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Autore: edoardo811    13/02/2022    2 recensioni
Questa è una raccolta di drabble, oneshot, missing moments e capitoli extra della mia storia, La Spada del Paradiso.
Esploreremo le menti di più personaggi, scopriremo segreti sulla vita al Campo Mezzosangue e soprattutto scopriremo come se la cavano i nostri eroi dopo gli avvenimenti de "La Spada del Paradiso."
Vi consiglio dunque di leggere quella storia per comprendere questa raccolta e soprattutto per evitarvi spoiler nel caso decidiate di farlo in futuro. Potete trovarla nella mia pagina autore.
Spero che la raccolta vi piaccia, buona lettura!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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Cattura la bandiera (pt3)

 

 

Edward si avvicinò ad Alyssa brandendo Ama no Murakumo, pregustando il momento in cui lei avrebbe implorato di essere risparmiata.

Un secondo prima di abbattere la sua furia su di lei si fermò. Sbatté le palpebre, guardandola mentre continuava a ballare, girata di schiena, ignara di tutto.

Ma che cavolo sto facendo? 

La spada svanì proprio com’era apparsa, in un scintillio di luce. Edward diede un’ultima occhiata ad Alyssa e scosse la testa. Le diede le spalle, raccolse il suo povero arco da terra e si allontanò nel bosco, mentre quella rompiscatole continuava a schiamazzare e a deriderlo.

«Che perdita di tempo» mugugnò, mentre cercava la via del ritorno. Era già un eroe agli occhi di tutti, praticamente, che cosa diamine se ne faceva di vincere quella stupida partita? Il suo spiacevole incontro con Alyssa gli aveva fatto venire voglia di posare le armi e andarsene in mensa a divorarsi una pizza gigante.

E poi magari consolarsi un po’ con Nat.

L’ultima volta che era stato nel bosco, era stato quando aveva vinto la sfida di Caccia – non gli importava cosa dicessero gli altri, per lui uccidere sei scorpioni da solo era una vittoria a tavolino – perciò non aveva la più pallida idea di dove fosse. Visto da fuori il bosco era grande, dall’interno era pure peggio.

Attraversò alcune fronde e sbucò di fronte a una parete rocciosa altissima. Doveva essere la montagna con dentro il Bunker Nove. E se non ricordava male, il Bunker Nove era nei meandri del bosco. Sospirò profondamente, esausto. Aveva camminato per tutto il tempo verso la direzione sbagliata.

Un brivido gelato gli percorse la schiena all’improvviso, come se una mano di ghiaccio l’avesse appena accarezzato. Udì un fruscio e si voltò di scatto, accorgendosi di qualcosa che si muoveva dietro i cespugli. All’inizio pensò che si trattasse di Alyssa che l’aveva inseguito, e anche se non l’avrebbe mai ammesso, quel pensiero lo spaventò non poco, invece con suo enorme stupore un altro volto familiare fece la sua grandiosa apparizione, un altro volto che avrebbe preferito non vedere.

«Buck?» domandò Edward, allibito. «Che diamine ci fai qui?»

Buck non rispose. Rimase a fissarlo cupo in volto, le mani che si contraevano. Aveva un aspetto perfino peggiore di come lo ricordava, con una barba incolta e i capelli rasati male che stavano ricrescendo a ciocche ispide. Gli occhi erano due fosse nere, con borse che parevano uscite da un negozio d’abbigliamento. Nonostante non avesse partecipato alla partita, aveva comunque indosso una cotta di maglia e la sua ascia/martello appesa alla cintura. Edward si accorse della sua espressione, delle vene tese sul suo collo e delle dita che formicolavano.

«… ti prego, Buck. Non dirmi che sei qui per fare a botte» disse, con voce stanca. «Non ho tempo da perdere pure con te.»

«Andava tutto bene prima che arrivassi tu…» rantolò Buck.

Il figlio di Apollo alzò gli occhi al cielo, non credendo alle proprie orecchie. «Non sta succedendo davvero. Per favore, dimmi che non sta succedendo davvero.»

Buck si avvicinò a lui, sgranchendosi il collo. «Per colpa tua ho perso tutto. La mia ragazza, i miei amici, i miei fratelli…»

«Ok, sta succedendo davvero.» Edward sospirò di nuovo. Gli sembrava di non fare altro, ultimamente. Perché tutti dovevano essere così tanto fastidiosi?

«Senti, coso, io non ho fatto proprio niente» sbottò, prima di spalancare le palpebre. L’aveva davvero chiamato “coso”?

«Hai fatto tutto da solo» riprese a dire. «Hai trattato tuo fratello come spazzatura e lui ti ha fatto saltare i denti. Hai messo le mani addosso a Jane e lei ti ha lasciato. Ti sei comportato come un autentico stronzo e tutti hanno iniziato a odiarti per questo. Sono certo che ora ti mancano i tempi in cui governavi incontrastato, ma sappi che nessuno ti ha mai rispettato per davvero. Se vuoi accusare qualcuno per tutto quello che ti è successo, incolpa te stesso.»

Lo scimmione strinse i pugni, parandosi di fronte a lui. Edward ricambiò il suo sguardo, abbozzando un sorrisetto. Avvertì il potere di Ama no Murakumo fremere dentro di lui e fu tentato di sguainare la spada e fargli passare la voglia di fare il duro, ma preferì restarsene buono. Non valeva la pena di abbassarsi al suo livello. «Torna a casa, Buck. Non fare cose di cui potresti pentirti. Tutti ti odiano già abbastanza.»

E detto quello, cominciò a camminare, passandogli accanto. Buck rimase immobile, lo sguardo pesto e i pugni contratti. Per un secondo soltanto, Edward commise l’errore madornale di pensare che quello stupido gli avesse dato retta. Poi si ritrovò la sua mano serrata sul suo braccio e fu costretto a voltarsi a forza.

«Senti, idiota…» disse Edward, tornando a fronteggiarlo. «… non te lo ripeterò ancora. Lasciami stare altrime…»

Un dolore lancinante gli mozzò il respiro. Spalancò gli occhi e la bocca, avvertendo una fitta atroce salire dallo stomaco e diramarsi in tutto il corpo, paralizzandolo. Riuscì ad abbassare appena lo sguardo, accorgendosi del pugno di Buck premuto sul suo addome, nel punto esatto in cui aveva la cicatrice lasciatagli da Izanami.

Boccheggiò, tentando di parlare, ma non gli uscì neanche una sillaba. Provò a muoversi, ma il corpo non rispondeva ai suoi comandi. Si accorse del ghigno di Buck. «Ma allora è vero…» rantolò, prima di sferrargli un altro pugno.

Edward emise un grido soffocato e crollò in ginocchio, premendosi una mano sullo stomaco. La vista gli si ricoprì di macchie nere. In mezzo a loro, si accorse di Buck che lo scrutava dall’alto con quel sorriso sadico che arrivava da orecchio a orecchio. «… lo stomaco è il tuo punto debole…»

Camminò attorno a Edward con una calma straziante. Sicuramente si stava godendo la vista e Edward lo odiò per questo. Odiò il fatto che fosse riuscito a ferirlo in quel modo, odiò apparire così indifeso di fronte a lui, ma non poteva fare nulla, il dolore era troppo forte. Tentò di concentrarsi, di far apparire Ama no Murakumo, ma venne colpito ancora una volta, questa volta con un calcio. Cadde sulla schiena con un altro urlo strozzato, i polmoni in fiamme e il respiro che gli mancava. La vista era appannata, non riusciva a vedere nulla. Tremando, provò a coprirsi la ferita sullo stomaco, ma Buck scostò la mano e sferrò un altro pugno, facendogli inarcare la schiena. Una risata si sollevò, distorta e ovattata, ma la sentì appena a causa del fischio nelle sue orecchie.

«Finalmente abbassi la cresta» gracchiò Buck dall’alto, le spalle che si alzavano e abbassavano per via della risata.

Edward avrebbe voluto alzarsi e squartarlo con Ama no Murakumo. Avrebbe voluto urlare, mandarlo a quel paese, ma non poteva. Era pietrificato, il dolore era così forte da essere insopportabile. Nemmeno quando Campe gli aveva dilaniato la faccia si era sentito così. Gli sembrava di essere di nuovo nello Yomi, quando… quando…

Quando…

L’immagine di Buck sfarfallò. Una donna vestita con un kimono sporco di sangue e il viso cadaverico sogghignò verso di lui.

«Te l’avevo detto, Edward Model. La tua sofferenza è lungi dall’avere fine.»

Edward digrignò i denti. Fece leva sui gomiti, ma venne colpito di nuovo allo stomaco, questa volta così forte che riuscì a gridare anche se col fiato mozzato. Sentiva la maglietta fredda e bagnata, brividi gelati gli pervadevano il corpo, facendolo fremere. Rovesciò la testa all’indietro e gli sembrò di morire. 

Buck rise, colpendolo ancora. Nonostante gli fosse impossibile capire cosa stesse succedendo, la consapevolezza di quello che stava accadendo cominciò a farsi largo dentro di lui, avvinghiandosi alle sue ginocchia. Se avesse continuato a colpirlo in quel modo l’avrebbe ucciso. E quel pazzo non sembrava affatto intenzionato a fermarsi.

In un angolo della sua mente, gli sembrò di ricordare che Buck non poteva sapere della sua ferita allo stomaco. Solo Chirone, Rachel l’oracolo, i suoi amici e Natalie ne erano al corrente, ed era certo che nessuno di loro fosse andato a dirlo proprio a lui. 

E allora come faceva a saperlo?

«L’unico cantastorie buono, è quello che tiene la bocca chiusa» sibilò ancora Buck. Edward lo vide mentre sollevava l’ascia e avvertì il sangue gelarsi nelle vene.

Alcune lacrime cominciarono a scivolargli lungo le guance, forse per il dolore, forse per la paura, mentre la lama affilata dell’ascia brillava sotto la luce del sole.

«Mi hai portato via tutto…» rantolò Buck, rivolgendogli ancora una volta quel ghigno folle. «… adesso io farò lo stesso!»

Ti prego, avrebbe voluto gridare Edward.

Ti prego, non farlo. 

Non poteva. Non aveva né voce, né forze. Non aveva più niente. Era impotente di fronte al suo carnefice.

Ancora una volta, Izanami apparve di fronte a lui, sogghignando crudele, il volto invaso di larve e fiumi di sangue.

«Avanti, Edward Model. Lasciati andare. Vieni verso di me. Segui il suono della mia voce…»

L’oscurità cominciò a ricoprire ogni cosa. La voce della donna era calma, suadente. Ascoltandola, a Edward sembrò di sentire meno dolore. E forse, se fosse andato verso di lei, sarebbe stato ancora meglio. Bastava solo lasciarsi andare, seguire quella voce. Tutto sarebbe andato meglio. Tutto quanto sarebbe…

Un grido straziante si sollevò in aria all’improvviso, facendogli spalancare gli occhi. Vide Buck sobbalzare, l’ascia ancora alzata, e voltarsi verso un punto impreciso alle sue spalle.

«Che stai facendo, psicopatico?! Lascialo stare!»

Quella voce… quella voce era familiare.

Buck ringhiò. Lanciò un’ultima occhiata a Edward, poi rinfoderò l’ascia e corse via. Al suo posto, apparve un viso scuro. «Ehi! Ehi, coso!»

Il figlio di Apollo rimase immobile, boccheggiante, incapace di credere ai suoi occhi. Forse era impazzito a causa del dolore. Cominciò a chiudere le palpebre, pensando che forse con una dormita tutto sarebbe passato. Si sarebbe riposato, si sarebbe svegliato, tutto sarebbe tornato alla normalità.

Vi furono un sibilo e uno SCIAF.

Edward riaprì gli occhi, con la guancia che bruciava.

«Non osare morire proprio adesso, coso! Poi danno la colpa a me! Avanti, parlami! Dì qualcosa, stupido idiota!»

«Maledetta… mocciosa…»

Alyssa fece un verso sollevato. «Bene, sei ancora tra noi.» Drizzò la testa e cominciò a urlare rivolta al bosco: «Aiuto! AIUTO! AIUTO!!!»

A Edward sembrò di avere le orecchie che sanguinavano. «Finiscila… di sbraitare…»

«Zitto, coso! AIUTO!!»

Uno stormo di passi provenne oltre la sua testa. Un grido terrorizzato lo seguì: «Edward!»

Anche questa voce era familiare. Qualcuno spinse via Alyssa per chinarsi sopra di lui. Non appena la vide, Edward riuscì a sorridere.

«Hermana…» sussurrò, incrociando gli occhioni spaventati di Rosa. Quel viso gli fece capire che il peggio era passato. Sua sorella era lì. Lo avrebbe protetto.

Era al sicuro.

«Resisti, Edward!» Rosa si chinò su di lui, prendendogli il volto tra le mani e sollevandogli la testa. «Resta con me, okay! Resta con me!»

«O… Okay…»

Ciò che accadde dopo fu una serie di immagini, voci e momenti indistinti. Volti apparvero di fronte a lui, urla di sorpresa e versi sconnessi si accavallarono tra di loro.

Riconobbe la stanza della Casa Grande in cui si era svegliato molto tempo prima, assieme al viso angosciato di Chirone che medicava le sue ferite, assieme a Jonathan e altri suoi fratelli della casa di Apollo. Non pensava di meritare così tanta attenzione da così tante persone.

Vide anche altre persone. Thomas, Lisa, Stephanie, perfino la piccola rompiscatole di Alyssa. E poi, Natalie.

Quando la vide si sentì mille volte meglio. Il dolore, la paura, tutto quello che era successo passò in secondo piano. Il pensiero di averla quasi persa occupò tutto il resto, facendogli ringraziare di essersela cavata anche quella volta.

«Non mi lasciare, testone…» disse proprio lei, con voce incrinata. Sembrava stesse piangendo, ma non poteva dirlo con certezza. Era tutto confuso, tutto sfocato. Il calore della sua mano, però, era riconoscibile tra mille.

«S… Scherzi? Io non… vado da nessuna parte…»

Nata si chinò su di lui per accarezzargli una guancia, bagnandolo con le sue lacrime. O forse anche lui stava piangendo per il sollievo di essere ancora lì.

«Starà bene» disse qualcuno all’improvviso, forse Chirone, proprio a lei. «Per fortuna abbiamo agito in tempo.»

E mentre Edward osservava Natalie piangere di nuovo, questa volta anche lei per il sollievo, in quella stanza assieme a Chirone, i suoi amici e i suoi fratelli, realizzò che finalmente poteva chiudere gli occhi.

 

***

 

Si risvegliò con la sensazione di essere appena stato infilato in un frullatore. Aveva un saporaccio in bocca, sentiva la testa leggera e pensò di poter vomitare anche l’anima. I suoi ricordi erano confusi. Aveva ancora impresso nella mente il sorriso di Buck mentre lo colpiva allo stomaco, il dolore atroce che l’aveva paralizzato e la voce di quella donna che gli intimava di arrendersi.

Edward serrò la mascella. Buck. Quel bastardo.

Fece per alzarsi, ma venne travolto da una fitta così forte che venne di nuovo ancorato al materasso. Gli scappò un grugnito e qualcuno lo sentì.

«Edward!»

Quando udì quella voce, il ragazzo si voltò di scatto. Vide Natalie al suo capezzale, gli occhi spalancati e l’espressione stupita.

«Stai bene…» mormorò, accarezzandolo di nuovo. Dal modo in cui lo disse, parve che un peso da un milione di chili le fosse stato tolto dalle spalle.

Il tocco della sua mano lo fece rabbrividire. Era calda e morbida, come sempre. Ricambiò lo sguardo della sua ragazza e riuscì appena a intrecciare le dita con le sue. «Certo… che sto bene… ci vuole ben altro per fermarmi.»

Le labbra di Nat tremolarono. Annuì senza rispondergli, con alcune lacrime che scivolavano dagli occhi.

«Dov’è… Chirone?» domandò Edward, parlando a fatica. «Devo dirgli cos’è successo… Buck mi ha attaccato e…»

«Sappiamo già tutto» lo anticipò Natalie. «Alyssa ci ha raccontato quello che ha visto.»

Edward schiuse le labbra. Alyssa, la maledetta mocciosa… era vivo grazie a lei. Lei. Se solo non fosse stato così arrabbiato, si sarebbe sentito in imbarazzo per essersi fatto salvare dalla stessa persona che per poco non l’aveva mandato al manicomio.

«E… dov’è Buck?»

Natalie scosse la testa. «Non lo sappiamo. È scappato nel bosco dopo che Alyssa l’ha visto. Tua sorella, Konnor, Stephanie e diversi altri sono andati a cercarlo, ma non sono ancora tornati.»

«Che cosa?!»

«Non fare quella faccia.» Natalie ridacchiò, anche se la sua espressione angosciata non svanì. «Fossi in te non mi preoccuperei per loro. Tua sorella sembrava pronta a uccidere chiunque l’avesse guardata di traverso. E anche Konnor era furibondo. Buck deve pregare che non lo trovino.»

Edward pensò a Rosa, al modo in cui si era comportata quando l’aveva visto ferito, e si mordicchiò le labbra assorto. Sua sorella sapeva il fatto suo, ne era al corrente, però Buck era comunque armato e voleva ucciderlo. Era pericoloso e finché non avrebbe rivisto tutti quelli che erano andati a cercarlo al sicuro con i suoi stessi occhi avrebbe continuato a sentirsi in pensiero.

Era stato un vero idiota, se erano finiti in quella situazione era solo colpa sua. Avrebbe dovuto usare Ama no Murakumo subito e far passare la voglia a quel verme di fare scemenze. Però se l’avesse fatto forse avrebbe solo ritardato l’inevitabile. Buck voleva ucciderlo, non c’erano né sema, né perché per come. Qualunque fosse il motivo che l’aveva spinto a tanto non aveva importanza, stava per trasformarsi in un assassino e forse, se non l’avesse fatto quel giorno, l’avrebbe fatto comunque.

Da una cosa del genere non si tornava indietro e Buck doveva saperlo meglio di chiunque altro.

La cosa che preoccupava di più Edward era un’altra, però. Lui sapeva del suo punto debole. Com’era possibile? Chi gliel’aveva detto?

«Tieni.» Natalie gli passò un bicchiere di nettare, interrompendo i suoi pensieri. «Chirone mi ha detto di dartene un po’ quando ti saresti svegliato.»

Edward sorrise e prese il bicchiere. Il nettare lo fece sentire meglio, anche se la sensazione di vertigini non lo abbandonò.

«Sei… sei rimasta con me per tutto il tempo?» domandò a Natalie, dopo aver posato il bicchiere.

Lei arrossì. «Certo, testone. Che domande fai?»

Il ragazzo ricambiò il suo sguardo. Cercò la sua mano e lei gliela strinse con forza. «Grazie» mormorò.

«Per cosa? Era il minimo che potessi fare.»

«Per me significa molto» disse Edward, alzando le spalle.

Un tenue sorriso nacque sul viso di Natalie. «Beh… prego, allora.»

Edward lo ricambiò. Avrebbe voluto baciarla, ma si sentiva troppo debole per muoversi. Avvertì il cuore battere all’impazzata mentre la guardava. Quella ragazza era tutto per lui. Era bella, era gentile, era divertente. Era perfetta. Non sapeva cosa avrebbe fatto senza di lei.

La mano di Natalie si strinse con più forza alla sua all’improvviso. La vide abbassare lo sguardo, l’espressione spaventata che riappariva sul suo volto.

«Nat? Che succede?» chiese, allarmato.

Lei si strinse nelle spalle, mordendosi un labbro. «Ho… ho avuto paura» spiegò a fatica.

«Nat…» Edward sorrise di nuovo. «Sto bene. Non vedi? È tutto a posto adesso.»

«Non è tutto a posto, Edward» sussurrò ancora Natalie, scuotendo la testa. Sollevò di nuovo lo sguardo e Edward si accorse dei suoi occhi venati di rosso. Sembrava che stesse per crollare da un momento all’altro.

«Che… che vuoi dire?» domandò Edward.

La ragazza gli accarezzò di nuovo la guancia con la mano libera. «Quando… quando siete tornati da San Francisco, tu eri l’uomo del momento, Edward. Avevi affrontato un esercito, salvato tua sorella e restituito quello che era stato rubato tutto da solo. Non si faceva altro che parlare di te. Eri… eri il nostro nuovo grande eroe. E quando… quando ci siamo messi insieme, ho pensato: “Wow. Lui è l’eroe e io… io sono la sua ragazza. Poteva scegliere chiunque altra, ma alla fine ha scelto me.”»

«Direi che sei stata più tu a scegliere me…» gracchiò Edward.

Natalie abbozzò un sorriso, ma svanì quasi subito. L’angoscia nei suoi occhi invece rimase immutata. «Il punto è che… la guerra era stata evitata, tu avevi completato l’impresa, eri tornato, stavi bene, tutti voi stavate bene. In quella notte, la notte della festa, ho pensato che… che fosse tutto finito. Che sarei diventata la tua ragazza e che non avremmo dovuto più preoccuparci di niente. Poi però… ci hai parlato di quello che ti è successo.»

Un profondo, tremolante sospiro uscì dalla sua gola. «Quando… hai detto di essere morto, quando ho saputo che tu eri stato “scelto” da Amaterasu… ho capito che invece non era finito proprio niente. Sei stato scegli dagli dei. Forse arriveranno altri nemici e tu… tu dovrai affrontarli, perché sei tu l’eroe adesso. E… quello che è successo oggi… mi… mi ha fatto paura.»

Alcune lacrime le scivolarono lungo le guance. «Sei l’eroe ma… ma sei anche il mio ragazzo, Edward. Quando… quando ho visto tua sorella e gli altri portarti indietro io… io…» Le scappò un singhiozzo. «Ho creduto che fossi morto. E… e anche se stai bene adesso, ho… ho paura per il futuro. Per il tuo futuro. Non… non voglio che ti succeda qualcosa, Edward. Non voglio perderti.»

«Nat…» Edward si issò a sedere e arrivò fino al suo viso. Le sue labbra erano umide e si accorse che stava tremando. Quando si separò da lei, vide il suo sguardo genuinamente spaventato e le accarezzò la guancia.   

Non si era mai sentito “utile” a qualcosa, nemmeno indispensabile, nemmeno… niente. Non si era mai sentito niente prima di arrivare in quel posto, il Campo Mezzosangue.

Tutto era cambiato. All’inizio aveva creduto di odiare quel posto ma poi aveva capito che invece lo amava, e voleva proteggerlo. Si era affezionato a quel luogo, ai suoi abitanti, a quel mondo. Fuori da quei confini, Edward si era sempre sentito di troppo, fuori posto, troppo scomodo per le altre persone. Lì dentro, invece, era a casa. E casa comprendeva anche lei, Nat, la ragazza migliore che avrebbe mai potuto trovare.

«Non mi succederà nulla, Nat. Non me ne andrò. E non mi perderai.»

Natalie ricambiò il suo sguardo. «Lo… lo prometti?»

«Sì. Te lo prometto.»

Lei l’accarezzò. La sua espressione cambiò, facendosi più serena. Edward le asciugò le lacrime e la incoraggiò con un sorriso determinato.

Naito gli aveva detto una cosa, l’ultima volta che l’aveva visto. Izanami avrebbe ancora cercato di reclamare la sua anima, proprio come aveva fatto, ma lui doveva resistere, combattere per le persone a cui voleva bene.

E l’avrebbe fatto.

«V-Va bene, Edward» mormorò Natalie, prima di rivolgergli un piccolo sorriso. «Grazie.»

«No, Nat. Grazie a te.» Fece per baciarla ancora, ma una fitta allo stomaco lo fece sussultare. Si accasciò sul materasso grugnendo di dolore. Natalie lo chiamò allarmata, ma lui alzò una mano, riuscendo ad abbozzare un sorriso sofferto. «Forse… forse è meglio che mi rimetta in sesto prima di rifare certe cose…»

«Sì, forse è meglio. Mi servirai tutto intero e al pieno delle energie» convenne lei, accarezzandogli di nuovo la guancia. Edward ridacchiò, lasciando che il suo tocco vellutato lo rinvigorisse.

Il cigolio della porta che si apriva li fece trasalire entrambi. Edward pensò che Chirone fosse tornato a controllarlo, o magari Rosa, o i suoi amici. Insomma, si aspettò tutti, tranne che la persona che invece entrò. Rimase a fissare sbigottito la figura esile di Jane che faceva capolino da dietro la porta. La figlia di Afrodite arrossì non appena si accorse dei due ragazzi così vicini tra loro. «S-Scusate, non volevo disturbarvi. Volevo solo… vedere se ti eri svegliato. Me… me ne vado subito.»

Cominciò a chiudere la porta.

«Jane, aspetta!» Edward tese una mano verso di lei, ricevendo una fitta di dolore in risposta. Fece un verso di dolore un po’ troppo forte, che fece preoccupare di nuovo Natalie, ma lui le disse che era tutto a posto. «Jane…» chiamò di nuovo.

«S-Sì?» Jane spalancò la porta, apparendo sull’uscio. Aveva ancora addosso l’armatura, i capelli sciolti, molto più disordinati di quanto li avesse mai visti su di lei, gli occhi invece erano arrossati come se avesse pianto.

Proprio come quella notte. A Edward era bastato solo un istante per scorgerli e per capire cosa stesse pensando in quel momento.

«Non è stata colpa tua, Jane» disse lui, a fatica a causa del dolore. «Okay? Buck non mi ha attaccato per colpa tua. Non è stata colpa tua.»

Le labbra di Jane tremolarono e un’altra lacrima le scivolò lungo la guancia candida. Annuì mentre se l’asciugava.

«Sono… sono felice che stai bene» sussurrò, con voce tremolante. Inspirò a fondo e si ricompose, strofinandosi le mani sopra il corpetto dell’armatura. Diede un rapido sguardo a Natalie. «Scusa se… se ho disturbato. Vi lascio soli ora.»

Natalie strinse con forza la mano di Edward. «Nessun problema. Grazie per essere passata.»

Jane lanciò un ultimo sguardo verso di Edward, che le rivolse un cenno del capo per rassicurarla. Sembrò voler dire altro, ma alla fine cambiò idea, perché si richiuse la porta alle spalle. Il suono dei suoi passi si smarrì nel corridoio quasi subito.

Il figlio di Apollo osservò la porta ancora per qualche secondo, nel caso in cui lei decidesse di tornare. Quando capì che ormai si era allontanata, si riaccomodò contro la testiera del letto con un altro verso sofferente. Quel bastardo di Buck l’aveva conciato molto peggio di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

«Che significa?» domandò Natalie all’improvviso.

«Cosa?»

«Perché Buck avrebbe dovuto attaccarti per colpa di Jane?»

«È… una storia complicata. Ho promesso a Jane che non ne avrei parlato con nessuno.»

«C’entra con quello che è successo la notte della festa?»

Edward rimase a bocca aperta. «E tu come…»

«Avevi detto qualcosa del genere a Buck, quella sera, quando l’hai umiliato di fronte a tutti» disse Natalie, con un sorrisetto compiaciuto. «Avevi detto che… Jane aveva bisogno di aiuto e che tu passavi di lì per caso.»

Il ragazzo si mordicchiò le labbra, meditando su come muoversi. Aveva promesso a Jane che non avrebbe parlato a nessuno di quello che era successo, però forse si era esposto troppo, soprattutto di fronte a Natalie che, nel bene e nel male, rimaneva un’esperta a leggere le persone. Un tratto da figlia di Ermes, o qualcosa del genere. A volte Edward si dimenticava perfino di chi lei fosse figlia.

«Prometti che non lo dirai a nessuno?» le chiese.

«Non serve che me ne parli. Se lei ti ha chiesto di non parlarne con nessuno, non è giusto che tu lo faccia, anche se sono la tua ragazza.»

Edward esitò. «Ehm… mi stai tipo, mettendo alla prova, o cose del genere?»

Natalie rise. «No, testone. Dico sul serio, non sono affari miei. Anzi, scusa se ho chiesto.»

«Sicura? Perché davvero, se prometti di non dirlo a nessuno…»

«Ma sei di coccio? Ho detto che non c’è problema!»

«Sì ma voi donne dite sempre così!»

«Ma questa volta è vero!»

«Dite sempre anche questo!»

«Dei del cielo, Edward Model, sei veramente la persona più ostinata che abbia mai conosciuto!»

«Beh, ti piaccio per questo, no?»

«No. Mi piaci per quel tuo bel fondoschiena e quelle cicatrici sexy.»

«Come sei superficiale! Anche noi dotati di bel fondoschiena abbiamo sentimenti, sai?»

Natalie si chinò su di lui, mordendosi le labbra. «Ma davvero?»

Edward deglutì, accorgendosi del suo sguardo intenso e malizioso. «Ehm… a-aspetta, che significa “Questa volta è vero?” Vuol dire che le altre… mhhh…»

Venne zittito dalle labbra di Nat che si posavano sulle sue. Sentì di nuovo dolore allo stomaco, ma lo ignorò. Poteva sopportare qualche secondo. O anche minuto.

Non passò molto prima che anche altri arrivassero a fare visita.

«EDWARD!» urlò una voce molto familiare quando la porta venne aperta così forte da sbattere contro la parete. Non appena Edward si accorse di quegli occhi verdi posati su di lui, realizzò di essere nei guai.

Rosa marciò verso di lui con lo stesso sguardo che aveva quando stava per malmenarlo durante gli allenamenti. «Possibile che tu debba sempre farti quasi ammazzare?!»

«R-Rosa, ascolta…»

Sua sorella non lo lasciò finire. Si precipitò al suo capezzale e lo afferrò per le guance, stringendogliele fino a fargli male. «Ma dove hai la testa?!»

Cominciò a strapazzarlo e a sgridarlo, ripetendogli quanto fosse un incosciente, alternandosi tra spagnolo e inglese. Ormai certe parole, come tonto e idiota, le conosceva alla perfezione. Cercò lo sguardo di Nat, per farsi aiutare, ma lei alzò le mani e guardò da un’altra parte. Il messaggio era chiaro: “Cavatela da solo.”

«Però… però sono felice che stai bene» concluse Rosa, soffocandolo in un mezzo abbraccio. Edward si accorse che stava tremando e sorrise. Ricambiò la stretta come meglio poteva, dandole qualche pacca sulla schiena.

«Mi conosci, hermana. È difficile liberarsi di me.»

Rosa ridacchiò, anche se sembrava ancora parecchio scossa. Sotto la sua sfuriata di poco prima, Edward sapeva che in realtà si celava soltanto una profonda angoscia per un fratello, anzi, un hermano tonto.

Dopo di Rosa arrivarono anche i suoi amici. In quella stanza ben presto si ritrovarono le stesse persone con cui aveva parlato quella volta, all’ombra dell’albero di Talia: Thomas, Lisa, Konnor, Stephanie, Rosa e Natalie.

Sembravano tutti un po’ scossi, ma sereni di vedere che stava bene.

«Non siamo riusciti a trovarlo» spiegò Konnor, mentre raccontava della caccia all’uomo nel bosco. «Forse ha superato i confini e ha lasciato il campo. Mi dispiace, Edward, è colpa mia. Non avrei mai pensato che Buck potesse…»

«Non è colpa tua, Konnor» lo interruppe Edward, facendo una smorfia. Perché tutti dovevano prendersi la colpa per quello che gli succedeva? Era grande e vaccinato – se i vaccini che aveva fatto da bambino non erano scaduti, almeno – era in grado di prendersi le sue responsabilità quando qualcuno cercava di ucciderlo. «Piuttosto, alla fine chi ha vinto?»

«La partita è stata annullata quando ti abbiamo soccorso» rispose Rosa. «Perciò sappi che per colpa tua, hermano, non ho potuto vincere due sfide consecutive!»

«Scusa, hermana. La prossima volta cercherò di aspettare la fine della gara prima di morire.»

«Bene.»

I ragazzi ridacchiarono. Rimasero con lui ancora per diverso tempo, ognuno raccontando la propria esperienza nel bosco. Konnor e Simon avevano smesso di duellare non appena avevano capito che qualcuno era stato aggredito, lo stesso avevano fatto Stephanie e Xavier. Lisa e Rosa erano le più vicine a lui quando era stato attaccato, perciò loro, assieme a Seth e Tonya, erano quelli che erano arrivati prima.

Per finire, Thomas parlò di Kevin che usava qualche aggeggio diabolico per sparare fiamme dalle mani. Edward non lo disse ad alta voce, per non turbare l’amico che sembrava davvero angosciato da quell’episodio, ma trovò l’invenzione di Kevin davvero forte.

Mentre trascorreva il tempo con loro, Edward pensò ancora una volta a quanto quei ragazzi fossero importanti per lui.

Non sapeva come Buck avesse fatto a scoprire il suo punto debole, né perché avesse cercato di ucciderlo, ma non aveva importanza. Aveva fallito e tutti i suoi nemici avevano appena perso l’occasione più ghiotta che avevano mai avuto per vederlo sotto terra. Da quel momento in poi avrebbe fatto ancora più attenzione.

Strinse la mano di Nat e sorrise a Rosa e tutti i suoi amici. Erano lì per lui, perché gli volevano bene. E lui non avrebbe permesso a nessuno, nessuno, di portargli via la sua nuova casa e la sua nuova famiglia.

 

 

 

 

 

Ehilà, gente!

Per i pochi che si ricordano, in questa raccolta era presente un capitolo su Natalie. Ho deciso di rimuoverlo perché non mi soddisfaceva per niente, e anche perché rendeva Nat OOC. Se per caso vi siete accorti della sua assenza, ora sapete il perché. 

Ebbene, siamo agli sgoccioli della raccolta. Il prossimo capitolo sarà l’ultimo e poi potremo concentrarci unicamente sul Velo Invisibile. Ormai, immagino sia chiaro, tutto quello che sta succedendo qui avrà un’importanza nel futuro post-romani, in quella che, spero, sarà l’ultima storia e la fine della serie delle Insegne Imperiali del Giappone. Ma è presto per parlare di quello, prima devo finire il Velo Invisibile.

Vi ringrazio per aver letto e ringrazio Farkas e Cabin13 per aver recensito. Alla prossima!

   
 
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