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Autore: Bell_Black    14/02/2022    0 recensioni
Nerea ha toccato il fondo, per la seconda volta nella sua vita, si è fatta trascinare nell'abisso.
I giorni di sole sono morti, come la sua fidanzata Jieun, ma Hoseok le promette di ridarle un motivo per vivere.
Estratto dal capitolo 4:
"Nerea, smettila di torturarti", mormorò Hobi.
"Inutile che provi a salvarmi, i pensieri tornano, continuamente, costantemente, senza lasciarmi tregua, ogni ricordo doloroso è lì, pronto a torturarmi e tu Hobi, non potrai esserci per sempre", lo dissi rammaricata.
"Evita di sfidarmi, posso diventare ostinato", abbassò gli occhi su di me, con questa ritrovata voglia di sfidarmi, come se fosse un gioco.
"Hobi sono seria, non potrò dipendere da te per sempre, hai la tua vita, le tue scelte da compiere e le tue avventure da vivere", gli ricordai alzandomi dal suo petto.
"Viviamole insieme, io credo nella tua voglia di vivere, nonostante sembri tutto un lento trascinarsi", affermò, il suo sguardo era così dolce, da essere doloroso,"ci credo, più di quanto lo stia facendo tu e mi va bene, per ora sarò il sole di entrambi", promise.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Jung Hoseok/ J-Hope, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Uno.
Ti porto con me, nella mia ora di buio

Eppure quella mattina mi era parsa diversa dalle altre, mentre camminavo sotto il cielo cupo di dicembre, diretta verso casa di Kim Jieun, la mia Kim Jieun, la ragazza dal sorriso enorme, quella che quando era triste, trovava sempre un motivo per ...

Eppure quella mattina mi era parsa diversa dalle altre, mentre camminavo sotto il cielo cupo di dicembre, diretta verso casa di Kim Jieun, la mia Kim Jieun, la ragazza dal sorriso enorme, quella che quando era triste, trovava sempre un motivo per cui la giornata fosse in realtà andata bene. Perché : "se credi fermamente di stare bene, allora sarà così", diceva lei, anche nei momenti più disperati.
Quando mi recavo da lei, per quella mezz'ora di strada che ci separava sempre, il mondo sembrava migliore, senza guerre, senza ghiacciai che si scioglievano, senza stronzi che accelerano vicino a una pozzanghera per bagnarti di proposito.

Era la mia mezz'ora di sole, tra ore interminabili di gelo.

All'inizio però non era solo mezz'ora, quella allegorica giornata di sole si prolungava per ore, per tutto il tempo passato con la mia Kim Jieun a guardare film, commentare libri o a vivere una porzione di tempo infinito nel completo silenzio, un silenzio comodo, rilassante e senza pretese, perché ci bastava appoggiarci l'una all'altra per avere il nostro momento di sole.
Eppure alla fine di quella stessa giornata stavo per toccare il fondo, non solo emotivamente o fisicamente, c'era una terza cosa, un'altro modo in cui raggiungevo il fondo, perché mi sentivo completamente schiacciata, mentre il fiume mi inghiottiva, sentivo la mente pressata, spinta e presa a pugni dal dolore, mentre qualcosa in me stava andando sempre più giù, esattamente come il mio corpo nel fiume e la mia mente con i pensieri deleteri.

La mia anima stava andando oltre l'inferno, più in basso della casa di Lucifero per raggiungere l'oblio dei tormentati, di quelli che non avevano più neanche quella mezz'ora di sole, da usare come spinta per raggiungere, anche solo con il naso, la superficie e respirare qualche secondo, prima di riprendere la veloce discesa nell'abisso.
Eppure mentre camminavo stavo vivendo la mia mezz'ora di sole, in attesa di varcare la soglia di casa Kim, dove il sole si sarebbe nascosto timidamente dietro le nuvole, riscaldando l'atmosfera ma senza illuminarci, perché la mia Jieun non credeva più fermamente di poter stare bene.

Da quel momento sarei dovuta essere il suo sole, illuminarle le giornate, scaldargli l'umore, allontanarla dalle nuvole e proteggerla dalla pioggia e invece l'avevo guardata bagnarsi e prendere freddo, offrendogli a malapena un sorriso palesemente forzato e senza un sentimento al suo interno. 

Mi sentivo meschina, mentre pensavo al suo sorriso, vuoto quanto il mio, ma per un motivo più che legittimo, mentre io decidevo di non potercela fare che tutto era un onere e che non potevo sorridere, nemmeno per la mia Jieun... così erano scomparse le nostre giornate di sole.
La mia mezz'ora di sole, quella era rimasta, mi confortava ed era reale, perché il mio cuore scoppiava di gioia all'idea di passare la giornata con la mia Jieun, pensavo al suo volto luminoso, al sentire la sua voce leggera, percepire il suo tocco delicato. Ma quando arrivavo la mezz'ora cessava. 
La mia Jieun non era come se la ricordava il cuore, che poco prima la stava riesumando dai ricordi, lei non c'era più da un po' e non per colpa sua.
Sentivo la vita lasciarmi, mentre il fondo sembrava sempre più vicino, i polmoni bruciavano e il freddo avvolgeva ogni mio arto, come il corpo della mia Jieun, freddo quanto il mio se non di più, era più rigido, più grigio e forse già diventato cenere.
Quella mezz'ora di sole, la mia ultima mezz'ora di sole, era stata spazzata entrando in casa sua, la madre in lacrime, suo fratello con uno sguardo perso, il padre affiancato da un paramedico e la nonna svenuta sul divano, mentre il suo corpo era completamente coperto da un lenzuolo bianco, solo la sua piccola e delicata mano sfuggiva a quel lenzuolo, ferendomi ancora di più. Ho sentito l'anima lasciare il mio corpo, per poterla inseguire ovunque stesse andando. 

In quel momento avevo toccato il fondo emotivo e volevo che il mio corpo la raggiungesse.

Da quel momento in poi nessuno sembrava capire, nemmeno io riuscivo a capirmi, il dolore era così forte da sembrare svanito, ma allo stesso tempo mi stava lacerando la gola, perché avrei voluto urlare, ma non ero mai stata capace di alzare la voce. Lei mi rimproverava sempre di questo.

Il chiarore che avevo visto fino a quel momento, mentre il fiume mi inghiottiva, svanì senza motivo, forse finalmente stavo morendo, magari qualcuno aveva preso la mia stessa decisione, oppure erano le allucinazioni dovute alla mancanza di ossigeno.

Quanto tempo era passato? Da quanto sperava di raggiungere il fondare? 

Sembravano passate ore, ma era sicura fossero solo pochi minuti, non abbastanza, non era ancora abbastanza o forse sì.

I miei occhi iniziarono a chiudersi, sicura che ormai il mio corpo stesse per collassare, lasciandosi andare alla mia decisione, la bocca si aprì pronta ad accogliere quell'acqua contaminata nei polmoni, la mente iniziò ad assopirsi, distaccarsi dalla realtà percependo come ultima sensazione, il rimorso... e una mano che mi afferrava il polso. 

Quando riaprì gli occhi mi sentì rinata, mentre mi piegavo su un lato per vomitare l'acqua disgustosa del fiume, sentivo il corpo freddo e dolorante, l'adrenalina invadere ogni parte del mio corpo, pronta a colpire chiunque avesse afferrato il mio polso, prendendo decisioni sulla mia persona.

Solo dopo mi resi conto, che chiunque fosse si trovava ancora sopra di me, probabilmente per via della rianimazione e il panico, non sapendo realmente cosa fare, perché nessuno sa cosa fare in questi casi, ma tutti si comportano come se avessero la situazione sotto controllo.

Il sentimento di rinascita mi abbandonò in fretta, soppressò dal dolore degli arti e della mente consapevole di esistere ancora.

Mi voltai pronta a sferragli un pugno, anche se la mia forza non avrebbe ferito nemmeno l'aria, il mio polso fu bloccato dalla sua mano fradicia quanto la mia e la sua voce famigliare attirò la mia attenzione, non volli girarmi subito nella sua direzione, mi limitai a fissare la sua mano, mentre i miei polmoni recuperavano l'aria necessaria per riprendermi, facendomi venire un terribile mal di testa e una nausea ingestibile.

La sua mano non era cambiata dall'ultima volta, che pareva così lontana, un 2014 che mi era sembrato non esistere più, quelle dita lunghe e affusolate che avevano già avvolto completamente il mio polso, salde e tremanti, un po' per la paura e un po' per il freddo, l'unica differenza era che lui al tempo era nessuno come me.

Mi feci forza, riluttante e spaventata, verso il suo sguardo, mentre la mia vista era annebbiata, il mal di testa era pulsante, mentre il respiro rimaneva corto, i miei polmoni sembravano non volersi riprendere, forse era colpa dell'acqua, era nei miei polmoni? Magari sarei morta comunque.

I suoi occhi erano spaventati, quanto lo era la mia mente di incontrarlo, l'occhio destro di un azzurro anomalo, dovuto alle lenti a contatto, mentre il sinistro rivelava il suo vero colore scuro, doveva averla persa nel fiume ovviamente. Mi stava analizzando, mentre cercava di riprendere fiato, sembrava la stessa identica scena di sette anni prima, posizioni sovrapponibili quanto le mie azioni, anche i suoi occhi sembravano non essere cambiati, eppure spostando lo sguardo e focalizzandolo sul suo volto, potevo notare la maturità del suo viso, per qualche ragione così lontano da quello del ventenne perso quanto me, oltre la paura adesso, potevo percepire la sua sicurezza. 

Non riuscivo a prendere fiato.

"Nerea!" La sua voce faticò, rauca e incerta, come lo era sei anni prima, forse un po' più profonda, ma alla fine era sempre lei. Riusciva a riportarmi alla realtà come uno schiaffo, una scossa al corpo, il tutto pronunciando solo il mio nome, nulla di più.

Con la mente ero di nuovo in quel parco, sull'erba umida per via della pioggia e dai suoi occhi turbati, potevo capire che c'era tornato anche lui, tremante per la paura, bagnato e sporco di fango, mentre mi stringeva allo stesso modo il polso che teneva saldo il barattolo di plastica ormai vuoto. 

La sua voce mi rimbombava nelle orecchie, mentre in lontananza sentivo le sirene di un'ambulanza, l'aveva chiamata lui, in modo da salvarmi dalle mie azioni, aiutandomi a vivere una vita, che alla fine era tornata a farmi soffrire.

L'aveva fatto anche questa volta? Sei anni fa avevo pensato la stessa cosa, ritrovandomi a sperare di sì, ma quel giorno, non ero in vena di speranza.

Sperai mi lasciasse andare. 

Scossi la testa e lo allontanai da me, lo spinsi a terra, liberandomi da ogni sua presa, mi alzai in piedi sentendo il corpo protestare, un dolore lancinante si focalizzò sul polso sinistro. Abbassai lo sguardo, e notai che l'orologio che vi portavo sempre su era distrutto, il vetro completamente andato, una delle tre lancette spezzata in qualche modo, mentre le altre due segnavano un orario non veritiero. 

Provai a slacciare l'accessorio, ma quando feci pressione con il laccio il dolore aumentò, forse era rotto o magari solo slogato. Sentivo anche il resto del corpo bruciare e un desiderio inusuale di volermi lasciare andare a terra, stremata da quella serata lontana dal voler finire.

Anche l'uomo a terra decise di alzarsi e mettersi in piedi, rivelandomi quanto fosse più alto di me, ero sempre stata più bassa della media, sotto il metro e sessanta, questo lo rendeva ai miei occhi uno spilungone di due metri, quando a malapena raggiungeva il metro e settantasette.

Fece un passo verso di me ed io a specchio ne feci uno indietro, facendogli comprendere la mia ferma decisione di voler mantenere le distanze tra noi.

Aprì la bocca, pronto a parlare, ma alzai la mano in modo da bloccare qualsiasi cosa lui volesse dire, non ero pronta a sentire di nuovo la sua voce, le sue probabili parole di conforto che non mi servivano. 

Avevo il diritto di crogiolarmi nel mio dolore quella sera e lui non avrebbe modificato questa mia volontà.

I corpo tremava, le ginocchia erano instabili e subito dopo quel gesto cedettero, misi le mani avanti per bloccare la mia caduta, aggravando probabilmente la situazione del polso che riprese a pulsare e dolore violentemente. Il respiro sembrava accorciarsi, invece che riprendere a fluire regolarmente nei polmoni e la testa, sembrava voler esplodere all'interno del cranio, tanto da non riuscire a pensare.

Lui si mosse, andò a recuperare il cappotto che aveva abbandonato sulla riva del fiume, era spiazzante come riuscisse a correre, piegarsi e raccogliere qualcosa, mentre io sentivo di non poter nemmeno battere le ciglia senza provare dolore.

Appoggiò delicatamente il cappotto sulle mie spalle e mi sentii quasi scottata, mentre la manica con ricamato il logo del marchio di lusso ricadeva davanti ai miei occhi, ricordandomi quanto noi due fossi distanti ormai, anche economicamente parlando.

"Ho chiamato l'ambulanza, saranno qui a momenti", disse con un tono più fermo del precedente, in lontananza potevo sentire le sirene, come l'ultima volta, mi avrebbero portato all'ospedale, ma questa volta ovviamente sarei stata da sola. Lui non mi avrebbe seguito, troppo rischioso per la sua immagine.

Sospirai, per quanto li fosse possibile, non volevo andare con con loro. Del sangue gocciolò sul pavimento, già scurito dall'acqua e sperai solo che l'ambulanza non arrivasse in tempo.

Tolsi quel cappotto, cercando a fatica di rialzarmi in piedi, lo appoggia al suo petto aspettando che lo prendesse, il braccio mi doleva e tremava, non riusciva a tenere nemmeno un cappotto. 

"Nerea t...", gli misi una mano sulla bocca, lasciando andare il cappotto. Ero esausta.

"Non dire il mio nome, non farlo, sono stufa di sentirlo, stai zitto", lo rimproverai appoggiandomi a lui, sentivo un forte dolore al petto, parlare così velocemente mi aveva accorciato il respiro ancora una volta, non riuscivo a stare in piedi, sentivo le forze mancare ogni minuto di più.

Volevo chiudere gli occhi e farmi trascinare via verso gli abissi del nulla.

"Voglio solo aiutarti", mormorò con voce delicata, mi lasciai trasportare dalle sue braccia, che mi attirarono a se in un caldo abbraccio, mi strinsi a lui debolmente, era la prima persona che abbracciavo dopo tre giorni, la prima che mi donava vero conforto dopo momenti di gelo.

Volevo quel conforto, desideravo quel abbraccio, ma non a discapito di tutto ciò che aveva costruito fino a quella sera.

"Nessuno te l'ha chiesto, sei pazzo a lanciarti nel fiume Han?" Chiesi con tono arrabbiato, mentre egoisticamente mi stringevo a lui, consapevole dei problemi che avrei potuto arrecargli se qualcuno lo avesse visto con me in quel contesto, eppure lui sembrava non farci caso.

"L'ho fatto per te", si limitò a dire stringendomi di più a se. 'Falso', pensai, non era possibile che dalla base del ponte Mapo mi avesse riconosciuta e io non gli avevo comunicato la mia meta. 

Era il solito stupido, dal cuore troppo dolce.

Potei sentire una delle due mani allontanarsi dal mio corpo, probabilmente per far cenno ai soccorritori, la sirena si era arrestata da poco alle nostre spalle, presto mi avrebbero portato via e probabilmente non avrei più rivisto il mio amico di sempre per molto tempo, sommerso dal lavoro e dalla sua carriera.

Lo strinsi più forte, provai ad inspirare a pieni polmoni, ma non ci riuscì, un dolore lancinante mi invase il petto, facendomi percepire un senso di soffocamento, il naso bruciava e fu difficile riprendere quel poco fiato che riuscivo a inspirare ed espirare. Tanto dolore per poter sentire il suo profumo, completamente offuscato dall'odore metallico, dovuto al probabile sanguinamento dal mio naso. Solo per essere sicura che fosse reale e non il frutto del mio delirio.

Stupidamente pensavo di poter sentire il suo profumo, dopo che si era buttato in acqua per me, sapeva solo di fiume e stupidaggine, che poteva essere tradotto in un odore dolce, tutte le stupidaggini avevano quel tipo di odore.

"Ripeto, nessuno te l'ha chiesto, hai fin troppe responsabilità per mettere la tua vita in pericolo per me", ammisi senza problemi, sentii per un secondo tutto svanire, farsi nero e persi completamente la presa sul suo corpo, non caddi a terra, le mani dell'uomo mi sorressero, per poi adagiarmi a terra.

Poco dopo le voci dei paramedici ci raggiunsero, la mia mente era annebbiata, come la mia vista, i suoni mi arrivavano ovattati e fui travolta di nuovo dal bui.

"Il suo primo contatto è deceduto tre giorni fa", furono le prime parole che sentii udire al mio risveglio, riportandomi bruscamente alla realtà della mia vita corrente. Nessuna morte, niente rinascita, ero ancora lì, nella vita insulsa che mi avrebbe perseguitato.

"Io sono il secondo per quanto ne so", continuò a parlare, mentre la probabile infermiera sfogliava qualcosa, non avevo la forza di aprire le palpebre, l'oscurità, la sensazione di poter presto ricadere nel nulla, mi davano conforto. 

Egoistico da parte mia pensarlo, mentre il mio salvatore faceva di tutto per ridarmi la vita.

"Penso proprio di sì, signor Jung", la voce della donna dedicata accompagnò subito dopo l'affermazione del ragazzo che percepivo al mio fianco, dovevo sforzarmi di aprire i maledetti occhi, che si facevano ancora più pesanti. 

"Potrebbe non parlarne con nessuno?" Disse in un sussurro deciso, la domanda apparve più una affermazione, fossi stata al suo posto, probabilmente mi sarei fatta prendere dalla paranoia, eppure riusciva anche in queste occasioni delicate a risultare dolce.

"Siamo un ospedale professionale, nessuna informazione riservata esce dalla nostra struttura", lo informò con tono acido, risultando sgradevole alle mie orecchie. In fondo lei stava solo svolgendo il suo lavoro, forse era ovvio si sentisse offesa, ma non lo era altrettanto che lei non dicesse in giro, chi fosse all'interno dell'ospedale e perché. 

Molte volte avevo sentito storie di Idol ricoverati, privati della loro privacy per via di un medico chiacchierone o un infermiere avido di denaro, le preoccupazioni erano ovvie quanto la sua scontrosità.

Poco dopo la porta si chiuse in modo lento, accompagnata da un cigolio e in seguito da un piccolo tonfo, segno che l'infermiera avesse lasciato la stanza.

I passi del ragazzo si mossero lenti vicino al mio letto, subito dopo una delle sue dita, sfiorò il mio naso con delicatezza e picchiettò due volte sulla punta, infastidendomi. Serrai gli occhi e con uno sbuffo nascosi il viso sotto il lenzuolo.

"L'infermiera era convinta ti saresti svegliata domani mattina, ma come al solito stupisci tutti", confessò con voce calma e più serena, sicuramente gli avevano comunicato delle buone notizie sul mio stato di salute.

"Mi dispiace non averti tolto tra i contatti di emergenza, avendo Jieun sempre con me, non ci ho pensato, minimamente", la voce risultava roca e stanca, faticavo ancora a riprendere fiato e aprire gli occhi sembrava impossibile, tutto il mio corpo si sentiva un macigno inamovibile.

"Sono rincuorato di esserci ancora, sai che non potrei sopportare l'idea di non poterti aiutare", sapevo che ogni sua parola era la realtà, non mi aveva mai mentito e fosse stato a situazioni inverse, avrei detto la stessa cosa. Provai ad aprire gli occhi, fu faticoso, come se fossero tenuti chiusi da qualcosa, la luce, anche se fioca, era un disturbo, ma cercai di metterci tutta la mia buona volontà.

"Mi era mancato vederti di persona Hobi", ammisi voltando il capo verso di lui, l'immagine dell'uomo era leggermente sfocata, seduto al mio fianco, con un pigiama dell'ospedale, probabilmente procuratogli dal personale ospedaliero.

"Forse non abbastanza, visto che stavi per andartene senza prima vedermi", cercò di usare un tono delicato, si sporse verso di me e scostò i capelli ancora umidi dal viso, seguendo i suoi movimenti, notai che al polso indossava un braccialetto ospedaliero. 

Fermai la sua mano e sfiorai la fascia di plastica con le sue generalità sopra, non portava flebo con se e nemmeno ossigeno, forse era solo un ricovero cautelare. "Sto bene, il medico vuole solo farmi dei controlli domani mattina, per non tralasciare nulla", mi informò riprendendo a sistemarmi i capelli, aggiustò il lenzuolo, controllò che il tubicino del ossigeno fosse ben inserito nelle narici e mi prese la mano. 

Notai subito la pelle d'oca che partiva dalla sua mano, fino a sparire sotto le maniche un po' corte del pigiama. Gli aghi non gli erano mai piaciuti e vederne uno infilato nella mia mano, non doveva essere di gran aiuto, potevo sentire lo stomaco contorcersi come il suo, mentre i suoi occhi cercavano di non guardare il cerotto e le sue dita carezzavano tutta l'aria circostante incerte.

"Al fiume hai mentito, non potevi sapere fossi io, la distanza era troppa", avevo bisogno di dirlo, così da potergli dare del pazzo, rimproverarlo per la sua stupidità e scaricare così un po' della mia sofferenza.

"Non ho mentito", rispose subito con tono serio, alzai lo sguardo verso il suo viso ancora non del tutto chiaro, portava una mascherina sul volto, forse per celare la sua identità lungo il corridoio. 

Le sopracciglia erano corrucciate e la mano che non stringeva la mia si avvicinò all'elastico della mascherina, che rendeva leggermente a sventola le sue orecchie, per liberarsi di lei e adagiarla sulle sue gambe. Sospirò e mi guardò quasi offeso dalla mia affermazione. "Sapevo che eri tu, sono andato lì apposta dopo che Sooyoung mi ha scritto che eri sparita", mi guardò, sentì il suo rimprovero celato, mentre riprendeva fiato, "era prevedibile cosa volessi fare e dove, speravo solo di arrivare in tempo", concluse quasi in un sussurro. Avrei potuto rimproverarlo comunque, sottolineare quanto fosse stato incosciente, ma chi mortificava il proprio salvatore?

"Sono addolorato per la tua perdita", mormorò abbassando lo sguardo.

Era il primo ad aver saputo della mia cotta, della dichiarazione che volevo fare a Jieun, alla nostra intenzione di prendere un cane insieme, dell'idea di vivere insieme. C'era quando si era ammalata, anche se non fisicamente ed era il primo a cui avevo scritto della sua morte.

Credevo al suo dolore, perché l'avevo plasmato io rendendolo partecipe della mia vita insieme a lei.

"L'ho fatto perché lei era la mia ultima mezz'ora di sole, senza di lei vivrò nelle tenebre fino alla mia dipartita", ammisi in modo fin troppo elaborato, la verità era che non volevo soffrire, non ancora, non più di così, ero talmente stanca di stare male, che lasciare la vita sembrava la soluzione più semplice.

"Io non posso essere Jieun per te, ma posso essere Hoseok e rendere le nostre giornate splendenti", cercò di sorridere, la sua mano si adagiò sul mio volto, cercando i miei occhi che faticavano a sostenere quello sguardo così speranzoso. Eppure io sapevo come avevo sofferto in quei tre giorni di lutto, il funerale e la mia camminata verso il ponte mapo, la più difficile, mezz'ora di solo dolore, nessun ricordo, parola o foto di lei, tutto era affossato dal dolore e la mancanza di respiro.

Fu la mezz'ora più lunga della mia esistenza e quando mi lasciai andare nel vuoto, ero sicura che non avrei potuto fare di meglio.

Guardai l'orologio alle spalle di Hoseok, la vista era completamente ritornata e tutto era contornato da un alone dovuto al mio astigmatismo, ma potevo benissimo vedere l'ora erano le ventidue, segno che quel tempo eterno era veramente breve. 

Ci avevano messo mezz'ora a recuperarmi, portarmi in ospedale e farmi stare abbastanza bene da risvegliarmi in autonomia, avevo impiegato mezz'ora per raggiungere il ponte, per un totale di un'ora. Un tempo veramente breve, scandito in anni per la mia mente.

Hoseok non poteva aiutarmi, quell'ora ne era la prova, la mia vita stava scorrendo troppo lentamente, sempre più dilaniante, enfatizzando ogni attimo di dolore che si protraeva per un tempo infinito, si scandiva solo guardando l'orologio, rendendolo più misurabile, ma non potevo farlo per sempre.

"Mi dispiace Hobi non puoi", mormorai lasciando andare la sua mano, mi voltai in modo da dargli le spalle, ma lui non lo permise, si alzò dalla sua sedia, facendola stridere per la troppa forza esercitata e fece il giro del letto per potermi prendere il viso.

Tutto in lui era sempre delicato e attento, impaurito della mia risposta, non voleva accettarla ed io non volevo guardarlo negli occhi, era capace di farti cambiare idea con un solo sguardo, perché credeva in tutto quello che diceva e aveva sempre dato dimostrazione di non sbagliarsi. 

Guardai qualche secondo in basso, individuando la sua collana, sembrava tremendamente più interessante di quello che stava dicendo, allungai la mano per toccare quella goccia di resina trasparente, con al suo interno dei fiori verde acqua. Notai solo in quel momento che la mano era fasciata e del mio orologio non c'era traccia.

Il pollice di Hoseok si mosse sulla mia guancia, carezzandomi con attenzione e cercando la mia attenzione, alzai lo sguardo verso il suo, arresa a quel momento. 

"Fammi almeno tentare, i nostri messaggi fino ad oggi non hanno aiutato le tue giornate?" Chiese, speranzoso di ricevere anche solo un cenno positivo. Era vero, ogni suo messaggio era un momento di sole, attimi di genuina tranquillità, anche se si parlava di avvenimenti catastrofici, la sua immagine nella mia mente aiutava a dar forma e voce alle parole scritte, rendendo tutto migliore. 

Ma lui non poteva aiutarmi, troppo impegnato con il suo lavoro e la sua vita, non ero una sua responsabilità, avrebbe dovuto solo lasciarmi andare, ma in amicizia era testardo e nessuno lo allontanava dalle sue idee. Dargli quella possibilità significava solo provargli l'assenza di qualsivoglia utilità o motivazione di vita, forse in quel modo, mi avrebbe autorizzato a decidere della mia morte, senza rimorsi e sensi di colpa. 

Annuii, dando il consenso alla sua idea, lui sorriso, sicuro di poter cambiare il mio destino, "allora fammi essere il tuo sole da adesso in poi", disse dandomi un bacio sulla fronte.

"Ad una condizione", intervenni aspettando che i suoi occhi tornassero a guardare nei miei, "se non riuscirai, qualsiasi cosa farò, tu non dovrai fermarmi", vidi la voglia di contestare la mia premesse, aprì leggermente le labbra, mentre i suoi occhi cercavano di analizzare il mio sguardo.

Ero inamovibile e credo se ne rese conto, si morse il labbro inferiore rimangiandosi qualsiasi parola volesse pronunciare e annuì riluttante. "Non lo farò".

Suggellammo con quelle parole, la mia condanna a morte.

Per i dieci anni del profilo, ho deciso di pubblicare qualcosa, ho tante storie nelle bozze, alcune tristi, altre fantasy, ma mi è difficile proseguire ogni volta                    

Per i dieci anni sia su efp che su Wattpad, ho deciso di pubblicare qualcosa, ho tante storie nelle bozze, alcune tristi, altre fantasy, ma mi è difficile proseguire ogni volta.
Con questa storia voglio inaugurare il mio decimo anno, dove mi ritrovo con il mio animo da scrittrice da discount, nella speranza che il giorno dell' anniversario questa storia sia in via di conclusione, ricordandomi cosa significava concludere una storia a cui tengo. 
Spero che la storia vi piaccia, quanto sta piacendo a me scriverla.

  
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