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Autore: _Marika_    11/02/2022    0 recensioni
Bicchieri rossi, lampadari distrutti, giocatori di football, champagne scadente, danze esotiche, vestitini leopardati, baci, risate, lacrime.
Nuovi incontri.
Cos'altro potrebbe accadere questo venerdì sera?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il Biglietto Vincente 

 

Quel giorno mi svegliai con il desiderio febbrile di sistemare ogni singolo elemento della mia vita. 

Mi sentivo come se avessi in tasca il biglietto vincente della lotteria. Sapevo ci sarebbero voluti impegno e fatica per sistemare le cose, ma adesso sapevo che ce l'avrei fatta. 

Cominciai con le cose pratiche. Non avevo molti oggetti da portare con me in Italia, ma decisi di preparare comunque il mio bagaglio. 

Dopo quindici minuti, una sacca di tela floscia era pronta sul letto. Un baluginio colpì un lato del mio campo visivo. Sospirai. Quella maledetta matrioska sbeccata mi perseguitava. 

Afferrai il monile e me lo ficcai in tasca. L'avrei restituito al mittente. 

 

 

Perché, per la prima volta nella mia vita, ero io il biglietto vincente. 

 

 

 

Eh no. Adesso basta. 

Non potevo sopportare quella situazione ancora a lungo. Mi alzai dal letto, arruffata e inviperita. Quando era troppo era troppo. 

“DONNA! JUSTIN!”. 

I rumori dal piano di sotto si affievolirono all'istante. 

Non mi fermai: “Smettetela di scopare come ricci per un minuto, c'è gente che vorrebbe dormire qui! Fate un casino d'inferno!”. 

Un silenzio di tomba cadde in tutta la casa. 

Poi, piano, Donna cominciò a ridere. Poi sempre più forte, sempre di più. 

Justin la seguì, e ben presto un ululare di risate sostituì gli ansiti dell'amplesso. 

Non potei trattenere un sorriso, seppur controvoglia. 

“Siete degli animali!” urlai. 

Le risate non accennarono a sparire. 

Sbuffai. Ma ormai ero sveglia, tanto valeva andare a fare colazione. 

“Sto scendendo! Coprite le vostre grazie, devo andare in cucina!” urlai facendo il primo gradino. 

Arrivata in fondo alle scale sentivo ancora gli ultimi risolini. Varcai la porta della cucina e chiusi la porta con forza. 

“Okkei, potete ricominciare. Fate piano però, non mi va di sentire un film porno mentre mangio le mie uova”. 

Donna rise. Una risata limpida come un cielo senza nuvole. 

“Ti voglio troppo bene, Emma!”. 

Sorrisi afferrando la scatola di burro. “Anch'io Donna. Anche se ho scoperto le tue qualità vocali di pornostar stanotte, il mio affetto è immutato”. 

Anche Justin rise. Sentii lo schiocco di un bacio. 

Ero felice per loro, davvero. 

Feci colazione in tutta calma, guardando il sole fuori dalla finestra. Erano le nove di mattina, c'era il sole, c'era amore nell'aria. 

Sentii che potevo farcela. 

Mi sentivo come se avessi in tasca il biglietto vincente della lotteria. Sapevo ci sarebbero voluti impegno e fatica per sistemare le cose, ma adesso sapevo potevo farcela. 

Sciacquai le stoviglie e le misi ad asciugare su uno strofinaccio. Accesi la radio della cucina per sentire un po' di musica. Mi stiracchiai e mi avviai verso il bagno, su per le scale. 

La porta si aprì mentre la mia mano sfiorava la maniglia. 

Un Justin nudo, sereno e splendente si materializzò davanti a me. Restai di sasso. 

Il suo sorriso si incrinò un poco. “Oddio Emma, scusa”. Afferrò l'asciugamano più vicino e si coprì. In quel momento arrivò Donna. 

“Che fate?”. 

“Justin se ne va in giro con la sua mercanzia in bella mostra e si stupisce di incontrare me in questa casa” spiegai indolente. 

Donna si appoggiò alla mia spalla. “Bè, è un bel vedere”. 

Scrutammo senza remore gli addominali scolpiti di Justin. “Sì, dai, non c'è male” ammisi. Mi voltai verso di lei. 

“Ma... nemmeno un perizoma, tu?” le chiesi ironica, notando che si mostrava spoglia di ogni pudore. Donna si strinse nella spalle, scostò Justin e si chiuse in bagno come se niente fosse. 

“Dio li fa e poi li accoppia” sentenziai. 

E intanto Donna mi aveva rubato il bagno. 

 

Cominciai con le cose pratiche. Non avevo molti oggetti da portare con me in Italia, ma decisi comunque di mettere ordine tra le mie cose. 

Dopo quindici minuti, una sacca di tela floscia era pronta sul letto. Un baluginio colpì un lato del mio campo visivo. Sospirai. Quella maledetta matrioska sbeccata mi perseguitava. 

Afferrai il monile e me lo ficcai in tasca. L'avrei restituito al mittente. 

Donna uscì dal bagno e entrò in camera avvolta in un asciugamano verde. Mi sorrise, ma poi lanciò un'occhiata torva alla sacca di tela. Sapevo che non aveva ancora accettato la mia decisione di partire. 

“Cosa farai oggi?” mi chiese, sciogliendosi i capelli. 

“Sistemo le ultime cose” risposi, vaga. 

Donna annuì poco convinta. Si pettinò i capelli per qualche minuto, poi non si trattenne: “Quel ragazzo morirà se non ti vede più, Emma”. 

Sobbalzai. “Ragazzo? Brian?”. 

Donna fece un gesto stizzoso con la mano “Macché Brian, sciocca; Matt!” 

Rividi in un secondo il viso addolorato di Matt. “Io ti voglio da morire, Emma. Ma non così”. Fu come ricevere un pugno nello stomaco. 

Boccheggiai. “Sì, devo parlargli”. 

La mia mano sfiorò la matrioska nella tasca. Perché era tutto così complicato? 

Ma quella era la mia storia ormai. Io potevo essere chi volevo. La strega cattiva, la principessa da salvare, il principe affascinante. 

Ero stufa di fare il cespuglio. Quello che sta lì a guardare mentre tutti gli altri lottano per quello che amano. 

Dovevo prendere in mano la mia vita e fare ciò che ritenevo giusto. 

Perché, per la prima volta nella mia vita, ero io il biglietto vincente. 

 

Tu tu tuuuu. 

Tu tu tuuuu. 

Un rumore metallico molto forte quasi mi rese sorda da un orecchio. 

“Sì?” rispose poi una vocetta femminile. Riconobbi Caroline, la sorella... problematica di Brian. 

Presi fiato. “Ciao, non so se... sono Emma. C'è Brian?”. 

“Nope, Brian è in pizzeria. Ma chi sei?”. 

“Sono Emma, una... amica di Brian. Tu sei Caroline giusto? Non ti ricordi di me? Siamo andati a prendere il gelato insieme”. 

“...” 

“Caroline?”. 

“Mi ricordo di te”. 

“Ah... ok, bene. Sai... sai dirmi l'indirizzo della pizzeria in cui lavora tuo fratello?”. 

“Sì”. 

Feci un profondo respiro per mantenere la calma. 

“E qual è?” 

“Brian era molto arrabbiato ieri”. 

Non risposi subito, a disagio. “Lo so” dissi infine. 

“E masticava la gomma”. 

“La gomma?” 

“Sì. Mio fratello non mastica mai le gomme”. 

Stavo perdendo l'attenzione di Caroline. “Sì, d'accordo, le gomme, ma l'indirizzo...” 

“Mai. Solo quando è morto papà masticava le gomme. Tutto il giorno”. 

Pausa. 

“Significa che era davvero molto molto arrabbiato, sai” spiegò Caroline con tono da maestrina. 

Nel petto mi si aprì una voragine. “Mi dispiace” dissi. E lo pensavo veramente. 

Caroline aspettò un po' prima di rispondere. “Va bene” sospirò. “Brian lavora al numero 13 di Saint Patrick Street, North Cl.”. 

E riattaccò. 

 

Avevo stretto quel foglietto tra le mani talmente tanto che ormai non ne rimaneva che un cartoccio giallognolo. 13, Saint Patrick Street, North Cl. L'inchiostro era ormai sbiadito, finito tutto sui miei polpastrelli. 

Era tutto il giorno che mi preparavo per quel momento. 

Avevo trovato la pizzeria verso le nove di sera, in una via poco affollata. Avevo parcheggiato lì vicino e avevo atteso, con tremante nonchalance, di veder apparire il mio Mr. Maybe. 

Mi ero preparata un sacco di discorsi e stupende frasi fatte. Dovevo spiegare a Brian che non avevo mai voluto giocare con i suoi sentimenti, che mi sentivo uno schifo per averlo illuso, deluso e poi trattato come se non contasse niente. Ma tutti questi discorsi nella mia mente erano diretti ad un ammiratore innamorato e pronto a perdonare: tutto il contrario di quello che Brian era quella sera. 

“Che cazzo ci fai qui?” esordì appena mi vide. 

Io sobbalzai, dimenticando in un lampo tutto ciò che volevo dirgli. Aveva tre cartoni di pizza tra le mani e un caschetto ridicolo bianco e rosso che citava “Da Mario”. 

Ma non potei soffermarmi troppo su quei particolari: Brian mi stava fissando con due occhi verdi di odio. E stava masticando una gomma. 

“Io... ciao Brian... sono venuta per... scusarmi” balbettai. Non riuscivo a concentrarmi con quella faccia furente davanti a me. 

Brian rise di gusto, ma solo con la bocca. “Di avermi scaricato? Pensa, che beneducata. Grazie ma non era necessario”. Detto ciò fece per andarsene. Il suo motorino era parcheggiato a pochi passi. 

“No!” cercai di fermarlo “Io... non voglio che tu pensi che io ti abbia usato, Brian. Non era mia intenzione, tu mi piacevi davvero, solo che...”. 

“Senti, non mi interessa, ok?” sbottò lui, sistemando le pizze nell'apposito contenitore del sellino. “E poi sto lavorando”. 

Salì sullo scooter e diede gas. Sparì prima che io potessi ribattere. 

 

Che avessi una tendenza al masochismo già lo sapevo, ma non credevo davvero fino a quel punto. Questa mia tendenza mi fece rimanere congelata dov'ero, seduta sugli scalini davanti alla pizzeria d'asporto, a spezzettare con pazienza il post-it giallo. 

Brian sarebbe dovuto tornare prima o poi, e io ero intenzionata a dirgli tutta la verità. Cioè che non mi ero presa gioco di lui, ma che ero quasi finita a letto con un altro. Molto coerente davvero, Emma, complimenti. 

Lui tornò dopo circa venti minuti. Quando mi vide ancora lì fece una smorfia spazientita. 

“Sto lavorando” ripeté passandomi accanto. 

“Posso aspettare” replicai subito io, decisa. Lui si fermò un attimo e mi guardò sorpreso. Poi entrò nella pizzeria. 

Il suo turno finì un'ora e mezza dopo. Il post-it ormai era un mucchietto di polvere ai miei piedi e per quella strada buia non passava un'anima. 

Brian uscì, senza casco stavolta. Mi guardò con gravità e fece un sospiro “Che cosa vuoi da me?”. 

Mi fece male vederlo così affranto. 

“Vuoi sederti?” gli chiesi, indicandogli gli scalini. Lui si avvicinò e si sedette. 

“Voglio essere sincera con te, Brian” esordii, più sicura. “Non so nemmeno io perché. Forse perché mi piaci, forse perché parlare con le persone mi aiuta a sistemare il casino che ho in testa”. 

Lui non mi interruppe. Guardava lontano, verso la strada. 

“Questa settimana è stata una belle più belle e più orribili della mia vita. Venerdì ti ho conosciuto e mi hai subito riempito la testa. Non facevo altro che pensare a te, davvero. Poter uscire con te è stato come... un crociato che scopre il santo Graal”. 

Brian mi guardò bieco per quella similitudine infelice. 

“Bé, hai capito” arrossii. “Davvero, Brian, io volevo stare con te. Ma poi sono successe un sacco di cose, e in così poco tempo! Penso di non essere mai stata così confusa in vita mia”. 

“Di certo adesso lo sei” mi rimbeccò lui. “Non sto capendo un accidente di quello che stai cercando di dirmi”. 

Presi un profondo respiro. “Quello che sto cercando di dirti è che... poteva funzionare. Avevamo le carte in regola, anche se ci conoscevamo poco. Ma adesso non funziona più. Tu per uno scherzo del destino credevi che io stessi con Justin e sei... finito con un altra. Io ti ho visto e sono finita con un altro”. 

“Tu mi hai visto?!” esclamò lui, voltandosi a guardarmi. 

“Sì. E' stato... orribile”. 

“E sei andata con un altro”. 

“...sì”. 

“Bene. Ottimo. Hai altro da aggiungere a questo disastro?”. 

“Cosa? Brian, devi capirmi, io...” 

Brian scattò in piedi come una molla. “No, cazzo, no. Io non devo capire un accidente”. 

Cercai di alzarmi anch'io, ma Brian non aveva finito. “Non puoi trattarmi così, Emma” sputò, grondando risentimento. “Non puoi uscire con me, essere gentile con mia sorella, fingere di stare con uno, dire che non è vero, dirmi che sei stata quasi a letto con un altro, cambiare continente e sperare che io capisca. Come faccio a sapere che non sono tutte balle, eh?! Io non voglio capire un accidente! Vuoi vivere la tua vita? Bene! Non venire a rompere i coglioni a me!”. 

Stavo per balbettare qualche scusa incoerente quando lui mi interruppe di nuovo. 

“Non posso aspettarti per sempre Emma”. 

Non posso aspettarti per sempre. 

Dio, come aveva ragione. 

A quell'affermazione non avevo argomenti con cui difendermi. 

Mr. Maybe mi guardava astioso, masticando la gomma con irruenza. Avevo appena deciso di dirgli che me ne sarei andata, quando un'altra voce parlò al posto mio. 

“Brian...?”. 

Mi voltai. 

Un ragazza bionda e mingherlina stava in piedi sul marciapiede, tenendo in mano le chiavi della macchina. Sembrava piuttosto scossa e in imbarazzo. 

“Sono venuta a prenderti” mormorò lei. 

Brian non disse nulla. Andò verso la ragazza, la prese per la vita con un solo braccio e la baciò con furia. “Andiamo” le disse, serio. 

Il mio stupore fu tanto grande da lasciarmi lì a bocca aperta per un pezzo. Brian e la sua tipa se n'erano andati da parecchio quando riuscii a riprendermi. 

Bene. 

Quanto tempo era passato, ventiquattro ore? E già baciava un'altra? Bene. 

Da un lato la cosa mi sollevava. Se io mi ero tanto preoccupata di non far soffrire lui, di certo lui non aveva avuto la stessa premura nei miei confronti. Il che voleva dire solo una cosa: Mr. Maybe non era affatto Mr. Right. 

Una vocina nella mia testa diceva che forse lui l'aveva baciata solo per vendicarsi di me -il che era probabile, visto lo shock della bionda a quel gesto- ma non volevo essere così egocentrica e narcisista. 

Il mondo non gira attorno a te, Emma. 

No, il mondo non girava attorno a me. Non è che adesso i ragazzi si mettevano a baciare le tipe per dare fastidio a me. I ragazzi baciano le tipe perché a loro piace baciare le tipe, stop. 

E se a Brian piaceva baciare quella biondina, buon per lui. 

Assurdamente, mi ritrovai a sperare che lui si comportasse da gentiluomo con lei. Sembrava una brava ragazza. 

 

Il signor Mario fu estremamente gentile con me quando, uscito per fumare, mi trovò ancora seduta su quei gradini freddi e scomodi. 

Gli piacqui nel momento stesso in cui gli dissi che ero italiana, e probabilmente gli piacqui ancora di più quando vide la lunghezza (cortezza?) dei miei shorts. 

Dagli shorts alla pizza gratis il passo fu breve. Dalla pizza a raccontargli della mia pseudo-relazione-conoscenza-disastro con Brian in passo fu ancora più breve. 

Mario si fece delle grasse e sane risate davanti alle mie turbe adolescenziali. 

“Tutto qui?” chiese alla fine del mio estenuante racconto. Avevo tralasciato alcuni particolari trash o volgari, ma non avevo dubbi che il malizioso grasso italiano li avesse colti tra le righe. 

“Bè... sì”. 

“Non vedo perché preoccuparsi tanto” mi consolò con un sorriso. 

Io attaccai una nuova fetta della mia pepperoni pizza. “Adesso questa situazione ti sembra insormontabile, più grande di te e di tutta la tua vita” continuò lui “ma vedrai che passerà. Alla fine passa sempre tutto”. 

Trovai quella affermazione molto più profonda di quello che voleva essere. Feci a Mario un sorriso sporco di pomodoro. “Grazie”. 

 

 

Tornai a casa provata da quello scontro a fuoco. 

Avevo parlato con Brian, ad ogni modo, e mi sentivo meglio. Adesso toccava a Matt. 

La mia scaletta prevedeva di cercare domani il suo numero di telefono e chiamarlo per fissare un incontro. Non potevo andarmene senza dirgli addio. Senza contare quello che mi aveva detto Donna, che mi tormentava da quella mattina. 

“Quel ragazzo morirà se non ti vede più, Emma”. 

Non avevo fatto soffrire abbastanza persone? 

Ma quella sera sentivo di avere la forza per affrontare un secondo round. Forse era merito della pizza. 

Avevo raccontato a Donna di Brian. 

“Cioè, quello è già con un'altra? Bello stronzo!” aveva urlato, spargendo popcorn per tutto il tappeto. 

Evitai di dire che lei aveva cambiato tre uomini quella settimana, Justin non l'avrebbe presa bene. Li lasciai al loro film e andai di sopra. Dovevo recuperare l'elenco telefonico che Donna teneva come fermaporte nello sgabuzzino. 

In corridoio trovai le mutandine di pizzo nero che avevo regalato a Donna per il suo compleanno. Potevo dire che era stato un regalo apprezzato. 

Trovai il libro sotto una cassetta da ferramenta e due vinili polverosi. Accesi una lampada e mi misi a sfogliare l'elenco seduta per terra in mezzo alla polvere. 

Dawson, Dawson... 

C'erano ben quattro Matt Dawson nella zona di Cleveland. Ne scartai due in quanto rispettivamente veterinario e ingegnere. Avevo il 50% di possibilità di trovare il mio Matt al primo colpo. Ovviamente non fu quello il caso. 

“No, grazie, devo aver sbagliato numero... arrivederci”. 

Sospirai e composi il quarto numero. 

Al terzo squillo, qualcuno sollevò la cornetta. “Matt?” chiesi, titubante. Mi rispose una voce maschile che non conoscevo: “No, adesso te lo chiamo”. Udii vari rumori di sottofondo e la stessa voce che urlava. Vari rumori dopo, una voce familiare mi giunse all'orecchio. 

“Sì?”. 

“Ciao Matt. Sono Emma”. 

Un silenzio ronzante accolse quell'affermazione. 

“Cosa vuoi?” mi chiese rude. 

“Volevo scusarmi per quello che è successo” spiegai in fretta” mi sono comportata da vera stronza, e tu non meritavi di essere trattato così”. 

Non giunse nessuna risposta per parecchio tempo. Ripensai a Jeremy, a quanta ragione c'era nella parole che mi avevano fatto così male. Stronza. 

“E' vero. Non lo meritavo” disse Matt infine. 

Sospirai, mortificata. Parlai senza nemmeno pensare. “Pensavo che potremmo vederci, così posso scusarmi di persona e... dirti addio”. 

Un altro interminabile silenzio. Rimasi lì, tesa e imbarazzata per tutta quella situazione. 

“Vediamoci domani alle 10 da Claire's”. 

Poi mise giù senza aspettare una risposta. 

Basita, scostai il telefono dall'orecchio e chiusi la comunicazione. Matt aveva paura che io potessi rifiutare? O era semplicemente un cafone? 

Rimasi con il telefono in mano in quello sgabuzzino, certa che quella notte non avrei chiuso occhio. 

 

Passai la notte fissando il soffitto. 

Donna dormiva nel suo letto, dall'altra parte della stanza. Finalmente lei e Justin avevano placato gli ormoni e si erano concessi una notte separati. Sospettavo che Donna in realtà non volesse perdersi gli ultimi giorni con me. Avrebbe avuto tutto il tempo del mondo poi per recuperare il buon sesso perduto. 

Il suo respiro lento e regolare comunque mi rilassava. Tutto sarebbe finito presto. 

Sarei tornata a casa mia, non sarei dipesa più da nessuno. Solo io, me, e me stessa. 

Alle sette e un quarto sgusciai fuori dalle coperte e scesi in cucina. Il sole era sorto da poco e tutta la casa era silenziosa. Mi preparai la colazione più sana che la dispensa permetteva -succo, un toast, una mela sgualcita- e fissai il cortile del retro dalla finestra. 

Non so cosa mi aspettavo da quella giornata. L'incontro con Brian era stato tosto abbastanza da darmi coraggio: non sarebbe potuta andare peggio di così. 

Sapevo che Matt avrebbe ripetuto quello che già mi aveva detto Brian: non posso aspettarti per sempre, non puoi trattarmi così, sei stata una stronza, blablabla... 

Sì, avrei potuto sopportarlo. C'ero già passata. 

Ignorai il senso di malessere che mi aveva invasa e sistemai la cucina. 

Guardai l'ora. Le otto. Mancava un'infinità di tempo. 

Mi buttai sul divano e accesi la tv con l'audio il più basso possibile. 

Donna comparve sulla porta dopo pochi minuti. 

“Donna, scusa, ti ho svegliato” mi scusai. 

Lei fece un poderoso sbadiglio e scosse la testa. “Macché, il sole mi ha svegliato. Che guardi?” chiese sedendosi sul divano accanto a me. 

“Spongebob”. 

“Sweetei, tu odi Spongebob” replicò con un secondo sbadiglio. 

“Lo so”. 

Donna non aggiunse niente. Appoggiò la testa sulla mia spalla e guardò la tv con me. 

Dopo un'ora di cartoni animati decisi che era il momento di prepararsi. Mi lavai i denti, mi misi il mascara, infilai un paio di shorts e prima maglia che trovai sul letto di Donna. Maglia che si rivelò essere di Justin, e che quindi cambiai in fretta. 

“Pensi di andare vestita così?” mi squadrò Donna quando ero già sulla porta pronta per uscire. 

Mi guardai. Scarpe da tennis, shorts e maglietta gialla. “Perché? Che c'è che non va?”. 

“Sei sexy come una teiera”. 

Sbuffai. “Non devo essere sexy per nessuno, Donna. Sto andando a farmi insultare”. 

Donna non smise di guardarmi storto, ma non disse altro e io me ne andai. 

Claire's era una caffetteria carina ad un paio di chilometri da casa. Decisi di prendere la bici scassata dal cortile sul retro per fare prima. 

Ero nervosa. 

Claire's era una caffetteria alla mano, con vasetti di fiori rosa ad ogni tavolo e cameriere cordialmente scontrose. Scesi dal mio bolide e lo legai ad uno stallo con un catenaccio rugginoso. Ero arrivata troppo presto. 

Pensai di aspettare fuori, ma dopo dodici secondi decisi che mi sentivo un'idiota ed entrai. Scelsi un tavolino appartato e piombai sul sedile rosa. Alla cameriera dissi che stavo aspettando qualcuno. Lei mi riservò un'occhiata gelida da dicono-tutti-così. 

Matt varcò la soglia del Claire's alle dieci punto zero zero. Si guardò attorno e quando mi vide si bloccò, come se fosse sorpreso nel trovarmi veramente lì. 

Si avvicinò scelse il sedile di fronte al mio. 

“Ciao”. 

“Ciao”. 

“Sei qui da molto?” 

“Da venti minuti” 

“Sei arrivata presto” 

“Sì”. 

Seguì qualche momento di silenzio imbarazzato. 

 

“Tu hai... dei problemi. Dei problemi con l'alcol”. 

“Sì, Emma, ho dei problemi. Forse dei problemi più gravi e più spaventosi di quelli che hanno gli altri, ma non credere che qualcuno ne sia immune. Tutti hanno dei problemi. Le persone non si dividono per “con problemi” e “senza problemi”. Ci sono solo persone che cercano di risolverli e persone che piagnucolano lamentandosi di quanto è difficile la loro vita. 

Quindi sì, Emma, io ho dei problemi. Ma sto cercando di superarli. So che non mi crederai, ma tutto questo grazie a te” 

“Grazie a me?” 

“Sì. Adesso ho una ragione per smettere di bere. Diventare un uomo indipendente forte abbastanza da prendersi cura di te”. 

Ero molto, molto imbarazzata. “Tu... per me?” 

“Per te. E' una sciocchezza romantica, dirai tu. E sai cosa dico io?” 

Avevo paura di fare quella domanda “Cosa?” 

“Mettimi alla prova”. 

 

 

Non credevo che Matt sarebbe riuscito ad aspettarmi. Insomma, ci sarebbero stati un oceano e due continenti pieni di persone a dividerci! Avrebbe potuto incontrare un'altra ragazza, sistemare un po' la sua vita, rimettersi a studiare... 

Era impensabile cominciare una relazione ora, aveva detto. “Tu sei incasinata” (IO ero quella incasinata adesso) “devi capire che cosa vuoi, che cosa cerchi. Io devo eliminare ciò che intossica la mia vita e il mio futuro. Ci vorrà tempo. Sarà difficile. Ma io tenterò”. 

“Perché? Voglio dire, è una bellissima iniziativa, può farti solo che bene, ma perché vuoi fare tutto questo per me?” 

Matt mi guardò a lungo. “Perché non è detto che riuscirò; ma per te senza dubbio vale la pena tentare”. 

   
 
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