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Autore: Padme Mercury    02/02/2022    0 recensioni
Una serie di brutali omicidi solletica l'interesse di Sherlock Holmes e del suo amico John Watson. All'apparenza slegati l'uno dall'altro, sono dei biglietti molto particolari che li uniscono sotto il nome di un unico assassino.
I segreti si estendono a tutta la famiglia Holmes: l'entrata in scena della giovane Charlotte cambia gli equilibri dell'appartamento al 221B di Baker Street, forse per sempre.
Sherlock si troverà davanti ad una scelta difficile che aveva sempre cercato di evitare: cuore o cervello? A cosa darà ascolto il detective?
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[N/A
La timeline è modificata rispetto alla serie originale. John è sposato con Mary anche se Moriarty è ancora vivo. Reichenbach non è ancora successo. L'età dei personaggi è leggermente modificata, così che Sherlock, John e Mycroft si trovino tutti tra i trentadue e i quarant'anni]
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo undici


Dopo aver lasciato Sherlock in cucina, John decise di salire le scale. Si guardò attorno una volta arrivato e vide la porta del bagno chiusa. Accennò un piccolo sorriso e ci si avvicinò. Bussò sul legno con due tocchi leggeri. Gli arrivò un "vai via" attutito e sospirò.

"Char, sono John... Mi fai entrare? Solo per un attimo?" le rispose con tono calmo, come quando doveva trattare con un paziente spaventato dal possibile risultato della visita. Non preoccuparti, Carl, è solo un'influenza.

Charlotte rimase in silenzio per qualche istante, poi mormorò un "entra" che John sentì a malapena. Accennò un piccolo sorriso e aprì la porta. Mise piede in bagno e si guardò intorno. In quei giorni lui aveva utilizzato quello al piano di sotto, abbastanza piccolo e con un box doccia che bastava solo per lui. Quello era più grande, con un bel mobile bianco su cui erano poggiate boccette e bagnoschiuma di ogni profumo. Di fronte alla porta c'era una grande finestra che sormontava un'ampia vasca da bagno che avrebbe potuto accogliere due persone senza alcun tipo di problema. Certo, sarebbero state comunque un po' strette, ma non si sarebbero trovate con i gomiti nelle costole.
Fece un passo avanti e si girò per chiudere la porta. Girò la chiave nella toppa, così che nessuno avrebbe potuto disturbarli. Si avvicinò alla vasca, all'interno della quale Charlotte era sdraiata con una sigaretta accesa tra le dita. Si schiarì la gola.

"Posso?" chiese, indicando l'altro lato della vasca. Charlotte annuì, così John si tolse le scarpe ed entrò nella tinozza a sua volta.

Si prese qualche istante per osservarla. Aveva la testa girata verso la finestra e guardava fuori. Gli occhi arrossati gli dicevano che aveva trattenuto delle lacrime, di sicuro quello che aveva detto Sherlock l'aveva ferita più di quanto volesse dare ad intendere. Aspirava lente boccate di fumo e faceva cadere la cenere nel lavandino, che raggiungeva allungando il braccio all'esterno. Faceva fatica, John, a distogliere lo sguardo da lei. Aveva qualcosa di magnetico, quel qualcosa che anche Sherlock e Mycroft avevano ma bordato di dolcezza.

"Non dovresti fumare, lo sai?" azzardò, poggiando le braccia sulle ginocchia. Lei accennò un piccolo sorriso.

"Finalmente hai trovato il coraggio di dirmelo." rispose, senza però accennare a buttare la sigaretta.

John sospirò e abbassò lo sguardo. Le loro gambe erano piegate eppure si incrociavano in quello spazio stretto. I pantaloni le si erano alzati appena e riusciva a vedere quanto fossero sottili le sue caviglie e i suoi polpacci. Era quasi come se non ci fossero lì, come se fosse solo John a riempire la vasca.

"È un vero idiota, vero? Un genio ma un idiota." le disse dopo qualche istante, provando ad introdurre l'argomento. La sentì irrigidirsi appena a quella constatazione, ma le sfiorò una caviglia come a dirle di stare calma, che lui era dalla sua parte.

"Sì. Un perfetto idiota che non sa tenere la bocca chiusa." lo guardò negli occhi, buttando la sigaretta, ormai finita, nel lavandino. "Grazie, comunque. So che te ne eri accorto, ma sei stato... gentile, ecco." mormorò, stringendosi appena nelle spalle.

John sorrise. Era un sorriso dolce, privo di qualsivoglia giudizio. Non era esperto in disturbi del comportamento alimentare, ma aveva studiato qualcosa a riguardo. Era una malattia vera e propria, non dissimile da una bronchite. Nei suoi anni di pratica, inoltre, aveva imparato a non giudicare mai. Soprattutto dopo gli anni passati in Afghanistan, dopo aver visto uomini implorare la morte con gli intestini tra le mani e altri piangere come bambini mentre agitavano un braccio o una gamba in procinto di staccarsi dal corpo e trattenuta lì solo da un lembo di pelle e la stoffa della divisa. Lui stesso aveva zoppicato per mesi dopo essere tornato, anche se la ferita era alla spalla. Stress post-traumatico lo avevano chiamato, pazzia e debolezza aveva pensato lui. Il tutto condito da una giusta dose di depressione e quel continuo tarlo nel cervello che gli diceva che Londra non era il suo posto e sarebbe dovuto morire in guerra, che non c'era posto per i relitti come lui nella società.
Per questo non riusciva a giudicare, a catalogare le persone come pazze per delle malattie di quel tipo. Se lei era pazza, allora lui lo era ancora di più.
Inspirò a fondo prima di parlare.

"Non sai quante volte ho pensato di ucciderlo. Potrei farlo passare come un incidente, con tutti quei suoi esperimenti." le lanciò un'occhiata divertita. "Se vuoi, puoi darmi una mano."

Charlotte rise appena, nascondendo il volto dietro una mano. Scosse la testa.

"Ah, non posso! Poi papà si arrabbierebbe!" replicò ridacchiando.

Anche John rise e, senza pensarci, le passò una mano sul polpaccio. Una vocina nel suo cervello gli stava urlando di smetterla, di spostarsi e lasciarla stare. La soffocò vedendo che lei non accennava a fermarlo. Non lo guardava neanche, a dire la verità, aveva perso lo sguardo fuori dalla finestra, lontano nell'orizzonte. Era quindi probabile che non se ne fosse accorta, che non lo sentisse neanche.

Era così bella e così vicina... John aveva sempre creduto che le ragazze come lei fossero irraggiungibili. Quando era a scuola le vedeva. Le ragazze come lei, bellissime, ricche, apparentemente senza alcun tipo di problema nella vita. Camminavano sollevate da terra di qualche centimetro e guardavano tutti dall'alto in basso, alcune con un'aria di disprezzo mentre le altre semplicemente non vedevano la gente come lui. Si ricordava della cotta stratosferica che aveva avuto al primo anno di liceo per Annette Stevens, del quarto. Lei era tutto quello che un ragazzino di quattordici anni poteva sognare: uno sguardo magnetico, dei meravigliosi e lunghissimi capelli neri, un sorriso da far girare la testa e l'aria adulta. Annette era il sogno proibito di tanti suoi compagni. Li sentiva commentare quando erano negli spogliatoi, prima e dopo la lezione di educazione fisica. Parlavano delle sue gambe, del suo seno (quella è almeno una quarta, ve lo assicuro!), di tutti i suoi attributi fisici. Erano un gruppo di quattordicenni che si gonfiavano il petto come dei tacchini e facevano i gradassi, ma se avessero avuto una donna tra le mani che diceva loro di fare quello che volevano, per Dio, fammi tutto quello che vuoi! probabilmente sarebbero fuggiti in bagno dalla paura.
John li ascoltava con il cuore che batteva all'impazzata. Lui non aveva mai pensato ad Annette in quel modo. Gli altri ragazzi erano dei porci, o così diceva sempre Harry, sua sorella. Erano dei veri porci che non sapevano fare altro che pensare a tette e culi e a come scoparsi meglio la prossima ragazza. Ma John non era come gli altri. Lui non voleva Annette solo per quello - almeno lui era sincero e ammetteva che era ancora vergine all'epoca e non avrebbe saputo da che parte cominciare. A lui Annette piaceva per il suo sorriso, per il suo modo di comportarsi. Il suo sentimento era puro e sincero. Gli piaceva perché una volta che gli era andato addosso e le aveva fatto cadere i libri non si era arrabbiata. Aveva riso e gli aveva arruffato i capelli. "Fai attenzione, tesoro! Rischi di farti male così!" gli aveva detto, prima di fargli l'occhiolino e correre via dalle sue amiche. Le aveva guardate, quattro ragazze perfette che non facevano altro che far risaltare la bellezza di Annette. Aveva sentito le guance infuocarsi e si era trovato a ripensare a quel momento in una quantità innumerevole di momenti, soprattutto a letto prima di addormentarsi.

Eppure, mentre guardava Charlotte e cercava di portarla allo stesso livello di Annette Stevens, non poteva fare a meno di annotare le differenze. Annette era felice, sorrideva sempre, era prosperosa. Charlotte aveva sempre quello sguardo triste, pareva uno scricciolo indifeso e il suo cuore spingeva violento verso di lei per stringerla forte al petto. Avrebbe fatto di tutto pur di vedere quel bel faccino illuminato da un sorriso, uno vero. Uno tutto per lui, che non nascondesse niente dietro la facciata. L'aveva già vista sorridere, per carità, e quelle poche volte che lo aveva fatto con sincerità il suo cuore si era sciolto. Le si illuminava il volto e arricciava appena il naso, assumendo un'espressione molto buffa ma, allo stesso tempo, irresistibilmente adorabile.

"Beh, sai che ti dico, allora?" si allungò verso di lei con un sorrisetto. "Mi piacerebbe invitarla fuori a cena, miss Holmes. Ho visto una brasserie francese davvero deliziosa... Mi farebbe molto piacere se decidesse di accompagnarmi." le prese una mano, proprio come se le stesse facendo una proposta formale.

In quel momento non erano seduti in una vasca da bagno, talmente stretti da avere le gambe intrecciate tra di loro. No, erano in un posto elegante, lei era una principessa e lui il cavaliere che la stava invitando a ballare al centro della sala, con gli occhi di tutti addosso.
Charlotte cercò di ritrarsi, spaventata più dall'idea di dover andare fuori a mangiare - in mezzo ad altre persone! - che dalla situazione.

"John, io non..."

"Avanti, mi piacerebbe tanto andarci. Ma non mi va di cenare da solo... Non sei costretta a mangiare, basta che mi tieni compagnia." la rassicurò, guardandola negli occhi. Aveva appoggiato anche l'altra mano sul suo dorso, sentendo così la reale consistenza della sua pelle. Era così liscia e così fredda...

"Va bene." sospirò e sorrise. "Sarò molto lieta di accompagnarla, dottor Watson." concluse, riprendendo il gioco che aveva introdotto John.

Il medico abbassò appena lo sguardo, senza riuscire a nascondere un sorrisetto. Tornò quindi a guardarla, notando che il volto di Charlotte era un perfetto specchio dei suoi pensieri.

"Allora temo di doverla lasciare, ora. Dobbiamo entrambi prepararci e non credo sia possibile rimanendo in questa vasca da bagno." commentò, uscendo dalla vasca e aiutando anche lei a rimettersi in piedi.

Uscirono dal bagno assieme e, mentre Charlotte si dirigeva in camera a prendere il cambio di vestiti, John tornava al piano di sotto. Gettò uno sguardo in cucina, ma vide che Sherlock era uscito e si era portato con sé tutto quello che stava studiando. Scosse appena la testa e si avvicinò alla sua valigia. Troppo orgoglioso per ammettere di avere sbagliato e per chiedere scusa. Non sarebbe mai cambiato. Eppure aveva visto del rimorso nei suoi occhi, ne era certo.
Scivolò nel piccolo bagno del piano terra, dove poteva darsi una veloce rinfrescata. Entrò nel piccolo box doccia, a malapena largo per permettergli di stare comodo, e si piazzò sotto l'acqua bollente. Gli era sempre piaciuto fare la doccia calda, vedere il fumo che si alzava dal contatto tra le diverse temperature dell'acqua e dell'aria. Nella sua vita aveva dovuto fare fin troppe docce fredde. Quando a sedici anni la sua fidanzatina dell'epoca, Patty Marlon, lo stuzzicava e lo lasciava sempre accaldato ed eccitato. Quando era in guerra ed era finita l'acqua calda. Quando tornava da una caccia all'uomo con Sherlock e doveva togliersi di dosso l'agitazione del momento. In quell'ultimo periodo con Mary, delle settimane orribili in cui si allontanavano sempre di più e nessuno dei due sembrava fare niente per rimediare alla situazione.

Si infilò lentamente una camicia azzurra e un paio di pantaloni scuri. Non era un appuntamento. Continuava a ripeterselo nella sua mente. Lui era sposato e lei era fidanzata. Era un'uscita tra amici, e se qualcuno si fosse trovato a pensare altro... Beh, sarebbero stati problemi suoi. Loro sapevano come stavano le cose, perché dovevano preoccuparsi di quello che pensavano persone che non conoscevano?
Si guardò allo specchio, passandosi una mano tra i capelli. Ma se non era un appuntamento, perché si sentiva come se stesse facendo un errore irrimediabile? Perché aveva quell'orribile retrogusto amaro in bocca? Inspirò, incurante del rumore che fece uscire dalla narice, e si sistemò i capelli all'indietro. Voleva provare una nuova pettinatura e poi... Poi magari si sarebbe sentito meno in colpa se non assomigliava al solito John Watson con il solito taglio corto e rilassato e il solito aspetto. Non erano molte le volte in cui apprezzava quello che lo specchio gli restituiva, ma poteva dirsi soddisfatto quella sera.

Uscì dal bagno e si allacciò al polso l'orologio, che aveva lasciato sul mobiletto della televisione. Non sentiva più neanche l'acqua al piano di sopra, probabilmente Charlotte sarebbe stata pronta in poco tempo. Si schiarì la gola e controllò il cellulare. Nessun SMS, nessuna chiamata. Era via da qualche giorno e Mary si era fatta sentire solo una volta. Non gli piaceva quel comportamento, lo faceva sentire come la seconda scelta. Come se non cambiasse se lui c'era oppure no. D'altra parte ne era sollevato: si sarebbe sentito decisamente peggio ad uscire con Charlotte se, dall'altra parte, avesse avuto una moglie che si preoccupava costantemente di lui.

"Eccomi, scusa se ti ho fatto aspettare!" esclamò la ragazza, scendendo dalle scale e facendo un piccolo saltello dall'ultimo scalino.

Si fermò, le mani giunte dietro la schiena e un sorriso suo volto. John si concesse di guardarla, di osservare come quell'abito longuette rosso le fasciasse il corpo con eleganza e sensualità. Le maniche erano a tre quarti e probabilmente non si era accorta di quanto profonda fosse in realtà la scollatura o non sarebbe stata così suo agio, lei che in quei giorni usava sempre vestiti larghi e molto coprenti. John si schiarì la gola e prese il suo cappotto. Lo tenne in mano, aiutandola ad indossarlo e si coprì a sua volta. Le offrì poi il braccio e la accompagnò fuori.

Cenarono in tranquillità alla brasserie che aveva visto John. Lui aveva preso un croque madame ed era rimasto piacevolmente sorpreso nel vedere che anche lei aveva ordinato qualcosa, una semplice crêpe salata con prosciutto e formaggio. Non l'aveva mangiata tutta, John si era trovato a dover finire anche il suo piatto, ma non gli importava, non in quel momento. Era già tanto che avesse deciso di prendere qualcosa e a lui questo bastava.
Avevano chiacchierato e scherzato durante tutta la cena. Era come se si conoscessero da anni e si trovavano talmente bene assieme che non si accorgevano neanche del tempo che passava. Furono costretti ad alzarsi quando un cameriere si avvicinò a loro per dire che avrebbero chiuso entro pochi minuti, se potete avviarvi alla cassa sarebbe meglio. John riuscì a pagare solo facendola distrarre, ma ricevette uno schiaffetto giocoso sul braccio e un "non ci provare mai più!" seguito da una risata.

Una volta fuori guardarono l'ora e, rendendosi conto che era ancora molto presto, Charlotte lo tirò verso un pub non molto lontano da casa. Conosceva il proprietario, diceva. Il primo giro di bevute, per lei e chiunque fosse con lei, era gratis. Aveva aiutato Danny, il titolare, a scoprire chi fosse a rubare ogni sera dalla cassa e quindi ad evitare che il locale chiudesse. Sorrise allo sguardo di John, dicendogli che non era stato niente di stupefacente: aveva chiamato Mycroft e aveva fatto installare delle telecamere. Da lì avevano potuto vedere che era uno dei nuovi dipendenti, una matricola. Danny lo aveva licenziato e aveva deciso di non denunciarlo, impietosito dalla sua giovane età.
Erano quindi entrati e subito una donna giunonica con le trecce simili a pannocchie strinse Charlotte in un abbraccio fin troppo forte per una ragazza così minuta. Savannah, la sorella di Danny, era espansiva di natura e amava mostrare affetto a chiunque. Appena aveva capito che John era con lei, aveva sorriso e aveva abbracciato anche lui. Il medico ridacchiò, leggermente in imbarazzo, e poi la seguì al tavolo. Sparì poi in cucina, urlando il nome di suo fratello e di venire a salutare Charlie e guarda che bel ragazzo ci ha portato la piccola! Danny uscì in sala, uno straccio abbandonato sulla spalla e il grembiule appena macchiato di cioccolato. Aveva un sorriso sul volto che gli illuminava gli occhi neri e strinse la mano di John, senza trattenersi dal raccontare per l'ennesima volta di come grazie a lei il locale fosse ancora in piedi. A lei, a come aveva trovato il ladro e a come aveva deciso di ripagare di tasca sua i loro debiti. A quel punto la ragazza arrossì leggermente, cercando di farlo smettere, mentre John la guardò con un sorriso. Se all'inizio era sembrato come quella volta con Sherlock da Angelo, ora non c'erano dubbi riguardo la differenza. Entrambi cercavano di farlo passare in secondo piano, ma Sherlock era sempre fiero di quello che faceva. Charlotte invece pensava davvero di non aver fatto niente di straordinario, quando invece quel piccolo gesto aveva cambiato il destino di un'intera famiglia.

Come promesso, il primo ordine fu offerto dalla casa. John prese una birra scura mentre Charlotte optò per un cocktail fruttato. Dopo quello, ve ne furono molti altri, tanto che ad un certo punto John dovette mettere un freno alla ragazza - hai bevuto abbastanza, Char, così minuta rischi un coma etilico! La cosa divertente era che, da ubriaca, Charlotte era senza filtri e incredibilmente buffa. Le si arrossavano le guance e la punta del naso, mentre gli occhi erano più brillanti. Passò una buona mezz'oretta a disquisire sul perché le cannucce si chiamassero proprio cannucce e non, ad esempio, succhiabevi. Più andavano avanti, più i loro discorsi si facevano senza una vera e propria conclusione e più ridevano per qualsiasi cosa. "Lo sai che quella vecchia mummia di Lady Smallwood ha una cotta per papà?" "Non giudico mai le scelte di un uomo, ma..." "Ma lui non è un uomo, lui è... un papà!" e giù a ridere come se fosse la frase più divertente che avessero mai sentito in vita loro.
Quando decisero di tornare a casa, Charlotte barcollava visibilmente e John aveva ancora quel minimo di lucidità che gli permetteva di camminare e di aiutare la ragazza a non cadere, ma rideva per qualsiasi cosa vedesse e sentiva la testa girargli violentemente. Le diede una mano anche a togliersi il cappotto una volta dentro la villetta e riuscì a prenderla per un braccio prima che cadesse inciampando nei suoi stessi piedi.

"Ops!" rise la ragazza, rimettendosi in equilibrio. Lo guardò e scoppiò nuova a ridere rumorosamente, imitata subito dal medico. Si posò un dito sulle labbra, facendogli segno di non fare troppo rumore. "Non urlare o i vicini... i vicini ci sentono!" lo ammonì, sempre ridendo.

Si avvicinò appena a lui, biascicando un nuovo "shhh" mentre poggiava il dito sulla sua bocca. John tenne le mani sulla schiena della ragazza e, inconsciamente, la tirò appena verso di sé. Puntò lo sguardo sulle sue labbra, appena separate e rosse a causa del rossetto e del calore del momento. Le dita di Charlotte passarono ad accarezzargli la mascella e poi andarono ad intrecciarsi ai suoi capelli. A pensarci a posteriori, nessuno dei due sapeva chi era stato ad iniziare. Entrambi si sarebbero dati la colpa di aver cominciato, ma la verità era che furono attratti l'uno all'altra nello stesso istante.

In un secondo, le loro labbra avevano trovato l'incastro perfetto tra quelle dell'altro. Non persero tempo e le loro lingue si incontrarono a metà strada in un abbraccio che non voleva avere fine. I loro corpi erano premuti l'uno contro l'altro senza lasciare uno spiraglio, le dita di Charlotte tiravano i capelli di John e le mani di John esploravano la schiena di Charlotte dalle spalle ai glutei. Si baciavano come se avessero fame l'uno dell'altra e finalmente potessero saziarsi dopo un periodo di carestia. Avevano le narici piene dell'odore della loro pelle, dell'eccitazione di quel momento. I loro cuori battevano così forte che potevano sentirli. Tu-TUM. Tu-TUM. Parevano animali in gabbia che si lanciavano contro le sbarre per poter uscire.

John posizionò le mani appena sotto il sedere di Charlotte e le diede una piccola spinta. Lei fece un piccolo salto e chiuse le gambe attorno alla sua vita, lasciando che le scarpe cadessero disordinate. A passi stentorei, dettati solo dalla memoria, John si avvicinò al divano e lasciò che Charlotte ci cadesse sopra. La seguì, puntellandosi con le mani e continuando a baciarla. Sarebbe morto volentieri su quelle labbra morbide, in quella posizione che gli era capitato di immaginare soprattutto in quegli ultimi giorni. Quella voce che gli urlava sempre di trattenersi e lasciare stare non si faceva sentire. In quel momento nella sua mente c'era solo Charlotte. Charlotte e il suo profumo. Charlotte e le sue labbra, il suo corpo, i suoi sospiri, le sue mani che, lente, gli slacciavano i bottoni della camicia.
Se avesse detto al sé stesso di quattordici anni che si sarebbe trovato a baciare, accarezzare, farsi toccare così da una ragazza come quelle che ammirava così tanto, forse avrebbe riso. Forse gli avrebbe detto di non dire stronzate e di andarsene a fare un giro nel Tamigi per rinfrescarsi le idee. Eppure era lì, sdraiato su un divano con la ragazza più bella che avesse mai visto in vita sua, le sue mani vagavano sul suo petto ormai libero. Si separò dalle sue labbra - Dio quanto erano dolci e quanto era difficile smettere di baciarla anche solo per un attimo - solo per aiutarla a togliersi la camicia. Si avventò di nuovo sulla sua bocca, saggiandone ogni millimetro con urgenza. Era come se avesse paura che scomparisse se solo non l'avesse toccata per qualche istante. Si aggrappava a quel momento come ci si aggrappa ai sogni alla mattina, quando la luce del sole sembra farli sciogliere e svanire in ricordi sbiaditi in qualche recondito anfratto del cervello.

Le passò una mano sulla gamba, dal ginocchio fin su al gluteo. Da lì la fece scivolare sotto la gonna, sul fianco, le costole e si bloccò appena prima di toccare il reggiseno. Sentiva le sue mani che gli accarezzavano il petto e le spalle, gli toccavano anche la cicatrice e se fosse stato in sé l'avrebbe fermata ma in quel momento non gli importava.
Charlotte stessa sembrava bramare il tocco di John. Inarcò appena la schiena quando lo sentì fermarsi sulle costole, invitandolo a continuare. Si lasciò sfuggire un leggero sospiro quando le dita di John si fecero strada sulla stoffa del reggiseno e sfiorarono la pelle liscia del seno, stringendolo appena senza farle male, solo per testarne la morbidezza. Contrasse le dita sulle sue spalle. Desiderava di più, molto di più da John. Voleva che la toccasse davvero, senza niente in mezzo. Voleva che le ricoprisse il corpo di baci, sentire la sua pelle contro la propria. Desiderava essere sua nella maniera più rudimentale e antica che esistesse. Avrebbe mentito se avesse detto che non era stata da subito affascinata da lui, dal suo modo di fare. E poi aveva un'idea che...

Un lampo. Un solo, unico lampo attraversò la sua mente e le restituì la lucidità persa a causa dell'alcol e dell'eccitazione.

David.

"John..." mormorò contro le sue labbra. Non poteva fargli questo, non poteva.

"Char..." sospirò in risposta. Un'ondata di calore le infiammò il basso ventre, costringendola a richiamare a sé tutte le sue forze per dire le parole successive.

"No, John, io..." lo spinse appena dalle spalle. Lo guardò negli occhi. "Non possiamo. Non è giusto..." disse piano.

John rimase qualche istante a guardarla con le sopracciglia aggrottate. Poi Charlotte vide che aveva capito anche lui, che era arrivato alla sua stessa conclusione. Si allontanò rapidamente da lei e si sedette dall'altro capo del divano. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e nascose il visto tra le mani. Charlotte lo guardò e si mise seduta anche lei, vicina a lui. Accennò un sorriso e gli posò una mano sul ginocchio.

"Charlotte, per favore..." mugolò appena sentì il suo tocco. Sospirò e girò la testa verso di lei. "Scusa... Scusami, non avrei dovuto."

Lei scosse la testa e gli prese una mano. Il suo tocco era freddo ma rassicurante, trasmetteva tutto quello che il suo cuore voleva dire. Gli disegnò col pollice dei piccoli cerchi sul dorso.

"Non è colpa tua... Lo volevo anche io. Santo cielo, lo voglio ancora. Ma..." si morse il labbro inferiore e John dovette distogliere lo sguardo perché era così sexy da alimentare la sua eccitazione e fargli male fisicamente. "Non sarebbe giusto nei confronti di Mary e David. Non possiamo fargli questo... Farlo a entrambi."

Gli mise un mano sulla guancia e John vi si abbandonò chiudendo gli occhi per pochi secondi.

"Non potrà più essere come prima, lo sai vero?" sussurrò e Charlotte annuì.

"Lo so... Ma possiamo provare." sorrise e si allungò all'indietro per ridargli la camicia. "È meglio che vada a letto... Buonanotte, John." gli disse in un soffio, lasciandogli un bacio sulla guancia, così vicino alla bocca da fargli venir voglia di trattenerla e terminare quello che avevano iniziato.

Invece mormorò un "buonanotte" di risposta e si accontentò di guardarla raccogliere le scarpe e sparire al piano di sopra. Rimase a guardare la rampa di scale, immaginando ancora il suo corpo fasciato di rosso, sperando che tornasse indietro e gli si gettasse tra le braccia. Ma lei non tornò e il senso di colpa prese possesso della sua mente.
Lei era fidanzata, lui era sposato. In più lei era così giovane, aveva quattordici anni in meno di lui! Si passò una mano sul viso e prese il cellulare. Aprì i messaggi e ne indirizzò uno a Mary.

Come stai? Qui si sente la tua mancanza.

{Spazio autrice}

Hi there!

Finalmente il capitolo che tutti aspettavate! E con tutti intendo John e Char. E con John e Char intendo me stessa. Lo ammetto, ero io che non aspettavo altro che arrivare ad un momento esplicito tra quei due. Come se non fosse stato chiaro tipo dal capitolo 2 ma va beh! Cioè, insomma, si era capito subito che John sta sotto un treno per Char e lei trova ogni scusa buona per strusciarsi contro di lui, quindi... Era solo questione di tempo!

Vi ringrazio per essere arrivati fino qui. Questo capitolo è lunghissimo e non ha risvolti sulla trama gialla, ma ehi... Cosa non si fa in nome della Johnlotte ♡

Spero vi sia piaciuto, non vi tedio oltre con questo angolo. Era solo per dire che ero molto felice di essere arrivata a questo punto.

Alla prossima!

Padme☆

   
 
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