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Autore: Soul of Paper    13/02/2022    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 69 - L’Ultima Parola


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“Allora, dottore, ci sono altre buone notizie, spero?”

 

Mancini aveva convocato un’altra call due giorni dopo la precedente.

 

“Sì. Vero che molte prove sono indiziarie e non sarà semplice ma… abbiamo spulciato di nuovo tutte le registrazioni delle telecamere presenti vicino al locale dove è stata aggredita la Russo. E abbiamo visto due uomini scendere da un’auto in una strada laterale che sembrano proprio Giuliani e Mancuso, anche se hanno il volto parzialmente coperto da una sciarpa. Non solo, ma il cellulare di entrambi è stato spento quella sera, verso l’ora presumibile dell’aggressione, ma Mancuso, quando l’ha riacceso, ha agganciato una cella non molto distante da lì.”

 

“E l’auto? Avete verificato?”

 

“Sì, dottoressa,” rispose Mariani con un sorriso, “auto rubata, ovviamente, per l’occasione. Mai più reperita, forse l’avranno distrutta.”

 

Le scappò un sospiro: non erano scemi, anzi e-

 

“Ma c’è una buona notizia: l’auto era munita di telepass e… in qualche modo non devono essersene accorti. Forse era ritirato in qualche cassetto ma comunque ha funzionato, agganciando un paio di zone a traffico limitato e parcheggi zona blu, più un sensore sul Raccordo. Quindi sappiamo gli spostamenti e… e inoltre il proprietario dell’auto, che ne ha denunciato il furto, proprio il giorno dell’aggressione a Melita, vive ad un paio di isolati dalla casa di Giuliani. L’auto si è recata prima in una zona vicina a casa di Mancuso e poi si è spostata verso quella del locale, per poi finire al di fuori dal centro città, oltre il raccordo, e sparire del tutto.”

 

“Bisognerebbe cercare nelle discariche e nei cimiteri d’auto in zona, sempre se non l’hanno completamente distrutta. A parte che dopo mesi, se è stata al sole o alle intemperie, potrebbe essere difficile cavarne qualcosa.”

 

“Sì, dottoressa, stiamo già provvedendo,” si inserì Mancini, dopo un cenno di intesa a Mariani, “Mancuso è già in carcere, dopo l’aggressione ed il tentato omicidio a voi, oltre al traffico di minori. E, tra pochi minuti, andremo a prendere Giuliani e Coraini, visto il rischio di fuga o inquinamento delle prove. Per l’avvocato sarà più difficile ottenere la custodia cautelare, purtroppo, nonostante la testimonianza di Santoro, visti i precedenti, ma… ma una fuga equivarrebbe a un’ammissione di colpa e… e abbiamo già raccolto abbastanza prove ed indizi.”

 

“E quindi?” domandò, col cuore in gola, perché lei una cosa sola aspettava, una sola.

 

“E quindi… una volta che Giuliani e Coraini saranno sotto custodia, indiremo una conferenza stampa, in cui finalmente usciremo allo scoperto, anche se tenendoci ovviamente le carte migliori per il processo, in sede di dibattimento. Ma confermeremo ufficialmente sia il coinvolgimento di Santoro, sia invece l’estraneità ai fatti del maresciallo Calogiuri. E che l’avvocato, Giuliani, Mancuso, Coraini e gli altri verranno per questo accusati non solo al maxiprocesso, ma anche per il caso di aggressione alla Russo, che a questo punto verrà inserito nel maxiprocesso.”

 

Un mezzo suono strozzato le uscì dalla gola e si voltò verso Calogiuri che pareva incredulo, anche se felice.

 

Gli strinse nuovamente la mano, questa volta sopra al tavolo - e chissenefregava se gli altri vedevano! - e lui le sorrise in un modo che le fece di nuovo appannare la vista, mannaggia a lui!

 

“Quando…?” chiese solo Calogiuri, con voce roca, emozionatissima.

 

“Stasera, se tutto va secondo i piani. Voglio che siate presenti anche voi, per dare un segnale importante alla stampa. Vi avviseremo non appena riusciremo a catturare i due gentiluomini. Tenetevi pronti.”

 

“Sì, dottore, ma… ma… chi andrà a prendere Giuliani e Coraini? Con quello che è successo l’ultima volta coi Mazzocca…” esclamò, preoccupata, perché il modo in cui Calogiuri aveva quasi rischiato il linciaggio non se lo sarebbe mai scordata.

 

“Stia tranquilla, dottoressa, abbiamo avvisato De Luca ed abbiamo anche il supporto di Ranieri e di qualche uomo e donna a lui fidati, abituati ad operazioni speciali. Ci andremo con mezzi blindati, antisfondamento e le persone coinvolte avranno tutte le dotazioni del caso, oltre ai passamontagna. Questa volta prenderemo ogni precauzione, stia tranquilla.”

 

“Dottore, lei lo sa, quando qualcuno mi dice di stare tranquilla mi preoccupo tre volte tanto.”

 

Calogiuri rise e pure Irene con Francesco, stavolta senza Ranieri, che probabilmente era già a prepararsi per l’operazione.

 

“Dottoressa, si fidi di me per questa volta. Di noi. Abbiamo un’ottima squadra, ora che le mele marce sono state estirpate.”

 

Sospirò: lei non aveva mai amato delegare nulla, dover dipendere dagli altri, fidarsi degli altri.

 

L’unico di cui si era sempre fidata pienamente sul lavoro, da sempre, era Calogiuri. E forse sarebbe per sempre stato così.

 

Ma, effettivamente, mentre loro erano stati costretti a rimanere in panchina, le toccava ammettere che, seppur aiutati da loro, la squadra che avevano messo insieme, un po’ per necessità, un po’ per mancanza di alternative, era diventata una squadra sul serio.

 

E senza bisogno di stupide cenette, oltretutto!

 

E di loro si fidava, doveva fidarsi, perché era anche e soprattutto grazie a loro se Calogiuri avrebbe potuto essere di nuovo libero. E se i Romaniello, i Mazzocca e tutti i loro affiliati, forse, stavolta, non l’avrebbero di nuovo fatta franca.

 

“Va bene,” annuì, sentendosi le dita quasi stritolate da Calogiuri che annuì insieme a lei.

 

“Questa è l’ultima volta che stiamo in panchina, Calogiù!” gli sussurrò, anche se, una parte di lei, in fondo era sollevata al non saperlo in azione con quei criminali.

 

Ma Calogiuri era bravissimo, e meritava non solo di giocare da titolare, ma da capitano.

 

Anche per quello, per avergli tolto quell’opportunità, gliel’avrebbero pagata carissima.

 

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“Pronti?”

 

“Sì, dottore. Al vostro segnale.”

 

“Squadra Bravo, anche qua. Al vostro segnale.”

 

Erano stati rispettivamente Ranieri e De Luca a parlare, il primo a capo della squadra Alpha, incaricata di recuperare Coraini, il secondo della Bravo, che doveva catturare Giuliani.

 

Alla fine si era deciso di far scattare le due operazioni insieme, proprio per ridurre al minimo la possibilità che qualcuno mangiasse la foglia.

 

Anche da distanza, notava benissimo la tensione sia di Mancini che di Irene, non che lei non stesse ancora stritolando la mano di Calogiuri.

 

Erano i momenti decisivi e si augurò di vero cuore che, almeno per quella volta, non ci fossero soffiate a rovinare tutto.

 

*********************************************************************************************************

 

“Che fai, Irene?”

 

Si voltò di scatto: Bianca, alla porta, che la guardava tra il curioso e il preoccupato.

 

Del resto era sempre stata capacissima di avvertire la tensione nell’aria, fin troppo.

 

“Lavoro. Cose riservate e-”


“Ma… ma è Lorenzo, quello?”

 

Maledizione!

 

Bianca aveva una vista d'aquila e lo aveva notato subito, nonostante lo schermo del computer non fosse particolarmente grande e nonostante Ranieri fosse già mezzo incappucciato.

 

“Sì, ma… sono cose di lavoro. Quindi…”

 

“Lo so, lo so, riservate,” sospirò Bianca, che per fortuna le regole del suo lavoro le sapeva molto bene, “ma… ma chi è quella?”

 

Provò un misto tra incredulità, orgoglio e fastidio quando Bianca indicò la testa femminile accanto a quella di Ranieri.

 

La famosa collega di Bari, quella che faceva girare la testa a tutti - anche se all’avvocato non abbastanza. Non perché non fosse bella, anzi, era stupenda, le toccava ammetterlo. Ma era più verso i quaranta e l’avvocato era un maiale che amava le giovanissime.

 

Ciò non toglieva, appunto, che fosse bellissima, anche se con quel seno chissà come faceva nelle sparatorie, che già lei aveva faticato in addestramento e, in generale, quando le toccava usare una pistola.

 

“Chi è?”

 

Bianca.

 

Sì, l’aveva decisamente notata anche lei. Aveva il radar.

 

“Una collega di Lorenzo. Partecipano ad un’operazione importante. Proprio per questo però devi andare in camera tua adesso, non puoi assistere, lo sai.”

 

Bianca fece segno di sì con la testa, un poco delusa, e la vide allontanarsi, non prima di aver lanciato uno sguardo truce alla tizia di Bari.

 

Le venne da ridere e ne fu ancora più orgogliosa, anche se, per certi versi, la cosa era molto preoccupante.

 

Il “ora!” di Mancini la riscosse dai suoi pensieri e tornò a guardare verso gli schermi, uno puntato sulla squadra Alpha, uno sulla Bravo.

 

Ma l’occhio… l’occhio le cadeva sempre verso di lui, era inevitabile, ma anche verso la collega, che gli stava ancora più appiccicata, visto che erano schiena contro schiena, mentre facevano irruzione nella palazzina.

 

Sapeva che era lavoro e sapeva che il problema con Ranieri non era certo quella tizia, ma la moglie che lo aspettava a casa e che lui avrebbe sempre scelto, anche se poi quando erano solo loro due… lui sembrava scordarsene e, ogni tanto, aveva avuto la tentazione di farlo pure lei.

 

Ma vedere quell’intesa professionale con qualcuna che non fosse lei, con una di cui lui stesso aveva sottolineato l’avvenenza e quanto fosse irresistibile, le provocava uno strano fastidio alla bocca dello stomaco. E si chiedeva se magari anche con lei ci fosse stato qualcosa o ci sarebbe stato qualcosa.

 

Lei di sicuro se lo guardava in un modo….

 

Li vide piazzarsi ai due lati della porta, mentre un agente più giovane, incappucciato e, come tutti loro, con giubbotto antiproiettile, sfondò la porta, per poi entrare, seguiti da quello che aveva la bodycam.

 

Un urlo la fece saltare sulla sedia, ancora prima che la telecamera inquadrasse un uomo in mutande, con due ragazze a letto con lui, semi svestite e che si stavano coprendo con mani e lenzuolo.

 

“Mani in alto! Mettetevi stesi a terra con le mani in alto!”

 

Era stato Ranieri a dare l’ordine. Le ragazze obbedirono, rimanendo completamente nude, ma la fitta di fastidio sparì quando notò il movimento della mano destra di Coraini che, prima di sollevarsi, fece un lieve movimento verso il cuscino.

 

Le venne d’istinto urlare un “Coraini!”, per cercare di avvisare Ranieri, ma non fece in tempo: vide il lampo della pistola e Coraini puntarsela alla tempia, urlando “se non ve ne andate mi ammazzo! Allontanatevi o mi uccido! Non ho fatto nulla e se mi ammazzo siete finiti, stronzi! Sarete su tutti i giornali come gli assassini che siete!”

 

Un sospiro di sollievo, da un lato: non aveva messo sotto tiro una delle ragazze, come aveva temuto, e neanche Ranieri o un altro degli agenti.

 

Ma Coraini era una volpe, uno che aveva in mano un sacco di giornali e di gente potente in Italia, con i suoi ricatti. Non si sarebbe mai suicidato, mai, certo che no, era troppo narciso per farlo. Ma bastavano segni di violenza o una ferita autoinferta per sollevare chissà quale polverone mediatico.

 

Ranieri si voltò un secondo, un solo secondo verso la telecamera e seppe istintivamente che stava guardando lei, che l’aveva sentita e capita. Ed avrebbe tanto voluto essere lì, per potergli suggerire il da farsi, per-

 

“Fate parlare la collega. Se lo distrae potete farcela a disarmarlo. Ma prima fate allontanare le ragazze. Ditegli che se no la figura da assassino ce la fa lui.”

 

Era stata Imma a parlare. Decisa, senza nemmeno aspettare l’intervento di Mancini che, dal suo schermo, non diede però nessuna reazione negativa, anzi, sembrava solo concentratissimo a fissare un punto in alto a sinistra, forse dove veniva trasmessa la bodycam che inquadrava Coraini.

 

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Perché lei?

 

Quello fu il suo primo pensiero, quando vide che era stata piazzata Mariani a fare da ariete.

 

Ma, conoscendola, se lo avesse espresso, sarebbe stato un uomo morto, tacciato di maschilismo, e non avrebbe sopportato la sua delusione.

 

Ma anzianità o no… perché proprio lei? Perché lei a prendersi quel rischio enorme? Gliene avrebbe dette quattro, otto o pure dodici a De Luca in separata sede.

 

Rimase così, con il fiato sospeso, aggrappato al tavolo di vetro di casa sua fino a quasi farsi male, finché non sentì un boato e la porta cadere con un tonfo secco in avanti e, dopo poco, vide Mariani, De Luca ed un altro agente che non conosceva, oltre a quello che stava riprendendo, buttarsi dentro la stanza.

 

Con il cuore in gola, come forse non mai, li seguì mentre ispezionavano stanza per stanza.

 

Niente, niente, niente, niente.

 

Maledizione!

 

“Eppure l’abbiamo visto entrare ieri sera. E oggi non è uscito, com’è possibile?” chiese al microfono, perché non voleva crederci che fosse sfuggito loro letteralmente sotto il naso.

 

“Scusate, potete inquadrare di nuovo tutte le stanze?” chiese il maresciallo Calogiuri, in collegamento, e l’uomo con la telecamera fece come chiesto, “magari è un’idea stupida, ma… non vi sembra che il soffitto della camera da letto sia troppo basso? Anche se ha quello specchio in cima?”

 

Era vero: c’era un enorme specchio sopra al letto… si poteva immaginare perfettamente per qualche motivo, ma… ma c’era come una pesante soppalcatura, molto ingombrante, lo vedeva meglio ora che Mariani, che non era certo altissima, ci camminava sotto.

 

“Non sarebbe la prima volta che usano degli specchi, no?” ribadì Calogiuri e notò benissimo, anche se solo con la coda dell’occhio, come lo guardava Imma.

 

E come lo deve guardare? Bravo è bravo e pure bello e giovane! Che ti aspettavi? - gli chiese la voce di Irene, ormai da settimane suo Grillo Parlante immaginario.

 

Ma, nonostante tutto, la ferita all’ego fu minore del previsto e anzi, tornò di corsa a guardare lo schermo dove Mariani si stava mettendo le soprascarpe per salire sul letto, insieme a De Luca.

 

La vide fare segno verso i bordi e gli angoli, percorrendoli con mano guantata, e alla fine udì una mezza esclamazione di trionfo ed un rumore meccanico, mentre lo specchio, esattamente come la controparte a casa di quell’imbecille di Santoro, ruotava sui cardini, lasciando posto ad una botola.

 

Trattenne di nuovo il fiato intanto che, con la pistola in pugno, Mariani puntava dritto alla botola. Con lei anche, da quanto poteva vedere, l’agente con la telecamera, che però era ai piedi del letto mentre, per ragioni di altezza, De Luca la aprì.

 

“Butta la pistola!” urlò Mariani, ancor prima che riuscisse del tutto ad inquadrare Giuliani, disteso accanto alla botola, l’arma l’unica cosa che ne emergeva, insieme alle braccia e agli occhi.

 

E puntava dritta alla testa di Mariani.

 

Lo stomaco gli si rimescolò completamente, il cuore stretto in una specie di morsa.

 

Piantala! Che ti succede? Devi restare lucido! - si rimproverò, e due secondi dopo la sentì gridare, decisissima.

 

“Butta la pistola che sei sotto tiro di più persone. E anche l’intero edificio è circondato: non fare cazzate che peggiori solo la situazione!”

 

Ci fu un attimo di estrema tensione, estrema: provò a deglutire ma la saliva era azzerata, mentre gli occhi di Giuliani si stringevano a fessura e la pistola tremava nelle sue mani.

 

Mariani, dal canto suo, lo teneva sotto tiro a sua volta, dritto in fronte, senza cedere di un millimetro.

 

“Giuliani, sei circondato, se spari a lei io sparo a te. Non puoi tenerci tutti sotto tiro.”

 

Giuliani voltò lo sguardo, per un attimo quasi impercettibile, verso De Luca e, dopo pochi secondi, uno sparo.

 

Gli si gelò il sangue nelle vene, il fiato che gli venne a mancare, il filmato che parve andare al rallentatore. Ma udì l’urlo ed era un urlo maschile, era quello stronzo di Giuliani che urlava. Vide la sua pistola cadere sul letto ed un fiotto di sangue che gli partiva dalla mano.

 

E poi Mariani che abbassava la pistola: era stata lei a sparargli, alla mano destra, netta, precisa.

 

“Chiamate l’ambulanza!” gridò poi, mentre la vide sporgersi per afferrare Giuliani per le spalle e tirarlo giù, aiutata, quando già il busto era fuori dalla botola, anche da De Luca.

 

Ma con quello sguardo ferale, il sangue di Giuliani che le era colato su una guancia, pensò che forse ce l’avrebbe fatta anche da sola, a trascinarlo fino all’ambulanza, tanta era l’adrenalina che aveva in corpo.

 

“Giorgio? Giorgio?!”

 

Gli ci volle qualche secondo ed il suo nome ripetuto altre tre volte per accorgersi che a chiamarlo era stata Irene ed improvvisamente notò non solo lo sguardo incuriosito e preoccupato di lei, del maresciallo e di Imma, ma anche che c’era quel porco di Coraini che si puntava una pistola alla tempia, minacciando gesti estremi e le ovvie conseguenze da un punto di vista mediatico.

 

Fu come una doccia gelata: era stato talmente preso da quanto succedeva a Mariani che nemmeno se ne era accorto, non aveva sentito nulla, come se non esistesse nient’altro.

 

“Imma ha dato l’ordine di farlo parlare con la dottoressa… ti va bene oppure no?”

 

“La dottoressa?” chiese, confuso, perché non ci capiva niente, e Irene rispose, “Miss Puglia, Giorgio! Ma tutto a posto?”

 

Il tono di Irene gli fece capire che aveva notato perfettamente che non fosse tutto a posto.

 

“Sì, sì, ero concentrato per un attimo sull’emergenza della squadra Bravo. Se riesce a farlo parlare, sfruttando l’ascendente femminile, perché no? Concordo con la dottoressa, cioè la dottoressa Tataranni, naturalmente.”

 

“Naturalmente,” ripetè Irene, scuotendo il capo, prima di ordinare un “proceda pure!” alla collega barese che gli sembrò stranamente ostile.

 

O forse no, non c’era proprio niente di strano - pensò, notando la vicinanza tra Miss Puglia, come l’aveva definita Irene, e Ranieri.

 

Ma che aveva finito lui e ci ricascava lei adesso?

 

Avrebbe dovuto parlarle, appena possibile, da soli.

 

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“Lasciatemi andare, o mi uccido!”

 

“Senti, lasciaci almeno portare via le ragazze. Che, primo, hanno bisogno di rivestirsi, secondo, se no la figura dell’assassino la fai tu, se le coinvolgi in questa storia.”

 

Miss Puglia, come l’aveva definita Irene - il che era l’ennesima conferma che con Ranieri non tutto era coniugabile al passato - aveva ripetuto paro paro le sue parole, solo con un tono ed in un modo di cui probabilmente lei non sarebbe stata mai capace.


Deciso, ma pure sensualissimo, che pareva pronta per fare la dominatrice in un certo tipo di film. Poi con quel fisico… beata lei! Riusciva ad essere bellissima pure tutta intabarrata e col giubbino antiproiettile, che conteneva a fatica le sue curve esplosive.

 

Ci stava che persino Irene ne fosse gelosa.


Lei invece no, e non solo perché là con lei ci stava Ranieri e non Calogiuri, ma perché quest’ultimo continuava a guardare lei e solo lei manco fosse la Madonna della Bruna, quando non era concentrato sugli schermi.

 

Fedele nei secoli era, veramente, e lei che ne aveva pure dubitato. Quella non l’aveva manco degnata di uno sguardo, concentrato com’era a tenerle la mano e a preoccuparsi di Mariani - che anche lì, quanto l’aveva resa orgogliosa con l’intuizione del soppalco? Quanto?

 

Quasi come se le avesse letto nel pensiero, la guardò di nuovo e le sorrise, nonostante la preoccupazione, continuando a stringerle la mano.

 

“Se me lo chiedi con qualche… strato in meno ci posso pensare.”

 

Coraini, che manco porco lo poteva chiamare, che i maiali non meritavano tale paragone, ovviamente aveva tirato fuori una battuta delle sue. Lui e Carminati avrebbero fatto veramente una coppia perfetta.

 

“Allora, vuoi fare l’eroe oppresso dal sistema o il porco che coinvolge due ragazze che non c’entrano niente e che di sicuro non hai pagato abbastanza per questo? Deciditi, Coraini.”

 

Ammazza se è decisa la barese! - pensò e, dallo sguardo di Calogiuri, pure lui era d’accordo.

 

“Ma sulla cazzimma nessuno ti batte, dottoressa,” le sussurrò, anche se erano mutati, come diceva Irene, facendole ogni volta venire una sincope, e quindi nessuno li poteva sentire.

 

E, facendo tesoro di quanto appreso in quelle settimane interminabili di lavoro clandestino da casa, accecò la telecamera con un dito - che a trovare il pulsante giusto ancora aveva qualche problema - e gli piantò un bacio che doveva essere sulla guancia ma finì sulla bocca, per colpa dell’impunito.

 

Anche se durò giusto pochi secondi, perché Coraini pronunciò un “le lascio andare se ci vieni tu sul letto con me!” che li portò a voltarsi bruscamente verso lo schermo.

 

“Pensavo che Carminati fosse porco, ma in confronto è un chierichetto.”

 

“E tu che ne sai che combinano i chierichetti in privato, Calogiù?” lo sfottè, per poi aggiungere, quando notò il suo silenzio, anche mentre osservava la barese sollevare le due ragazze dal letto e porgere loro delle coperte dove avvolgersi, per poi sedersi lei al posto loro ai piedi del letto, “non dirmi che facevi il chierichetto, Calogiù?”

 

Il rossore fu così forte che lo notò pure con la coda dell’occhio e le venne da ridere, nonostante la situazione.

 

“Menomale che non ti è venuta l’idea di farti prete. Menomale per me!”

 

“E pure per me, dottoressa. Che, se ti avessi conosciuta dopo aver preso i voti, avremmo fatto Uccelli di Rovo.”

 

Alla sua occhiata stupita, che conoscesse quel polpettone vecchissimo, che giusto alla buonanima di sua madre piaceva, spiegò, “lo guardava la buonanima di mia nonna, la madre di mio padre, quando mamma non stava a casa. Non voleva, che diceva che era blasfemo.”

 

Almeno la nonna forse al medioevo non c’era rimasta, peccato appunto che non fosse più in vita.

 

Ma da qualcuno Rosa e Calogiuri la blasfemia, o meglio, un minimo di pensiero indipendente, dovevano averli ereditati.

 

“Coraini, mi ascolti, io-”

 

“Ma dammi pure del tu, bellezza. Come ti chiami?”

 

“Lo sa che non posso dirglielo, Coraini.”

 

“Allora ti dispiace se te lo dò io un nome? Vediamo… che ne pensi di… Moana? Hai proprio il suo fisico. E con quella voce… se anche il viso è bello come immagino, potevo metterti su qualche bella copertina, renderti famosa, altro che morire di fame lavorando per i poteri forti, che tanto sono tutti corrotti. O non lo sai, bambolina?”

 

Notò immediatamente il fastidio di Ranieri e pure di Calogiuri e li capiva: sto schifoso!

 

Voleva umiliarla, era evidente. Forse la riteneva più giovane della sua età reale, e da un lato meglio così, visto che aveva frequentato l’avvocato.

 

“Sarà, ma l’unico che qua rischia di finire in copertina stavolta è lei, che di corruzione certo se ne intende parecchio.”


“Con voi come i miei assassini? Sicuramente. O mi lasciate andare o mi ammazzo.”

 

Continuò così, per minuti infiniti, tra battute da filmetto porno soft, minacce inutili, per giungere al culmine in un momento in cui si abbassò l'elastico degli slip con la mano libera dalla pistola e mostrò… tutto quello che c’era da mostrare.

 

O era folle o era troppo furbo. Già si preparava per la semi infermità mentale. Non che, a giudicare dalle sue pupille, fosse sobrio, anzi, chissà di che si era fatto con le due ragazze.

 

Strinse la mano a Calogiuri a cui già stava partendo la vena, lo aveva sentito benissimo da come si era irrigidito, prima che cercasse di fare il cavaliere o il censore.

 

“Gli dica che ha visto di meglio. Non so lei, dottoressa, ma io di sicuro.”

 

Le era uscito così, spontaneamente, perché quando ci voleva ci voleva. Calogiuri divenne bordeaux ma poi rise e vide chiaramente che stava venendo da ridere pure agli altri in collegamento, a parte a Mancini, che voleva sprofondare.

 

“Sinceramente ho visto di meglio, Coraini. Quindi fossi in lei mi coprirei la mercanzia, scarsa come qualità, prima di farci una figuraccia. Ma contento lei…”

 

Coraini si produsse in uno sguardo rabbioso, mentre stringeva più forte la pistola, quasi come a volerla puntare contro Miss Puglia che, doveva ammetterlo, non si faceva turbare da niente.

 

“Sentite, io a questo punto gli direi che, se vuole uccidersi, si uccidesse pure e lo prenderei in contropiede. Non lo farà mai e, intanto che si decide, lo bloccate. La dottoressa è già sul letto, se Ranieri riesce piano piano a guadagnare qualche passo, in pochi secondi lo placcate… che ne dite?”

 

Ci fu un attimo di silenzio totale. Sì, lo sapeva, i suoi metodi erano a volte sbrigativi e poco ortodossi, ma che quello si togliesse la vita era credibile quasi quanto gli infarti che soleva minacciare la madre di Pietro ogni qualvolta lui osava opporsi al suo volere.

 

“Dottoressa, capisco quello che dice ma… c’è il rischio che parta un colpo e-”

 

“E proprio per quello va bloccato prima che possa succedere. Se siete abbastanza vicini, gli bloccate il braccio e lo spingete sul letto. Poi insomma, la… miccetta l’ha esposta lui, no? Un calcio come si deve e voglio proprio vedere come la regge la pistola.”

 

Un sibilo collettivo e notò come tutti i maschi, da Calogiuri a quelli in collegamento avessero il viso contratto in una smorfia di dolore di riflesso.

 

“Squadra Alpha, pensate di poter procedere? Se sì fate un segno con la mano destra.”

 

Ranieri e Miss Puglia si guardarono e fecero entrambi il cenno con la mano dietro la schiena.

 

“Senta, Coraini, lo sappiamo tutti e due che non ha alcuna intenzione di farla finita. Si e ci risparmi la sceneggiata, che lo vedo che c’ha pure male al braccio ormai. Lei è uno a cui piace il piacere, non il dolore. Non ha ucciso nessuno, non direttamente almeno, e non è quello che ha più da temere del giro. Non ci crei altri problemi e collabori e ne terremo conto.”

 

“Ma che ne sai, eh? Che non mi voglio ammazzare?” urlò Coraini, la mano che gli tremava ancora di più, “che ne sai, eh?! Io mi sparo! Mi sparo! Non ci finisco in galera! Mi sparo!”

 

“E allora fai pure, che tanto le prove che ci servono già le abbiamo. Avanti, cosa aspetti, eh?” lo incitò apparentemente la collega, avvicinandosi piano piano, sempre di più, come a sfidarlo.

 

Ci fu un secondo, un secondo solo, in cui Imma temette di avere fatto una cazzata e che quel cretino alla fine lo avrebbe fatto veramente, quando il dito gli si strinse sul grilletto, ma il tempo di un battito di ciglia e lo lasciò, per quanto quasi impercettibilmente, e fu allora che nelle casse rimbombò un urlo, perché Miss Puglia gli aveva dato una gomitata alla miccetta, e la pistola gli cadde sul materasso, mentre lui si piegava in due e Miss Puglia da un lato, Ranieri dall’altro, lo spingevano a pancia in giù sul letto, probabilmente incrementando solo il dolore.

 

Ma peggio per lui!

 

Si trovò trascinata in un abbraccio, che ricambiò aggrappandosi letteralmente al collo di Calogiuri.

 

Era finita, era finita davvero, almeno la parte d’azione.

 

Certo, ora mancavano la conferenza stampa e poi il processo ma… ma la prigionia era finita, in tutti i sensi.

 

Tanto che nemmeno le urla sconnesse di Coraini, tra un “la vostra carriera è finita!”, un “ma che vi credete, eh?! Io ho in mano roba su tutti, su tutti, anche su di voi, appena capisco chi siete, bastardi!” riuscirono a rovinare quel momento.

 

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“Grazie per essere venuti.”

 

“Ma è sicuro che sia una buona idea, dottore? La nostra presenza, intendo.” 

 

Si era appena levata il cappuccio di lana ed il giubbotto nero che le aveva prestato Calogiuri, per non farsi riconoscere. Del resto, pure lui era tutto intabarrato.

 

Mancini li aveva convocati per la conferenza stampa giusto un attimo prima di avvisare, per l’appunto, la stampa e quindi avevano cercato di evitare i giornalisti già appostati, entrando da un ingresso secondario insieme ad Irene, che era passata a prenderli.

 

C’erano proprio tutti, tutta la squadra, a parte Ranieri, De Luca ed i loro uomini, che sarebbero rimasti in incognito, per ovvi motivi.

 

Almeno, forse, si erano risparmiati l’incontro tra Irene e Miss Puglia, che non prometteva niente di buono.

 

Anche perché la barese era stata bravissima e, se c’era un merito che aveva dovuto riconoscere ad Irene, negli anni, era quello di esser sempre stata la prima a dare a Cesare ciò che era di Cesare, al di là delle simpatie o antipatie personali.

 

“Certo. Entriamo prima noi, poi vi annunciamo e fate il vostro ingresso.”

 

“Sì. E che è? Il festival di Sanremo, dottore? Che dobbiamo pure portare i fiori?” ironizzò, come sempre faceva quando era in tensione

 

“Quelli al massimo ce li offre il dottore, no?”

 

Si morse la lingua ma le scappò lo stesso una risata incredula, voltandosi verso Calogiuri, che sorrideva soddisfatto della battuta appena fatta e la guardava in quel modo che era come dirle beh, che c’è? Ho imparato da te!

 

Mancini arrossì ma non sembrò arrabbiato, più che altro imbarazzato, mentre Irene rideva come l’aveva vista forse solo durante gli assalti di Ottavia al procuratore capo, prima di avvicinarsi a Calogiuri e dargli una pacca sulla spalla, come a fargli i complimenti.

 

Si stupì di non provare gelosia, solo orgoglio per lui, per quanto era cresciuto, per quel carattere che, pur rimanendo buono e rispettoso, sapeva sempre di più tirare fuori quando serviva.

 

Mariani pareva trattenersi a forza, invece, e lanciò uno sguardo a Mancini che Imma non comprese del tutto.

 

Ma del resto, ci stava che la marescialla avesse ancora il timore reverenziale, mentre lei e Calogiuri ormai non lavoravano più per la procura di Roma, almeno non ufficialmente.

 

“Seriamente, cominciamo a spiegare la situazione ma poi ci vuole un vostro intervento. Spontaneo, niente di preparato,” la rassicurò Irene, riavvicinandosi a Mancini.

 

“Voi vi rendete conto quanto è pericoloso darmi un microfono e farmi dire quello che penso in questo momento, sì?” ribadì Imma, perché erano mesi, mesi e mesi che aveva tanto da dire.


“Confido nel suo discernimento, dottoressa, visto che, come ben sa, ci attende il maxiprocesso. Ma un messaggio forte vogliamo darlo, quindi non dovrete risparmiarvi o contenervi, nei limiti del buonsenso che sono certo non manchi né a lei né al maresciallo, nonostante le… intemperanze caratteriali che vi caratterizzano.”

 

“E allora non ci risparmieremo, dottore.”

 

Anzi.

 

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“Dottore, come mai avete convocato questa conferenza stampa? Ma è vero che riguarda il maxiprocesso?”

 

Anche se erano nascosti dietro le porte laterali della grande aula dove Mancini aveva radunato i giornalisti, riusciva a sentire tutto: dalle domande urlate a quella specie di ronzio che facevano, come uno sciame d’api.

 

“Vi chiedo cortesemente di farmi parlare. Le domande saranno accolte ma solo dopo che vi verranno esposti in maniera ordinata e precisa i fatti che mi hanno indotto a chiamarvi qui. Ci sono novità importanti, sia riguardanti il maxiprocesso, sia l’aggressione aggravata ed il tentato omicidio di Melania Russo e-”

 

“Il maresciallo Calogiuri è stato arrestato?!”

 

Qualcuno non aveva rispettato la richiesta di Mancini, anzi, e ci fu un’altra esplosione di brusii.


“Silenzio! Fate silenzio se non volete solamente far perdere tempo a voi e alla testata per la quale lavorate. Se non ci fate parlare e non la smettete con le supposizioni, non rilasceremo dichiarazioni, se non un’ANSA. A voi la scelta.”

 

Era stata Irene a parlare, anzi a urlare prima e parlare poi. E porca miseria se era incazzosa!


Capiva bene perché la povera Bianca fosse praticamente un soldatino.

 

E, infatti, finalmente ci fu silenzio.

 

“Come stavo dicendo, ci sono importanti novità sul maxiprocesso e sul caso di Melania Russo. Il maresciallo Calogiuri non solo non è stato arrestato, ma è risultato completamente estraneo ai fatti e credo si meriti le scuse di molte persone, me incluso che, almeno all’inizio, ho dubitato della sua innocenza ma-”

 

“E che cosa le ha fatto cambiare idea? Mica vorrete insabbiare tutto?!”

 

“Lei sa cosa vuol dire silenzio, mi auguro, se ha il patentino da giornalista, o vuole che questa conferenza stampa finisca qua? Le domande alla fine, altrimenti non si capisce niente,” ribadì Irene che sì, era proprio un pitbull quando voleva.

 

“Non abbiamo insabbiato proprio nulla, anzi. Purtroppo abbiamo scoperto una mela marcia nella nostra procura, che passava informazioni fondamentali al clan Mazzocca, ai Romaniello e ai loro affiliati. Ma non è il maresciallo Calogiuri. Si tratta, con mio enorme rammarico e con quella che sento come una sconfitta personale, del dottor Santoro.”

 

Ci fu un altro boato in sala ma che finì dopo poco, perché Mancini ed Irene rimasero zitti e con le braccia incrociate finché non tornò l’ordine.

 

“Abbiamo scoperto che, quando siamo andati ad interrogare una testimone chiave, una… per così dire ex del maresciallo, che ci ha rivelato che è stata proprio lei a fornire quei dettagli intimi sul maresciallo ad affiliati al clan e-”

 

“E questa chi è? Come fa ad essere credibile che non sia stata corrotta dal maresciallo per scagionarlo, se in passato sono stati intimi?”

 

“Perché questa testimone odia il maresciallo, e non ne ha mai fatto mistero con nessuno, anzi. Ebbero una breve relazione in passato, ben prima che lui iniziasse una relazione con la dottoressa Tataranni. Ma, in seguito, fu sospettata per la morte di una sua amica, delitto del quale alla fine risultò colpevole. Fu proprio il maresciallo ad essere fondamentale nel suo arresto e questa… testimone non glielo ha mai perdonato. Contattata in carcere dal clan Mazzocca, ha quindi fornito loro ben volentieri quei famosi dettagli intimi e-”

 

“E in tutto questo che c’entra Santoro? Ma poi il maresciallo, che se la faceva con una pregiudicata, allora-”

 

“Se non ci continuate a interrompere lo capirete, e comunque la persona in questione era incensurata quando il maresciallo l’ha conosciuta e pareva, per vari motivi, totalmente estranea ai fatti sui quali lui stava indagando. Quando si è scoperto che era presumibilmente colpevole, è stato il primo ad intervenire per consegnarla alla giustizia, a riprova che non è una persona corruttibile. E adesso, se ci fate terminare, di grazia.”

 

Era stata Irene ad intervenire, con l’aria di chi stava perdendo sempre di più la pazienza.

 

Si sentì stringere la mano da Calogiuri e lo vide preoccupato. Del resto, la storia di Lolita avevano fatto in modo di non farla mai uscire pubblicamente: certo tutti lo sapevano in carcere e al tribunale di Matera, ma gli altri no.

 

“Hai fatto un errore di valutazione una volta, basta che lo ammetti serenamente, Calogiù. Non ti fare intimidire, mi raccomando.”

 

Lui annuì proprio mentre Mancini riprendeva a parlare.

 

“Tornando alla testimone, l’operazione per interrogarla era stata condotta col massimo riserbo, per tutelare sia la testimone, che la Russo, che tutte le persone coinvolte. Ma purtroppo un nostro agente, in buona fede, ha riferito quanto emerso dall’interrogatorio al dottor Santoro, non potendo certo immaginarne le conseguenze. Abbiamo poi scoperto, tramite intercettazioni e perquisizioni a casa del dottore, che è stato proprio lui ad avvertire  i clan, tramite l’avvocato e tramite il signor Coraini. Ma non solo, che raccoglieva e custodiva dossier ed intercettazioni, legali ed illegali, su parecchie figure di spicco, evidentemente come arma di ricatto. Oltre che un’ingente quantità di denaro e valori, non giustificabili con i suoi introiti ufficiali.”

 

“Ma quel Coraini?!” urlò un giornalista, sembrando molto spaventato.

 

Un silenzio tombale calò sulla sala.

 

Coraini lo conoscevano e temevano tutti, evidentemente.

 

“Sì, quel Coraini. Che è stato tratto in arresto oggi, insieme ad uno degli aggressori materiali di Melania Russo, cioè Nicola Giuliani. L’altro aggressore, Stefano Mancuso, è stato già arrestato poco tempo fa per traffico di minori e per l’aggressione e il tentato omicidio del maresciallo Calogiuri e della dottoressa Tataranni.”

 

“Traffico di minori? In che senso? E come tentato omicidio? Di questo non se ne sapeva niente.”

 

“Se ci lasciate parlare, vi spiegheremo tutto quello che possiamo spiegarvi in questa sede. Sappiate solo che Melania Russo ha un figlio, partorito clandestinamente per volontà del clan Mazzocca e dei suoi affiliati, che la tenevano sotto ricatto e che sono arrivati a sottrarle il bambino. Proprio per questo la Russo ha accettato di testimoniare il falso contro il maresciallo e a favore dell’avvocato, che faceva e fa parte della banda di coloro che non solo le hanno portato via il figlio, ma che, una volta vistisi scoperti, l’hanno poi quasi uccisa, per non farla parlare, contando sul fatto che tutta la colpa sarebbe ricaduta sul maresciallo. Quel bambino nel frattempo era stato venduto a una famiglia compiacente. E quella famiglia, non appena noi abbiamo scoperto il traffico di minori, sempre per colpa di una soffiata di Santoro, stava per essere uccisa da un commando guidato da Stefano Mancuso. Solo grazie al pronto intervento dei nostri uomini ma, soprattutto, del maresciallo Calogiuri e della dottoressa Tataranni, che erano più vicini di noi al luogo dove stava per avvenire consumarsi la strage, abbiamo evitato altri omicidi. E soprattutto abbiamo tratto in salvo il bimbo, che ora si trova in un luogo protetto. La maternità della Russo è stata confermata tramite analisi del DNA.”

 

“E il padre? Chi è il padre?”

 

“Questo ancora non lo sappiamo, ma di sicuro non è né il maresciallo, né nessuna delle persone finora arrestate. Ci stiamo lavorando. Su questo non possiamo fornirvi altri dettagli. Ma voglio invitare a raggiungermi la dottoressa Tataranni ed il maresciallo Calogiuri, con i quali mi complimento ancora moltissimo per la professionalità dimostrata, rischiando perfino la vita, affinché si scoprisse la verità e non ci fossero altre morti più o meno innocenti. Dottoressa, Maresciallo…”

 

Lanciò un ultimo sguardo a Calogiuri, stritolandogli la mano, e lui le sorrise e provò a lasciargliela, prima di entrare, rispettoso come sempre, ma lei la tenne ben salda e scosse il capo, pronunciando solo un, “insieme.”

 

Lui le sorrise ancora di più, bello come il sole che era, e ripetè, “insieme.”

 

E così spalancarono del tutto la porta dietro la quale erano rimasti fino a quel momento, all’unisono, metà per uno e, sempre in perfetta sincronia, si avviarono verso il procuratore capo, che li guardava tra lo stupito e l’imbarazzato.

 

“Vi lascio la parola. Per favore, fateli parlare, prima di partire con le domande.”

 

“Cioè questi entrano come gli innamorati di Peynet e non dovremmo fare domande subito?”

 

Era stato sempre il solito giornalista a intervenire in modo inappropriato.

 

“A parte che questi hanno pure dei nomi e dei cognomi, che sono fatti per essere usati. Ma, fatemi capire, quando fa comodo a voi, del nostro ruolo professionale ve ne fregate altamente e ci sbattete in prima pagina soltanto per i pettegolezzi da parrucchiera, e poi, quando non fa più comodo a voi, non possiamo nemmeno tenerci per mano? E dove stiamo? Nel medioevo? La verità è che siamo stati attaccati ed inseguiti per mesi, mesi e mesi, soprattutto Calogiuri, in un modo incessante, asfissiante, fino a sfociare nel persecutorio. Ed insieme, con orgoglio e a testa alta siamo qua ora a dire chiaro e tondo che non abbiamo mai fatto nulla di male, anzi, e che, come ha detto il procuratore capo, in tanti ci dovrebbero delle scuse. Ma non vi preoccupate, lo sappiamo benissimo che non arriveranno mai. Ma almeno ci state ad ascoltare mo.”

 

Pure con la coda dell’occhio, vide che Calogiuri aveva quell’espressione tra il divertito e l’ammirato di quando lei ci andava giù dritta, pesante, ma dopo tutti quei mesi era caricata a pallettoni.

 

“Ma se il dottor Mancini ha appena rivelato che il maresciallo ha avuto in passato una relazione con un’indagata e-”


“E quando ha avuto questa relazione, non era un’indagata ma semplicemente una presunta amica della vittima. Fui io stessa a chiedere al maresciallo di contattarla e di conquistare la sua fiducia, al fine di ottenere la sua testimonianza e-”


“E all’epoca ho fatto un errore di valutazione. Ero in un periodo molto particolare della mia vita, dal punto di vista dei sentimenti e, anche se questo non mi giustifica, ho dato fiducia alla persona sbagliata. Poi la dottoressa si è resa conto che questa ragazza poteva essere proprio lei l’assassina e-”

 

“Ed il maresciallo ha accettato di essere messo in una posizione scomodissima pur di incastrarla. Ha fatto il suo dovere e lo ha fatto molto bene. Per me ciò compensò ampiamente quell’errore di valutazione, dato anche dall'inesperienza che aveva ancora all’epoca.”

 

“Ma da allora di esperienza ne ha avuta, fin troppa, in tutti i sensi, no?” incalzò il giornalista ed Imma si chiese se fosse stato assoldato da amici di Coraini.

 

“Da allora in poi, a parte la relazione con me, ha sempre mantenuto un atteggiamento estremamente professionale con tutte le persone coinvolte nei casi. Solamente che ha il difetto, se così può essere definito, di essere non soltanto molto bello ma pure un bravo ragazzo e di avere l’istinto di aiutare le persone, senza pensare che possano essere in cattiva fede. Ed il clan, coadiuvato da Coraini, se ne è approfittato, aiutato proprio da voi, dalla stampa, vorrei farvi notare, per scatenargli addosso quella che molti definiscono macchina del fango, ma più che fango era ben altro. E tutto per colpirlo, per colpirmi, per punirci per aver osato scardinare certi meccanismi malati, per aver toccato quelli che da sempre sono considerati intoccabili. E questi gentiluomini hanno tutti le mani grondanti di sangue, tutti, e vorrei farvi riflettere sul fatto che, chiunque in quel… chiamiamolo fango… ci ha sguazzato, pubblicando a destra e manca articoli diffamatori e facendo partire una caccia all’uomo senza uno straccio di processo e di sentenza definitiva, ha la sua parte di responsabilità. Non fosse altro per il potere dato a Coraini. Per convenienza o per vigliaccheria. In ogni caso, almeno per un po’, si spera che molte persone, più o meno oneste, siano state messe in salvo da quel giro di paura, ricatti, omertà e scambio di favori che Coraini aveva creato. Perché magari a volte a chi le ha comprate, saranno sembrate solo due foto, un bello scoop da sbattere in prima pagina, ma quei soldi sono serviti a ben altro, a finanziare ben altro genere di crimini.”

 

Di nuovo il silenzio, qualche colpo di tosse imbarazzato.

 

“Ci tenevo, infine, ad utilizzare questa opportunità pubblica per farle io delle scuse. A te, Calogiuri,” pronunciò, decisa, voltandosi verso di lui, che spalancò gli occhi, preso in contropiede, “lo so che le faccio rarissimamente, praticamente mai, ma… volevo scusarmi per aver dubitato. Non della tua estraneità a fatti criminosi, che di quello sono sempre stata certa al cento percento, ma della tua fedeltà. Almeno per un po’. Per non averti supportato abbastanza, quando ne avevi più bisogno. Ma se c’è qualcosa di buono che è venuto da questo assalto, su tutti i fronti, è stato che mi ha ancora più dimostrato che uomo sei e quanto sono fortunata ad averti al mio fianco, nella vita e sul lavoro.”

 

Il silenzio si poteva tagliare con un coltello, ma lei vedeva solo Calogiuri, i cui occhi divennero due pozze azzurre, nelle quali si sarebbe potuta perdere per sempre.

 

Lo sentì schiarirsi un paio di volta la voce, prima di farle segno di non dire altro e prendere lui la parola, con voce un poco tremante, ma con lo sguardo che non mollava il suo nemmeno per un secondo, “non hai niente di cui scusarti. Chiunque… chiunque al tuo posto avrebbe dubitato. Ma, come hai detto anche tu, le prove di questi mesi ci hanno resi più forti e sicuramente mi hanno reso meno ingenuo e mi hanno fatto capire moltissime cose sul mondo e sul nostro lavoro. E mi hanno confermato che donna sei: che non molli mai e che lotti fino all’ultimo per ciò in cui credi, con un’intelligenza ed una determinazione che io posso soltanto che ammirare e a cui posso solo sperare un giorno di potermi almeno avvicinare. E sono fortunato ad avere la tua fiducia, la tua stima e… tutto quello che ci lega, dottoressa, fortunatissimo.”

 

La vista si stava appannando pure a lei, mannaggia a lui!

 

“E poi… e poi volevo ringraziare di cuore la dottoressa Ferrari, per aver sempre creduto in me, per non avermi mai mollato e per tutto il lavoro che ha fatto per aiutarci a provare la mia innocenza. Non potrò mai esserle grato abbastanza. I miei colleghi, in particolar modo il maresciallo Mariani, che è una professionista ed un’amica eccezionale. Tutti coloro che non posso menzionare, perché hanno agito in incognito. Ed il dottor Mancini che… che mi ha dimostrato non solo di saper cambiare idea ma anche di tenere alla giustizia e alla professionalità molto di più che alla convenienza o alle simpatie personali.”

 

Ed, infine, mentre l’orgoglio le esplodeva dentro, si girarono verso Mancini che pareva in enorme imbarazzo - e lo credeva bene, dopo tutto quello che era successo! - ma che porse timidamente la mano a Calogiuri, per stringergliela, e lui ricambiò, deciso.

 

“Ma quindi…. ma quindi riprenderete a lavorare a Roma? Tutto finito a tarallucci e vino?” chiese il solito giornalista, polemico come sempre.

 

“Per quanto mi riguarda non ci sono problemi e-”

 

“Ma per noi sì,” intervenne Imma, decisa, interrompendo Mancini e guardandosi con Calogiuri che annuì.

 

“Io e la dottoressa ne abbiamo parlato e… per il bene del maxiprocesso e di tutte le persone coinvolte, riteniamo sia giusto chiedere un trasferimento. Ovviamente, se il dottore lo permetterà, nel frattempo ci occuperemo dei casi ancora aperti ai quali abbiamo già lavorato, ma per il resto… il maxiprocesso lo vivremo come testimoni. Questo caso è troppo importante per noi e non vogliamo offrire nessun appiglio per poter mettere in dubbio la validità delle tesi accusatorie e delle prove raccolte.”

 

Ci fu un altro boato in aula, Mancini ed Irene che li guardavano sorpresi, mentre lei sorrideva a Calogiuri, stringendogli più forte la mano.

 

Perché era giusto così e perché, ovunque fossero finiti, a patto di essere abbastanza vicini da poter convivere, lei si sarebbe sentita a casa.

 

Perfino in capo al mondo.

 

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Fece appena in tempo a sentire il clack della porta che si era richiusa alle loro spalle - ci avevano messo un tempo infinito a rientrare, per seminare i giornalisti insieme a Mariani - quando buttò la borsa a terra e saltò al collo di Calogiuri, stritolandolo e facendolo finire addosso al legno.

 

“Dottoressa…” le sussurrò all’orecchio, facendole il solletico e poi provocandole un gridolino quando le morse il lobo, “ne deduco che tu voglia festeggiare?”

 

“Deduci bene, Calogiuri, benissimo!” sibilò, approfittandone a sua volta per mordergli il punto esatto di giunzione tra collo e mandibola, che sapeva lo faceva impazzire.

 

Tanto che lui si sbilanciò un attimo e lei si trovò appoggiata al muro, per non cadere.


Ma non se ne lamentò, anzi: il muro era perfetto per quello che aveva in mente. Lasciò correre le mani fino a levargli la giacca indossata per l’occasione, buttandola per terra senza troppe cerimonie, e procedette a sbottonargli la camicia a suon di baci.

 

“Al divano non ci arriviamo, ho capito…” mormorò lui, divertito, tra un mugugno di piacere e l’altro, prima che le sue mani, ancora fredde dall’aria esterna, le riempissero di pelle d’oca l’addome, appena sotto al maglioncino che le aveva sollevato giusto giusto il necessario per raggiungere i suoi di punti deboli.

 

Uno ad uno palla al centro.


Ma la battaglia a chi faceva impazzire più l’altro era solo all’inizio.

 

Ed avrebbe necessitato di molte, moltissime rivincite.

 

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“Mamma mia!”

 

Si lasciò cadere sul materasso, completamente soddisfatta ma anche esausta.

 

“E lo dici a me? Con tutte le… ripetizioni che mi hai fatto fare? Altro che la palestra! Dovrò tornare a fare nuoto per allenarmi alla resistenza.”

 

Mosse giusto giusto gli occhi, fino a incrociare quelli sornioni di lui e risero insieme.

 

“Altro che resistenza! Qua tra dieta e… ripetizioni… tra poco sarò di nuovo io a non starti dietro, Calogiù.”

 

“Impossibile. Non fosse altro che io necessito di tempi di recupero e tu no. E quindi mi freghi sempre, dottoressa.”

 

Le venne spontaneo un sorriso felino, che nemmeno Ottavia, ed allungò il collo per posargli un ultimo bacio sulle labbra.

 

Poi si stiracchiò, cercò l’ora e, nel farlo, notò l’assenza del cellulare dal comodino.

 

Ovviamente era rimasto all’ingresso nella borsa.


“Vado a farmi una doccia e a recuperare il telefono, Calogiù, che non si sa mai. Anzi, se vuoi farti la doccia prima tu, che qua se la facciamo insieme ricominciamo tutto da capo e non c’ho le forze.”

 

“Agli ordini, dottoressa!” la prese in giro, avviandosi verso il bagno, completamente nudo.

 

Se non fosse stata stremata, gliel’avrebbe fatta pagare per la provocazione.

 

Ma avevano tutto il tempo del mondo e pure una serenità mentale che erano mesi che non potevano avere.

 

E quindi, nuda pure lei, si avviò verso l’ingresso, recuperò il telefono e vide, come prevedibile, una tonnellata di messaggi e chiamate perse. Tornò in camera, mentre faceva scorrere le notifiche, incrociando Ottavia che fuggì scandalizzata verso la cucina - sì, la buoncostume proprio le ci voleva - e, quando fu di nuovo a letto, in attesa del ritorno di Calogiuri e di poterci andare lei in bagno, notò, tra tutti i messaggi - Valentina, Pietro, Diana, Vitali - un messaggio di Chiara L.

 

Sospirò: era da mesi che non si sentivano, per scelta sua, visti tutti i casini successi ma… ma qualcosa la spinse a toccare il nome del contatto per leggere il messaggio.

 

Ho visto la conferenza stampa. Sono veramente felice e sollevata che tu ed il maresciallo siate riusciti a chiarire tutto, ma non ne avevo dubbi, perché tu non ti arrendi mai. E ti ammiro tantissimo per questo. Se hai bisogno, per qualunque cosa, io ci sono, come sai, e l’offerta è sempre valida. Un abbraccio. Chiara

 

Un altro sospiro.

 

C’era sempre quel tarlo, quel timore latente di prendersi una fregatura con Chiara. Anche se le aveva dimostrato in tutti i modi che di lei ci si poteva fidare ma…

 

Ma forse il problema non è solo la fiducia, no, Imma? Neanche esserti amica è semplice, che respingi tutti, col carattere che c’hai, figuriamoci sorella!

 

Era stata la voce della Moliterni a parlare e, per quanto poco tollerasse Maria, non aveva tutti i torti - del resto non era neanche la vera Maria, ma la sua coscienza a parlare, che scema non era, anzi.

 

Lei per i rapporti umani continuativi non c’era molto portata. A parte Calogiuri e all’epoca Pietro, anche se in modo molto più sporadico. Persino con Valentina non aveva uno di quei rapporti stretti, tendenti al morboso, della maggior parte delle madri italiane. Una volta avuta la certezza che non sarebbe finita su una cattiva strada e che, anzi, si stava costruendo la sua vita e la sua indipendenza, pure tra un casino e l’altro, aveva di molto mollato la presa. Anche Calogiuri in questo l’aveva aiutata.

 

E Diana… pur essendo per tanti versi la sua unica vera amica… non riusciva ancora a confidarsi veramente con lei, non c’era mai riuscita del tutto. L’unico con il quale riusciva a mettersi a nudo, in tutti i sensi, era Calogiuri. L’unico che aveva fatto il miracolo.

 

Ma proprio per quello… la parola sorella la spaventava tantissimo. Per le aspettative che l’accompagnavano, lei che alla fratellanza e alla sorellanza aveva sempre associato virtù degne giusto di San Francesco - e di una Chiara, sì, ma assai più santa della Latronico - ed una gran dose di incoscienza, oltre che di pazienza.

 

Però, alla fine… dell’aiuto del figlio di Chiara aveva bisogno. Di suo nipote, anche se il termine la faceva rabbrividire. E poi… e poi gli ultimi mesi le avevano insegnato che non dover fare tutto da sola non era così male, in fondo, anche se Chiara e suo nipote la sua fiducia avrebbero dovuto guadagnarsela piano piano, che altro che Mancini, Irene, Mariani e Ranieri!

 

E poi… erano due donne adulte… mica dovevano dividersi la cameretta o frequentarsi assiduamente per forza. Quanti fratelli e sorelle si vedevano ogni morte di papa? Per intanto… avrebbe potuto iniziare a conoscerla davvero e da lì… decidere se era il caso di proseguire o se, come diceva De Andrè, è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati.

 

Quasi in automatico, aveva premuto il tasto verde ed avviato una chiamata.

 

Non appena se ne rese conto e si rese conto pure che era quasi mezzanotte, fece per interrompere ma il “pronto?” di Chiara glielo impedì.

 

Quantomeno non pareva assonnata, almeno quel genere di imbarazzo poteva levarselo.

 

“Imma? Tutto bene?”

 

La preoccupazione nella voce di Chiara la sbloccò completamente dalla mezza paralisi: effettivamente chiamarla a quell’ora, dopo mesi di silenzio, oltretutto….

 

“S-sì, sì. Ma è che… ho letto il tuo messaggio soltanto mo e…”

 

“E…?” la incitò Chiara, tra il preoccupato e lo speranzoso.

 

“E… ti volevo ringraziare e dirti che non mi devi ammirare, perché pure tu non ti arrendi mai, evidentemente, nonostante tutte le volte che mi sono allontanata.”

 

“Se… se sono stata inopportuna non-” la sentì andare in panico e quindi si affrettò a bloccarla con un “Chiara!” che le suonò più naturale di quanto avrebbe dovuto.


“Non sei stata inopportuna. Sono io che… un po’ per il lavoro che faccio, un po’ per carattere… non è facile avere un rapporto con me. E… e poi non ti volevo coinvolgere nel casino di questi mesi ma… ma un casino in cui coinvolgerti ce lo avrei, o meglio, in cui coinvolgere tuo figlio. Ma non dovete assolutamente sentirvi in obbligo, e se mi mandate a quel paese francamente vi capisco.”

 

“Quale casino? Ma non avete risolto con la conferenza di oggi? E che c’entra mio figlio? Lo sai che non è un penalista,” le chiese, confusa.

 

“Lo so, lo so e infatti grazie al cielo non ci serve un penalista. Ma un matrimonialista, bravo, per… per la sorella di Calogiuri. Non so se hai sentito pure di quello in questi mesi ma-”

 

“Ma quella che sta con il tuo ex marito?”

 

“Sì, esatto. E… a parte gli articoletti sui giornaletti… il suo di marito ha un avvocato che è uno squalo e che ha fatto una serie di richieste assurde. Lei può permettersi di pagare un avvocato e ovviamente lo farebbe se tuo figlio accettasse l’incarico ma… ma non può permettersi qualcuno con parcelle da capogiro e ha bisogno di qualcuno di cui possa fidarsi, visto che già è stata sbattuta sui giornali e tutto quello che le sta succedendo. Sai che non ho grande stima degli avvocati in generale, ma… ma tuo figlio mi sembra competente ma non uno squalo. Se… se lui volesse prendersi l’incarico… se fosse compatibile con le sue parcelle, ecco, io-”

 

“Imma.”

 

Stavolta fu Chiara a bloccarla, di nuovo in un modo che le sembrò stranamente naturale.

 

“Non posso parlare per mio figlio, lo sai, ma… ma non vedo perché no. E lui fa spesso anche lavoro pro bono e-”

 

“E di quello non se ne parla proprio: il lavoro va retribuito e Rosa non accetterebbe mai di non pagare!”

 

“Non ci capisco molto di queste parentele incrociate, Imma, ma noto che la testa dura è di famiglia, anche acquisita,” rise Chiara, in un modo che le fece sorridere, “e comunque… glielo chiederò, ma non vedo perché no. E poi… di famiglie strane siamo esperti purtroppo, dalla nascita, se no non saremmo noi, anche se per fortuna alla fine il DNA non è tutto, no? Visto che la nostra… altro che strana era….”

 

A differenza di altre volte, non si chiese quasi nemmeno se Chiara con nostra intendesse sua e di suo figlio o ci comprendesse anche lei.

 

Perché un’idea le era balenata in testa, un’idea assurda forse, ma che… che valeva la pena esplorare.

 

“Grazie. Allora aspetto notizie e… e, anche se, conoscendomi, non posso promettere niente, magari… potremmo anche provare a sentirci e a vederci qualche volta, pure senza casini di mezzo.”

 

“Quando vuoi.”

 

Il tono di Chiara, che pareva appena aver ricevuto un regalo bellissimo, la fece un poco commuovere. Mannaggia a lei!

 

La salutò, chiuse la chiamata ed alzò gli occhi dal cellulare, per trovarci Calogiuri che la guardava con un sorriso che… che la commozione da piccola diventò grande.

 

“Sono felice per te, dottoressa,” proclamò, semplicemente, avvicinandosi ed abbracciandola forte forte.

 

Ma, anche se lui aveva giusto un asciugamano addosso e lei era nuda, l’unica cosa che provava in quel momento era un’immensa tenerezza ed un immenso sollievo.

 

Quello di sentirsi capita, fino in fondo, e come sempre senza bisogno di parole.

 

Ma poi, dopo qualche istante, il pensiero che l’aveva portata a chiudere la chiamata con Chiara la colse nuovamente e si staccò leggermente da quella stretta calda e rassicurante.

 

“Devo fare un’altra chiamata, Calogiù,” gli spiegò ed aggiunse, al suo sguardo interrogativo, “mi è venuta in mente una cosa su Melita. Devo chiamare Mancini, visto che è lui che si occupa ufficialmente del suo caso. Lo so che l’orario è quello che è, ma-”

 

“Basta che non fai una videochiamata, dottoressa. Se no… altro che sushi e fiori!” la bloccò, con tono ironico ma con un pizzico di gelosia.

 

Si sentì un poco arrossire, prima di dargli un buffetto su una guancia ed un bacio sull’altra e dirgli un, “ma come sei scemo!”

 

Però, giusto giusto per sicurezza, afferrò la camicia da notte sbattuta a terra nella foga e se la infilò: metti mai che per sbaglio si attivasse la telecamera!

 

“Dottoressa?”

 

La voce preoccupata di Mancini la raggiunse dopo poco. Per fortuna pure lui, nonostante fosse schifosamente mattiniero, non sembrava minimamente assonnato.


Forse l’adrenalina di quel pomeriggio: succedeva anche a lei che ci volevano un po’ di ore per scaricarsi.

 

“Non si preoccupi, dottore, non è successo niente di grave e mi dispiace per l’orario ma ho avuto un’idea e volevo comunicargliela subito, in modo che si potesse eventualmente attivare immediatamente con le ricerche.”

 

“M- mi dica…” balbettò un attimo, stupito.


“Stavo pensando… per la storia di chi sia il padre del bambino di Melita. Noi abbiamo controllato il DNA dei criminali con i quali abbiamo avuto a che fare qua in Italia. Ma… ma se il bambino fosse stato concepito alle Baleari e magari… magari Melita fosse stata invischiata in qualche giro strano già lì? Alla fine quando l’abbiamo conosciuta era tampinata da brutta gente. E se chiedessimo un confronto del DNA con il database spagnolo? Ritiene che sia possibile? Certo, sarebbe una corrispondenza solo parziale, ma-”

 

“Ma mi sembra un’ottima pensata, come sempre, dottoressa. Chiedo subito a Brian Martino se ci può aiutare in tal senso.”

 

“Grazie, dottore, buonanotte,” sorrise, soddisfatta, prima di chiudere la comunicazione.

 

Ma mai come quando si sentì stritolare in un altro abbraccio con Calogiuri che le sussurrò, “hai un’idea di quanto sei bella quando fai così?” che le rimescolò tutto, pure dopo tutti quegli anni insieme.

 

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“Mmm… ma che ore sono?”

 

Aprì gli occhi, vedendo Imma uscire dal letto.


Guardò l’orologio e non erano neanche le nove.

 

Ultimamente, stando a casa, si alzavano assai più tardi, anche perché tra tutta la… ginnastica e le ore piccole….

 

“Tranquillo, dormi tu che puoi. Io… ho un appuntamento.”


“Un appuntamento? E con chi? Ma è successo qualcosa?” chiese, preoccupato, mettendosi immediatamente a sedere.

 

“No, no, non è successo niente ma è che… devo… devo vedermi con Chiara. Chiara Latronico. Sai, per la storia di tua sorella. Glielo devo, gentile com’è stata e poi… e poi voglio vedere come va.”

 

Mollò il fiato che stava trattenendo e le sorrise, sollevato e felice che volesse dare una possibilità a Chiara. Imma si meritava una famiglia tutta sua, o anche solo un’amica, e Chiara gli aveva sempre fatto una buona impressione.


“Sicura che non vuoi che ti accompagni? Cioè, poi vi lascerei sole ma… se ci fossero in giro i giornalisti…”

 

“Tranquillo, che ormai so come non dare nell’occhio. E se ho bisogno ti chiamo. Tu riposati e, mi raccomando, colazione da campioni che quando torno… altro che allenamento cardio, come dici tu.”

 

Il bacio in cui fu trascinato non lasciò spazio a dubbi che non fosse solo una provocazione.

 

Quella mattina doppia razione di proteine, minimo.

 

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“Imma!”

 

Chiara, sempre al solito hotel e al solito tavolo, la salutò con quel sorriso dolce che le ricordava tremendamente Valentina, quelle poche volte nelle quali non era incazzosa.

 

“Sono così felice di rivederti, finalmente!”

 

Senza capire bene come, si trovò trascinata in un abbraccio, ma poi Chiara si staccò bruscamente e le chiese, “troppo?”

 

Le venne da ridere, perché non si conoscevano per niente ma, in fondo, la conosceva più di quanto pensasse.


“Diciamo che… per gradi si può fare. Ho cercato di evitare i giornalisti, spero non ti diano problemi.”


“Ma figurati! Poi se non mi hanno dato problemi per essere figlia di nos- di mio padre.”

 

Apprezzò molto la correzione e la delicatezza di Chiara, tanto che si sedette volentieri con lei e, crepasse l’avarizia, si concesse pure una mega colazione - che con tutto quello che avevano bruciato lei e Calogiuri la notte prima, se la meritava proprio.

 

“Noto che hai appetito stavolta, sono contenta!”

 

“Io in realtà ho sempre appetito, tranne quando-”

 

“Quando sei a disagio?” la interruppe Chiara con un altro sorriso e sì, la conosceva decisamente meglio del previsto, “succede anche a me.”

 

Bevve un’altra sorsata del latte macchiato che si era ordinata e sospirò.

 

“Non ti preoccupare, capisco che… che di solito tu non sia molto a tuo agio con me. Sono felice che lo sia di più oggi. O che qualcuno magari… ti abbia conciliato di più l’appetito.”

 

“Chiara!” esclamò, stupita, ma la Latronico ne rise.

 

“Eh… Imma… vi ho visti insieme alla conferenza stampa. Beata te! Ma non ti preoccupare, non siamo qua per parlare dei dettagli amorosi tuoi e del tuo maresciallo, ma del tuo ex e di tua… cognata. Giusto?”

 

“Per così dire, che certi dettagli su Pietro e Rosa non li voglio sapere manco io e mi auguro di non saperli mai.”

 

“Lo capisco perfettamente. Anzi, non so come fai… a me tutta la situazione farebbe così strano!”

 

“Eh… strano lo fa pure a me, credimi, ma… alla fine sono stata io a lasciare Pietro e ora che lo vedo finalmente felice ed innamorato…. E poi Rosa è veramente una ragazza eccezionale, di carattere. Ma non troppo, come me. Se si sono trovati… mi pare il minimo cercare di sostenerli, soprattutto a Pietro, visto com’è finita tra di noi. E poi ci siamo pure io e Calogiuri di mezzo e, in ogni caso, quando vedo come si comportano certi avvocati, diventa pure una questione di principio.”

 

“Eh… Andrea mi ha detto che il collega assunto dal marito di… Rosa, è un vero squalo. Il più temuto di Napoli. E non costa poco, anzi. Infatti mi stupisco che uno come il marito di Rosa possa permetterselo.”


“Eh… stupisce pure a me ma… non è da solo. Credo abbia chi lo finanzia.”

 

“Ma vuoi dire… la malavita?”

 

“No… credo qualcuno di assai più infido e pericoloso: mia suocera, se così la possiamo chiamare, che avrà rotto il salvadanaio pur di vendicarsi, per il poco che la conosco. Ma sicuramente sulla fonte di questa… disponibilità di denaro ci sarà da indagare. Allora… Andrea… è disposto a…?”

 

“Certo, Imma, certo,” la rassicurò ed Imma tirò un sospiro di sollievo anche se si irrigidì un poco quando Chiara le prese la mano, tanto che l’altra lo percepì e la ritrasse subito, “voleva farlo gratis ma gli ho spiegato che non era cosa. In ogni caso, stai tranquilla: Andrea si sottovaluta ma nel suo campo è bravo. E farà di tutto per aiutare… Rosa e Pietro.”

 

“Basta che faccia di tutto nei limiti della legalità,” sottolineò, perché sapeva bene che alcuni avvocati avevano metodi poco ortodossi a volte e, considerata la famiglia di Andrea - e pure la sua….

 

Chiara sospirò e capì che forse era stata inopportuna, ma era più forte di lei.


“Tranquilla, Imma. Andrea agisce sempre nel rispetto della legge ma, in questo caso, a maggior ragione, con tutti gli occhi puntati addosso, sa benissimo che ogni errore potrebbe costargli carissimo. Sarebbe stupido a non seguire tutte le procedure ed i protocolli alla lettera. E magari su certe cose è stato un po’ ingenuo in passato, ma non è stupido e non è disonesto.”

 

Per quel poco che aveva conosciuto di Andrea durante il caso Spaziani, doveva darle ragione.

 

“Va bene. Allora… allora grazie… a tutti e due. So che altra attenzione sulla… su quella che alla fine è pure la nostra famiglia non è quello di cui avete bisogno, né in questo momento né mai. Quindi grazie.”

 

Chiara le sorrise di nuovo, in quel modo apertissimo di cui lei non sarebbe mai stata capace, se non forse con Calogiuri.

 

La ammirava per quello, per essere così, nonostante il padre che aveva avuto, nonostante l’ambiente che aveva frequentato, l’educazione ricevuta.

 

“Allora… che ne dici di un altro latte macchiato? O di qualsiasi altra cosa? Per festeggiare?”

 

“Magari una bella cioccolata calda,” ammise, stupendosi anche lei del suo appetito ma, del resto, negli ultimi giorni lei e Calogiuri avevano consumato di tutto e di più, in tutti i sensi.

 

“E allora vada per due cioccolate calde, alla faccia della dieta.”

 

Il cameriere fu solertissimo ma, non appena se ne fu andato, prima che le mancasse il coraggio, Imma toccò stavolta lei l’avambraccio di Chiara, per attirare la sua attenzione, guadagnandosi uno sguardo stupito.

 

“No, è che… avrei bisogno anche di un altro favore, in un certo senso. Niente che riguardi tribunali o leggi stavolta.”

 

“V-va bene, dimmi pure,” annuì Chiara, sembrandole curiosa ma anche contenta di quella che, in effetti, era una dimostrazione di fiducia, per quanto piccola.

 

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“Dottoressa, maresciallo. Spero che sia l’ultima volta che vi vediamo così. Come vi ho detto, voglio lasciare ancora passare qualche giorno per i giornalisti, ma poi potete riprendere a frequentare più liberamente la procura. E spero che possiate cambiare idea sull’intenzione di non riprendere con il servizio attivo continuativo, in attesa del trasferimento.”

 

“Dottore, la ringrazio e saremo ben felici di muoverci più liberamente e di venire in procura quando occorre. Ma abbiamo voluto lanciare un segnale importante con la conferenza stampa e non vogliamo che la nostra presenza venga strumentalizzata in alcun modo, come temo avverrebbe, se frequentassimo la procura giornalmente. In ogni caso, visto che dovremo valutare proposte di trasferimento compatibili e che devo chiedere anche conferma al dottor Vitali, essendo io ufficialmente in forze ancora a Matera, in via principale, credo non avverrà in tempi brevissimi. Quindi, se avete bisogno del nostro aiuto, sapete che restiamo a disposizione.”

 

Calogiuri si limitò ad annuire, sorridendole e prendendole di nuovo la mano, che ormai era il loro piccolo gesto rivoluzionario, e non solo di supporto, anche in pubblico, pur dovendo e volendo ovviamente mantenere la professionalità dovuta al contesto.

 

“Allora, ci sono novità, dottore? Spero nuovamente buone, che qua come si tira un po’ il fiato capita un’altra disgrazia.”

 

“No, dottoressa, non sono buone,” rispose Mancini, facendole prendere un colpo, almeno finché sorrise, “sono ottime! Aveva ragione lei, anche stavolta. Brian ha finito il controllo con i colleghi spagnoli ed il database iberico ha effettivamente prodotto un risultato di compatibilità parziale, riconducibile ad un rapporto di tipo padre e figlio.”

 

“Con un pregiudicato locale?”

 

“In realtà non ufficialmente. Ma è schedato perché è immigrato in Spagna dalla Colombia ed il padre è un boss colombiano, molto potente. Sicuramente ha inviato il figlio per gestire i suoi traffici di droga in Spagna e forse pure in Europa, ma il figlio finora si è sempre mantenuto pulito, se così si può dire. Ha attività di facciata in vari posti in Spagna, tra cui dei locali proprio lì alle Baleari. In quello dove siete stati ha una piccola quota di minoranza, ma altri li gestisce direttamente.”

 

“Ed è così che può aver conosciuto Melita!” esclamò, soddisfatta e sollevata.


“Sì. Ecco una foto del… ragazzo in questione.”

 

Un’immagine comparve sullo schermo, di un bel ragazzo mulatto, che poteva essere da poco sulla trentina e dagli occhi identici a quelli del piccolo Francesco, scuri come la notte.

 

Ma non fu per quello che le si azzerò il fiato e la salivazione: guardò Calogiuri e anche lui aveva gli occhi spalancati.

 

“Ma questo… è…”

 

“Uno dei gentiluomini che stavano aggredendo Melita fuori dal locale sì, Calogiuri, ne sono sicura. O meglio, stava con loro, non l’ha aggredita lui direttamente.”

 

“E quindi… se poi Melita è ripartita praticamente subito per l’Italia… forse… forse avevano avuto una relazione, finita non bene,” proseguì per lei Calogiuri, aggiungendo, dopo un attimo di riflessione, “e forse… proprio per questo, oltre che per la famiglia da cui proviene, Melita non avrà voluto dirgli niente della gravidanza, perché un tipo così, se lo avesse saputo, si sarebbe fatto vivo e-”

 

“E potrebbe ancora farsi vivo. Dobbiamo aumentare il piantonamento a Melita anche se… magari lui potrebbe credere che il bimbo sia figlio di altri, se anche gli arrivasse la notizia. Alla fine non abbiamo svelato quando sia nato Francesco. Ma… se fosse così-”

 

“Ecco qual era l’arma del ricatto dei Mazzocca, dei Romaniello e di Coraini,” concluse Calogiuri, sospirando, “probabilmente, scoperta la gravidanza, hanno mangiato la foglia su chi fosse il padre, grazie agli amici di Coraini alle Baleari, e l’hanno ricattata di dire tutto a questo… Alejandro Mendoza?”

 

“E Melita si è trovata tra l’incudine ed il martello, per la sopravvivenza sua e del bambino. Con l’alternativa di sperare che prima o poi i Mazzocca la lasciassero stare, o di far crescere il suo bimbo da una famiglia di narcos. O peggio, se questo Alejandro l’erede non lo avesse voluto.”

 

Le venne una fitta al petto, vedendo Francesco, bello come il sole ed altrettanto incazzoso, che cercava di raggiungere lo schermo - e forse proprio lei - in braccio ad Irene che lo teneva a fatica.

 

La capiva Melita, anche se avrebbe tanto voluto che si fosse fidata di loro, che si fosse confidata, che avesse permesso loro di aiutarla.

 

Ma per un figlio… si fanno follie e Melita evidentemente era stata abituata a doversela sempre cavare da sola e… non poteva biasimarla troppo per non essere voluta andare contro a delle famiglie così potenti.

 

E l’aveva pagata cara, carissima, troppo.

 

Ora toccava a loro proteggere quel bambino per il quale lei aveva quasi dato la vita.

 

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“Buongiorno, dormiglione.”

 

Un solletico all’orecchio, al collo e poi un tocco morbido e caldo sulle labbra lo svegliarono dolcemente dal sonno.

 

Aprì gli occhi e si trovò davanti Imma, vestita di tutto punto e con un vassoio in mano.

 

“Soltanto ed esclusivamente perché ti ho fatto fare gli… straordinari e devi riprendere le forze. Non ti ci abituare, maresciallo,” intimò ma con un sorriso, per poi poggiarglielo sulle gambe, una volta che si fu messo a sedere.

 

C’era cibo per un reggimento quasi. Ma solo una tazza.


“Ma tu hai già fatto colazione? E come mai sei già vestita?”

 

“Sì. E per non indurti in tentazione, maresciallo, che devo uscire.”

 

“Ma è successo qualcosa? Ti posso accompagnare e-”

“No, no, tranquillo, devo vedermi con Chiara. Latronico.”

 

“Ancora?” domandò, stupito, perché era già la terza volta che si vedevano negli ultimi giorni, “ma, se è per mia sorella, non ti devi dare tanto disturbo: si deve arrangiare lei con il figlio di Chiara e-”

 

“No, ma è che… sto provando a conoscerla un po’ meglio. E finché sta a Roma, ne approfitto. Ti dispiace? Non è che sei geloso pure di lei, mo?” gli domandò con un sorrisetto.


“Lo sai che io sono geloso di tutto,” ironizzò, facendole l’occhiolino, anche se un poco veramente lo era, “ma… seriamente… sono felice che ti stai avvicinando a tua… cioè a Chiara, ma… ormai sono abituato a svegliarmi con te e alle nostre lunghe colazioni e… post colazioni. So che quando, si spera presto, potremo tornare a lavorare, dovremo perdere l’abitudine ma… mi sa che mi hai viziato un po’ troppo.”

 

“E pure tu a me, Calogiù.”

 

Un altro bacio, più lento e dolce.

 

“E comunque… se non finiamo in capo al mondo… le colazioni insieme le potremo sempre fare. Certo più… veloci… e pure altro più veloce, ma non troppo. Anzi, tieniti pronto per stasera.”

 

“Agli ordini, dottoressa!”

 

Un ultimo bacio e la vide andare verso la porta, ma poi si fermò e lo guardò con uno sguardo indecifrabile e disse, “e tieniti pronto anche per domani sera. Non in quel senso. Cioè, pure in quel senso,” specificò di fronte al suo sguardo divertito, “ma domani sera ti porto fuori a cena, a festeggiare.”

 

“Abito elegante? Che non so se quelli che ho mi staranno larghi ancora.”

 

“Diciamo… elegante ma anche comodo. Che sarà una lunga, lunga, lunga nottata. Almeno spero.”

 

“Ma con o senza vestiti la lunga nottata?” non resistette al provocarla.

 

“E chi lo sa… domani lo scopri, maresciallo. A più tardi.”

 

Con un sorriso così malizioso che si dovette trattenere a forza dall’alzarsi, raggiungerla ed inchiodarla alla porta con un bacio, Imma sparì, lasciandolo lì con una colazione fumante, i neuroni e gli ormoni in subbuglio.

 

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“Allora, sei pront-”

 

La parola gli morì in un suono strozzato non appena la porta del bagno si aprì del tutto e la vide.

 

Aveva addosso il tubino leopardato, quello attillato che aveva comprato per il teatro con Irene, in quella che sembrava una vita precedente e che le calzava come un guanto, lasciando poco, pochissimo spazio all’immaginazione.

 

L’unico altro indumento, a parte le scarpe col tacco, leopardate anche quelle, era un coprispalle dorato.

 

Imma gli sorrise, soddisfatta e anche un poco imbarazzata, poi gli si avvicinò e percepì le sue dita sul nodo della cravatta, che gliela sistemavano meglio, sussurrandogli, “sei bellissimo pure tu, maresciallo. Anche se non garantisco di farti arrivare a fine serata con la cravatta.”

 

Si sentì avvampare e gli venne da tossire, prima di sospirare “me lo hai detto tu di mettermi elegante!” e di trascinarla in un bacio che però lei tagliò corto quasi subito con un, “se cominciamo così non usciamo più. Forza, Calogiuri, avanti, marche!” 

 

“Imma!” esclamò, non appena percepì l’impatto sul sedere di cinque dita molto familiari.


“Eh va beh, Calogiuri, controllo del peso. Sei ancora leggermente deperito ma siamo sulla buona strada!”

 

E così, senza dire nient’altro, ma con quel sorriso incredibilmente felino, la vide indossare il suo amato cappottone marrone, afferrare una borsa dorata, e la seguì fuori dall’appartamento.

 

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“Posso aprire gli occhi, dottoressa? Che tra poco ci sfracelliamo.”

 

“Che non ti fidi di me, Calogiù? E poi ormai sei più leggero, quindi ti reggo benissimo. Mo non approfittartene per cadermi addosso apposta però, che ti conosco!”

 

Un altro colpo di tosse, le guance sempre più calde, anche se percepiva l’aria piacevolmente fresca della serata primaverile romana.

 

Intorno a lui rumore di traffico, urla in romanesco e in varie lingue più o meno conosciute.

 

Imma aveva insistito per venire in taxi - cosa che non era da lei - e poi, dopo aver fatto fare al tassista un giro dell’oca che non aveva capito - cosa ancor meno da lei, che insisteva sempre per la via più breve, mappa alla mano - era scesa insieme a lui in una specie di viuzza piccola e buia.

 

Per un secondo aveva avuto in mente che volesse fare un certo tipo di follia, ma erano comunque in un luogo troppo frequentato. Ed invece lei gli aveva chiesto di chiudere gli occhi e di darle la mano, che dovevano andare in un posto insieme.

 

Lo aveva anche ironicamente minacciato di bendarlo, ma che poi se li avessero fotografati altro che Cinquanta Sfumature di Grigio. Forse per quello, forse perché alla fine lui se una cosa la prometteva la manteneva pure, aveva giurato di tenere gli occhi serrati e si era affidato completamente a lei.

 

Solo che mo la cosa cominciava ad andare per le lunghe ed era preoccupato che finissero entrambi a terra.

 

Ancora qualche passo fatto con cautela ed un sussurro all’orecchio, “puoi aprirli!”

 

La prima cosa che incontrò furono quegli occhi scuri e stranamente lucidi che lo guardavano con una specie di strano misto tra eccitazione ed ansia.

 

E poi sollevò lo sguardo, anche se in quegli occhi, soprattutto quando lo squadravano in quel modo, così… tenero… ci si sarebbe perso volentierissimo.

 

Ma, quando riconobbe l’insegna che illuminava il buio appena calato su quel piccolo scorcio di Roma, dipingendolo come un quadro nella notte, una botta di commozione lo prese tra la gola e lo stomaco.

 

“Ma… ma siamo….”

 

“Dove tutto è cominciato, Calogiuri. Mi sembrava il posto giusto per stasera.”

 

Invece di cercare una risposta, che tra i neuroni e la gola pieni di cotone non sarebbe mai stata all’altezza, le prese le guance e la baciò, così, semplicemente, e come però non avevano potuto fare per tanto tempo in pubblico, braccati come i peggiori criminali. E quando si staccarono, Imma appoggiò la fronte contro la sua, in quella che era da sempre la loro promessa. Di esserci, di non mollarsi.

 

Ed alla fine ce l’avevano fatta: erano ancora lì, più uniti che mai, nonostante lui si fosse fatto prendere dall’ingenuità prima e dalla gelosia poi. Ma… ma Imma gli aveva dato così tante dimostrazioni in quelle ultime settimane, dimostrazioni che sapeva quanto valessero, quanto pesassero, per una con il suo carattere.

 

A volte gli sembrava ancora impossibile, non solo che lei lo amasse così tanto, in modo così folle e senza riserve, come lui amava lei, ma anche che… che riuscisse ad aprirsi in quel modo, a rendersi così… vulnerabile per lui. Lei, che era sempre così forte, stoica. Che si fidasse di lui completamente, tanto non solo da avergli creduto, nonostante le prove fossero tutte contro di lui, ma anche di essersi giocata tutto per lui - vita e carriera -un’altra volta.

 

“Che dici? Andiamo al tavolo? O ti sei imbambolato?” lo sfotté ma con dolcezza, come solo lei sapeva fare e come faceva solo con lui, dai primi veloce, Calogiuri! che gli aveva urlato appresso, tanti anni prima.

 

“Se mi sono imbambolato è soltanto colpa tua, dottoressa,” le ricordò, piantandole un altro bacio e poi cingendole le spalle, per stringerla a sé più che poteva, mentre si avviavano verso i tavolini.

 

Un cameriere si avvicinò a loro ed Imma disse, quasi in automatico, “ho prenotato per due. Venezia.”

 

“Qua però a Roma stiamo, signò. Che s’è confusa?” ironizzò l’omone, facendo loro l’occhiolino, con quel tono e quei modi tipici dei romani, che parevano sgorgare dal cuore, tanto che alla fine come facevi a prendertela a male?

 

Ed infatti, non solo l’occhiolino non diede fastidio a lui, e neanche la battuta, ma persino Imma si mise a ridere.

 

Nei pochi passi necessari per arrivare al loro tavolino, d’angolo - lontano dalla zona più affollata e vicino ai violinisti e sassofonisti che riempivano di musica la zona del portico per cercare di guadagnarsi da vivere - riconobbe il cameriere come lo stesso che aveva dato loro il cibo per Ottavia quando l’avevano appena ritrovata.

 

Imma si scostò il cappotto, che non faceva così fresco, lasciandolo aperto nel sedersi - forse per farlo impazzire ancora di più, ricordandogli cosa avesse sotto - ed il cameriere esplose in una risata ed esclamò, “ma mo si che ve riconosco! Voi siete quella tutta leopardata, che stavate qua con ‘a micetta, tutta secca secca. Come sta? O non la tenete più voi?”

 

“E certo che la teniamo noi. E Ottà sta benissimo, grazie,” rispose Imma, sempre stranamente divertita, aggiungendo poi, di fronte allo sguardo del cameriere, “sì, l’abbiamo chiamata Ottavia, come il portico qua. Perché? Non si può?”

 

“No, no, signò, anzi, almeno nun l’avete chiamata con uno di quei nomi che piacciono a mi fija, che pensa de stare ad Hollywood e noi invece all’EUR stiamo. Ma va beh… che ve posso portare?”

 

Imma ordinò esattamente le stesse identiche cose della loro prima cena insieme, ma ci aggiunse anche le puntarelle, i carciofi alla giudia e pure due fiori di zucca fritti.

 

Calogiuri si accodò più che volentieri, che anche a lui rivivere quella sera non dispiaceva, affatto, non potendo però fare a meno di provocarla con un, “mi vuoi proprio mettere all’ingrasso, dottoressa?”

 

“Come minimo, Calogiù, come minimo. Ma mica è solo per te. Con tutto il… moto che abbiamo fatto, pure io tengo ‘na fame che nun ce vedo, come dicono qua.”

 

Il cameriere tornò con un’enorme brocca di vino bianco. Si guardarono e risero di nuovo, al ricordo dell’imbarazzo di quella sera e di quanto avevano trincato per cercare, inutilmente, di attenuarlo. Il cameriere, per fare spazio alla brocca ed alle alici marinate alla romana, omaggio della casa, levò il biglietto con su scritto Venezia.

 

“Perché Venezia?” le fece la domanda che gli era passata di mente ma che ora lo incuriosiva di nuovo.

 

“Era il cognome da nubile di mia madre, Calogiù. Uno dei più diffusi a Matera. Vero che abbiamo aspettato qualche giorno, ma meglio non usare i nostri di cognomi ancora per un po’, che qua a Roma sono molto riconoscibili. Non volevo i giornalisti fra i piedi pure stasera.”

 

“Non… non lo sapevo…”

 

“Eh… una volta non si usava, Calogiù. Ti sposavi e il tuo cognome te lo scordavi, come se t’avessero venduta. Forse è anche per questo che io il mio me lo sono sempre voluta tenere ben stretto. Anche se, alla fine, non è nemmeno il mio vero cognome. Però da qua a prenotare come Latronico… credo che prima mi devono ammazzare. Anzi, se mai lo facessi, ti autorizzo ufficialmente a richiedere il TSO immediato.”

 

Le sorrise, perché notava il fondo dolceamaro di quell’ironia.

 

Allungò la mano per stringere quella di lei, ma poi cambiò idea e gliela baciò direttamente, fregandosene dei presenti e godendosi il modo in cui si mordeva le labbra e si imbarazzava ancora un poco, dopo tutti quegli anni, proprio lei che era sempre così spregiudicata, quando voleva.

 

“Tu sei Imma Tataranni, punto e basta, te l’ho già detto. Tata, come direbbe quella peste di Noemi. Tu sei tu.”

 

“Eh… sono e resto Imma Tataranni, è vero. Ma non solo.”

 

“In che senso?” domandò, confuso.

 

Ma, proprio in quel momento, tornò il cameriere, con un mega piatto con su tutti i fritti, più le puntarelle. Imma ci si avventò con appetito e pure lui, ed ebbero di meglio da fare che parlare.

 

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“Posso portarvi ancora qualcosa?”


“No, per carità, tutto buonissimo ma se no non mi alzo dalla sedia!” scherzò Imma e pure lui annuì, che già sentiva quasi il bisogno di slacciarsi il primo bottone dei pantaloni, con tutto quello che avevano mangiato.

 

“Per stasera offro io, niente storie!” intimò Imma, prima che potesse anche solo prendere il portafoglio, e la vide alzarsi ed infilarsi nel locale interno della trattoria, con una rapidità incredibile considerati sia i tacchi che, appunto, tutto quello che avevano consumato.

 

Ma sperava che, ben presto, avrebbero di nuovo consumato tutto, in senso opposto.

 

Dopo pochi minuti, sentì il rumore inconfondibile dei suoi passi, che risuonavano pure in mezzo a quel casino, sollevò lo sguardo e le sorrise con un, “al prossimo giro offro io però!”

 

Invece di alzare gli occhi al cielo e sbuffare, come si sarebbe aspettato, Imma gli sorrise in un modo strano, che gli ricordò assurdamente proprio la fine della loro prima cena insieme. Anche se lì aveva offerto lui.


Gli sembrava nervosa, anche dal modo in cui si tormentava le mani ed ondeggiava leggermente sulle gambe e non c’entrava l’alcol.

 

Quando faceva così, che pareva una bimba, gli provocava un qualcosa nel petto che era impossibile da definire, per quanto era forte.

 

Ma si chiese il perché. Forse… forse perché era il loro primo vero appuntamento, dopo tantissimo tempo?

 

“Che… che ne dici se ci facciamo due passi, Calogiù? Per cominciare a digerire, che ne ho bisogno.”

 

“Va bene. Ma… non è che stai male, no?” domandò, preoccupato che avesse esagerato e che con quel vestitino magari una congestione….

 

“No, Calogiuri, tranquillo,” sorrise, e lo vide che era intenerita, “però… due passi mi ci vogliono proprio.”

 

“Agli ordini, dottoressa!” assentì, tirandosi in piedi e, non appena ebbero salutato il cameriere e furono ad una distanza minima dai tavolini, non perse tempo a prenderla nuovamente sotto braccio, per scaldarla e per sentirla più vicina.

 

Le posò un bacio sulla tempia, sussurrandole un “grazie!” mentre si godeva il profumo del suo shampoo e si lasciò condurre, quasi senza rendersene conto, verso le passerelle che davano sugli scavi storici del portico.

 

“Ti ricordi quando siamo passati da qua e ti ho chiesto se, avendo una relazione con una persona molto più grande, si rischia di essere presi in giro?” le chiese, colto dai ricordi, ed Imma si bloccò e lo guardò in un modo che era illegale, come diceva sempre lei di lui, ma molto molto di più che illegale, “ed invece stiamo ancora qua… e… altro che presa in giro. Proprio vero che dipende dalla persona. E io ho trovato quella giusta!”

 

La vide arrossire, pure nella penombra, e gli venne in mente un’idea, forse folle ma-

 

“Comprare bella rosa a moglie?”

 

La voce alle spalle gli fece fare un mezzo salto e ruppe il momento, mannaggia a chiunque fosse!

 

Si voltò, lasciando andare Imma, anche per pararsi fra di lei e la voce, e riconobbe immediatamente IL venditore di rose, sempre lui, che ancora lì stava. Evidentemente la piazza doveva fruttargli proprio bene.


“Allora, comprare bella rosa a moglie?”

 

Gli venne quasi da ridere ma scosse il capo e disse, “no, guarda, io la rosa te la compro pure, e forse non ti ricordi di noi, ma lei non è mia moglie.”

 

“No, no, tu sbagli. Comprare bella rosa a moglie?” ripetè l’ambulante con un sorriso strano, tanto che per un attimo Calogiuri si inquietò, pensando che magari nel frattempo gli fosse venuto qualche problema di memoria o alla testa, in generale.

 

Ma, prima che potesse fare qualsiasi cosa, si ritrovò con l’intero mazzo di rose in mano e l’ambulante si allontanò a passo spedito, ridendo come un matto e mollandolo lì, con il fascio rosso-verde in braccio e confuso come pochi.

 

D’istinto, si voltò, non che fosse una tattica di distrazione, ed Imma-

 

Panico, panico puro, quando non la vide, non la vide più, tanto che gridò, “Imma!”, mentre gli scenari peggiori gli affollavano la mente e-

 

“So che sei un gentiluomo Calogiù, ma stavolta sei autorizzato a guardare un po’ più in basso che all’altezza degli occhi.”

 

La voce, che veniva dalla sua destra, vicino alle sue ginocchia, gli fece fare un altro mezzo salto e-

 

E poi la vide e fu la volta di un capogiro fortissimo, tanto che dovette aggrapparsi al corrimano della passerella per non cascare, mentre le rose cadevano in terra, con un tonfo sordo.

 

“Le rose con noi questa fine fanno, è proprio destino!” pronunciò Imma, ma udiva chiaramente che aveva la voce roca, che le si spezzò sulla parola destino.

 

Non ci capiva più niente, il fiato che gli mancava, gli occhi che mandavano pochi fotogrammi ai suoi neuroni in tilt.

 

Imma.

 

In ginocchio.

 

Con un astuccio in mano.

 

Con un anello nell’astuccio.

 

“Lo sai che… che non sono molto brava con le parole, Calogiù, almeno con questo tipo di parole. Anche se mi sa che… in questo momento non è che stai messo molto meglio manco te,” la sentì pronunciare a fatica, mentre continuava a deglutire e probabilmente, come lui, aveva la saliva azzerata.

 

“Ma, anche se come mi hai insegnato tu, l’emozione non ha voce… in alcuni casi ce la deve avere, Calogiuri, e… e spero che ste benedette parole mi vengano fuori da sole, come fai sempre tu, mannaggia a te!”

 

Ci fu una pausa, in cui temette per un attimo di svenire o lui o lei, e poi Imma riprese.

 

“Lo so che… che in questi ultimi mesi ci siamo fatti tanto male, non volendolo e… io te ne ho fatto tantissimo, Calogiuri, e… e capisco se fosse troppo presto per te o se… se non te la sentissi più di passare tutta la vita con una col mio caratteraccio e la mia… poca fiducia nel genere umano. Ma… ma se ho capito una cosa in questi mesi non è solo quanto tu mi ami - che… che a volte me lo chiedo ancora come fai ad amarmi così tanto - ma… anche quanto… quanto io ti amo e quanto mi fido di te, pure se magari a volte non sembra. Ma mi fido di te in tutti i sensi, Calogiuri, non solo perché so che… che ti faresti ammazzare prima di darmi un dispiacere - letteralmente, mannaggia a te! - ma anche che… che tu mi capisci, per davvero e che… sei in grado di reggere tutto di me e della nostra vita, il brutto ed il bello. Che con te non ho bisogno di essere sempre forte, ma posso lasciarmi andare, veramente, come non ho mai fatto con nessuno. E… spero di poter riconquistare piano piano del tutto la tua fiducia, in modo che anche tu possa farlo con me, nonostante l’orgoglio e la capa tosta che teniamo tutti e due.”


Gli bruciavano da morire gli occhi e riuscì solo a gracchiare un “già ce l’hai la mia fiducia, sempre…” prima che lei gli sorridesse, si asciugasse gli occhi, tirasse su col naso e proseguisse a parlare.

 

“Come ti ho già detto una volta, lo so che forse è da egoista volerti tutto per me, Calogiù, ma… ma non riesco a immaginarmi un futuro senza di te. Perché… la verità è che ormai sei una parte di quello che sono oggi, Calogiù, e pure di quello che sarò in futuro, comunque vadano le cose tra di noi. Perché anche se, come hai detto tu, io sono e resterò sempre Imma Tataranni - e con la mia testa dura col cavolo che cambio! - tu mi hai fatto scoprire altre Imma che… che non sapevo nemmeno che vivessero dentro di me, o che avevo paura di portare alla luce. E, pure se pensi di essere tu quello che deve crescere ancora, la verità è che in questi anni siamo cresciuti insieme, mannaggia a te, e… e mi hai insegnato così tanto che non ne hai un’idea, proprio. E… voglio continuare a farlo e a… a vedere cosa diventeremo, insieme, finché io sarò una vecchietta rompipalle e tu… tu sarai un affascinante signore con i capelli bianchi e gli occhi azzurri che ancora mi sopporterà, per qualche motivo inspiegabile. E… non posso prometterti che non sbaglierò mai più o che sarò perfetta ma… ma che mi fiderò sempre di te, sempre, e che potrai sempre fidarti di me, sempre, e che… come ti ho già detto una volta, lo so che non sarà un viaggio facile, ma di sicuro non ti potrai mai annoiare, maresciallo, e farò di tutto e pure di più per renderti felice, al massimo delle mie possibilità.”

 

Un’altra pausa, mentre entrambi cercavano di ricomporsi, perché gli sembrava che gli fosse entrato tutto il Mar Ionio negli occhi, mannaggia a lei!

 

“E insomma… se non ti ho convinto fino a mo, non ti convincerò mai più, quindi… mi vuoi sposare? Che sto vestito è leggero ed i sanpietrini me stanno ad ammazzà le ginocchia, come direbbe il cameriere, e-”

 

Un singhiozzo lo fece sussultare dalla testa ai piedi e ci si buttò dritto sui sanpietrini, fregandosene del suicidio alle sue di ginocchia, per raggiungerla, afferrarle il viso e trascinarla in un bacio che gli levò il pochissimo fiato rimasto.

 

Sentì il rumore di qualcosa che cascava a terra ma lo ignorò e continuò a baciarla, finché dovette riprendere fiato, e continuare solo con baci brevi, leggeri. Ma non riusciva a staccarsi da lei, non del tutto.

 

Almeno finché due iridi marroni si piantarono nelle sue, paralizzandolo per un istante, tanto che gli uscì solo un “amore mio…” un poco soffocato e riprese a baciarla.

 

O almeno ci provò, perché Imma scoppiò in una specie di singhiozzo e lo bloccò per le spalle.


“Che c’è?” le domandò, preoccupato, che pareva si stesse strozzando.

 

“Come… come mi hai chiamata tu stavolta? Mannaggia a te!” mormorò rauca, tra uno squittio e l’altro, “mi hai fatto venire pure il singhiozzo, sempre mannaggia a te!”

 

Gli venne da sorridere, come uno scemo, perché solo in quel momento si rese conto di avere pronunciato quelle due parole che non aveva mai osato dire prima, non ad alta voce e non a lei. Non che non le avesse mai pensate, anzi, ma gli erano sempre sembrate così grandi rispetto a lui, rispetto a quello che poteva darle, come se fosse un atto di superbia vocalizzarle.


“Forse perché… perché adesso sento che sei davvero mia, in tutti i sensi…” ammise, un poco imbarazzato ma col petto che gli esplodeva di felicità.

 

“Insomma… non ancora…” rispose Imma, tra un singhiozzo e l’altro, facendolo preoccupare.


“In… in che senso?”


“Nel senso che non mi hai ancora risposto… maresciallo e… - mannaggia a sto singhiozzo! - e… e mi hai pure fatto cadere l’anello, che dove sta mo? Mannaggia sempre a te!”

 

Rise, sia per il sollievo, sia per averle fatto perdere così tanto il controllo, sia perché… era tenerissima quando singhiozzava. Ma non glielo avrebbe mai detto o l’anello glielo tirava in fronte, come minimo.

 

Abbassò il viso per cercarlo ed alla fine lo trovò, ancora nella sua scatola per fortuna, abbandonato di poco alla loro destra.

 

Fece per afferrarlo ma fu Imma a prenderlo per prima con un, “le cose se si fanno si fanno per bene. Allora… mi vuoi sposare? Se sì - sempre mannaggia al singhiozzo - il dito per favore.”

 

Ridendo e piangendo insieme, come lei, porse la sua mano sinistra ed un cerchio di metallo gli si infilò all’anulare, ed era perfetto.

 

“Ma come hai fatto?”

 

“Ti ho misurato il dito nel sonno, Calogiù, che tanto ce l’hai di pietra, ce l’hai, per fortuna per me!”

 

“Ma… ma quando lo hai comprato?” domandò, realizzando poi in un secondo come lo aveva fregato, “ma allora… in questi giorni con Chiara…”

 

“Con Chiara mi sono vista una volta sola. In realtà… in realtà effettivamente l’anello l’ho scelto insieme a lei che… cioè volevo una cosa tipo questa, ma… ma lo so che ho gusti molto più… eccentrici dei tuoi e non volevo metterti in imbarazzo, ma regalarti qualcosa che, spero, potrai indossare quasi sempre.”

 

“E chi se lo leva più! Fossi matto!” proclamò, trascinandola in un altro breve bacio, per poi guardare meglio l’anello.

 

Era leggermente più largo di una fede, pareva quasi uno di quei rocchetti per il filo che usava sua madre. I lati esterni erano bianchi, tanto che splendevano sotto i lampioni, mentre al centro pareva nero, ma c’erano pure tre pietruzze incastonate: una bianca in centro ed una blu e una gialla i lati.

 

“Ma… ma…”

 

“Oro bianco ed un piccolo diamante giallo, per fare coppia con il mio di anello, sempre se c’è ancora - se no lo posso far rifare, a mie spese ovviamente, che sono stata io a lanciartelo dietro,” spiegò lei, sembrando in estremo imbarazzo, ma, stranamente, il singhiozzo non c’era più, ” e poi… in mezzo c’è il carbonio perché… che non potevo metterci qualcosa di nero nel tuo anello, Calogiù? Che non saresti tu altrimenti!”

 

Gli venne da ridere, perché lo conosceva troppo bene.

 

“Il diamante blu invece è come i tuoi occhi, come il nostro mare, e quello classico per… per prometterti che durerà per sempre, nonostante il mio caratteraccio, e perché… perché tu per certe cose sei un uomo vecchio stampo, ma solo per le cose migliori, ed è anche per questo che sei… che sei come sei, Calogiuri, mannaggia a te!”

 

La stava ascoltando ma la verità è che non vedeva più niente, manco l’anello, le lacrime che ormai altro che il mare erano. Si asciugò meglio gli occhi e poi lo rimirò, incredulo.

 

“Ma questo… ma questo è di una marca famosa!” esclamò, ora che lo analizzava con più attenzione, “ma quanto ti è costato?! Sei matta e-”
 

Un altro bacio in bocca lo zittì e poi un dito sulle labbra.


“Che fai? Mi imiti? Dei prezzi posso lamentarmi solo io, Calogiù, e poi sono soldi ben spesi. E, come hai detto tu una volta, questo è un investimento che dura per sempre. Almeno spero. Anche perché non mi hai ancora dato una risposta, in effetti.”

 

Gli occhi di lei, per quanto divertiti, lo fulminarono realmente in quella che era una domanda seria, serissima.

 

“Ma certo che ti voglio sposare! Sì, sì, sì e basta. E se vuoi te lo metto pure nero su bianco sul taccuino, se la mia parola non è sufficiente,” proclamò, tra un bacio e l’altro, guadagnandosi un colpo al petto ed un, “ma quanto sei scemo!” che lo fecero sciogliere ancora di più.

 

“Mo però… che ne dici se ci tiriamo in piedi? Che qua c’avrò le ginocchia a forma di sanpietrino per giorni,” proclamò lei e stava per assecondarla quando un pensiero lo bloccò e la tenne ferma per le spalle, impedendole di alzarsi.

 

“Che c’è mo?” gli chiese, preoccupata, guardandolo come se temesse che avesse cambiato idea.

 

“C’è che… già che stiamo qua… in questa posizione un po’ scomoda, è vero, ma… in questo posto bellissimo che amo quasi quanto amo te e che… che ci rappresenta così tanto…. Io… è da un po’ che… che pensavo al momento giusto per restituirtelo ma… ma temevo fosse troppo presto e allora… allora me lo portavo con me, sperando che… che potesse tornare presto al suo posto.”

 

Si frugò nelle tasche, temendo improvvisamente di averlo perso. E sì che aveva pure pensato, prima che arrivasse l’ambulante, di rifargliela lui la proposta, proprio lì.

 

Ma, per fortuna, Imma l’aveva preceduto, come sempre, regalandogli l’emozione più grande della sua vita.

 

Finalmente sentì il metallo sul fondo della tasca interna della giacca e ne estrasse l’anello, che aveva gelosamente conservato in tutti quei mesi, pure quando aveva toccato il fondo. Ma… ma di liberarsene non ne aveva mai avuto la forza, perché sarebbe stato come gettar via l’unico legame che gli rimaneva con lei.

 

E finalmente poteva di nuovo riportarlo alla luce, davanti agli occhi di lei che brillavano più dei diamanti che le stava offrendo, perché aveva ripreso a piangere in un modo che gli stringeva il cuore, talmente era bella e forte in quella vulnerabilità, in quell’amore che ci leggeva dentro e che, per sua immensa fortuna, era solamente per lui.

 

“Posso?” le chiese, la mano che gli tremava quanto quella di lei, tanto che faticò terribilmente ad infilarglielo ed alla fine le chiese, un poco timoroso, “se non va bene possiamo farlo allargare leggermente e-”

 

“Ma che sei matto?! Va benissimo, è che… mi hai fatto venire le mani sudate, mannaggia a te! E pure io questo anello non me lo levo più: sei definitivamente incastrato con me, maresciallo, preparati!”

 

Stava per risponderle quando si trovò di nuovo labbra bagnate sulle sue, in un bacio che gli fece scordare tutto, persino quasi il suo nome.

 

E quindi le lasciò più che volentieri l’ultima parola: tanto se la sarebbe presa lo stesso.

 

Ma era anche per quello che l’amava da impazzire.



 

Nota dell’autrice: Ed eccoci alla fine di questo capitolo che è stato tipo un parto da scrivere, anche per i contenuti. Un capitolo decisivo: è successo qualcosa di atteso ma che spero vi abbia preso di sorpresa e… anche i prossimi capitoli avranno momenti mooolto attesi, ve lo anticipo di già.

Vi ringrazio tantissimo per tutto il supporto che date alla mia scrittura e alla mia storia e per la pazienza con la quale attendete gli aggiornamenti. Purtroppo tra la vita reale, la lunghezza dei capitoli ed il mio cercare di curarli il più possibile, mi rendo conto che ci voglia del tempo e che non sempre riesco a rispettare le date che mi ero prefissata, ma mi auguro che sia valso l’attesa.

Un grazie enorme a chi ha messo la mia storia nei preferiti e nei seguiti e ringrazio immensamente chi ha trovato il tempo di lasciarmi una recensione che, come sempre, non solo mi motivano enormemente ma mi aiutano a capire come procedono le cose con la scrittura.

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare tra due settimane, domenica 27 febbraio.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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