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Autore: Barby_Ettelenie_91    31/01/2022    0 recensioni
[Un Professore]
Missing moments che ripercorrono la serie, dai pensieri di Manuel dopo il compleanno di Simone a quando Manuel e Simone sono andati insieme al cimitero.
 
“Chicca ormai me odia, di Alice m’ero innamorato ma m'ha preso il cuore, c’ha giocato un po’ e dopo l’ha fatto a pezzi… forse è solo per questo che con Simone…”
Scosse la testa infastidito quasi a voler cercare di scacciare dalla mente quei ricordi che lo tormentavano.
“… o forse no?” quella vocina interiore non voleva dargli pace.
Eppure lui era certo di essere etero, mica era frocio come Simone!
Genere: Hurt/Comfort, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Oddio che ho fatto! Cosa cazzo ho fatto!” continuava a ripetersi Manuel, camminando come un animale in gabbia nel grande garage.

Si sentiva più agitato in quel momento di quando Sbarra gli aveva messo in mano la pistola dicendogli di minacciare il kebabbaro.

“Chicca ormai me odia, di Alice m’ero innamorato ma m'ha preso il cuore, c’ha giocato un po’ e dopo l’ha fatto a pezzi… forse è solo per questo che con Simone…”

Scosse la testa infastidito quasi a voler cercare di scacciare dalla mente quei ricordi che lo tormentavano.

Alice che lo lasciava definitivamente, il casino con il kebabbaro, l’alcol, la voglia di spaccare tutto, ma soprattutto Simone con quel ti voglio bene che celava qualcosa di molto più profondo… il bacio quasi rabbioso che ne seguì e il desiderio impellente che li travolgeva… quel fare l’amore del tutto nuovo per entrambi, in modo un po’ rude, nascosti agli occhi di tutti in un cantiere, senza romanticismo ma con i cuori pieni di sentimenti che battevano impazziti all’unisono…

“… o forse no?” quella vocina interiore non voleva dargli pace.

Eppure lui era certo di essere etero, mica era frocio come Simone!

Le immagini della nottata precedente però continuano a dargli il tormento.

La bocca di Simone sul suo collo, le mani che s’insinuavano sotto la maglietta per accarezzarlo mentre lui faceva altrettanto, i pantaloni che si aprivano rivelando il desiderio di entrambi, il corpo muscoloso dell’amico che si univa al suo alla ricerca del piacere…

Manuel sentì il calore colorargli le guance, mentre un brivido scendeva lungo la schiena. Con rabbia diede un calcio a una bottiglietta di birra vuota dimenticata una delle tante volte che lui e Simone si erano stravaccati per terra a chiacchierare. La sua presenza era ovunque.

“Oh Simò se può sape’ cazzo m’hai fatto?!” sospirò con il cuore ancora in tumulto.

 

*

 

Simone e Manuel si trovavano nel garage che stavano discutendo.

“Ieri notte, penso che sia stato bello. Tra me e te intendo.”

Manuel fece qualche passo nervoso alle parole dell’amico.

“Forse era meglio che non succedeva.”

“Che vuoi dire?!” gli chiese Simone arrabbiato.

Manuel si sentì messo alle strette, così involontariamente passò al contro attacco.

“Simò smettila di dare peso a ogni parola, a ripensa’ a ogni cosa che succede! È stato divertente, però finisce là…”

“Che vuol di’ divertente, è stato solo un gioco per te?!”

“Simò hai rotto er cazzo con sta storia! Mettiamo in chiaro le cose, io nun so’ frocio come te, a me piacciono le donne! Me piace Chicca, me piace Alice, te manco esisti!”

“Ma vaffanculo!”

Manuel sentì il cuore farsi pesante come un macigno mentre incrociava lo sguardo furioso di Simone, prima che se ne andasse sbattendo la porta.

“Perché ora me sento ’na merda?! A me piacciono le donne, ieri ero ubriaco e incazzato, è stato tutto un errore…” Sospirò sconfortato e confuso, ma poi scacciò rapidamente quel pensiero dalla testa, Simone stava per cacciarsi in un brutto guaio, doveva aiutarlo prima che fosse troppo tardi, al resto avrebbe pensato dopo.

 

*

 

Manuel era accoccolato vicino a sua mamma, entrambi ancora scossi per tutto quello che era appena successo. Se la polizia non fosse arrivata in tempo per arrestare Sbarra e Zucca, forse non sarebbero ancora lì in quel momento.

Il ragazzo si aprì in un impercettibile sorriso stanco, quando sentì la mano di sua mamma accarezzargli i capelli con tenerezza.

Nonostante i criminali fossero stati presi, il suo pensiero continuava ad andare a Simone. Dopo avergli brutalmente sbattuto in faccia la verità sul fratello per cercare di aiutarlo, l’amico aveva completamente perso la testa ed era scappato.

“Sto male per Simone... Oggi ce siamo quasi menati, io manco me so’ difeso, me lo meritavo.”

“Ti va di raccontarmi?”

“Non me so comportato bene con lui. In pochi giorni ho perso Chicca, Alice e ora pure Simone…”

“Ma no Simone non l’hai perso!”

Manuel stava per ribattere quando all’improvviso sentirono uno schianto proprio sotto le loro finestre.

Il cuore di Manuel perse un battito quando vide Simone coperto di sangue, riverso contro i bidoni della spazzatura dove si era appena schiantato con la moto.

“Presto chiama l’ambulanza!” urlò disperato a sua madre, che si precipitò a chiamare i soccorsi, non se lo sarebbe mai perdonato se gli fosse successo qualcosa.

 

*

 

Per Manuel quella notte in ospedale fu probabilmente la più lunga della sua vita.

“Simò te prego non m’abbandonare!” fu l’unico pensiero coerente che riuscì a formulare prima che le porte della sala operatoria si chiudessero dietro la barella lasciando lui, sua madre, il padre e la nonna del suo amico nella sala d’attesa disperati, sperando in un miracolo.

Il resto furono solo immagini confuse nella sua testa, ricordi felici e ricordi tristi, sorrisi dolci e litigate furiose, seguite da un costante senso di colpa che si mischiava all’ansia che gli attanagliava lo stomaco.

Non si rese nemmeno conto di essersi addormentato sul grembo della madre quando la voce dell’infermiera che chiamava il padre di Simone lo fece svegliare di soprassalto.

Quando capì che il suo amico era salvo sentì il peso che gli gravava sul cuore sciogliersi come neve al sole e d’istinto abbracciò sua madre cercando di trattenere la commozione.

 

*

 

Simone era rimasto in ospedale, per quanto fosse fuori pericolo, il trauma cranico riportato nell’incidente andava tenuto sotto controllo. Manuel andò a trovarlo un paio di giorni dopo, in un orario in cui era certo che non ci sarebbe stato nessuno.

Entrò nella stanza con una timidezza del tutto inedita per lui, accennando un saluto.

Simone con un sorriso stanco lo invitò a sedersi vicino al letto.

“Simò sono stato un cojone, è tutta colpa mia! T’ho trattato de merda… e poi invece de aiutarti ho rovinato tutto! Quando t’ho visto dopo lo schianto ho pensato che non me lo sarei mai perdonato se te fosse successo qualcosa de brutto… Io non…”

“Oh Manu, smettila! Il cojone sono io, ho dato di matto quando mi hai detto di mio fratello, sono scappato e ho fatto quello che ho fatto perché in quel momento avrei davvero voluto morire! Non so manco io perché fossi sotto casa tua quando me sono andato a piantare, ma non è colpa tua!”

Manuel sospirò, ripensando ancora a quei terribili momenti da poco vissuti. Aprì la bocca per dire qualcosa ma Simone lo interruppe con gesto brusco.

“Non aggiungere altro, ti prego! È andata com’è andata, ma ora è tutto finito!”

“Amici?” aggiunse poi stringendogli leggermente la mano con un sorriso incoraggiante.

Manuel annuì sorpreso da quel gesto. Dopo tutto quello che era successo potevano essere ancora amici come prima? Cercò di scacciare tutte le mille domande che gli frullavano per la testa, ma soprattutto quello strano malessere che percepì sentendo quella domanda. Ma in fondo se era quello che desiderava Simone, chi era lui per negarglielo? Gli aveva fatto tanto male, era giusto che le cose andassero così, come sarebbero sempre dovute andare.  

“Oh adesso riprenditi presto che t’aspettamo a scuola! Mi… ci manchi a tutti! Forse tu’ padre riesce pure a nun farte ripete l’anno!”

“Spero anch’io de uscire presto… per l’anno se me bocciano pazienza, con tutte le cazzate che ho fatto…”

“Che abbiamo fatto! Anch’io so' a rischio… ma manco se t'empegni te riesci a libera’ de me eh!”

Si fissarono per un attimo, quasi impauriti dei sottintesi che poteva nascondere quella battuta, ma una risata liberatoria da parte Simone alleggerì l’atmosfera.  

Continuarono così a chiacchierare, incuranti del tempo che passava, come in quei lunghi pomeriggi trascorsi in garage, quando ancora non avevano tutti i problemi di quell’ultimo periodo a gravargli sulle spalle e sul cuore.

L’arrivo di un’infermiera però mise fine ai loro discorsi.

“Simò adesso devo annà… se vedemo presto!”

Si salutarono come se niente fosse, ma in cuor loro entrambi sapevano che le cose non sarebbero state più come prima.

 

*

 

Da quel momento era passato un mese. Simone si era ristabilito ed era finalmente tornato a scuola.

All’inizio però, nonostante le promesse di rinnovata amicizia scambiate in ospedale, Simone e Manuel si erano allontanati. Non era facile ignorare come se niente fosse quello che c’era stato tra di loro.

Entrambi si cercavano con lo sguardo, che però abbassavano appena si accorgevano di essere osservati dall’oggetto delle loro attenzioni, bastava una parola dell’altro per farli sorridere dolcemente, salvo però tornare seri un attimo dopo, si salutavano in fretta davanti ai motorini posteggiati e non passavano più i pomeriggi insieme al garage, a scherzare e litigare.

Entrambi soffrivano di questa situazione ma nessuno dei due trovava il coraggio di fare un passo avanti verso l’altro, per paura di rovinare tutto.

Manuel tentò addirittura di riallacciare i rapporti con Chicca, per cercare di convincere se stesso che tra lui e Simone non ci fosse stato niente, però il gentile ma deciso rifiuto della ragazza lo mise davanti alla verità. Simone gli mancava, uscire con una ragazza non avrebbe lenito quella sensazione di vuoto che da qualche tempo continuava a provare.

Dante nel frattempo era riuscito a convincere la preside a dare al figlio e a Manuel una seconda possibilità per non farli bocciare, facendogli sostenere un esame informale di recupero.

Manuel sapeva che quella era la sua ultima occasione, non poteva sprecarla, e soprattutto lo doveva a Dante, che lo aveva aiutato, indirettamente salvando anche la vita sua e di sua madre, e in quell’occasione si era di nuovo esposto per lui, nonostante non lo meritasse.

Sapeva però anche di essere una vera frana in matematica, e l’unico che l’avrebbe potuto aiutare, ma soprattutto sopportare, era Simone. Alla fine decise così di vincere ogni reticenza per chiedergli una mano a studiare.

“Simò posso chiederte un favore? Lo so che anche tu stai messo male con l’esame e ultimamente non è che noi… insomma… ma non è che me puoi aiuta’ con matematica? Lo sai pure te che so’ negato… Ho già dato troppi dispiaceri a mi madre, ce manca che me bocciano de novo! E poi me despiace pure per tu padre che ha fatto così tanto per noi e…”

Simone lo interruppe bruscamente con un gesto.

“Beh a dire il vero non sarebbe male potermi liberare di te… due teste de cazzo nella stessa classe sono troppe!”

Manuel tacque, non sapendo bene se ridere o meno di quella specie di battuta.

“Oh scemo, che è quella faccia? Certo che te aiuto! Però te me devi aiutare con filosofia… anche se con mio padre ho fatto pace, mettermi a studiare con lui sarebbe davvero troppo!”

Si fissarono per un attimo per poi scoppiare a ridere. In quel momento sembrava che il tempo in cui erano amici più o meno spensierati non fosse mai passato.

 

*

 

I due ragazzi s’impegnarono a studiare, trascorrendo la maggior parte dei pomeriggi e anche dei sabati liberi nel giardino di casa Balestra tra formule matematiche, versioni di latino e libri di filosofia.

Quel sabato mattina stavano finendo di studiare latino, materia ostica per entrambi.

“Sta versione è ‘na roba impossibile! Ma a che serve studia’ ‘na lingua morta?!” sbuffò Manuel irritato.

Simone rise, puntando lo sguardo oltre le sue spalle.

“Buongiorno prof!”

Quando Manuel si voltò trovandosi davanti il professor Lombardi sarebbe voluto scomparire.

“Prof io non intendevo…”

“So benissimo che cosa intendeva signor Ferro. Le assicuro che l’esame non sarà affatto facile, soprattutto per lei che considera il latino un’inutile lingua morta!”

 Manuel stava per rispondergli quando l’attenzione del professore fu attirata da un’altra persona.

“Attilio caro non rimproverare troppo i ragazzi, si stanno impegnando così tanto a studiare!”

“Oh ma certo Virginia, li stavo solo spronando ad applicarsi di più nella mia materia!”

Simone e Manuel trattennero a stento le risate mentre gli adulti ritornavano a casa dopo che la nonna di Simone gli aveva portato da bere.

“Oh Simò ma tu nonna e il prof stanno insieme?”

Simone lo guardò con una finta faccia sconvolta.

“Non lo so, ma dopo la nonna attrice in pensione e mio padre prof di filosofia mi ci manca il prof di latino per casa!”

Manuel scoppiò a ridere a quella risposta.

“Sì ma vedi il lato positivo, almeno quando ce sta tu nonna quello nun ce tratta male come fa sempre!”

Simone annuì ridacchiando.

Lo squillo del telefono di Manuel però interruppe il discorso.

Finita la chiamata, il ragazzo chiuse il libro di latino alzandosi.

“Mi madre ha scordato il portafoglio a casa e m’ha detto di portarglielo al lavoro. Te va di accompagnarmi e poi restamo da me a studiare?”

Simone non rispose subito.

“Oh ma se non vuoi fa lo stesso… se vedemo poi lunedì a scuola!” esclamò Manuel a disagio. Gli era venuto spontaneo quell’invito, ma forse Simone all’infuori dei compiti non voleva che il loro rapporto tornasse quello di prima. L’aveva davvero trattato di merda, nonostante le belle parole in ospedale forse un po’ avrebbe dovuto aspettarselo.

“Ma no figurati! Dico a mia nonna che torno a casa stasera e arrivo!”

Pochi minuti dopo Simone era seduto in moto dietro il suo amico, che la fece partire rombando.

Manuel cominciò a correre per cercare di ignorare i battiti accelerati del suo cuore mentre Simone lo stringeva e soprattutto per non pensare a un’altra volta in cui l’amico l’aveva stretto per i fianchi, ma in modo tutt’altro che innocente.

 

*

 

Per fortuna il viaggio durò poco, in meno di un’ora avevano sistemato tutto ed erano seduti in cucina in casa di Manuel.

“Ce famo un panino e dopo riprendiamo?” chiese il padrone di casa prendendo due birre fresche dal frigorifero insieme a una confezione di prosciutto.

“Manuel Ferro che vuole studiare, domani nevica!”

“Oh Simò non me pijà pe’ il culo! È che non voglio farme bocciare de novo! E spero manco tu!”

“Chi lo sente mio padre se dovessero bocciarmi!” rispose l’amico aprendo una birra. “E poi… mi dispiacerebbe se non fossimo più in classe insieme.”

Manuel non riuscì a sostenere quello sguardo pieno di aspettative.

“Anche a me… come me despiacerebbe non essere più con gli altri!”

Simone a quella risposta elusiva decise di lasciar perdere l’argomento. Non voleva stare ancora male per l’amico che anche se, a modo suo, gli voleva bene non ricambiava i suoi sentimenti. Mangiarono così in silenzio per un po’, tornando poi ad argomenti più frivoli.

 

*

 

Manuel dopo aver recuperato lo zaino con i libri portò per la prima volta l’amico in camera sua. Simone si guardò intorno un po’ a disagio, finché il suo sguardo non si soffermò su di un pupazzo a forma di dinosauro che faceva bella mostra sulla scrivania.

“Non sei un po’ troppo grande per giocare con quello?” chiese ironico per spezzare il silenzio imbarazzato che si era venuto a creare.

Manuel all’improvviso s’intristì.

“Probabilmente l’ha tirato fuori dall’armadio mi madre… Quel pupazzo era di Jacopo.” 

Simone lo guardò sconvolto.

“Come… com’è possibile?” balbettò con un filo di voce.

Manuel prese il dinosauro e andò sedersi sul letto, invitando l’amico a fare altrettanto.

“L’ho scoperto di recente, quando mi madre m’ha detto di tuo fratello. Se te la senti, ti racconto tutto.”

Simone si sedette stando ad ascoltare l’amico, l’animo sempre più in tumulto.

Alla fine del racconto sentì un nodo serrargli la gola e dovette fare un notevole sforzo per cercare di non piangere.

“Se vuoi te lo lascio…” sussurrò Manuel offrendogli il pupazzo, non sapendo come poterlo consolare.

Simone rifiutò scuotendo la testa.

“No, è giusto che lo tenga tu. Mio fratello sarebbe contento di sapere che un altro bambino si è divertito a giocarci.”

“Simone…”

“No, va tutto bene…”

Rimasero seduti vicini, lo sguardo perso nel vuoto, ognuno con i propri pensieri, per un tempo che parve infinito.

“Manu io vorrei andare in un posto. Te la senti di accompagnarmi?”

Alla richiesta accorata di Simone, che spezzò per primo il silenzio, l’amico non poté fare altro che annuire. Immaginava dove volesse andare, ma preferì non fare domande.

Pochi minuti dopo erano in scooter, questa volta però era Simone a guidare, diretti fuori città.

 

*

 

Il traffico caotico lasciò piano piano spazio alla campagna, fino a raggiungere un cimitero.

I due ragazzi lasciarono la moto davanti al cancello e varcarono l’ingresso in silenzio. Simone si guardò intorno e quando vide le indicazioni per il campo infantile fece cenno a Manuel di seguirlo.

“È qui.” Disse solamente quando trovò la lapide di suo fratello. Come un automa s’inginocchiò e allungando una mano sfiorò la foto del piccolo Jacopo con un’impercettibile carezza.

Rimase in quella posizione per alcuni istanti che parvero durare ore e poi si rialzò.

Manuel, rimasto in piedi qualche passo indietro, si avvicinò per vedere se stesse bene.

Il suo sguardo andò dalla foto di quel bimbo scomparso troppo presto al viso di Simone, che sembrava la personificazione del dolore.

D’istinto gli cinse le spalle per tranquillizzarlo. Simone non versò nemmeno una lacrima, ma gli ci vollero diversi minuti per calmarsi, abbandonare la sua stretta rassicurante le e allontanarsi dalla tragica visione di quella tomba.

“Tornerò a trovarti, fratellino!” sussurrò guardando la foto sulla lapide un’ultima volta prima di lasciare il campo e prendere il viale che portava all’uscita del cimitero.

Una volta fuori, Simone fece per salire in moto ma Manuel lo fermò mettendogli una mano sulla spalla.

“Forse è meglio che guido io?”

“No, figurati, sto bene! Io non…”

Simone non resistette più. Non finì nemmeno di parlare che scoppiò a piangere.

“Ehi… vieni qua…”

Un attimo dopo si ritrovò stretto tra le braccia di Manuel che cominciarono ad accarezzargli la schiena per cercare di calmarlo, mentre le lacrime non ne volevano sapere di smettere.

Quando finalmente smise di piangere era ancora molto provato, così i ragazzi si sedettero sul marciapiede, le schiene appoggiate al muro di cinta del cimitero.

“Mi dispiace, non volevo farmi vedere così… grazie!” Esclamò Simone con voce di pianto.

“E de che?” Chiunque l’avrebbe fatto…”

“No, non credo. Posso dirti che ti voglio bene?”

Manuel rimase molto colpito da quella frase. Già un’altra volta gliel’aveva detta, ma la situazione era molto diversa. Era lui quello incazzato con il mondo e Simone l’aveva urlata con rabbia per cercare di calmarlo, poi era successo quello che era successo. In quel momento invece era un misto di malinconia e gratitudine. Gli si stringeva il cuore a vederlo così fragile e indifeso.

All’improvviso tutte le litigate, i casini, le paranoie degli ultimi mesi sparirono dal suo cervello come se non fossero mai esistite.

“Ma certo! Anch’io te voglio bene Simò…”

Un impercettibile sorriso incerto, poi le loro labbra si sfiorarono appena.

Simone appoggiò la testa sulla sua spalla e Manuel passò un braccio intorno al suo fianco stringendolo a sé con tenerezza.

Rimasero così per parecchi minuti, finché Simone, finalmente più tranquillo, si alzò, allungando una mano all’amico per invitarlo a fare altrettanto.

I ragazzi indossarono il casco e Manuel salì alla guida della moto. Simone salì dietro di lui e appoggiò il mento sulla sua spalla mentre gli cingeva i fianchi.

“Manu?”

“Sì?”

“Sono felice che tu sia qui, insieme a me.”

Il ragazzo non rispose, ma Simone intravide un dolce sorriso increspargli le labbra attraverso lo specchietto retrovisore mentre la moto con un rombo ripartiva alla volta di casa.

   
 
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