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Autore: Ombrone    14/02/2022    0 recensioni
Questa è diventata la mia storia più vista e più seguita. Grazie a tutti! Farò del mio meglio perché i prossimi capitoli siano all'altezza!
Una storia d’amore di 2000 anni fa.
Il giovane patrizio Marco Valerio Corvino torna a Roma nella sua casa dopo aver prestato servizio sul limes in una lontana provincia, troverà qualcosa che non si aspettava e per capire come affrontarla dovrà scoprire il lato nascosto di se stesso.
Il mio è un tentativo, mi direte voi quanto riuscito, di scrivere una storia d’amore, romantica, ma verosimile per la sua epoca, questo significa che al suo interno troverete situazioni, discorsi, atteggiamenti e comportamenti che potrebbero disturbare ed offendere, e che per gli standard del XXI sono inammissibili (o addirittura illegali). I personaggi stessi potrebbero sembrarvi antipatici o immorali o violenti: mi son sforzato di renderli realistici rispetto all’ambientazione e fargli seguire comportamenti considerati normali, morali o addirittura meritori per il primo secolo dopo cristo, un epoca molto lontana e molta diversa dalla nostra.
Commenti e anche critiche benvenuti e incoraggiati. Stimolano a scrivere e servono a migliorare!
Genere: Erotico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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Questa volta Filinna si presentò e ne fui sollevato. Era evidente, comunque, che nella sua mente non era passato il pensiero di fuggire.
Non indossava la solita tunica con cui la vedevo abitualmente ma una di fine lino, decorata sui bordi, che le lasciava scoperte spalle e braccia e le caviglie e la avvolgeva seguendo il profilo del corpo. 
I capelli, si vedeva, erano stati lavati e acconciati di fresco, non erano raccolti nella normale coda, ma le cadevano sulle spalle sciolti in una nuvola nera. Dei boccoli sulla fronte e sui lati erano stati arricciati a farle da cornice al viso. Le labbra erano arrossate dal minio e le avevano truccato gli occhi, rendendoli ancora più dolci e luminosi.
Rimasi quasi stupito a guardarla, quando entrò, e lei, come confusa dal mio sguardo, si fermò vicino alla porta, nascondendosi, come suo uso, gli occhi dietro le lunghe ciglia. 
Per essere bella, era bella su questo nessuno avrebbe mai potuto contestarlo. 
“Vieni, Filinna, vieni.” Questo fu l’unica cosa riuscì a uscirmi di bocca, in un primo momento. Lei fece due passi in avanti venendomi per poi rifermarsi, in piedi. Si afferrò le mani sul davanti, poi, con quello che era chiaramente un movimento cosciente e forzato, le sciolse e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. 
Tentando di trovare qualcosa da dire e interrompere l’imbarazzante silenzio aggiunsi: “Vuoi del vino?” 
La risposta, sorprendentemente, fu affermativa. Le offrii una coppa e lei la bevve quasi di un fiato e la vidi storcere la bocca e la sorsata le andò quasi di traverso, come può succedere a chi non sia abituato e non ne gradisca il sapore. Quando me la ripassò, gliene offrii una seconda coppia e lei declinò.
“No, grazie padrone, una basta.” Rispose, una nota di imbarazzo nella voce, guardandomi sempre di sottecchi.
“Come va la schiena? È guarita? O ti fa ancora male?”
“No, Padrone, non fa più male, è guarita. Quasi del tutto, padrone. Grazie per l’unguento che mi avete dato. Ha… ha aiutato molto. Vi ringrazio.” 
“Mi è dispiaciuto doverti punire Filinna. Non avrei voluto farlo.
Lei annuì guardandomi in silenzio, poi come ricordandosi in ritardo di avere una lingua rispose:
“Grazie, Padrone… lo so….”
Calò un altro attimo di silenzio, ma in fin dei conti non eravamo lì per far conversazione, mi avrebbe ricordato Zio Aulo. Così prima che si allungasse troppo e tornasse ad essere imbarazzante, mi avvicinai a lei e dissi semplicemente: “Sei davvero molto molto bella, Filinna.” Perché alle donne un complimento fa sempre piacere e quella era la pura verità.
Lei arrossì, sempre nascondendo lo sguardo, ma con abbozzo di sorriso.
“Grazie padrone.”
Allungai la mano e le accarezzai la guancia sorprendendomi di nuovo di quanto fosse morbida.
Era tesa, questo sì, e c’era anche della paura, ma sentivo che era la paura dell’ignoto, e sotto c’era anche un sentimento di aspettativa. Filinna era lì, non c’era solo il suo corpo, e stava a me, mi rendevo conto, fare in modo che ci rimanesse.
Le presi il mento tra le mani e le alzai la testa, i nostri sguardi si incrociarono e per una volta mi fissò negli occhi. Mi chinai e la baciai, il secondo bacio che le davo. Rispose, con cautela, forse timidezza, ma di buon grado. Le sue labbra erano morbide e dolci, mi piaceva il suo profumo.
Ci staccammo e le riaccarezzai il viso delicatamente.
Lei riabbassò istintivamente la testa, tentando, in quello che ormai mi sembrava un gesto usuale, di nascondersi al mio sguardo e disse senza troppo senso un semplice “Padrone….” Mentre veniva scossa come da una piccola risata imbarazzata.
“E sei dolcissima, lo sai.”
La testa si sollevò di nuovo a guardarmi e questa volta nei suoi occhi la scorsi chiaramente l’aspettativa.
Le accarezzai i capelli e il viso, e lei socchiuse gli occhi e io la ribaciai, poi le mie mani scesero sul collo e sulle spalle accarezzandole e le sfilai le spalline, guidandole lungo le braccia per far calare la tunica, fino a lasciarla nuda.
Riaprì gli occhi come meravigliata dal mio gesto e corse a coprirsi il petto con le mani, per poi, vincere il pudore e lasciarle ricadere lungo i fianchi, rialzò lo sguardo a scrutarmi e sul suo viso le emozioni si accavallarono, mentre provava sorridere. Un sorriso piccolo e timido, ma un sorriso.
Le presi per una mano e le feci fare un passo in avanti per liberarsi definitivamente dalla tunica. Il suo non fu il movimento sinuoso, sensuale ed esperto di Sabra, anzi, quasi inciampò, rimanendo impigliata con i piedi, e con una mano dovette afferrarsi al mio braccio per non cadere. La prima volta che mi toccava. Rise imbarazzata, e una volta ripreso l’equilibrio una mano corse a scostare i capelli dal suo viso e sorrise nuovamente a nascondere l’imbarazzo, totalmente splendidamente nuda a un passo da me.
“Scusate, Padrone.” Disse e io la adorai.
Non aveva le curve sensuali di Sabra, era più piccola e più magra, i seni alti e piccoli e la vita stretta, le gambe lunghe e snelle, ma era deliziosa a guardarsi.
“Filinna, di certo Afrodite ti ha concesso i suoi favori, e molti doni preziosi.” Le dissi.
La sua risposta arrivò senza esitazione.
“Così come Marte ha concesso grandi doni a voi, Padrone.”
Rimasi interdetto, cosa voleva dire? Cosa mai c’entrava?
Accorgendosi della mia espressione interrogativa il sorriso le scomparì dalle labbra e riabbassò la testa confusa.
“È.. è una cosa che disse mio padre, padrone. La disse commentando una delle lettere che avevate mandato dalla Britannia che ci era stata letta.” Provò a spiegare 
Iniziai a ridere e nel suo sguardo la confusione fu sostituita dall’apprensione, non capendone il motivo.
“Oh Filinna, tuo padre è sempre ricco di belle parole, ma ti assicuro che certe cose le dice solo per lusingare… No Marte non ha concesso a me nemmeno metà dei favori che Venere ha dato a te, ti assicuro e io non sono abbastanza bravo per esaltarli parole.”
E se ero incapace con le parole, mi dissi, meglio procedere coi fatti. Filinna era appena tornata a sorridere, quando la sorpresi, con un movimento veloce mi chinai e la sollevai di colpo prendendola in braccio, deliziosamente leggera.
Lei reagì un grido di sorpresa, agitando le gambe e gettandomi le braccia al collo, lo sguardo spaventato, prima di scoppiare ridere.
“Padrone!” Nella voce c’era quasi un dolce rimprovero.
“Cosa?” le risposi, fissandola, i nostri visi alla distanza di un palmo. La ribaciai e le sue labbra si schiusero, questa volta non c’era né timidezza né ritrosia.
Poi con due passi arrivai al letto e ce la poggiai distesa, mi raddrizzai e mi spogliai. 
Quando mi chinai sul letto una nuova ombra di paura le passò sugli occhi e nella voce.
“Farà male padrone?” Chiese. 
Cosa risponderle? Sulla faccenda avevo, invero, non troppa esperienza. Sabra non era certo vergine, neppure le ragazze dei bordelli che avevo frequentato… e non lo era neppure una mia cugina, giovane vedova, con cui l’estate prima di partire per la Britannia, avevo intrecciato una relazione e ci eravamo incontrati una mezza dozzina di volte, nel bosco dietro la sua villa sulla costa.
Certo alcune delle ragazze con cui ero stato in Britannia erano state molto probabilmente vergini quando erano entrate nella mia tenda, ma erano delle barbare, con cui non condividevo nessuna lingua e quasi nessuna parola e non mi ero sicuramente curato del loro piacere.
Invece Filinna distesa sotto di me, mi sorrideva incerta e, per qualche ragione, ci tenevo che continuasse a sorridere, mi piaceva il suo sorriso. Ci tenevo che le piacesse e volevo che venisse sorridendo quando l’avessi chiamata di nuovo ed ero già certo che l’avrei richiamata.
Che dirle quindi? Cosa risponderle… di quel poco che potevo sapere?
“Sì, la prima volta può far male.” Le accarezzai il viso per rassicurarla. “Ma se ti faccio male, dimmelo e io mi fermerò. Lo prometto. D’accordo?”
Ci guardammo negli occhi, la vidi annuire e mi abbassai a ribaciarla, mentre iniziavo ad accarezzarla ricordando quello che mi chiedeva Sabra quando voleva le dessi piacere.

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Aprii gli occhi accorgendomi che non era più accanto a me e la vidi in mezzo alla stanza, le lucerne si erano spente ed era illuminata solo dalla luce argentata della luna. Guardandola, capii il lamento dei poeti che si struggono per non avere parole bastanti per descrivere le loro donne. Con quella luce, in quel silenzio sembrava un essere soprannaturale, una ninfa che si fosse mascherata da essere umano, come a volte fanno gli Dei, e che ora stesse rivelando la sua vera natura. 
Persino la piccola Filinna alla luce della luna dopo una notte di amore poteva sembrare tale. 
Rimasi immobile ad osservarla mentre si piegava per raccogliere la tunica abbandonata sul pavimento la vidi piegarla con cura per appoggiarla su uno sgabello. La osservai guardarsi intorno cercando il bacile e la vidi chinarsi per lavarsi. Semplici gesti. La scorsi, bagnata dalla luna, sorridere e fui contento perché ero sicuro che quello era un sorriso vero, non per gli altri, ma per lei stessa.
Alla fine, si accorse che la guardavo e la ninfa scomparve all’improvviso e al suo posto apparve una cerva dalle lunghe gambe, di colpo immobile, colta sorpresa da una presenza inaspettata, che ti fissa sbigottita un attimo prima di balzare via.
“Padrone, siete sveglio… Scusate vi ho svegliato.”
“Non ti preoccupare.” Allungai la mano. “Vieni qui, non prendere freddo.” Lei si lascio guidare fino al letto e si sedette accanto a me, ma non si ridistese
“Padrone io dovrei andare… domani avrò del lavoro da fare.”
“Non temere, Eryx lo sa che stai qua, di sicuro ne terra conto.”
“Non sto lavorando per Eryx questi giorni, sto lavorando con mio padre.”
“E cosa ti sta facendo fare?” Le chiesi, mentre le accarezzavo la mano.
“È un vostro ordine Padrone, stiamo facendo delle copie dei libri per la biblioteca di Baia.”
Mi ricordavo, mi ricordavo bene. La biblioteca laggiù ormai era in pessimo stato e avevo chiesto nuovi volumi.
“Pensavo che facesse fare le copie fuori casa.”
“La maggior parte sì, non si potrebbe fare altrimenti, ma alcuni mio padre preferisce farli fare qui da noi, dice che i copisti esterni fanno sempre pessimi lavori,”
Ahhh la precisione di Cleone, sempre puntiglioso fino all’estremo.
“Su cosa stai lavorando, tu?”
“Orazio padrone, adesso sulle Odi.”
Sorrisi “Avrò gran piacere a rileggerle.” 
E recitai:
Maecenas, atavis edite regibus,
O et praesidium et dulce decus meum,
Sunt quos curriculo pulverem Olympicum
Collegisse iuvat, metaque fervidis
Evitata rotis palmaque nobilis
Terrarum dominos evehit ad deos
.”
“E perché mai dovreste leggerle, se ve le ricordate così bene a memoria?” Fece lei.
“Per il piacere di ricordare la mano graziosa che le ha scritte, deliziosa mano.”
Me la portai alle labbra la baciai giocosamente, Filinna scosse la testa come a rimproverarmi, poi di sua iniziativa mi accarezzo i capelli.
“Vieni a coprirti o prenderai freddo.” Ripetei. “Tuo padre, sa anche lui dove sei. Vieni qui Asterope” Scherzai. Se una ninfa sembrava, di una ninfa prendesse il nome. “Stammi vicino, e tienimi caldo.” 
Ubbidì e si ridistese vicino a me l’avvolsi nella coperta e me la strinsi contro.
“Comunque mi sbagliavo, Filinna.” Feci con voce seria.
“Su cosa padrone?” mi chiese, con una nota di preoccupazione.
“Venere non può essere stata così generosa con te!”
“Cosa volete dire?”
“Non può essere stata così generosa, Filinna.” Feci un attimo di pausa per assaporare la battuta. “Qualcuno deve averle di nascosto rubato tutte i suoi tesori più preziosi che nascondeva e li ha dati a te.” E immaginavo, ridendo dentro di me, il buon Cleone, improbabile eroe del mito, basso, grassoccio e con pochi capelli, magari coperto da una pelle di leone (ma un leone piccolino) che svaligiava gli Dei Olimpici dei loro tesori per donarli alla figlia. 
Filinna, però, non sorrise, come si aspettavo, anzi spalancò gli occhi con aria allarmata e con una mano mi tappò velocemente la bocca.
“No Padrone! Non prendente in giro gli Dei vi prego! No! Lo sanno, ci sentono, e poi ci avversano mandando sfortuna e privandoci del loro aiuto.”
“Oh Filinna, la fortuna dobbiamo costruircela noi, con le nostre azioni, gli Dei ci accompagnano, ma non decidono tutto loro.” Risposi divertito dalla sua reazione.
Rimase in silenzio ad osservarmi e poi scosse la testa e mi rispose la voce seria.
“Questo forse è vero per voi Padrone, che siete un grande uomo, di una grande famiglia, avete i vostri lari e vostri antenati…, ma io sono solo una schiava… gli Dei possono tutto sul mio destino, io sono nelle loro mani. Capite?”
Era bella, era colta, era pia e, a quanto pare, era anche saggia, la figlia di Cleone.

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Mi lasciò la mattina e io, sorridente e allegro, come solo una intera notte con una bella donna possono rendere un uomo, mi recai a cercare qualcosa da mangiare.
Nel triclinio trovai mia madre che sbocconcellava un fico.
“Vi saluto madre, come state?”
Mi chinai per un bacio sulla guancia.
“Bene Marco, bene, e vedo che anche tu stai bene. Dopo una piacevole notte.”
Mi sedetti e anch’io presi un fico e del pane, uno schiavo mi versò una coppa di acqua fresca e limpida.
“Sì madre. Sto bene. Grazie.” Risposi, ignorando la sua provocazione.
“Sono contenta per te. Che finalmente ti sei preso quello desideravi.”
La guardai sorpreso e inghiottii il boccone che stavo masticando.
“Cosa intendi madre?”
“Cosa mai devo intendere, Marco? Sono contento che si sia finalmente concluso questa specie di romanzo.”
“Parli della figlia di Cleone, immagino, ma non capisco comunque cosa intendi.”
“O Giove, figlio mio, non ti dimostrare così stupido. Tutta la casa ne parla, da giorni. Persino le mie due ancelle, seppur vecchie e rinsecchite, sospiravano, emozionate come fanciulle, al pensiero di tutta questa passione. O Marco, lei che scappa, tu che la vai a cercare, anzi a salvare, la difendi e non me la fai scacciare da questa casa, ti preoccupi persino per lei dopo la sua punizione e infine, finalmente la fai tua.” Fece mia madre e gesticolò ironicamente come un teatrante. “Che storia emozionante. Sembrava di vederti nei panni di Perseo che salva Andromeda. Erano tutti col fiato sospeso. C’erano addirittura ridicole voci, che le avessi fatto infliggere meno colpi di quelli a cui l’avevo condannata. Che sciocchezza come se fosse possibile che un figlio disobbedisca alla madre.”
Mi fissò, le labbra strette. Poi bevve un sorso d’acqua e riprese a parlare:
“Precisiamo, Marco. Non sono insoddisfatta della tua scelta. Sei giovane, e fino a che non sarai sposato, ti servirà uno sfogo. La ragazza è carina, pulita, presumo fosse persino vergine. È sana e vive in questa casa e sappiamo da dove viene e cosa fa. Molto meglio di tante altre alternative.” 
Mandai giù a forza un altro boccone, inutile sperare di fermare il suo monologo.
“Approvo, ti dico, tanto è vero che prima ho pure concesso a lei e alla madre di prendersi la mattina e di andare al tempio di Venere a sacrificare e gli ho offerto persino di farsi dare due conigli bianchi in cucina come offerta alla Dea. In fin dei conti è mio figlio che l’ha fatta diventare donna. Non mi guardare con quella faccia sono una donna che ha avuto un marito e ho generato te e tuo fratello, non sono cose a me ignote! Una sola cosa mi dispiace.”
Fece una pausa che capii dover riempire con un doveroso:
“Cosa Madre?”
“Che quel piccolo ometto intrigante di Cleone, ha avuto successo col suo piano.”
“Di quale piano vai parlando?”
“Dell’idea di infilare sua figlia nel tuo letto è chiaro.”
“E perché mai dovrebbe esserci un piano?”
“O sciocco ragazzo, per quale ragione spendere così tanto tempo a insegnare a una schiava a leggere e recitar poesie se non fosse per incantare un sognatore come sei tu, o come era il tuo povero fratello. A quale scopo istruirla? È evidente!”
Mi era piuttosto nota l’antipatia che mia madre provava per Cleone, a trattenerla era solo la stima che mio padre aveva avuto per lui e forse l’affetto che provavo io, ma ogni tanto si sfogava e a volte lo maltrattava apertamente.
“Madre credo che tu stia fantasticando.”
“Davvero? Dici? Dimmi che ieri notte dopo aver soddisfatto i bisogni della carne, non vi siete deliziati scambiarvi versi e dotte citazioni.” Mio malgrado arrossii. “Vedi? E adesso quell’ometto ha la sua figliola che sussurra quello che vuole lui nell’orecchio del padrone, la notte, abbracciati sotto le coperte.”
Sapevo, però, almeno questa volta, come ribattere.
“Madre, stai delirando. Sentimi, ma se tutto questo che ipotizzi fosse vero, se fosse tutto preparato, perché mai allora sarebbe scappata di casa quella sera?”
Mi sembrava un buon argomento, solido e logico, ma mia madre non ne sembrò minimamente colpita, mi fissò di nuovo con biasimo.
“Marco, un giorno anche tu sarai un genitore, farai grandi progetti e avrai grandi aspettative, e allora capirai che i figli possono essere la nostra peggiore delusione.”
Mia madre, impossibile avere l’ultima parola con lei.

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I giorni, le settimane e i mesi successivi furono un periodo molto felice. Uno di quei periodi della gioventù che quando ti volti indietro ad osservarli a distanza di anni ti sembrano dorati e luminosi, splendenti di una vita intensa e piena di prospettive. Sono le prospettive credo a fare la vera differenza, il vasto orizzonte della vita futura che si spande di fronte e a te, una vita che affronti che la spavalderia della giovinezza.
A questo indubbiamente si aggiungeva Filinna, che era man mano diventata una presenza abituale nelle mie notti. Se il futuro che volevo costruirmi era il sole che riempiva di scopi le mie giornate intense, Filinna era diventata la luna che colmava di pace e quiete le mie notti. Un sano contrasto e un’alternanza salutare.
Non era solo uno sfogo fisico delle mie energie sessuali. La sua placida calma, la sua dolcezza, mi aiutavano a rilassarmi e mi davano ristoro, la su intelligenza e la sua cultura mi permettevano di confrontarmi e parlare come ad un mio pari, la sua indubbia pratica saggezza mi faceva riflettere.
Glielo dicevo qualche volta che era saggia, ma lei pensava la prendessi in giro e mi guardava in tralice non osando ribattermi. Poi, man mano, ci abituammo l’uno all’altra e prendemmo familiarità sia nel letto (oh che delizia imparò ad essere) che nelle nostre lunghe (oh quanto lunghe) lunghe discussioni. Diventò meno timida e riservata, imparò a scherzare e a rispondermi, alla fine dopo lungo corteggiamento riuscii persino a farmi, occasionalmente, chiamare per nome quando eravamo in privato e se ci incontravamo durante il giorno smise di sfuggirmi o imbarazzarsi, ma sorrideva e mi salutava.
Sorrideva. Questo soprattutto mi piaceva, in mia presenza si mostrava felice e allegra, e ritengo lo fosse davvero. Certo, con lei ero generoso, succedeva che condividesse la mia tavola, quando mangiavo in camera, le regalai un rotolo di buona stoffa egizia, che andò a vestire tutta la sua famiglia, e una palla che mia madre aveva dismesso, di lana pregiata dai colori brillanti, e fu bello vedere i suoi occhi brillare mentre giocava, provandola e riprovandola, mettendosi in posa di fronte a me.
Le preoccupazioni di mia madre non si materializzarono: Filinna durante quelle notti non chiese niente né per sé né per la sua famiglia. Anzi spesso mi raccontava di cosa succedesse nella casa, e tramite lei scoprii molto di quella vita riservata, se non segreta, che si svolge tra la servitù senza che ce ne rendiamo conto. Mi raccontava di cosa stesse copiando, leggendo o facendo, ma non era molto interessata a come gestissi i miei affari o come questo poteva influenzare le fortune di suo padre.
La cosa che preferiva era che gli raccontassi erano i miei viaggi, quello in Britannia, ma soprattutto quello che da ragazzo avevo fatto in Grecia. Sarebbe stata per ore ad ascoltare mentre descrivevo Olimpia, Sparta o Atene, il passo delle Termopili o degli altri luoghi che avevo visitato e mi piaceva accontentarla.
Non si montò neppure la testa, come spesso succede quando uno schiavo viene favorito da padrone, e decisamente io la favorivo. Spesso in questi casi diventa un piccolo tiranno con gli altri schiavi o prova a iniziare a vendere e concedere favori, ma nulla di questo giunse mai alle mie orecchie. Filinna decisamente era troppo dolce e mite per una cosa simile.
Ci fu unico avvenimento della mia vita sociale che attirò la sua attenzione, ma tutta la casa andò in subbuglio per questo e non solo la servitù. Grazie al brigare di mia madre fui invitato a una privata dell’Imperatore.
Il termine privato è forse ingannevole, vi erano almeno una dozzina di ospiti di alto rango, ma era comunque un onore particolare e una opportunità di ben figurare da non lasciarsi sfuggire.
Filinna mi tempestò di domande nei giorni successivi, ma non certo sulle discussioni che si erano svolte o su chi fosse presente, o su quali opinioni fossero state espresse. Il suo interesse era tutto per l’Imperatrice. Di lei voleva sapere tutto, o almeno tutto quello che può interessare un'altra donna.
Ero, a mio modo, ben preparato. Al mio arrivo ero stato accolto personalmente da Valeria Messalina, aveva sicuramente contribuito al mio invito, era in fin dei conti una parente e mia madre era riuscita ad arrivare fino a lei. “Caro Cugino.” Mi aveva salutato sorridendo al mio arrivo, anche se forse l’avevo incontrata solo un paio di volte in vita mia, quando era ancora una bambina.
Com’era vestita? Una tunica, di fine seta orientale, decorata sui bordi. La stola era di colore verde anche lei decorata con motivi geometrici.
Indossava orecchini d’oro con degli smeraldi egizi, e un diadema decorato di perle.
Come era acconciata, come era truccata? E io rispondevo, osservando il volto appassionato di Filinna.
“Dicono che sia la donna più bella del mondo, l’Imperatrice.”
Non era una domanda, ma un’affermazione di una malinconia sognante. 
Risponderle che sì Valeria Messalina era bella, era elegante ed era raffinata, ma che non aveva niente di più di quello che aveva lei stessa, senza sete e senza gioielli, ma semplicemente con il suo sorriso e la sua allegria?
Non mi avrebbe creduto o forse si sarebbe montata la testa. Tacqui.
L’Imperatrice, comunque, non si era fermata a lungo con noi ospiti, si era ritirata presto lasciandoci ai nostri discorsi.
I commensali eravamo tutti di rango senatorio, conoscevo personalmente quasi tutti e la maggior parte erano in buoni rapporti con la mia famiglia. Ero però il più giovane al tavolo e quindi mantenni una posizione defilata, intervenendo quando potevo e quando mi era richiesto, ma senza sembrare arrogante o supponente.
La Dea Fortuna mi concesse però l’attenzione dell’Imperatore. Bisogna sapere che il principale interesse di Claudio Cesare, prima di assurgere al principato e alla guida dello stato, era stata la storia, interesse che continuava a perseguire quando ne aveva il tempo, specie ora che poteva avere libero accesso a qualsiasi documento agli archivi dello stato. Anche in occasione del banchetto alcuni per ingraziarselo, lo stimolarono a parlare dei suoi studi, lodandoli anche in maniera esagerata.
L’Imperatore è di buon cuore e spinto dall’interesse, anche se simulato, dimostrato degli astanti iniziò a parlare dei suoi libri, un argomento che comprendo ha molto a cuore, e infine parlò della sua intenzione di pubblicare una edizione aggiornata del suo dizionario di etrusco, un’opera che aveva scritto in gioventù.
Lo meravigliai dicendogli che lo avevo letto, ma lo meravigliai ancora di più dicendogli che conoscevo alcune parole di quella lingua che non aveva riportato. 
Raramente ho visto un uomo più felice, pieno di eccitazione chiamò di corsa uno dei suoi segretari perché prendesse nota delle parole che conoscevo e mi interrogò a fondo su questa mia conoscenza.
Invero era una cosa banale, quando ero bambino avevamo un vecchio schiavo che ormai era stato messo a fare il portiere alla casa, opportunamente chiamato Tarquinio, che per ingannare il tempo recitava a noi bambini le filastrocche, le canzoncine e le rime che tanti anni prima sua madre, che veniva dall’Etruria, aveva recitato a lui.
Erano strane ed esotiche e divertivano molto me e Gaio e ancora ricordavo con precisione alcune delle parole e dei significati.
L’Imperatore gioiva: era chiaro che queste parole non fossero nel suo dizionario, lui aveva avuto modo di registrare i ricordi di anziani sacerdoti, che usavano probabilmente termini diversi da quelle delle persone umili e del loro modo di parlare non aveva scoperto quasi nulla. Mi chiese di informarlo se per caso mi fossi ricordato di altri termini.
Feci di più, nei giorni seguenti sguinzagliai Cleone a interrogare tutti gli schiavi che potevano aver conosciuto Tarquinio per vedere se ricordavano a loro volta qualcosa. Raccogliemmo un'altra dozzina di lemmi che mi premurai di mandare all’Imperatore.
Mi venne risposto con un biglietto di sua proprio mano con cui mi ringraziava per la mia cortesia e persino mia madre, sempre controllata, non poté trattenere la soddisfatta sorpresa.
Mi permisi persino di farle notare come per questa volta, il fatto che i Corvino fossero una razza di sognatori, appassionati collezionisti di nozioni strane e apparentemente inutili, ci fosse venuto a chiaro vantaggio. 
Non poté ribattere

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Paradossalmente, fu Sabra, una creatura a che a prima vista aveva pochi contatti con la praticità, a riportarmi, bruscamente, con i piedi per terra. 
Un pomeriggio rientrando a casa dopo essere stato al sepolcro di famiglia a sacrificare, trovai nell’atrio Sabra che mi venne incontro appena varcata la porta ancora impolverato per la cavalcata
“Padrone, avrei bisogno di parlarvi. Per favore.”
Aveva una tale inquietudine nei modi e negli occhi, che quasi mi preoccupai.
“Dimmi pure Sabra cara.”
Lei si guardò intorno, prima di precisare.
“In privato, se possibile, padron Marco.”
“E allora dammi il tempo di cambiarmi e aspettami al tablinio e avrai la mia attenzione.”
Quando tornai la trovai di fronte alla porta, in nervosa attesa, la feci entrare e la feci addirittura sedere.
“Sabra, cara ragazza, cosa succede? Hai una aria da far spavento, mi devo preoccupare?”
Si agitò sulla sedia e capii che cercava le parole giuste, il che mi mise in decisamente allarme, di cosa mai aveva paura?
“Parla, Sabra, non aver paura, lo sai che apprezzo la franchezza, specialmente da te.” La invitai. “E che nulla di male potrà venire dall’essere sincera.”
“Padrone…” Si fermò e si inumidì le labbra. “Mi sono trovata a parlare con Filinna padrone… e…” Incespicò sulle parole. “e, scusate se mi permetto di parlarvi padrone, mi chiedevo se fosse vostra intenzione avere un figlio da lei.” Si zittì un attimo. “Scusate padrone, lo so che non sono affari miei.” La fissai, meravigliato dalle sue parole, mentre comprendevo quello che mi stava dicendo. Sabra mi conosceva abbastanza da saper leggere il mio viso e capì il mio pensiero. “Padrone, Filinna mi ha raccontato che non prendete nessuna precauzione, lei non sa neppure cosa ci sia da fare… in caso... voi non ci avete mai pensato, vero?” 
Che sciocco. Certo non ci avevo mai pensato, con Sabra davo per scontato che gestisse lei in qualche modo femminile la questione e fuori casa non era certo un problema che mi riguardasse. 
“È incinta?” chiesi.
“No, padrone.” Mi rispose. E devo ammettere che provai sollievo. “Ma di certo non mancherà presto l’occasione. Prima o poi accadrà… se non.. se non si fa qualcosa.”
Ci riflettei volevo metter in cinta la ragazza? 
Non è una cosa inusuale che una schiava venga messa in cinta dal suo proprietario, anzi. Manio, uno dei miei migliori amici, solo un anno più anziano di me e anche lui scapolo, si vantava di avere generato già due figli in questo modo, uno quando era ancora un ragazzetto. Sosteneva che le madri stesse erano molto soddisfatte, convinte che lui avrebbe avuto un occhio di riguardo per loro e per marmocchi e che era anche un buon modo per migliorare la qualità della servitù.
Tra i Corvino di solito non si usava… di solito. Per esempio, questo lo sapevo, Romolo era mio cugino, suo padre era figlio di mio nonno e di una schiava, che tutti dicevano che fosse molto bella da giovane. Ma era quasi una eccezione.
Personalmente, non mi piaceva l’idea, un figlio nato in servitù mi sembrava disdicevole, assolutamente. Decisi di no.
“No, non voglio avere un figlio. E cosa sarebbe questo qualcosa da fare di cui accennavi?”
Sabra sembrò essersi tolta un peso dal cuore e sorrise.
“Certo padrone, capisco. Allora se volete spiegherò a Filinna cosa fare. Gli insegnerò come preparare la stessa pozione che uso io. Padrone.”
Cosa avrebbe pensato Filinna? Sarebbe stata sollevata o delusa? Magari, come diceva Manio, sperava di poter restare in cinta di me. 
“Conto su di te. Spero che ubbidirà.”
“Filinna farebbe qualsiasi cosa voi gli diciate di fare, padrone.”
Una affermazione tale da farmi alzare il sopracciglio.
“Non sapevo che la conoscessi così bene e che foste tanto amiche da parlare di queste cose.”
Una delle particolarità di Sabra che è ha bisogno di ben pochi incoraggiamenti per iniziare a parlare, di solito il problema è farla smettere.
“Non particolarmente padrone, abbiamo iniziato a parlare solo da poco. Se devo essere sincera la moglie di Cleone mi ha sempre mal sopportato percui avevo poco a spartire con loro…. Era invidiosa, come molti nella servitù.” Annuii, certo potevo immaginare. Il ruolo di Sabra le concedeva certi privilegi e vantaggi che potevano provocare invidia “Si è un po’ ammorbidita solo quando l’ho aiutata con la schiena di della figlia e poi è stata Filinna stessa a cercarmi per confidarsi e chiedere consiglio.”
“Consiglio?”
La mia voce deve essere suonata strana, perché scoppiò a ridere, la sua splendida scompostamente allegra risata.
“Oh Padrone! Certo! E a chi pensate potessi rivolgersi? In fin dei conti quella ragazza sa ben poco del mondo e non è che la madre possa dirsi esperta di uomini.”
“Forse dovrei preoccuparmi ad essere oggetto delle vostre chiacchiere.” Scherzai, nascondendo una certa inquietudine
Sabra riprese a ridere.
“Padrone sapete che voi siete speciale per me. Io parlo solo bene di voi. Ed è quello che ho detto a quella ragazza quando mi ha raccontato cosa era successo.”
“Quello che è successo, Sabra?”
Si sporse verso di me. La voce complice.
“Di quando l’avete baciata, padrone. Di quanto sia stata stupida ad essersi spaventata, fino a scappare lei. Glielo detto che il suo comportamento è stato idiota.”
Mi venne istintivo difenderla.
“Sabra, in fin dei conti voleva proteggere la sua virtù. Mi sembra un istinto naturale. Tutt’altro che stupido.”
“O che sciocchezza padrone!” Ribatte lasciandomi di stucco per il tono deciso. “La virtù! A che serve la virtù a una schiava? Ve lo dico io, Padrone, a che serve: a regalarla al primo buono a nulla con dei begli occhi e un sorriso furbetto, che farà giusto tempo a riempirti la pancia con un bambino, prima di compiere qualche malefatta ed essere mandato in miniera e tu rimani sola ad allevare un figlio. Ecco a cosa serve la virtù, Padrone. Non siamo mica gran signore.” Rimasi in silenzio, colpito dal tono della voce. “Io glielo detto, Padrone: stupida. Hai il padrone che ti desidera. E abbiamo pure la fortuna che è giovane, è pure bello, ha un cuore buono e generoso, ed è persino un buon amante!”
“Sabra!”
“Ma è vero, padrone. Siete bello e un buon amante.”
“Smettila di lusingarmi, in maniera così smaccata.” Scuotevo la testa, ma non riuscivo a smettere di sorridere.
“Sarà lusinga, ma è anche vero. Padrone. Fatevelo dire, io ci credo. Voi lo sapete siete sempre speciale per me. E spero che anche questa povera Sabra sia speciale per voi.” 
“Lo sai che lo sei, cara Sabra.” Sorrisi al suo atteggiarsi, ma poi le chiesi serio. “Sei forse gelosa di Filinna?”
Scosse la testa.
“No, padrone, io non sono vostra.” Mi sembrava sincera, poi ripete quello che mi sembrava ripetessero tutti. “Filinna è una brava ragazza, sono contenta. Io glielo detto, padrone, di essere felice, perché è fortunata, anche solo dormire in un letto dalle coperte morbide accanto a voi.”

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L’anno finì senza altri eventi degni di essere ricordati. Io ero irrequieto, sentivo che stavo sprecando il mio tempo, ero ancora troppo giovane per candidarmi a una qualche carica, e potevo solo continuare a stringere amicizie e alleanze che mi sarebbero state utili nel futuro, ma questo non bastava a soddisfarmi.
Con l’inizio del nuovo anno, finalmente arrivò una buona notizia, il completamento dei lavori nella villa di Baia, non persi tempo a recarmici per controllare la situazione e ordinare gli ultimi aggiustamenti.
Restai molto soddisfatto da quello che vidi e come dissi a mia madre ero ansioso di trasferirmici e goderne le bellezze e la comodità non appena fosse arrivata la buona stagione.
Mi sbilanciai talmente da promettere persino a Filinna che l’avrei portata con me, per farle vedere quanto era sublime il golfo di Napoli. Mi piaceva vederla felice e bastava in effetti così poco. Niente sembrava turbare il suo buon umore, o in grado di spegnere il suo sorriso, e averla vicino aiutava il mio spirito.
Non mantenni però la mia promessa e quella primavera non andammo a Baia. 
Venni contattato da un buon amico di famiglia Sesto Palpellio, un senatore ed ex console, di origine provinciale, veniva dalla Dalmazia, ma che aveva goduto del favore di Augusto e di Tiberio raggiungendo grandi onori. Claudio Cesare lo aveva appena nominato Governatore della Provincia di Pannonia e mi proponeva di unirmi a lui, aveva bisogno di aiuti validi in quella provincia di confine che andava ancora colonizzata e civilizzata pienamente. Era sicuro, diceva, che avrebbe potuto farmi avere l’incarico di Tribuno Militare in una delle Legioni di quel confine, i cui comandanti erano stati tutti suoi compagni d’arme. A completamento aggiungeva che aveva fatto il mio nome allo stesso Imperatore che si ricordava bene di me (oh benedetti Etruschi), e aveva ricevuto la sua totale approvazione.
La nomina a Tribuno militare avrebbe significato il vero inizio della carriera, del cursus honorum, per me, era una occasione da non perdere.
La reazione di mia madre è ancora viva nei miei ricordi. Rientrando in casa la trovai sotto il peristilio impegnata, come suo solito, a filare in compagnia delle sue ancelle. Non si accorsero a prima vista del mio arrivo, mentre lavoravano chiacchieravano e ciarlavano, in allegria. Raramente mi ricordavo di aver visto mia madre così apertamente spensierata, sembrava quasi una fanciulla e non una matrona, addirittura mi fermai un attimo ad osservarle, quasi meravigliato, prima di interromperle per comunicargli la notizia.
Fu orgogliosa mia madre, capiva quanto me cosa significasse, ma sotto le sue parole notai altro, non so se fosse che era lei ad essere diventata più anziana, o forse ero io ad essere maturato e riuscivo a capirla meglio ma vidi qualcosa che nei suoi occhi non scorgevo da tanto tempo.
Le presi la mano.
“Madre, tornerò, non sarà poi un periodo così lungo.”
Non la ritirò, anzi, me la strinse.
“Mi mancherai, Marco. Il Danubio è lontano.” E non mi sbagliavo gli occhi erano lucidi. Poi la voce tornò ad essere quella a cui ero abituato. “Fai quello che un Corvino deve fare, figlio mio.”
La lasciai con le sue ancelle, silenziose.

Con Filinna fu diverso, molto. La notizia le era arrivata tramite dai pettegolezzi della servitù e nel passaparola chissà come era stata ingigantita e modificata. Quando quella sera mi raggiunse in camera era pallida e tremante per lo sgomento. Come non succedeva da mesi, evitava di guardarmi negli occhi e provava a celarsi al mio sguardo, rispondendo a monosillabi: Sì, no,… Padrone… sì Padrone… no Padrone.
Ci impiegai un certo tempo a tirarla fuori dal suo terrorizzato mutismo e a capire cosa fosse arrivata a fantasticare.
Per quanto incredibile la ragazza aveva pensato che l’avrei portata con me ed era terrificata all’idea di allontanarsi così tanto dai suoi genitori e arrivare in un posto così remoto e barbaro. 
Cosa mai era andata a immaginare: come se potessi presentarmi in servizio accompagnato dall’amante! Nemmeno fosse Agrippina Maggiore che accompagnava il suo sposo, Druso, sul Reno e, come raccontava Tacito, domava con la sua sola presenza un ammutinamento delle legioni. La piccola Filinna.
La cosa sarebbe potuto risultare divertente, di certo era una idea talmente assurda da risultare buffa, ma in lei mi fece una tale tenerezza che invece di ridire mi trovai a consolarla e rassicurarla.
Lei sarebbe rimasta a Roma, a casa e, quando lo capì, abbracciata stretta al petto, la sentii tirare un sospiro di sollievo, enorme e profondo.
Il mio amor proprio venne salvato quando questo sollievo si trasformò ben presto in tristezza per la mia partenza e alla fine dopo aver calmato le sue paure dovetti pure asciugare qualche lacrima.
Lacrime che tornarono, assai copiose, quando nei giorni seguenti le feci un regalo, prima di partire: un bracciale d’oro e ambra del nord. Avevo esagerato, forse, ma quell’ambra mi ricordava il colore dei suoi occhi e volevo lasciarle qualcosa.
   
 
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