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Autore: Alarnis    17/02/2022    3 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Troppo facile!

 
Bado alle ciance, era ora di andare! Solo un “Sta’ attento” di Braccioforte e un bacio sulla fronte da parte di Malia a mo’ di fata madrina.
Moros allungò le braccia fuori dal mantello “So’ che ti punge il suo tessuto…” sorrise dolce a quest’ultima. Sul suo viso regolare gli occhi apparvero di un color acciaio così lucente da sembrare appena levigato, come fossero specchio del cuore, mentre le stringeva entrambe le mani.
“Cosa mi tocca sentire.” rispose lei smaliziata, come se non bastasse un sorriso per farla cadere ai piedi di un uomo, ma lo stupì “Ti voglio alla mia locanda entro domani notte!” pose un veto da fiaba puntandogli l’indice al petto, sopra il cuore.
Lui sorrise, alzando tutti e due i bordi delle labbra. “Ad un invito così, non posso mancare?” accordò ironico: la voce allegra di chi sa’ distinguere un invito galante dalla ramanzina con cui l’avrebbe accolto se avesse tardato.
Si allontanò da loro assieme a ‘zio’ Adelberto, che si era offerto di proseguire un poco con lui.
Belinda quando furono a distanza, non paga del commiato, tentò di urlare sbracciandosi “Ciao, Mooo…”. La bocca le fu subito tappata dalle mani  di Malia, che comicamente la rimproverò di cucirgliela per sempre.
Lui e Adelberto non si voltarono più.
Ed ora entrimo nella grotta dell’orso!  prese un grosso respiro, mentre Adelberto aveva un’espressione di presa in giro: un sorriso che gli evidenziava le rughe sotto gli occhi, mentre con la mano destra mimava il gesto della codardia, allontanando e avvicinando le dita al pollice al detto “Pargolo, hai fifa?” e gli diede una pacca sulla spalla così forte che lo fece avanzare di tre passi; tanto che mancò gli sfuggisse il barile che si era offerto di spingere, che rotolò più spedito dei suoi passi.
“Avevo proprio bisogno di un aiuto!” disse Adelberto, quasi non fosse vero il contrario.
Moros non se lo sarebbe mai aspettato ma, da sempre sostenitore di re Iorio, Adelberto rese possibile l’impossibile e, senza neppure troppo sforzo.
Dopo un breve dialogo farcito di insolenze, gli aveva presentato tale Eugenio, un biondo omone panciuto, di una parlata farfugliante, a tratti animalesca, che sovrintendente alle scorte di Rocca Lisia, teneva in vero e proprio scacco i soldati che contavano sul suo buon rancio.
Nel regno di Eugenio, la dispensa, sarebbe stato momentaneamente al sicuro.
“E’ un amico di Malia!” chiarì Adelberto strizzandogli l’occhio.
Chissà come mai se l’aspettava, rifletté strusciandosi l’indice alla fronte. Certo che ne conosce di tipi strani quella? si disse.
“Avanti ragazzo, prendi questo!” l’aveva sollecitato Adelberto che aprendo la mano di colpo gli aveva gettato sul capo una manciata di farina; imbiancandogli i capelli e sbiancandogli il viso; sbeffegginadolo con un’insolenza per averlo così facilmente colto di sorpresa; come dicesse Che cosa vorresti fare tu? Ma fammi il piacere, pargolo!
Se la stava per scrollare ma le sue mani furono letteralmente inchiodate da Eugenio che bofonchiò “Co ff pri ff ti.. la teffsta!”.
Più di uno sputo di saliva gli arrivò sulla faccia.
Oddio, è disgustoso! pensò come se gli fosse arrivato lo stranuto di un grosso e peloso folletto di foresta addosso, ma visto l’entusiasmo di quei due ci rise sù e, l’umorismo gli venne in aiuto “Devo essere la portata di qualcuno?”. Eugenio rise a bocca aperta: i denti gialli e sbeccati belli in mostra. Le spalle che si alzavano in quelli che sembravano ripetuti spasmi di un singhiozzo.
La goffa camminata di Eugenio, ancheggiante per via di una gamba più corta dell’altra gli fu da esempio, per imitarne l’andatura.  Fu l’unica volta in vita sua, che Moros si augurò di assomigliare a qualcuno tanto goffo e di fisico così infece. Il fascio di stracci legato davanti alla pancia fecero il resto.
“Due gocce d’acqua!” rise Adelberto, fiondando insolenze.
Lui stesso avrebbe fatto fatica a distinguersi da quell’uomo, camuffato com’era.
“Nessuno infastidisce Eugenio!” e senza troppi complimenti, cogliendolo di nuovo alla sprovvista, Adelberto lo imboccò con una grossa cucciaiata di minestra, che gli fece solo dire “Mmmm. E’ buonissima!”, per confermare “E hanno ragione a tenerselo amico!”. Però, potrei trovare Nicandro ingrassato? riflettè, divertito.
Mentre gustava quella squitezza che gli era stata concessa in bocca, vide Eugenio andare ad una cesta di corda e alzare con garbo uno straccio. Sotto c’erano alcuni gattini di pochi giorni. L’uomo si assicurò gentile stessero bene, spostandoli uno da sopra all’altro per distanziarli, attento che non gli sgusciassero dalle grosse mani ciciotte; accarezzandoli, per poi ricoprirli con cura.
Aiuta anche loro, pensò Moros. Era proprio vero: un eroe ha molte sembianze.
Eroe è colui che compie gesti gentili, rifletté.
Fu così che entrò nella parte padronale da Eugenio, per poi lasciarne gli abiti e, ritornare Moros.
Rivestito il proprio consunto ma preferibile mantello… L’epilogo del suo viaggio aveva inizio!
Com’è che ci si sente a percorrere i corridoi di un castello che non si conosce? Una soglia nemica ostile e perigliosa?
Non ci pensò!
Corse e basta, maledicendo ad ogni svolta la possibilità di trovarsi di fronte ai soldati di Gregorio.
“Cappuccio sulla testa!” e, una pausa di Malia prima di puntualizzare nel lasciarlo,  “Sempre”, fino a esplodere seccata “Bhe! Ci siamo capiti… Non farti vedere o ti taglieranno il collo!”: aveva gesticolato, restia al solito contatto con il dozzinale tessuto, con le mani che sembravano zampette impazzite “Sei abituato ai boschi.. perciò sii un’ombra!” l’aveva rimproverato, come se fosse così imbecille da farsi annunciare dal suono del corno.
Seguì quel consiglio. Il cappuccio abbassato sul volto, il passo felpato di un lupo.
Qualche rientranza del muro gli fu provvidenziale, quanto le ombre che ormai si impadronivano degli androni; lo stesso rumoreggiare della truppa, chiassosa nel cortile, contribuiva a schermarne il passo.
Eppure, più d’un volta trattenne il fiato. Più di una volta sentì di essere in procinto di essere scoperto.
Davvero era così facile entrare in un castello?
Stranamente, lo sembrava.
Era accaldato.
Si abbassò sulle spalle il cappuccio e si sfregò il collo sudato.
La tensione lo stava uccidendo.
Vivremo nella foresta e io farò il taglialegna. aveva da sempre programmato l’avvenire suo e di Nicandro. Un sogno banale ma così confortante, perché era nei castelli che viveva la strega cattiva, non di certo nel bosco con i buoni nani, anche se Nicandro del folto del bosco aveva comunque paura e si copriva gli occhi come se bastasse chiuderli per fuggire dal buio.
Lui credeva ancora in quel sogno!
Ricordò tuttavia la verità inoppugnabile con cui s’era dovuto confrontare in quel viaggio e che non s’era rifiutato di ammettere: parole sue “Quella era la spada di un nobile signore, non di un contadino….”.  Come la più vera di tutte. “Ed io, non sono un eroe…” per lo meno un eroe nel senso più pratico del termine: quelli che salvano le principesse per intenderci.
“Guarda che Nicandro non è la tua pulzella!” aveva una volta arricciato il naso una giovanissima, quanto fastidiosa, Lavinia. Insofferente di trovarselo tra i piedi e, da brava antipatica qual’era, non si era fatta remore di punzecchiarlo. Lui le aveva risposto per le rime “Di certo non parli per esperienza.”. Gregorio, attorniato dall’immancabile scorta, il gomito poggiato sul ginocchio, tanto divertito da proibire a Bastiano di intervenire, alzando l’avambraccio e la mano in un gesto di freno, per non perdersi quello che spesso definiva  il teatrino spassoso; anche se Ubaldo e Vittorio intimavano di fargli pagare l’offesa, il primo pacato, il secondo rabbioso , mentre Mavio stoico non commentava.
Posso farcela, si disse, ritornando al presente, riportando in capo il cappuccio del mantello, prima che…
Ubaldo?!? Non ci voleva! pensò, quando lo vide arrivare in sua direzione dal fondo del corridoio.
Moros fiancheggiò l’angolo del muro. Un punto morto. Buio più della notte, rispetto alla luce che ancora padroneggiava l’intero passaggio per via di una finestra. I fasci di pulviscolo che danzavano nell’aria come sabbia d’oro.
Ubaldo avanzava.
Prenderlo di sorpresa? Colpirlo?
Sarebbe stato un azzardo.
E se l’avesse catturato? Costretto ad indicargli la via per Nicandro…
Decise di istinto, quando il soldato gli sfilò accanto.
Si dette più slancio che potè per saltargli addosso come un felino di montagna.
Ce l’ho fatta!  esultò  in un primo momento. Eppure quando intuì che le sue mani avessero mancato l’obbiettivo, si ritrasse fulmineo, sbilanciandosi all’ indietro, riportandosi nell’ombra; irritato dal mantello che sembrava aver compromesso il suo attacco, intralciandolo nei movimenti e facendogli annaspare l’aria.
In un gesto rabbioso di entrambe le mani si liberò il capo. Le orecchie attente ad ogni minimo rumore.
Ho calcolato male la distanza? si disse fradicio per il sudore; tanto stagliato addosso a quel muro da poterci finire all’interno. Il terrore di aver fallito; anzi di essere perduto.
Ubaldo passato oltre si era girato; aveva assotigliato lo sguardo, ma aveva proseguito di qualche passo.
Moros, sei uno stupido! s’era detto. Aveva rischiato di rovinare tutto. Altro che felino!
Ubaldo portò il braccio al lato del capo: era voltato ma probabilmente sfregava gli occhi, infatti ammise “Dovrei riposare!”. “Questi turni sono massacranti!”. Precisò “Ragazzi miei, dovrei proprio dirvi che sto’ invecchiando!” si premette con il braccio sinistro la spalla destra per rinfrancare i muscoli.
Moros fece l’opposto: non ne mosse uno.
Il soldato andò all’unica finestra: nessun vetro, ma un’inferriata. Con un movimento rilassato poggiò i gomiti sul davanzale e sui polsi delle mani il mento, guardando all’esterno.
Silenzio.
Ubaldo assaporò l’aria salubre che soffiava dall’esterno. Alzò la linea del mento. La fronte al sole, con l’immancabile fascetta rossa che gli cingeva la fronte come un anello.
“Qui è diverso da Raucelio!” constatò il soldato. Un timbro nostalgico della voce, mentre sembrò rievocare mentalmente quei luoghi.
Parlava a se stesso.
Silenzio.
“Perché siamo giunti a questo punto?” scandì Ubaldo: la voce sempre neutra.
Cambiò il tono.
“Allora, Moros?” precisò crudo “Perché sei tu, quella figura nell’ombra?”.
Si voltò in sua direzione.
Un rivolo di sudore calò dal capo di Moros lungo lo zigomo. Restò muto, ma già sapeva che Ubaldo non era avversario da sottovalutare. Di pochi anni più vecchio di quando l’aveva lasciato: il solito viso triangolare quasi più emaciato, con le basette a mezza guancia e il pizzetto sulla punta del mento. Il fisico sempre asciutto ma nerboruto.
Moros uscì dall’ombra: quasi il viso di un bambino colto in flagrante.
“E’ sorprendente non mi sia accorto della tua presenza.” avvertì Ubaldo, dandogli merito.
Moros riconobbe gli fosse stato amico… Un tempo era stato lui a condurlo dai signori di Raucelio, i Montetardo, come avrebbe fatto ora del resto, era chiaro come il sole!
“Ti porterò da Nicandro, ma questa volta non ti aiuterò a salire!”.
Ecco ora sì, aveva la conferma che non era facile entrare in un castello, salvo che da prigioniero!
   
 
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