Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: GioGiosBizAdventure    15/02/2022    2 recensioni
Dismorfofobia peniena, ovvero la percezione distorta del proprio organo genitale maschile che, pur avendo dimensione e forma appropriate, è visto dall'individuo come insoddisfacente. Si stima che circa il 3,3% degli uomini siano motivati dal sospetto o dalla convinzione di avere un pene piccolo.
Ma cosa succede quando tale convinzione interferisce in maniera negativa non solo con il normale funzionamento della vita sociale, ma anche con il lavoro?
Ci troviamo a Napoli, nel 1999, due anni prima degli eventi di Vento Aureo. Gli assassini Prosciutto e Risotto sono in missione per eliminare uno dei bersagli del boss. Niente di nuovo per i due uomini, ma un improvviso confronto tra i due potrebbe rischiare di mettere a repentaglio la missione.
Genere: Azione, Introspettivo, Noir | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Prosciutto, Risotto Nero
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Questo racconto fa parte di una serie di oneshot che ho scritto su alcuni personaggi di Jojo's Bizarre Adventure. Tutte queste storie brevi hanno come particolarità quella di narrare momenti di vita quotidiana misti a eventi, giustamente, bizzarri e paradossali. Qualora siate interessati a leggerne altre, fatemi pure sapere.

Vi lascio ora alla lettura!

GioGio



***
 
Napoli, 1999.

Lontano dal centro cittadino l’odore di campagna si era fatto più intenso, e a nessuno dei due dispiacque; i loro sensi olfattivi erano così assuefatti dagli olezzi predominanti del sobborgo napoletano che l’intenso aroma di terra bagnata sembrava trascinarli in una dimensione onirica.
Una frescura serale accarezzava i loro volti che affacciavano dal finestrino della BMW posteggiata sotto un albero, parecchio distante dalle miriadi di limousine posteggiate in file ordinate. In lontananza, le luci di Villa San Giuliano illuminavano la facciata e la collina, risaltandola nel buio della vegetazione circostante, e il sentiero che vi portava all’ingresso era costeggiato da una fila di lanterne per ogni lato che emettevano una fioca luce dorata.
I due uomini erano nascosti dentro l’auto, mescolandosi al buio ambiente circostante fino a rendersi invisibili. Era stato un viaggio taciturno e cheto, e sebbene lavorassero insieme da anni a malapena si scambiarono una parola. Quando accadeva, questa riguardava sempre la missione che il boss aveva affidato loro: uccidere Luccio Spada, il nuovo candidato alle elezioni regionali della Campania.
A ogni tiro, la sigaretta tesa tra le dita sottili di Prosciutto illuminava il suo volto corrucciato, donandogli un’aria tenebrosa. Non fumava, di solito, ma lo faceva solo quando si trovava in uno stato d’impazienza.

«Quanto tempo è passato dall’ultima volta?» domandò distratto il biondo, mentre schiacciava la sigaretta ormai consumata sul posacenere.

Risotto si limitò a fare un mugugno interrogativo, confuso dalla domanda. L'indumento sul suo capo ondeggiava appena al soffio del vento, una mano strofinava lo sterzo nero, l’altra copriva la bocca, animata da un’irrequietezza che lo attanagliava.

«Dall’ultima volta che il boss ci ha fatto eliminare un politico.» precisò il biondo, schiarendosi la voce.

«Un paio di mesi. Sei, forse. Non ne sono sicuro.» rispose Risotto, la sua voce era quasi impercettibile, lo sguardo impaziente era fisso sul vecchio cellulare che adoperavano per comunicare con il boss e con il resto della squadra.

«Riepilogo dell’obiettivo» chiese Risotto, quasi come a voler impegnare il tempo piuttosto che a voler sapere sulla loro vittima. Tutti gli assassini, dopotutto, conoscevano già le loro vittime.

«Luccio Spada: 64 anni, alto 169 centimetri, capelli brizzolati, corporatura robusta. Si è macchiato di numerosi crimini, tra cui prostituzione minorile. Dovrebbe arrivare a bordo di una Lincoln stretch bianca. Dobbiamo fare attenzione, sarà sicuramente in compagnia.» Prosciutto osservò l’altro sottecchi, chiudendo appena il telefono per attenuare la luce blu che infastidiva le sue iridi chiare.

«Nessuno partecipa da solo a un evento simile.» considerò secco Risotto, senza guardarlo. L’altro si limitò a mugugnare qualcosa in approvazione all’osservazione del suo capo.
E aveva ragione. Facendo qualche ricerca sul luogo i due avevano potuto constatare che quel complesso architettonico non era un luogo per dei comuni cittadini. Era un vero e proprio ritrovo per imprenditori miliardari, chirurgi, politici, ricchi di tutti i generi. Erano giunti in massa con le loro limousine laccate, accompagnati dal loro sciame di donne.
La lontananza dal luogo rendeva impercettibile i rumori che ne provenivano. Tuttavia, a giudicare dalla fila interminabile di auto parcheggiate in lontananza, la festa doveva essere cominciata da almeno un’ora e mezza, e per un’altra ventina di minuti rimasero in attesa di qualcosa che li destasse dall’entropia.
A un tratto, due fari accesi brillarono dal riflesso dello specchietto retrovisore, costringendoli a rimettersi sull’attenti; era una Lincoln stretch car bianca. Risotto lanciò un segno d’intesa a Prosciutto, che confermò i suoi sospetti.

«È arrivato.»
 


***


Spada scese dall’auto, e come aveva ipotizzato Risotto, non era da solo; ad accompagnarlo c’era una donna di bell’aspetto, dai capelli biondi raccolti in uno chignon ben pettinato e con un vestito verde smeraldo luccicante, che lasciava intravedere la linea della schiena. Con sorpresa, notarono che era venuto senza scorta…
Furono accompagnati all’ingresso da due uomini corpulenti, che diedero loro due maschere.

«Questo dovrebbe aiutarci a mischiarci meglio» sussurrò Prosciutto all’altro, mentre osservavano la scena nascosti dietro due pini imponenti. «Per riuscire a entrare dobbiamo distrarli.» aggiunse poi, seccato.

«Non vedo il problema» proferì freddo Risotto, guardando il biondo. «Il tuo stand agisce su una portata più ampia. Falli addormentare, senza ucciderli. Non vogliamo destare troppi sospetti, potrebbero arrivare altri ospiti.»

Prosciutto assottigliò lo sguardo, prima di parlare. «Potresti usare Metallica per renderti invisibile. Il mio stand potrebbe invecchiarli troppo.»

«Uno di loro potrebbe insospettirsi troppo e andare a cercare aiuto. Fai come ti dico io.»

E senza aggiungere niente, Prosciutto obbedì. Aspettò che Spada varcasse l’ingresso e poco dopo evocò Grateful Dead e lo proiettò verso i due uomini, che, naturalmente, rimasero ignari di ciò che avevano davanti. Risotto silenziosamente restò fermo a guardare il socio agire, e quando i buttafuori iniziarono a dare i primi segni di acciacco, cominciando a tossire violentemente e ad accasciarsi con lentezza al suolo, alzò una mano per far richiamare lo stand a Prosciutto.
Non avendo molto tempo prima che i due uomini decrepiti ritornassero alle loro età, quando la nebbia di Grateful Dead finalmente si dissuase, con passo rapido Prosciutto e Risotto avanzarono verso di loro. Le due vittime erano perse in uno stato di oblio e trance totale, lo sguardo di uno incrociò i due occhi cremisi, funesti e terrificanti di Risotto che li puntarono come predatori feroci, scrutandoli come se appartenessero al peggiore dei demoni. Alle sue spalle, Prosciutto, che ricambiò lo sguardo dell’altro, indugiò la mano dentro le brache del completo gessato e tirò fuori due bavagli.

«Diteci dove si trova l’ingresso per il personale.» ordinò il biondo con tono austero e minaccioso, chinandosi alla loro altezza e tirando per il colletto bianco uno dei due, mentre con l’altra mano reggeva saldamente il bavaglio.

Le labbra tremolavano e un respirare sempre più frenetico gli solleticava il naso. Dallo stesso uomo fuoriuscì un lamento simile a un gemito, prima di increspare le labbra in un ghigno di sfida.

«Chi siete? Cosa volete da noi?»
Il rumore delle scarpe di Risotto destò quell’uomo dal suo torpore. All’improvviso, un grugnito straziante gli esplose in petto quando degli aghi gli bucarono la guancia.

«Tu sai rispondere alla domanda che ha fatto?» domandò Risotto all’altro con voce gutturale, seccato. Alla mancata risposta, la sua guancia cominciò a ingrossarsi fino ad esplodere; due lamette affilate eruppero da essa, andando a macchiare di vermiglio la guancia di Prosciutto, che lo reggeva ancora per il colletto.

«La prossima cosa che trafiggerò saranno i vostri occhi se non collaborerete.» si schiarì la voce, avvicinandosi.

«A… alle spalle… a destra…»

«Sii più specifico.» lo strattonò Prosciutto, cercando di ignorare il sangue viscoso di quell’uomo che gli stava colando dalla guancia.

All’ennesimo sguardo vile di Risotto, l’uomo indietreggiò atterrito. «Vi prego! Non abbiamo niente, vi supplico!» urlò, coprendosi la guancia sofferente.

«RISPONDI ALLA DOMANDA!» sputò feroce Prosciutto.

«V-va bene… vi prego, non fateci del male! L’entrata per il personale è s-sulla destra, in fondo… dovrete salire le scale e arriverete agli sgabuzzini… vi ho detto tutto, per favore, risparmiatemi!»

Senza aggiungere altro, imbavagliarono con cura i due uomini e li trascinarono per un paio di metri, nascondendoli dietro i cespugli.
Mentre s’incamminavano verso l’entrata di servizio, Risotto si voltò di stizza verso il biondo, il quale sbuffò, come travolto da un’improvvisa rabbia. Lo vide passarsi ripetutamente la mano sul volto niveo e osservarsi le dita con ripugnanza; il sangue gli aveva macchiato la camicia giallo ocra che portava sotto il completo e anche parte delle ciocche bionde.

«C’è qualche problema?»

«Sto bene.» disse secco, le sue dita che cercavano disperatamente qualcosa dentro le tasche dei pantaloni.
Risotto allungò la mano verso il biondo, porgendogli un panno che aveva dentro le tasche interne del cappotto. Prosciutto nascose una smorfia e ringraziandolo con un cenno del capo prese il panno e si pulì quasi compulsivamente. L’uomo dagli occhi cremisi lo scrutò con lieve interesse, e quando smise di pulirsi, il biondo gli ridiede il panno, aspettandosi che anche il suo leader si pulisse le macchie di sangue.
Ma non lo fece. Al contrario, ripose il fazzoletto sporco di sangue dentro la sua tasca, e senza distogliere lo sguardo da Prosciutto si asciugò il sangue che aveva in volto semplicemente con il palmo della mano.
 


***


La villa era un complesso molto più grande di come immaginassero; di solito agivano in vicoli bui e stretti, o all’uscita di ristoranti e pub. Ma questa era la prima volta che avrebbero dovuto far fuori qualcuno a una festa con così tante seccature quali tutti quegli invitati. Avrebbero dovuto fare un lavoro pulito, senza lasciare tracce… non sarebbe stato per niente semplice.
L’atmosfera era inebriante, carica di luci, musica dal vivo e gente di alto bordo; aveva catturato l’attenzione sofisticata di Prosciutto. I suoi gusti erano particolarmente sopraffini e spesso questa caratteristica entrava in contrasto con gli altri membri del gruppo.  Anche in quell’istante, mentre aspettava furtivo l’uscita del ragazzo, Prosciutto non riusciva a distogliere i pensieri verso le facce disgustose che avrebbe adocchiato in quella villa: quanti volti, quanta gentaglia che avrebbe voluto deturpare con il suo stand; d’altronde, a distinguerli c’erano solo i soldi. Anzi, ne era certo… quella gente era di gran lunga peggiore rispetto ai suoi soci. Eppure, quei disgustosi uomini pieni di denaro e crimini avevano più soldi di quanto valesse il lavoro da sicario della sua squadra. Ne aveva parlato anche con il suo capo; il loro boss li trattava come dei pezzi di merda, pagandoli meno della metà e spesso fregandosene di agevolarli nelle missioni. Chiunque all’interno dell’organizzazione riceveva un ricavato più che decente, e neanche ci rimettevano la pelle.
Un rumore di risate lo riportò alla realtà, vide due donne salire le scale in lontananza, a stento si reggevano in piedi. Risotto aveva proposto a Prosciutto di separarsi e prendere in ostaggio due camerieri e andare alla ricerca di Spada, quindi Prosciutto aspettò che il cameriere dal fisico atletico e slanciato uscisse dal camerino, e quando lo vide uscire gli pressò sul volto un panno umido, aspettando che l’altro inalasse l’odore dolciastro e che perdesse i sensi. Lo caricò sulle spalle e prima di entrare nel camerino fu raggiunto da Risotto, che trascinava sulle spalle un altro corpo. Il gelo e la fermezza nei suoi occhi lo spinsero a ricambiare quello sguardo, prima di aprire di colpo la porta degli spogliatoi e infilarvisi dentro.
Quel camerino era la cosa più simile al loro covo a Napoli che poteva esserci in quella sofisticata villa d’epoca; il tanfo di muffa e polvere si mescolavano, il pavimento era macchiato dal passare degli anni. Una fila interminabile di cappotti divideva quella stanza piena di specchi, creando illusioni e corridoi infiniti. Le luci della stanza illuminavano le loro figure come in un palcoscenico, mentre i due sicari sistemavano i corpi esanimi dietro una torre di antichi bauli in pelle, custodie di strumenti musicali e scatoloni vari.
Restando in una bolla di silenzio, Prosciutto ogni tanto mandava qualche sguardo impassibile a Risotto, che quasi come se lo avvertisse, ricambiava sempre. Una calma imperscrutabile rivestì nuovamente il volto del biondo mentre cominciava a svestire la sua vittima, e dal lato opposto, un lampo di sorpresa attraversò il volto di Risotto quando tirò fuori dalla tasca dell’altro ragazzo un assorbente usato e insanguinato. Lo teneva in mano come una boccetta di vetro, quasi avesse paura si rompesse. Negli occhi era velato un leggero stupore misto a repulsione.

«Che schifo.» ringhiò Prosciutto, mentre le sue mani avevano ripreso ad armeggiare con la divisa da cameriere del ragazzo. Gli aveva già tolto i pantaloni, stava passando a rimuovergli il gilet e la camicia.
Risotto lanciò il tampone dietro di lui, iniziando a denudare il suo ostaggio.

«Vedi di non forzare troppo i bottoni della camicia. Non dobbiamo romperli, altrimenti risulteremmo poco professionali e desteremmo sospetti.»

Prosciutto annuì distratto, mentre, voltato di spalle, aveva già iniziato a togliersi la giacca scoprendo le spalle robuste e larghe. Il biondo fece istintivamente lo stesso, mosso da una strana frenesia. Sentiva di doversi strappare i vestiti di dosso, il caldo asfissiante li aveva attaccati alle sue carni e il sudore faceva da collante. Era restato di spalle per tutto il tempo, ogni tanto intravedeva la figura del suo capo dal riflesso dello specchio grande come quelli nelle sale da ballo.
Prosciutto era restato in intimo, ma d’istinto dovette voltarsi per raccogliere il cambio ai suoi piedi. Nel momento in cui fu costretto a guardarsi allo specchio, dall’altro lato Risotto si stava sfilando i suoi pantaloni a strisce bianche e nere, e con stupore Prosciutto notò che non stava indossando le mutande.
In quell’istante, un lampo di profondo sgomento attraversò gli occhi del biondo quando si soffermarono sul corpo nudo del capo, in particolar modo sulla sua zona pelvica. La bocca gli si schiuse in un’espressione sconvolta, il sangue gli fluì sulle guance e il suo respiro si fece pesante e affannoso. Prosciutto non poté ignorare il peso disagevole dell’imbarazzo che gli gravava nel petto. Sebbene volesse dimostrare di sentirsi a proprio agio e che non gliene fregasse un granché, non riusciva a togliere gli occhi di dosso dal corpo marmoreo di Risotto Nero e di tutto quello che ne seguiva: l'aspetto rigido e l’imponenza che traspariva dal suo volto, le sue gambe torreggianti, i glutei tondi e perfettamente sodi… e le molteplici cicatrici che deturpavano la sua schiena robusta. Nonostante ciò, dallo specchio Prosciutto spiava la sua espressione e sembrava che nulla lo scalfisse. Di colpo, successe che Risotto si voltò per raccogliere la camicia bianca del cameriere, e Prosciutto non poté far scivolare lo sguardo sul membro dell’uomo. Pur a riposo era di dimensioni notevoli, percorso da vene a rilievo, gargantuesco, quasi, e ricurvo verso il basso. Il sentimento di disagio e di un’inspiegabile invidia strisciava dentro le carni del biondo quando immaginò che Risotto non dovesse avere problemi a raggiungere angoli non troppo frequentati durante la penetrazione. E poi ancora, lo sguardo salì verso la base, dove un trionfo di peli chiari gli occupava in maniera non troppo invadente la zona pubica. Era un pene a dir poco sproporzionato, dal colorito era sano, leggermente più scuro, ma non quel rosso paonazzo che caratterizzava altri peni… come il suo. D’istinto una fitta gli attraversò lo stomaco, costringendolo a voltare lo sguardo. Rivoltante, ecco come si sentiva. Era impensabile che uno come lui si concentrasse su futilità simili. Prosciutto non si lasciava distrarre da chiacchere da spogliatoio, né pensava a paragonarsi agli altri, specialmente al suo leader. Ritornò di botto in posizione eretta, abbassando la testa immediatamente, perché non riusciva a mandare giù la sensazione di essere come un granello di sabbia nel deserto.
Risotto lo osservava impassibile dal riflesso, già da un bel po’ aveva sentito lo sguardo indagatore dell’altro. Prosciutto avvertì gli occhi vermigli dell’uomo posarsi su di lui, quasi come a scoccargli un’occhiata di sufficienza. L’ombra di una smorfia di frustrazione increspò le labbra del biondo, mentre si tirava su i pantaloni.

«Cosa c’è?» gli chiese secco Risotto, voltandosi verso di lui con ancora niente addosso. «Spero sia importante, qualunque cosa tu stia pensando.»

«Mi chiedevo solo…» esitò, cercando di mantenere la stessa fermezza nella voce. «Non… non indossi le mutande?» continuò, iniziando ad abbottonarsi la camicia allo specchio, ignorando lo sguardo dell’altro.
Risotto si voltò dopo un po’, e s’infilò i pantaloni della divisa. Passò poi a indossare la camicia che gli stava particolarmente aderente sulle spalle, e infine, il gilet nero. Alla fine guardò di nuovo Prosciutto e l’accenno invisibile di una smorfia confusa gli apparve sulle labbra.

«No.»
 


***


«Di questi tempi prendono chiunque per servire…»

Aveva commentato con sdegno uno dei presenti, dopo che Risotto era passato con un vassoio con antipasti vari di alta qualità. I suoi bulbi neri dalle iridi rosse non erano visti di buon occhio dagli astanti, che ogni tanto si scambiavano pettegolezzi, ma Risotto non ne veniva scalfito. Ciò nonostante, all’ennesimo commento, l’uomo fu tentato di conficcare dei chiodi sulla lingua di uno di quegli uomini solo per poter godere delle sue espressioni sofferenti.
Entrambi varcarono innumerevoli volte le sale, i saloni, le balconate, riconoscendo gli stessi i soffitti a cassettoni interamente decorati, i grandi lampadari di Murano. Passando per varie stanze, per fortuna, non ci volle molto prima che entrambi individuassero l’obiettivo. Era proprio come in foto: robusto, capelli oliati e pettinati all’indietro, di bassa statura, un aspetto ripugnante. Prosciutto fu il primo a notarlo mentre chiacchierava con altri figuri di alto rango, mentre la sua puttana se la rideva con un altro uomo. Tuttavia, la sua immaginazione non riusciva a focalizzarsi su altro che non fosse quella persecuzione che non voleva lasciargli la mente. Ogni volta che incrociava lo sguardo di Risotto non riusciva a ignorare quella folle tentazione di soffermarsi sulla sua zona inguinale. Più volte fu costretto a mordersi le labbra per essersi permesso di fare quei pensieri su di lui, con cui da anni aveva instaurato un rapporto di fiducia reciproca e rispetto.

«Che stai facendo? Sta andando via!» sentì la voce di Risotto echeggiare da dietro di sé. Tornando in sé, Prosciutto notò che Spada si era allontanato di metri, ormai. «Ma che hai stasera? Svegliati.»

Patetico, inverosimile, inconcepibile. Era così annebbiato da quei pensieri che per un attimo pensò di flirtare con una delle tante donne lì presenti per poter dare sfogo alle sue frustrazioni. Forse si trattava solo di questo, forse aveva solo bisogno di farsi una scopata.
Seguirono Spada fino alla sua camera, posta al terzo piano nella parte posteriore. Prosciutto notava come l’altro si soffermava a fissarlo, quasi studiasse i suoi movimenti.

«Prosciutto» lo richiamò severamente Risotto. «Occhi su Spada e basta, chiaro?»

Il biondo si trattenne dal voler schioccare la lingua con fare scocciato. «Chiaro.»
E con un movimento rapido, gettarono giù la porta. La stanza era illuminata dalla luce fioca del comodino. Il corpo dell’uomo era disteso sul letto, il corpo di una donna seduta sulle sue gambe si muoveva a un ritmo deciso, cavalcandolo con vigore. Alla vista dei due, urlò spostandosi di scatto e cadendo per terra.

«E CHI CAZZO SIETE VOI DUE?» sbottò l’uomo, coprendosi la pancia flaccida e il membro tozzo ancora eretto.
Alla vista del corpo nudo e del suo pene, un'improvvisa coltre d’ira travolse Prosciutto. Prima che Risotto potesse fermarlo, l’altro si era già buttato sul corpo di Spada iniziandolo a percuoterlo, con una forza tale che a ogni colpo di nocche sugli zigomi il sangue schizzava via a spruzzi, macchiandogli persino la divisa. Non era più in sé, era incontrollabile. Era come se quella vista avesse rovesciato tutto il restante buonsenso che aveva in corpo, anche le parole di Risotto gli arrivavano distanti e quando questi gli poggiò con decisione una mano sulla spalla, lui trasalì. Sgranò gli occhi blu con sgomento: lo aveva ucciso, ma non nel modo in cui andava fatto. Per sua fortuna, la prostituta accanto a sé aveva già perso i sensi per lo spavento.
Il petto del biondo si gonfiava a ritmi spezzati, le sue mani erano impregnate del sangue del nemico. Sentì Risotto avvicinarsi a passo lento e sospirare infastidito.

«Credevo non ti volessi sporcare troppo le mani.»

«Già.» disse freddamente Prosciutto, osservando il viscido uomo che aveva appena deturpato in volto… e il suo ridicolo, rivoltante e minuscolo membro scoperto e flaccido.
Un sorriso sornione gli si disegnò in volto.
   
 
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