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Autore: eddiefrancesco    03/02/2022    0 recensioni
Odyle Chagny aspirante artista, è costretta a lasciare la Francia per accontentarsi di fare l'istitutrice delle due figlie di Lord Moran.
Dalla sua posizione ai margini del bel mondo, la giovane si rende conto ben presto che in quell' ambiente dove tutto sembra perfetto, in realtà molti nascondono oscuri segreti.
Per esempio, Lord Tristan Brisbane, l'attraente e un po' impacciato gentiluomo la cui timida insicurezza mal si accorda con le voci inquietanti che circolano sul suo conto.
O dell'avvenenente Lady Moran, che pur circondata dal lusso conduce un esistenza triste e solitaria. Scoprendo a proprie spese che nell'Inghilterra puritana di fine Ottocento può bastare un sussurro per distruggere una vita.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Non-con
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In mezzo a tutti gli altri oggetti, al centro del capanno, c'era un'automobile. Odyle aveva già visto delle vetture a motore, qualcuna le era sfrecciata davanti persino a Parigi, e nonostante sostenesse di essere una persona aperta al cambiamento e alle novità, istintivamente provava una certa diffidenza nei confronti di quelle enormi macchine che si muovevano da sole e trasportavano le persone alla velocità inumana di cinquanta o sessanta chilometri orari! Soprattutto, era l'odore a infastidirla. I gas nauseabondi che emettevano erano talmente insopportabili da farla tossire. Sollevò lo sguardo su Tristan e gli offrì un sorriso stiracchiato e incerto. «Non vi piace» sentenzio' lui, rabbuiandosi un poco. «Sapete cos'è, almeno?» «È un'automobile» rispose Odyle, rigida. «È molto bella, milord... è solo che di solito non mi piace l'odore che fa...» Cerco' di spiegargli senza offendere la sua sensibilità. «Tossisco e divento paonazza quando sento il combustibile che brucia, e il fumo mi fa lacrimare gli occhi.» Invece di incupirsi ancora di più, il volto di Tristan Brisbane si illumino' di un sorriso fiero. «Ma questa non è un'automobile a benzina!» esclamò. «La penso come voi sul rumore e sul fumo fastidioso che i veicoli a petrolio emettono, ed è proprio per questo che seguo con interesse e supporto come posso le ricerche e la sperimentazione volte a creare automobili a energia elettrica.» Batte' una mano sulla vettura. «Questa è uno dei primi esemplari usciti dal laboratorio francese Jeantaud lo scorso anno. Non lo conoscete? Avvicinatevi.» Odyle lo guardò affascinata. Le sembrava che lui diventasse ancora più bello quando si infervorava e le parlava di quelle che erano le sue passioni. Subito, però, ricordo' com'era andata a finire nel suo studio e chino' il capo, intimorita. Tristan, intanto, aveva aperto lo sportello posteriore della vettura. «Qui dietro c'è un accumulatore di energia» spiegò, mostrandole con orgoglio un'enorme scatola metallica che Odyle guardò con sospetto. «Mentre davanti, sotto il telone, c'è il motore, che trasmette il movimento a una corona dentata che si ingrana con i tamburi montali sulle ruote...» E chinandosi verso le ruote anteriori, leggermente più piccole, le indicò una specie di catena. Quando si voltò verso Odyle, tuttavia, notò la sua espressione un po' assente, tipica della persona che non capiva neppure la metà di quello che le veniva detto. Si passò una mano sulla guancia e le sorrise ancora. «Vi sto annoiando, non è vero?» Odyle scoppiò in una genuina risata, ma non disse niente. «Mi state prendendo in giro, Miss Chagny?» Le si avvicinò, guardandola con aria maliziosa. «Ebbene, che cos'è che vi fa tanto ridere? Che un anziano signore come me si interessi di queste cose?» Lei lo guardò, improvvisamente seria. «Non siete affatto un anziano signore...» gli disse sporgendo una mano verso di lui. «È solo che vi siete macchiato... proprio qui.» Odyle gli accarezzo' la guancia con il pollice. «Immagino che abbiate toccato qualche ingranaggio della vostra formidabile vettura e...» Quando lo guardò negli occhi, l'espressione di Tristan la lasciò senza fiato. Lui le afferrò il polso, trattenendola vicina a sé, senza forza ma con determinazione. Odyle sentì che il sangue le affluiva al volto e il calore le fece percepire con fastidio i vestiti sul proprio corpo. L'avrebbe baciata di nuovo? Si chiese. Erano così vicini e lei... lei sapeva che non avrebbe potuto resistergli. Voleva che lui la baciasse, ne aveva bisogno. «Chi è Victor?» le domandò invece Tristan. Fu come una doccia fredda. Odyle sgrano' gli occhi e si sentì piombare in un baratro. Lui la teneva ferma davanti a sé e i suoi occhi cercavano di frugarle nell'anima. «Era solo un gioco sciocco e infantile, milord» rispose con voce tremante. «Non mi direte che, nonostante tutta la tecnologia di cui vi circondate, credete agli spiriti?» Tristan non si fece intimidire da quella risposta. «Credo a quello che vedo, e la vostra reazione è stata... be', diciamo che è stata piuttosto significativa. Conoscete un Victor, ne sono sicuro. Chi è?» «Se anche fosse, non vedo che diritto avete di chiedermelo.» Cercò di allontanarsi, ma ancora una volta lui la trattenne. Odyle sollevò di nuovo gli occhi e lo guardò con rabbia. «Avete intenzione di ripetere la scena della volta scorsa, milord?» lo sfidò. «Io... io...» Tristan la lasciò andare. «Ero solo curioso» Bofonchio' in tono di scusa. «È solo che trovo che trovo affascinante le tavole Oui-ja...» mentì. «Sono convinto che siamo noi, e non gli spiriti, a muovere, magari in modo inconsapevole, la piastra. Forse perché inconsciamente vogliamo comunicare qualche cosa...» Odyle, che aveva raggiunto la porta del capanno, si fermò senza però voltarsi a guardarlo. Sentiva l'aria fredda e densa di nebbia davanti a sé, ma non vedeva quasi nulla. «Ricordate male, milord. Le mie dita non erano sulla piastra quando Cecilia Montgomery stava giocando. Forse voleva solo divertirsi alle mie spalle... Purtroppo sembra essere il suo passatempo preferito.» Sentì la mano di lui posarsi delicatamente, ma con fermezza, sul braccio e accarezzarla. «Perdonatemi per avervelo chiesto. È solo che... » esitò per qualche istante, e Odyle voltò il capo per guardarlo in viso. «Mi importa molto di voi» concluse lui mentre la mano scivolava dal braccio alla vita di Odyle per attirarla verso di sé. Odyle si lasciò guidare all'interno del capanno e premere contro la parete di legno grezzo mentre Tristan si curvava sul suo collo e lo baciava con tenerezza. Era di nuovo perduta. Tutto il suo corpo era in rivolta e domandava di essere liberato dai vestiti per avvinghiarsi a quell'uomo. Nonostante indossassero pesanti indumenti invernali, riusciva a sentire le mani brucianti di Tristan accarezzarle il seno e i fianchi. Domandandosi dove l'avrebbe condotta quello stordimento, si abbandonò a lui senza cercare di lottare. «Voi siete mia...» lo sentì mormorare mentre continuava a tempestarle il volto e il collo di baci. «Mia...» All'improvviso, Odyle si irrigidi'. Anche Victor aveva usato quelle parole. Aveva pensato che Tristan fosse diverso, ma evidentemente anche lui, voleva soltanto possederla e dominarla. Annaspo' in cerca d'aria mentre l'incantesimo del momento si dissolveva nella foschia. Ora si sentiva solo schiacciata, e i movimenti di Tristan le sembravano meccanici e in un certo qual modo distanti. «Tristan!» chiamò in quel momento qualcuno dall'esterno. «Tristan! Dove sei?» Entrambi riconobbero il dottor Oswald. Brisbane si staccò da lei e la guardò, stupito dal suo incomprensibile comportamento. Si era accorto che il suo atteggiamento era mutato e se ne domandava il perché. Ma non c'era tempo per una spiegazione. Paul Oswald lo stava cercando e presto li avrebbe raggiunti. Sporse la testa fuori dal portoncino e vide l'amico che camminava nella nebbia con un espressione risoluta sul volto. «Mi stavo preoccupando, non tornavate più...» lo rimprovero' il medico. Tristan tuttavia indovino' che quello non era il vero motivo per cui Oswald era andato a cercarli. La sera prima aveva chiesto all'amico di tenerlo, per quanto avesse potuto, a una certa distanza da Miss Odyle. Il medico non capiva del tutto le sue ragioni, ma era determinato a non deluderlo, nonostante fosse in grado di riconoscere per quella che era l'espressione truce dipinta sul volto di Brisbane: l'aveva appena disturbato. «È successo qualcosa, Paul?» gli domandò Tristan con aria scettica. Miss Odyle li osservava dalla porta della rimessa, in un cupo silenzio. Era davvero successo qualcosa, si disse Oswald. Le guance di Miss Chagny erano arrossate e i suoi capelli un po' in disordine. Si schiari' la voce e cercò di sorridere. «No... dunque... Mrs. Manfred era un po' preoccupata, perché dice che il tuo trabiccolo non è affidabile, e così sono venuto a cercarti» spiegò accampando la prima scusa che gli veniva in mente. In realtà li aveva seguiti tenendosi a una certa distanza e, non vedendoli sbucare dal capanno a bordo della vettura, dopo una decina di minuti si era fatto avanti. «Mrs. Manfred, eh?» Tristan gli strizzo' l'occhio e lo guardo' divertito. «E va bene...» Lo oltrepasso' e inspiro' a pieni polmoni, chiudendo gli occhi. «Allora facciamo i bravi e torniamo a casa» mormorò. «Quindi non è da molto che lavori qui...» Cecilia passò languidamente l'indice sul corrimano della scala e guardò negli occhi il giovane lacchè. «Ormai è quasi un anno, signorina...» rispose il ragazzo, palesemente a disagio. «George, non è vero?» «Si, signorina.» Il ragazzo la guardò, stupito. Non accadeva spesso - per non dire mai - che qualcuno degli ospiti ricordasse il suo nome o quello di qualunque altro domestico. «Mi pareva, infatti» incalzo' lei con un sorriso seducente, «di aver sentito quella arpia della Manfred chiamarti così...» «Già, probabilmente mi stava rimproverando» replicò George, rassicurato dal tono confidenziale della ragazza. «A volte sono un po' sbadato.» Era proprio per questo che Cecilia aveva puntato su di lui. George era uno tra i domestici più giovani di Blackborough e, almeno lo sembrava, il più sprovveduto. Così, visto che voleva ottenere informazioni su quello che succedeva nell'ala occidentale senza tuttavia esporsi al rischio di tornarvi, aveva deciso di ingraziarselo per scoprire se sapeva qualcosa. «George...» esordì posandogli una mano sul braccio con simulata esitazione. «Questa casa non ti fa venire i brividi, a volte?» Il ragazzo trasali' sotto quella carezza e diventò paonazzo. «Bri... brividi?» balbetto'. «Si... A volte, quando sono a letto, sento dei rumori... e mi sento così sola e spaventata! Di cosa può trattarsi?» «Rumori? Ah... Voi dormite al secondo piano dell'ala occidentale!» Sembrò illuminarsi in volto per un istante, ma poi tacque, rabbuiandosi. «George Obscombe!» strillo' una voce sotto di lui. Mrs. Manfred stava salendo le scale quando aveva sentito Cecilia porre al ragazzo quella domanda. George era il nipote della cuoca, ed era ancora molto giovane e inesperto sia nel lavoro sia nel trattare con i signori. Di certo non si era accorto che quelle di Miss Montgomery erano solo subdole manovre per ottenere chissà quale informazione. Margaret pensò sollevata che per fortuna George era ancora all'oscuro di tutto, ma notò che il ragazzo si irrigidiva nel vederla avvicinarsi, mentre Miss Cecilia assumeva un'aria studiatamente annoiata. «George, credo che abbiano bisogno di te al piano di sotto» gli disse Mrs. Manfred in tono perentorio. «Vai a controllare se la posta è arrivata e, nel caso, consegnala ai signori nel salone.» «Sissignora, subito Mrs. Manfred.» Il giovane lacchè lanciò un'ultima occhiata carica di rammarico alla signorina Montgomery, poi si precipitò giù dalle scale, e per poco, non inciampo' nei propri piedi ruzzolando fino al pian terreno. «Vai piano, George!» lo ammoni' ancora Margaret Manfred, sospirando. «O ti romperai l'osso del collo, un giorno o l'altro.» Cecilia sbuffo'. «Qui è davvero una noia...» commento' senza rivolgersi espressamente alla governante. «Non c'è niente da fare e non si può neanche chiacchierare un po'!» «Potete chiacchierare con gli altri ospiti nel salone, signorina» ribatte' gelida Mrs. Manfred. «E se questa casa vi fa tanta paura, vi sconsiglio di continuare ad andarvene in giro da sola.» Non aveva potuto resistere alla tentazione di rivolgerle quella intimidazione. «Non so che cosa stiate cercando, ma alcune zone di questo palazzo devono ancora essere ristrutturate e rischiereste di farvi male.» «Non pensavo che esistessero delle limitazioni per gli ospiti di Lord Brisbane» replicò secca la fanciulla. «Non ne esistono se non per il loro bene» rispose risoluta Mrs. Manfred. «Venite, vi accompagno dagli altri.» Cecilia si morse il labbro superiore, ma non trovò parole per ribattere. «Speriamo almeno che non si metta a piovere, così potremo fare una passeggiata in giardino!» sbuffo' stizzita. George era corso in cucina dalla zia e, con il fiato corto, aveva domandato se la posta fosse già stata consegnata. «Credo di sì, devi domandarlo a Mr. Baston» gli rispose la cuoca. Senza attendere oltre, il ragazzo si precipitò fuori dalla cucina in cerca del maggiordomo. Se le lettere erano già state consegnate, Baston di sicuro lo stava cercando e, con tutta probabilità, gli avrebbe dato una lavata di capo per il suo ritardo, decurtandogli parte della paga settimanale. Lo raggiunse nell'ingresso, e si sistemo' in fretta l'uniforme. Mr. Baston stava chiudendo la porta proprio in quel momento e teneva un plico di lettere in mano. «Obscombe!» tuonò voltandosi verso di lui. George immagino' di rimpicciolire di fronte all'attempato maggiordomo. «Sono qui, Mr. Baston.» Il maggiordomo lo squadro' con severità da capo a piedi, storcendo il naso. «Và a consegnare la posta ai signori, in salotto» gli ordinò. George emise un sospiro di sollievo e, afferrato il pacchetto che Baston gli porgeva, gli voltò le spalle per allontanarsi. «Obscombe!» ruggi' di nuovo il maggiordomo alle sue spalle. «Si... signore» balbetto' il giovane, tornando a guardarlo. «Sistemati il colletto, prima di entrare» sbuffo' l'altro scuotendo il capo.
   
 
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