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Autore: helpmegettosleep    08/02/2022    0 recensioni
[Un Professore]
[Un professore]
Riflessioni di Simone durante un pomeriggio di studio.
Perché per me il cuore e il cervello di Simone hanno bisogno di essere raccontati anche parlando di tutto ciò che non è Manuel.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Quelle catene di ragionamenti, lunghe, eppure semplici e facili, di cui i geometri si servono per pervenire alle loro più difficili dimostrazioni, mi diedero motivo a supporre che nello stesso modo si susseguissero tutte le cose di cui l’uomo può avere conoscenza”

Simone continuava a rileggere quella citazione sul libro di filosofia, scritta in corsivo e racchiusa da un riquadro arancione.

Ci aveva provato, qualche volta.

A razionalizzare le reazioni di Manuel, il dolore che sentiva dentro, quella sensazione di vuoto che non sembrava abbandonarlo da quando ne aveva memoria. Partiva dal risultato, cercando di applicare quelle lunghe catene di ragionamenti e di sostituire alle incognite e ai termini noti gli avvenimenti della sua vita, di quella di suo padre, di quella di Manuel. Mettere tutto in un sistema che potesse avere senso. Non ci era mai riuscito. E non era perché non ne fosse in grado, sicuramente se ci fosse stata una soluzione Simone l’avrebbe trovata, quello il suo cervello sapeva farlo bene, era il resto che non sapeva fare. Adattarsi. Capire cosa si aspettasse il mondo da lui. Capire cosa ci vedessero gli altri di tanto bello nella vita e come facessero ad avere voglia di immaginare il futuro.

Dunque, il sistema non poteva essere impostato, la soluzione non c’era, la serotonina che gli donava di solito il risultato scritto a penna sul quaderno in questo caso gli sembrava irraggiungibile.

Gli dispiaceva un po’ per Cartesio, a quanto pare aveva preso il suo stesso abbaglio, ma neanche il filosofo era riuscito a dimostrare quel teorema così azzardato: aveva per forza dovuto postulare l’esistenza di un Genio maligno, il quale, contaminando la nostra facoltà di conoscenza, la portasse sistematicamente a sbagliare.

Purtroppo il dubbio iperbolico non era riuscito a convincerlo, un’iperbole nella sua testa aveva un’equazione definita, una forma familiare, due asintoti che nella loro astrattezza portavano a valori precisi anche quando si mettevano in mezzo quelle incasinate traslazioni che la facevano diventare una funzione omografica. Il dubbio, invece, era solo incertezza.

In due minuti di elucubrazioni mentali si ritrovò a concludere che Cartesio era un cazzaro, esattamente come suo padre. Si rifiutava di ammettere quanto fosse spiazzato davanti ad un’equazione che aveva come incognita perfino il numero delle incognite, che neanche coi più potenti programmi di calcolo nessuno sarebbe riuscito a risolvere.

Chiuse con un tratto di penna il cuore che aveva distrattamente scarabocchiato all’angolo del foglio, a racchiudere la lettera di cui ormai erano pieni tutti i suoi quaderni. Buttò la testa all’indietro e contemporaneamente abbassò il braccio che fino a quel momento l’aveva sorretta, stese le gambe nello spazio stretto sotto la scrivania e sospirò.

Chissà cosa si provava ad essere come gli altri.


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Per scrivere quest’accozzaglia di parole ho scomodato la mia citazione preferita di Cartesio, tanti ricordi sulla mia maestra di vita (aka professoressa di filosofia al liceo), tanta incertezza e tanto amore per la matematica. Perdonatemi per l’uso di termini che possiamo ritenere profondi solo io e Simone Balestra, ma aspettavo da un po’ di mesi che dal mio cervello uscisse un flusso di coscienza di questo tipo per poi affibbiarlo alla sua mente contorta che mi affascina così tanto.
 
   
 
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