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Autore: SelfPreservation    24/02/2022    0 recensioni
"-Ehi, scusa, hai da accendere?- una voce maschile, roca, dall'accento cantilenante, irruppe nella sua mente allontanando i ricordi e la sofferenza che questi portavano con sé, il cuore perse un battito prima di riprendere a correre, ma più lentamente. Matilde aprì gli occhi trovandosi davanti uno sconosciuto con i capelli color cenere arruffati, l'espressione smarrita e annoiata di chi vorrebbe essere altrove."
"L'atmosfera era diventata elettrica, Matilde si domandò se avesse dovuto dire qualcosa ma scelse di rimanere in silenzio, se si era avventurato in giro per Sanremo alle tre del mattino forse anche lui cercava un po' di solitudine e pace almeno quanto lei.
-Ti ringrazio, buona serata- la voce questa volta era ancora più roca della precedente, complice la sigaretta. Matilde si voltò trovandolo già di schiena, le mani in tasca e il passo lento di chi gironzola senza meta per sbollire i pensieri. "
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tramontana

 

Era notte fonda, a Sanremo. Una notte umida come raramente si provavano nella culla ligure, al confine con la Francia, il freddo oltrepassava gli strati dei vestiti leggeri di chi auspicava una primavera anticipata. A febbraio sognavano già il sole, le temperature miti, il profumo degli alberi in fiore che a Milano e Torino non avrebbero potuto osservare per almeno un altro mese. Erano stati traditi, invece, da un vento di tramontana che agitava gli alberi della passeggiata sul mare, dalla brina sulle foglie e sul mancorrente in metallo, freddo al tatto, dal silenzio surreale che accompagnava le prime giornate di febbraio.

Quella notte non faceva eccezione, a riparare Matilde dall'odiata tramontana non bastava un cappotto nero di lana, pregiato -un tempo- prima di essere chiuso per anni dentro un armadio ad assorbire polvere, né la pesante sciarpa, anch'essa di lana, acquistata in una bancarella il giorno prima. Ella guardava il mare incresparsi, il blu profondo dai riflessi pallidi a causa dei lampioni a led mescolarsi con il bianco delle onde sulle pietre scure che sostituivano la sabbia, le mani sprofondate nelle tasche alla ricerca del calore di tanto in tanto si sollevano per spostare qualche ciuffo ribelle mosso dal vento. Gli occhi chiari invece, di un verde offuscato e stanco, rimanevano fissi sulle onde. Anche Matilde era una dei turisti sfuggita alla nebbia padana e rifugiatasi al mare alla ricerca del calore, del profumo della salsedine misto a quello dei fiori che decoravano ogni giardino e che abbondavano nella via principale. A differenza degli altri Matilde non cercava la folla, anzi, di quel silenzio surreale e dell'inaspettato vuoto della città dei fiori si beava come di una fonte d'acqua dopo giorni nel deserto.

Scostò la mano destra dalla tasca e inizio a frugare all'interno della borsa, nulla avrebbe reso quel momento perfetto quanto un tiro delle sigarette che aveva promesso di non toccare più ma che da qualche giorno erano tornate ad essere le sue fedeli compagne. Frugò inutilmente, il pacchetto era rimasto sul davanzale della finestra della sua camera d'hotel, tra le mani le rimase soltanto un accendino da cinquanta centesimi comprato chissà dove. Ci giocò per qualche istante, gli occhi che alternavano la direzione tra il mare e la fiammella, prima di tornare con le braccia appoggiate sulla ringhiera ad osservare l'orizzonte. Avrebbe voluto scendere in spiaggia, sentire la ruvidità dei sassi sotto i piedi, il fastidio di quelli più grandi e dalle forme irregolari contro cui per anni aveva lottato per la paura di scivolare. Sembravano passati secoli, dall'ultima volta. Al primo ricordo chiuse gli occhi, come se quel gesto fosse sufficiente a scacciare le immagini, a riporle nel cassetto più lontano della mente, mentre queste, imperterrite e battagliere l'aggredirono con forza. Il respiro accelerato, le mani strette a pugno, e il cuore che invece di rallentare aumentava la sua corsa quasi fosse esso stesso il primo a voler raggiungere ancora una volta quei ricordi.

-Ehi, scusa, hai da accendere?- una voce maschile, roca, dall'accento cantilenante, irruppe nella sua mente allontanando i ricordi e la sofferenza che questi portavano con sé, il cuore perse un battito prima di riprendere a correre, ma più lentamente. Matilde aprì gli occhi trovandosi davanti uno sconosciuto con i capelli color cenere arruffati, l'espressione smarrita e annoiata di chi vorrebbe essere altrove. Nelle mani si rigirava una sigaretta appena fatta, sulle dita della mano destra aveva ancora qualche residuo di tabacco. A colpirla fu il look eccentrico e leggero, un paio di jeans slavati, leggermente a zappa, un maglioncino azzurro di cotone e sopra una giacca di pelle marroncina, troppo leggera persino per la primavera inoltrata.

-Scusami?- ripeté Matilde schiarendosi la voce e staccandosi dalla ringhiera.

-Ti ho chiesto se hai da accendere- rispose di nuovo il ragazzo che doveva avere massimo una trentina d'anni alzando la mano che stringeva la sigaretta. Giusto, l'accendino. Matilde annuì e glielo porse aspettandosi che lo afferrasse ma il ragazzo scosse la testa, si infilò la sigaretta tra le labbra e le fece cenno di procedere. Era strano quel ragazzo, sicuramente non l'incontro che si aspettava di fare nella inoltrata notte d'inverno sanremese. Egli inspirò, si scostò una ciocca dalla fronte portandosela dietro le orecchie e le fece un cenno con la testa. Matilde ripose l'accendino nella tasca e torno con lo sguardo al mare, non sentendolo più pensò che il ragazzo se ne fosse andato, che avesse continuato la passeggiata verso chissà dove o si fosse incamminato nella direzione da cui silenziosamente era arrivato. Le bastò scostare di poco la testa per accorgersi che non aveva fatto nessuna di quelle cose, era ancora lì con una gamba piegata sul sedile di una panchina in pietra, il braccio con la sigaretta piegato su questa, l'espressione corrucciata e il volto verso il cielo stellato. L'atmosfera era diventata elettrica, Matilde si domandò se avesse dovuto dire qualcosa ma scelse di rimanere in silenzio, se si era avventurato in giro per Sanremo alle tre del mattino forse anche lui cercava un po' di solitudine e pace almeno quanto lei.

-Ti ringrazio, buona serata- la voce questa volta era ancora più roca della precedente, complice la sigaretta. Matilde si voltò trovandolo già di schiena, le mani in tasca e il passo lento di chi gironzola senza meta per sbollire i pensieri.

-Ehi- lo richiamò, stupendosi quasi della sua voce e di come suonasse più bassa e rotta del solito, stupì anche lui il quale impiegò qualche secondo prima di girarsi. -Hai una sigaretta?- il ragazzo trattenne a stento un sorriso prima di infilare una mano nella tasca della giacca e porgerle un pacchetto quasi distrutto e stropicciato di Marlboro rosse, Matilde ripeté il gesto di poco prima e inspirò a sua volta prima di fare un passo indietro.

-Ti ringrazio, buona serata-. Questa volta il sorriso del ragazzo fu spontaneo, durò qualche secondo ma Matilde penso che quel sorriso storto lo rendesse più fanciullesco, quasi infantile, rispetto all'espressione matura e tormentata che aveva osservato prima. Si studiarono ancora per qualche istante prima che il ragazzo la salutasse con un gesto della mano e si voltasse nella direzione opposta alla sua, inghiottito poco dopo dall'oscurità della notte.

 

Il giorno seguente Matilde si svegliò tardi, con la faccia gonfia, i capelli disordinati e le occhiaie blu a mettere in evidenza il pallore del suo viso. Al di là della finestra decorata in stile liberty era finalmente tornato il sole e il mare tormentato della sera prima aveva lasciato il posto a una macchia d'olio, immobile. Il telefono in silenzioso sulla credenza le ricordò, come ogni giorno, il motivo di quella fuga, a quanti obblighi si stesse sottraendo, quante persone la stessero tempestando di telefonate in attesa di un suo ritorno che non sarebbe avvenuto tanto presto. Lo spense definitivamente prima di vestirsi e uscire dall'hotel in cerca di aria fresca.

Quel giorno percorse Sanremo in lungo e in largo, salì sulle colline da cui poter osservare la baia, lungo la strada in salita venne rapita dalle botteghe con le insegne in dialetto, scritte in corsivo su targhe rovinate dal vento e dal sale, passò davanti all'ospedale per la discesa che l'avrebbe portata ancora una volta nel cuore pulsante della cittadina. A pranzo si fermò in una boulangerie dall'arredamento e musica francese, era nuova, non l'aveva mai vista prima e forse fu proprio il profumo della novità a farle spingere la porta. Gustò un éclair al cioccolato e una lemon tart sulle sedie di legno dipinte di rosso del dehors esterno, un paio di occhiali grandi e scuri a coprirle il volto e un libro che non aveva mai avuto tempo di leggere in mano.

“Il piacere”, Gabriele d'Annunzio.

Era facile far fluire le giornate, i pensieri non si accavallavano, la mente era impegnata, persino il cuore di giorno sembrava più leggero. Il naso si perdeva tra i profumi e gli occhi rincorrevano i colori; era come se il tempo fosse sospeso in una realtà parallela in cui non esistevano i rimpianti, le parole non dette, gli abbracci che non sarebbero più tornati. Di giorno sembrava che la vita non si fosse mai interrotta e Sanremo era abbastanza grande affinché la sua presenza passasse inosservata, una fra tante.

A cena decise di fermarsi in hotel, la sala da pranzo era occupata per lo più da uomini e donne con i capelli bianchi, le pelli rugose di chi ha attraversato diverse primavere e gli occhi ancora luminosi di chi vorrebbe superarne altrettante. Quando il cameriere passò a prendere l'ordinazione rimase quasi interdetto, forse sorpreso di confrontarsi con capelli biondi e un volto fresco ma meno luminoso di una ragazza poco più che ventenne. Dopo averle letto il menù la guardò con le mani dietro la schiena e in volto un'espressione di scuse.

-Se vuole posso farle preparare qualcos'altro, stamattina dovrebbero essere arrivate delle trofie fatte a mano dal convento di una frazione qui vicino, posso andare in cucina e-

-Non si preoccupi- lo interruppe Matilde srotolandosi il tovagliolo sulle ginocchia -Il riso andrà benissimo.- durante la cena si sentì osservata e più volte sentì il bisogno di nascondere il viso arrossato dall'imbarazzo dietro un calice di vino rosso nella speranza che qualcuno degli anziani turisti si rendesse conto di essere un po' invadente. Prima di abbandonare la sala qualcuno accennò un saluto con la mano, ella ricambiò esitando, cortese ma timorosa della conversazione che avrebbe potuto innescare, prima di varcare la soglia della sala e tornare a rifugiarsi nella sua stanza. Con una candela accesa sul comodino e il libro di D'Annunzio sulle gambe si promise di non uscire da quella stanza, di provare a dormire almeno una notte, di allontanarsi da quel luogo che le aveva provocato così tanta gioia in passato ma che ultimamente non faceva che ricordarle quanto tutto quello non esistesse più. Nemmeno in futuro sarebbe ritornato, ed era la cosa che più le suscitava sofferenza.

Si svegliò nel cuore della notte, le lenzuola sudate e umide nonostante la stanza fosse gelida, le tende bianche che sbattevano contro la finestra dimenticata socchiusa da cui entrava l'immancabile e odiata tramontana. Si passò una mano tra i capelli ancora legati, la nuca era bagnata a causa del sudore e qualche goccia le percorse persino la schiena. Stette a gambe incrociate su letto, la coperta pesante abbandonata sul pavimento forse a causa del dimenarsi delle sue gambe poco prima, per minuti eterni. Il respiro affannoso, il ritmico abbassarsi e alzarsi del suo petto come dopo una corsa a perdifiato. Per qualche istante non si rese conto di cosa fosse successo, pensò fosse colpa della finestra aperta, che avesse sbattuto a causa del vento spaventandola, poi sentì un rumore di vetri infrangersi sul fondo di un bidone e incolpò quelli. A un tratto lo percepì distintamente nelle orecchie, quel mormorio indistinto, il respiro roco e affannato, quella fame d'aria che da notti le rimbombava nelle orecchie senza darle tregua. Era lui, sempre il solito incubo, quello che al solo pensiero le riempiva il corpo di brividi e la faceva tremare come una foglia. Sempre lui.




Grazie di essere arrivati fino a qui e aver scelto questa storia, spero vi sia piaciuta. Vi aspetto, se vi va, per qualche commento. 

Al prossimo aggiornamento, 
Clorinda <3

   
 
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