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Autore: Challenger    14/02/2022    0 recensioni
Primo incontro di una storia travagliata
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Al LDN (luci della notte) trovammo solo Lorenzo e Giulio, i piccioncini non erano ancora arrivati. «Notizie dalla coppia felice?» ci salutò Lorenzo. «Oh mio dio! Non sono ancora arrivati?!» il tono di Silvia era esasperato. Quei due facevano regolarmente tardi. «Provo a chiamare al volo Martina». Silvia era impaziente di iniziare i festeggiamenti. Il telefono squillava libero. «Ahó? Stamo arivà» rispose noncurante Martina. «Ma dove state?! Qua ci stanno passando tutti davanti!». «Mó svoltamo e arivamo, tranqui, sorè!». Martina era quella che poteva essere definita “la classica romana” dell’immaginario comune, un po’ coatta e un po’ sciocca, ma era tanto dolce! «Ahó, era ora! È mezz’ora che ve stamo aspettà!» Giulio scalpitava: voleva flirtare e sbronzarsi più che poteva e prima iniziava meglio era! Entrammo carichi di entusiasmo, varcando la soglia del pub come fossimo i vip del momento. Avremmo fatto molto tardi quella sera. Ballammo per ore intere senza sentire la stanchezza, i cocktail ci tenevano su di giri. Eravamo scatenati: saltavamo, cantavamo, urlavamo, bevevamo come non ci fosse un domani, come se quello fosse il nostro ultimo giorno sulla Terra e avessimo deciso di godercelo fino in fondo. Martina era sbronza così decidemmo di sederci al tavolo e riprendere fiato. Silvia mi chiese maliziosamente: «non hai ancora trovato nessuno di tuo gradimento?». Sorrisi beffardo: «No, stasera la mia attenzione è dedicata tutta ai miei migliori amici» la tirai a me per abbracciarla. Nel frattempo, Lorenzo ed Ezio parlavano di calcio e bevevano cocktail troppo costosi; Giulio era ancora in pista a flirtare con le belle ragazze e Martina si era addormentata sul divanetto con la bocca spalancata. L’aria era diventata pesante. Decisi di andare fuori a fumare una sigaretta. Non era mia abitudine, ma fumarne una ogni tanto mi faceva rilassare. Mentre gustavo in bocca quel sapore amarognolo, vidi una giovane coppia, poco distante da me, litigare furiosamente. «No, Valentì, non c’hai ragione! Ma che cazzo te dice il cervello? Non pôi balla co’ ‘n altro solo perché a me non va! So’ venuto solo pe’ fatte ‘n favore! T’avevo detto che l’allenamento de oggi era stato pesante e che volevo restà a casa! Ma come ar solito non te ne frega un cazzo de me!» il ragazzo era furibondo. Lei non era da meno: «allora sai che te dico… VATTENE A FANCULO, CAPITO?! NON TE VOGLIO PIÙ VEDÉ!! SEI ‘NA MERDA, ANDRÉ!» gli fece il dito medio e se ne andò senza dire altro. Lui la guardò andare via, ma non la seguì, evidentemente era stanco del comportamento di lei. Fermo sul marciapiede, con le mani sui fianchi, rifletteva sul da farsi: scelse di tornare dentro, plausibilmente a bere un altro paio di birre con gli amici. Lo stavo fissando. Camminava con le spalle ricurve e le gambe larghe, come se toccasse a lui sorreggere tutto il peso del mondo. I suoi piedi puntavano in due direzioni opposte, sintomo di una profonda insicurezza, sembrava esprimessero un dubbio amletico: che faccio? Vado di qua o di là? Mi dispiacque un po’ per quel ragazzo, sembrava triste. Avrei dovuto abbracciarlo? Probabilmente sì. «Ma che cazzo te guardi!» mi si rivolse Andrea a brutto muso. Ok, forse era meglio non abbracciarlo… se l’avessi fatto mi avrebbe staccato le braccia! Non risposi, distolsi lo sguardo, finii la sigaretta e tornai dentro dopo di lui. Il DJ aveva scelto Fast car di Jonas Blue feat Dakota, la mia canzone preferita, l’avevo ascoltata almeno un milione di volte. Amavo quella canzone, peccato che la scena che mi trovai di fronte al rientro era tutt’altro che allegra: Giulio, Lorenzo ed Ezio si stavano picchiando con altri ragazzi più grossi e più forti di loro. Dalla faccia erano tipi poco raccomandabili, sarebbe stato meglio se non si fossero fatti coinvolgere in uno scontro. Nella mischia, però, c’era anche lui. Cercava di separare quei bestioni dai miei amici senza venire alle mani. “Cavolo, è davvero coraggioso!” pensai ammirando quel giovane dai lineamenti forti e duri. Mi folgorò all’istante! Se fino a pochi minuti prima non mi aveva fatto alcun effetto, beh, adesso era diventato tutto il mio mondo. Indossava una giacca di pelle nera, una maglietta bianca e jeans stretti; sull’orecchio sinistro un piccolo cerchio d’argento. La sua bellezza era statuaria con un perfetto profilo greco. Ero stato rapito da quell’adone scolpito, sentivo la musica ronzarmi nelle orecchie e l’unica figura che riuscivo a vedere in tutto quel tumulto era quella di lui. Non esisteva altro. Il tempo si era fermato, ed io ero totalmente preso da quel bel giovanotto. Ebbi l’impulso di farmi largo fra la folla e baciarlo mentre lo stringevo al petto, ma fu in quel momento esatto che sentii Martina singhiozzare, Silvia urlare e i gorilla della sicurezza aprire un varco verso quel groviglio di corpi. Mi precipitai lì, sperando di poter sistemare la situazione con diplomazia, ma quelli della sicurezza già stavano sbattendo tutti fuori, i miei amici e quei tizi palestrati. Mentre venivamo trascinati fuori, per un attimo, un attimo soltanto, gli occhi di Andrea incrociarono i miei. I nostri occhi si inseguirono per un tragitto che parve infinito. Ci scambiammo uno sguardo penetrante, talmente intenso che in un solo instate riuscimmo a scrutarci fin nel profondo, a conoscerci, sentendoci parte l’uno dell’altro: l’istante in cui nacque l’amore. C’eravamo appartenuti per un momento, un momento che per entrambi durò un secolo. Tutto questo avvenne sulle note della mia canzone preferita, era il destino che ci voleva insieme, ci aveva scelti l’uno per l’altro. Per una manciata di secondi (che per me furono eterni) eravamo stati una cosa sola. «Non presentatevi mai più in questo locale o vi denuncio!» ci minacciò uno dei gorilla. Volarono parole dure e cariche di insulti da entrambe le parti. Dal modo in cui lui parlava, capii che faceva parte del gruppo dei palestrati. “Dunque è intervento per aiutare i suoi amici e non i miei”, ci rimasi male. Lo avevo creduto un ragazzo audace, pronto ad aiutare i più deboli, invece era intervenuto per aiutare quegli stronzi. «Tornate nelle fogne da cui siete venuti, BRUTTI BORGATARI!!!» gli gridò dietro Giulio mentre si teneva le costale con il braccio. «CHE CAZZO HAI DETTO, FIGHETTA?» uno di quelli si girò improvvisamente e come un toro furente stava per caricarlo, ma Andrea si mise in mezzo e, sussurrandogli qualcosa all’orecchio, lo convinse a lasciar perdere. Io, rimasto deluso dalla compagnia di lui, non riuscivo comunque a staccargli gli occhi di dosso. Il toro infuriato, infatti, sbraitò nella mia direzione: «CHE CAZZO GUARDI, FROCIO?! CHE È? NE VÔI ‘N PO’ PURE TE?!» allargò le braccia a mo’ di minaccia — Andrea era ancora di fronte a lui — mentre rideva sguaiatamente seguito dai suoi compari, ma non da Andrea. No, non da lui. Andrea guardava me e attraverso quei suoi occhi neri mi supplicava di andare via, perché se fossi rimasto ancora un po’ non sarebbe riuscito a controllare quel bestione e per noi non ci sarebbe stato scampo. Adriano — così si chiamava — era assurdamente omofobo e violento e quella sera aveva bevuto troppo, e quando beveva troppo aveva l’abitudine di picchiare chiunque gli capitasse a tiro, e di certo Andrea non voleva che mi facesse del male, lo potevo leggere in quegli abissi infiniti. Non volevo staccarmi da lui, non volevo perderlo proprio adesso che lo avevo trovato, ma dovevo andarmene il più in fretta possibile se non volevo scatenare un’altra rissa. Con afflizione nel cuore e la tristezza dipinta sugli occhi, mi voltai, presi il braccio di Giulio e lo portai sulle spalle così da sostenerlo mentre tornavamo a casa sconfitti e amareggiati per la fine dei festeggiamenti.
   
 
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