavoro di mio padre, e non avrei mai seguito le sue orme, avrei avuto un ottimo futuro come avvocato.

Fu così che messo alle strette dai miei discorsi cedette e permise a me e Simone di lasciare la stanza a condizione che non si sarebbero più ripetuti episodi simili.

Uscimmo in silenzio dalla stanza e con altrettanto gelo ci avviammo verso l'ascensore e le scale di fianco.

Pigiai il tasto per richiamare l'ascensore e simobe rimase al mio fianco.

Ci fissammo infine negli occhi come a sfidarci ad abbassare lo sguardo. Bene, non proprio l'inizio più congeniale a una sopportazione futura l'uno dell'altro.

«Scusa per il pugno. E le parole che ti ho rivolto. Sono stato uno stronzo».

«Idem» ribattei e ci fissammo in attimo ancora prima di separarci. Lo seguì con lo sguardo mentre saliva le scale e non appena uscì dalla mia visuale.

Come tregua non era male e chissà quanto tempo sarebbe durata visto la nostra incompatibilità ma per Akira avrei cercato di fare il bravo. Sempre che lui non mi avesse provocato.

L'ascensore arrivò poco dopo (ma da dove cazzo scendeva, dalla parte opposta di un buco nero?) e salì fino al piano della mia classe, dove constatai era ormai lezione inoltrata.



*trad dal giapponese: grazie mille (formale)

 

Angolino dell'autrice (non perduta):

Buonsalve :3

Scusate il ritardo con cui posto, per non farvi attendete ho diviso il capitolo a metà (della seconda metà mi manca la seconda parte...che spero di finire presto)...comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto :3

Sto procedendo con calma in modo da gettare le basi di una relazione...non nascondiamocelo...i noi due patatini si metteranno insieme...prima o poi (pure io che sono l'autrice non vedo l'ora che avvenga :3 XD)

Ma secondo voi sto procedendo troppo lenta? I capitoli sono noiosi?

Scusatemi sono abbastanza paranoica forse...è solo che volendo rendere migliore la lettura della storia, avrei bisogno anche del vostro riscontro :)
Spero di non farvi aspettare troppo per la seconda parte (vi ringrazio per non aver abbandonato la lettura per colpa della mia lentezza cronica...grazie ❤)

Sayonara
FreDrachen

 

   
 
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