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Autore: Imperfectworld01    28/02/2022    1 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Trentotto.


Dopo essermi rimessa definitivamente in sesto durante il fine settimana, lunedì ritornai a scuola. Non avrei mai pensato di dirlo, ma quasi mi era mancato andarci, dopo quei quattro giorni trascorsi in casa ad annoiarmi e a crogiolarmi nei miei tormentati e contorti pensieri.

Avevo bisogno di una distrazione dalle mie varie distrazioni.

E poi ero felice di rivedere le mie amiche, specialmente Irene.

«Ciao, ragazze» le salutai non appena arrivai in classe insieme a quest'ultima.

«Nina!» esclamarono in coro, prima di correre ad abbracciarmi.

«Che bello che sei tornata! Stai bene ora?» domandò Angelica e io annuii: «Sì, l'influenza è passata, ora ho soltanto un leggero raffreddore, ma nulla di grave. Pensate che per i primi giorni il mio letto era letteralmente sepolto da tutti i fazzoletti che usavo» spiegai, con una piccola risata.

«Dai, così sabato possiamo ci sarai anche tu» intervenne Eva. «I ragazzi ci hanno invitato ad andare al cinema a vedere Flashdance, che esce proprio in questi giorni!» esclamò.

«Ah, sì, vero! Ma sicuramente Vittorio te l'avrà già accennato» aggiunse Sabrina.

Storsi leggermente il naso.

No, Vittorio non mi aveva detto un bel niente.

«Sì, ovvio» mentii. «E com'è andata questo sabato invece? Vi siete trovate bene?» domandai.

Vittorio non si era sprecato più di molto a raccontarmi del sabato sera trascorso con le mie amiche. Si era limitato a un: «Sì, il solito, ci siamo divertiti», perciò volevo sapere cosa ne pensassero loro.

Angelica prese la parola per prima. «Moltissimo! Avresti dovuto esserci, davvero. Siamo andati sui Navigli a fare un giro e a bere un po' a riva della Darsena. C'era un sacco di gente della nostra età, e...»

«Dai, racconta la parte più bella!» si intromise Eva, prima di raccontarla lei stessa. «A un certo punto due ragazzi di un altro gruppo accanto al nostro si sono tolti i vestiti rimanendo solo in mutande e si sono gettati dentro l'acqua!» esclamò euforica, e tutte le altre cominciarono a ridere al solo ricordo.

«Per di più faceva freddissimo, non oso pensare che genere di malanno si saranno presi dopo» considerò Irene.

«Fabio e Giovanni poi si sono messi a scommettere e hanno lanciato una moneta per decretare chi dei due dovesse tuffarsi a sua volta» proseguì il racconto Sabrina, e la cosa non mi stupiva affatto, conoscendo Giovanni.

«Sarebbe toccato a Gio, ma all'ultimo se l'è fatta sotto e si è tirato indietro» disse Angelica, continuando a ridere insieme alle altre.

«Ah, poi per poco non c'è stata una rissa fra due gruppi di ragazzi» fece Irene, e io sgranai gli occhi. «Erano più grandi di noi, ed erano ubriachi marci da far schifo. Uno di loro aveva gettato una bottiglia di birra contro un altro ragazzo, ma aveva preso male la mira e per poco non colpiva uno di noi. Monica si è messa a piangere per lo spavento, e a quel punto abbiamo deciso di tornare tutti a casa» spiegò Irene, e sperai che il discorso a quel punto fosse chiuso.

Ma non lo era.

«Già, lei è un po' esagerata» commentò Angelica. «Probabilmente l'ha fatto solo per attirare l'attenzione. Infatti subito dopo i ragazzi sono accorsi da lei per tranquillizzarla.»

«Dai, non dire così. Anche io ero sul punto di piangere, non avevo mai assistito a una scena del genere in vita mia» disse Irene.

Istintivamente pensai a Filippo, e a quante scene del genere avesse magari vissuto sulla sua stessa pelle. Sentii subito una stretta al cuore al solo pensiero.

Immediatamente dopo me la presi con me stessa per il fatto che stessi pensando ancora a lui.

Non c'entrava un accidente con quel discorso, perché cavolo doveva venirmi in mente?

Angelica scrollò le spalle, senza dire nient'altro. Poco dopo però riprese la parola per ricordare un altro aneddoto di quella serata, a cui ne seguì un altro, e poi un altro ancora.

Wow. Sembrava mi fossi persa davvero una serata indimenticabile, tanto che non riuscirono a parlare d'altro che non fosse quello.

Per. Tutto. Il. Giorno.

Non è che non ero felice per loro e per la bella serata che avevano trascorso, solo che... solo che ne parlavano di continuo, dimenticandosi del fatto che io non ci fossi stata e che invece me n'ero stata chiusa in casa con la febbre e altri mille problemi di salute e di cuore (anche se di questi ultimi non ne erano a conoscenza).

Dopo un po' divenne pesante sentirle parlare solo di quello, rimembrando momenti ed episodi che avevano vissuto solo fra di loro e che perciò per me costituivano un motivo di esclusione dai loro discorsi.

Mi sentivo totalmente tagliata fuori. Solo perché mi ero persa una serata. Una singola serata. In più da come parlavano di tutti sembrava quasi che li conoscessero meglio di me.

Sicuro erano più integrate di quanto lo fossi io, dato che già erano state invitate alla prossima serata, senza che a me fosse stato detto nulla.

Probabilmente erano più simpatiche, più solari, più appariscenti di me, che invece me ne stavo sempre in un angolino, incazzata col mondo, e parlavo sempre con le solite due o tre persone.

Avrei dovuto essere felice per il fatto che loro invece si trovassero così bene, in fondo era una cosa positiva. Ma non lo ero. Mi dava fastidio. Anche perché era solo grazie a me che si erano conosciuti.

Ero io a fare da collante fra i due gruppi, eppure non sembravo più così tanto indispensabile. Praticamente non servivo a nulla, e nessuno durante quella serata aveva sentito la mia mancanza, ci avrei messo la mano sul fuoco.

Ero certa anche che dalle prossime volte loro sarebbero state molto più a proprio agio di me a stare con tutti gli altri, e che io mi sarei invece sentita fuori posto.

Quando finalmente quella giornata di scuola giunse a termine, anche i discorsi su quel maledetto sabato sera cessarono.

O così speravo. Nemmeno mi capacitavo del perché continuassi ingenuamente a illudermi che non ne avrei più sentito parlare.

Una volta che io e Irene ci trovammo insieme sul tram, dirette verso casa, la mia amica riaprì infatti il discorso: «Sai, non me la sentivo molto di parlarne mentre eravamo con le altre, ma sabato... ecco, mi sono fatta un'altra idea di Vittorio. O meglio, è praticamente ritornata quella iniziale. Cioè, non nel senso che lo idealizzo nuovamente, ma nel senso che... che forse ancora un po' mi piace» disse, impappinandosi un po' con le parole per via dell'agitazione.

«Già, l'avevo capito da come ti sei esaltata sabato pomeriggio non appena hai sentito la sua voce dall'altra parte del telefono» feci sarcastica, e quel commento poco carino nei suoi confronti mi costò di perdere l'equilibrio e rischiare di cadere a terra dopo una brusca frenata del tram.

Era proprio vero che la cattiveria tornava sempre indietro. E io ne stavo accumulando parecchia da tutto il giorno.

«Sì, ma a parte quello... dopo ha anche voluto parlarmi al telefono e invitarmi personalmente! Insomma, perché avrebbe dovuto farlo? In fondo pensavo che lui e gli altri avrebbero voluto uscire insieme a noi solo se ci fossi stata anche tu, dato che è grazie a te se i gruppi si sono uniti... che fretta c'era a invitarci per forza sapendo che tu non saresti potuta venire?» domandò, e un po' mi rincuorò il fatto che anche Irene la pensasse come me sotto quel punto di vista.

Pensavo di essere io pazza. O paranoica. Oppure malsanamente invidiosa. No, forse l'ultima cosa era vera, purtroppo.

«Non lo so, me lo sono chiesta anch'io a dirla tutta» risposi in tutta onestà.

«Ma Vittorio non ti ha raccontato nulla?» chiese fissandomi con due occhi così grandi e imploranti che con ogni probabilità facevano parte di una sua strategia per riuscire a estrapolarmi qualcosa.

Sebbene fosse molto tenera, però, non avrei ceduto.

Mi ero data una regola: per evitare problemi fra di loro, che erano entrambi miei amici, e anche per evitare di andarci io di mezzo, avrei ascoltato entrambe le campane ma non mi sarei mai intromessa né avrei fatto da intermediaria. A lei non avrei detto ciò che mi riferiva Vittorio, e con lui avrei fatto lo stesso.

Volevo che fossero loro a gestirsela.

«No, in realtà nulla di che. Poi non ci siamo parlati molto in questi giorni, sono stata quasi tutto il tempo rinchiusa in stanza» risposi, che poi non era neanche una bugia.

«Uffa» sbuffò Irene. «Comunque sabato mi sembrava di nuovo come mesi fa. Ora che l'ho visto in mezzo ai suoi amici, non era più così tanto a disagio come quando eravamo noi due da soli l'altra volta, e ho avuto modo di vederlo per com'è davvero. Insomma, l'ho visto meno timido e più "sbloccato", e sembrava quasi che cercasse ogni buona occasione per parlarmi!» esclamò con occhi sognanti.

Aprii la bocca per risponderle e darle il mio parere, ma lei non me ne lasciò il tempo: «Sì, lo so, ora mi dirai che non devo fasciarmi la testa e devo evitare di partire in quarta. Cercherò di restare coi piedi per terra questa volta e di non malinterpretare ogni minuscolo gesto o parola» disse, con un tono più serio e anche un po' malinconico. In fondo Vittorio l'aveva già presa in giro e ferita in passato, e Irene non era stupida. Per quanto le piacesse, non voleva rischiare di rimanerci male di nuovo.

Mi dispiaceva vederla così: euforica in un primo momento, disillusa quello successivo per paura di scottarsi di nuovo. E per di più sapevo che quei segnali che lei aveva colto la portavano sulla strada giusta, perché Vittorio mi aveva confessato di avere un piccolo interesse nei suoi confronti.

Avrei benissimo potuto lenire quel suo stato d'animo e rassicurarla, ma andava contro ciò che mi ero ripromessa di fare... A pensarci meglio, però, io in prima persona avrei voluto una mano da parte di una terza persona, che mi aiutasse a fare chiarezza sulla situazione fra me e Filippo. Avrebbe reso le cose più semplici, quindi che cosa c'era di sbagliato?

Sbuffai. «Uff, e va bene! Mannaggia a te Irene, te l'avevo detto che non volevo intromettermi, ma... ma Vittorio mi ha detto che ci vuole provare con te» vuotai il sacco e gli occhi di Irene si riempirono di gioia e speranza. «Seriamente? Oh mio Dio, non ci voglio credere! Non potevi darmi notizia migliore di questa!» esclamò, gettandomi le braccia al collo.

«E... e Filippo, invece? C'era anche lui sabato, giusto? Né tu né le altre me l'avete nominato finora, il che è strano dato che loro sembrano essere le sue fan più accanite, e per di più non avete parlato di niente che non fosse sabato per tutto il giorno!» dissi con una risata, fingendo che la cosa non mi importasse più di tanto.

Irene rimase qualche secondo in silenzio per riflettere. «Sì, c'era anche lui, ma non penso abbia fatto chissà quale buona impressione sulle altre. Era piuttosto taciturno, se ne stava molto sulle sue quella sera. Anche con i suoi amici ha scambiato forse quattro parole in croce» rispose, e la mia mente malata non poté fare a meno di pensare che fosse giù di morale solo perché gli dispiaceva che io non fossi lì quella sera. Dopo un secondo mi diedi un pizzicotto sull'avambraccio per darmi una svegliata e mettermi in testa che non ero il centro del suo mondo, e che se se ne stava per conto suo era perché aveva sicuramente problemi molto più seri a cui pensare.

Una parte di me, poi, voleva quasi dire la verità a Irene, confessarle finalmente ciò che provavo per lui, ma l'altra parte non ne aveva il coraggio. Non appena provai ad aprire la bocca, poi, mi resi conto di dover scendere dal tram, e lo interpretai come un segno che dovevo tenermelo per me.

*

In confronto alla noia e alla monotonia di quei quattro giorni trascorsi in casa da sola, la settimana successiva alla mia guarigione mi sembrò passasse molto più rapidamente, per via di tutte le cose che avevo da fare fra la scuola, lo studio, i piccoli mestieri in casa e la danza.

E così sabato arrivò in men che non si dica.

A dirla tutta non avevo aspettato altro per l'intera settimana. Sia perché non vedevo l'ora di uscire e fare qualcosa il sabato sera, sia perché speravo di rivedere finalmente Filippo.

Anzi, specialmente il secondo motivo. Nonostante i miei tentativi di autoconvincimento, infatti, non ero riuscita a cancellare ciò che provavo per lui. Mi ci sarebbe voluto più tempo, e magari anche più impegno e rigore.

Però volevo vederlo...

Volevo vederlo e volevo passare del tempo con lui. Il cinema non era di certo il luogo più adatto per relazionarsi con qualcuno, ma a me sarebbe bastato anche solo avercelo di fianco e fissarlo di soppiatto. O sfiorare le sue mani accidentalmente (ma anche un po' di proposito) nel tentativo di prendere dei popcorn dal sacchetto. O bisticciare con lui per via degli stupidi commenti stupidi che ero certa avrebbe fatto durante il film, disturbando tutti dentro la sala.

Oppure...

«Nina, ti ho già detto che mi dispiace, ok? Non pensavo che te la saresti presa pure per questa cosa!» esclamò Vittorio, riscuotendomi dai miei pensieri.

Mi ero totalmente distratta nel mentre che stavo avendo una discussione con lui, una discussione che per giunta avevo iniziato io.

Gli avevo fatto notare che non era stato carino che avesse avvisato prima le mie amiche di me di quello che sarebbe stato il prossimo ritrovo della compagnia.

«Pure per questa cosa? Lo dici come se fosse qualcosa di eccessivo e ti stessi rompendo le palle senza ragione» mi lamentai, nel mentre che ci avviavamo verso la biglietteria del cinema multisala Odeon.

«Sì, perché ultimamente non posso più dire o fare niente che tu vedi l'ago nel pagliaio e ne fai una questione esistenziale!» sbottò. «Due biglietti per Flashdance» disse poi al bigliettaio, allungando una banconota.

Esitai un attimo prima di rispondere. Era vero. Non sapevo cosa ci stesse prendendo nell'ultimo periodo. Prima, nonostante le differenze caratteriali, riuscivamo sempre a trovare un punto d'incontro; adesso trovavo sempre qualcosa di ridire e sentivo che non fossimo più complici come un tempo.

Al momento non riuscivo neanche a sopportarlo quando parlava, sia con me che con gli altri. Anzi, a maggior ragione quando parlava con gli altri. Lo detestavo quando si rivolgeva alle altre per ridere e far battute, magari facendo allusioni a quel cavolo di sabato sera in cui io non c'ero, escludendomi di conseguenza.

Ogni tanto avevo provato a intervenire dicendo ciò che sapevo sulla base di ciò che mi era stato raccontato, ma a quanto pare quando ne parlavo io non era così interessante: ridevano a crepapelle e schiamazzavano solo quando ne parlavano fra di loro.

«Sala cinque» comunicò il bigliettaio, dando a Vittorio il resto in monete e consegnandogli anche i biglietti per vedere il film in questione. A quel punto io e il ragazzo alla mia destra ci spostammo dalla biglietteria e iniziammo ad avviarci verso la sala di fretta, anche perché per via della nostra discussione eravamo rimasti per ultimi, mentre gli altri erano già tutti entrati.

Dato che non avevo ancora detto nulla per ribattere, Vittorio mi avvolse un braccio attorno alle spalle mentre camminavamo, sperando forse fosse finita lì, ma io lo scansai: «No, lasciami» lo ammonii.

«Nina, mi spieghi che c'è? Non riesco proprio a capirti!» esclamò, e almeno su quello eravamo non potevo dargli torto. «Viviamo insieme, ci vediamo letteralmente ogni giorno, non pensavo di doverti invitare a uscire con me il sabato sera. Per questo non ti ho detto nulla fino a questo pomeriggio, perché non lo ritenevo necessario» spiegò.

«È solo che... che mi sono sentita come se non mi volessi e che ti importasse solo che ci fossero le altre» ammisi, abbassando la testa verso il pavimento.

«È davvero questo il punto? Ti sei sentita trascurata da me? Non ha alcun senso...»

«No, figuriamoci! Sono solo io che sono visionaria e mi faccio inutili paranoie!» sbottai sarcastica, prima di abbassare la maniglia della porta della sala, intenzionata a chiuderla lì, ma Vittorio mi si parò davanti per impedirmelo.

«Nina» mi chiamò, nel mentre che io continuavo a fissare il pavimento per evitare il suo sguardo.

«Sì, è il mio nome, mi fa piacere che tu te lo ricordi ancora, però adesso basta ripeterlo all'infinito» dissi ancora con quel tono pungente, del quale non potevo fare a meno quando ero arrabbiata, ancor di più quando ero offesa e ferita. «Sembra che l'unica cosa di cui ti importa sia uscire con i tuoi amici e con le mie amiche, mentre io sono finita nel dimenticatoio» aggiunsi, per liberarmi da quel peso che mi portavo dietro da giorni e che mi stava massacrando dentro.

Vittorio piegò le ginocchia per abbassarsi e giungere alla mia altezza. «Non avevo idea che ti sentissi così... E mi dispiace che tu pensi questo di me, perché non c'è niente di più sciocco» disse, guardandomi negli occhi.

«Ah, quindi adesso sarei anche stupida oltre che visionaria?»

Vittorio roteò gli occhi e sbuffò: «Però tu ti ci metti d'impegno per farmi passare per lo stronzo della situazione, eh! Secondo te perché ho proposto a tutti di andare a vedere proprio questo film? Perché so quanto ti piaccia la danza e pensavo di farti felice, dato che tu devi sempre sorbirti film di cui non te ne frega niente solo per farmi un piacere. Volevo ricambiare per una volta».

Rimasi in silenzio per un paio di secondi, per elaborare ciò che aveva appena detto. «Quindi l'hai fatto per me?» chiesi conferma.

Vittorio annuì. «Perciò non provare mai più a dirmi che non tengo a te e che ti trascuro. Ho conosciuto nuove persone, e allora? Non significa che questo cambierà qualcosa nel rapporto che c'è fra di noi» rispose, prima di allargare le braccia in attesa di un abbraccio.

Sorrisi e mi lanciai direttamente in braccio a lui, facendogli quasi perdere l'equilibrio. «Dai, entriamo. La pubblicità non dura mai in eterno» disse lui ricambiando il mio sorriso.

«Ma... non aspettiamo Filippo? E anche Angelica e Giovanni» domandai, prima di scendere e tornare con i piedi a terra.

Erano gli unici che mancavano, fino a quel momento avevo solo pensato che fossero in ritardo.

«No, stasera non vengono» rispose soltanto e subito fui inondata dalla delusione, un attimo dopo essere stata al settimo cielo per essermi riappacificata con il mio amico.

A quel punto mi chiesi che cosa ci facessi lì, se tanto Filippo non sarebbe venuto.

Poi mi venne quasi da prendermi a testate da sola per aver fatto quel pensiero. Ero lì per passare una serata con i miei amici, ecco che cosa ci facevo lì. La mia vita, le mie giornate e le mie azioni non dovevano dipendere solo da una persona, né di certo il mio umore.

Che importa se ho perso un pomeriggio intero a decidere che cosa mettere solo perché speravo che lui mi avrebbe notata?, mi chiesi fra me e me. Era l'ultima cosa che avrebbe dovuto interessarmi.

Senza dire nient'altro, aprii la porta ed entrai dentro la sala per andare a vedermi quel film che Vittorio aveva scelto appositamente per me.

*

Considerando il fatto che normalmente i gusti di Vittorio in fatto di film non combaciassero affatto con i miei, non avevo chissà quali aspettative, invece alla fine gradii molto il film che vedemmo. Passammo una bella serata, se solo non fosse stato per due ragazzi della fila dietro alla mia che continuavano a commentare fastidiosamente ogni singola scena, e in più una coppia nella fila davanti che pensava più ad amoreggiare che ad altro.

Dato che si era fatta una certa ora, convenimmo tutti che fosse il caso di tornare a casa e iniziammo a salutarci. «Dovremmo replicare più avanti, magari quando ci saremo tutti!» esclamò Monica.

«Già, a proposito, perché Filippo non c'era?» chiesi, rivolgendole la parola per la prima volta solo a fine serata. «Ah, e anche Giovanni» aggiunsi poi, ricordandomene solo in seguito.

Monica scrollò le spalle. «Giovanni aveva il compleanno di qualche sua zia, e Filippo boh, non ne ho la benché minima idea» rispose, lasciandomi insoddisfatta.

Morivo dalla voglia di sapere il motivo per cui l'unica volta in cui io uscivo la sera, dopo tanto tempo, lui non c'era. L'ultima volta era stata proprio quando io e lui ci eravamo baciati per la prima volta a casa di Monica.

Provai un brivido lungo la schiena solo a ripensarci.

Poi Irene mi afferrò per un braccio e mi trascinò in un angolino del cinema, in disparte dagli altri. «Che c'è?» domandai preoccupata per via di quel suo gesto improvviso.

«Nina, sarà forse la quinta volta in tutta la sera in cui domandi a qualcuno perché Filippo non sia qui stasera, e ogni volta ti ho vista assumere quell'espressione delusa non appena non ricevevi la risposta che ti aspettavi» disse e io mi stavo già affrettando a negare, ma non me ne diede il tempo: «Io... io te lo devo chiedere, in maniera diretta e senza girarci intorno, una volta per tutte. Non mi interessa nemmeno se mi risponderai mentendo, l'importante è che tu mi dica sì o no, invece che evitare il discorso come hai già fatto in passato. Provi qualcosa per Filippo?» domandò.

Parlò con tono calmo e non inquisitorio. Sembrava quasi preoccupata per me, e per la risposta che avrei potuto darle, e non capivo perché. Probabilmente era perché non mi aveva mai vista atteggiarmi così, forse lo stavo rendendo fin troppo evidente. E in effetti non era sbagliato ciò che aveva detto sul mio conto, me n'ero accorta anche da sola che non facevo altro che parlare di lui con chiunque da tutta la sera.

Volevo negarlo, perché io in primis non lo accettavo, ma alla fine mi ritrovai ad annuire. «Quando... quando lo penso mi batte forte il cuore, a volte sorrido da sola, senza un apparente motivo. E quando lo vedo... quando lo vedo sento che potrei morire, perché mi manca sempre il respiro, sono sempre a corto di fiato. Che... che cosa significa tutto ciò?» espressi tutto ciò che provavo a riguardo, compresi i miei dubbi.

«Solo che ti sei presa una cotta grande quanto un aeroplano» rispose la mia amica, con un piccolo sorriso.

«No, io non... non voglio» scossi la testa. Pensavo che ammetterlo ad alta voce mi avrebbe fatta sentire meglio, ma invece lo aveva solo reso tremendamente reale. E non volevo che lo fosse. Volevo che continuasse a rimanere solo un pensiero fisso nella mia testa.

Irene non era neanche sorpresa. In fondo l'aveva sempre saputo. «Non lo puoi mica decidere tu! Non puoi controllare i tuoi sentimenti.»

«Perché no? Io sto bene così. E questa cosa non ci voleva affatto» dissi, rimanendo comunque della mia idea.

Sapevo ciò che provavo, ma comunque non avrei fatto niente per incoraggiare i miei sentimenti. Speravo solo che svanissero per puro caso, così come erano capitati.

«Ok, ma è davvero così?» domandò Irene, e il suo tono supponente mi infastidì parecchio. Le stavo dicendo la verità, tutto quello che mi passava per la testa e che provavo, e lei ancora aveva dubbi?

«Sentiamo, cosa dovrebbe significare questa domanda?» chiesi allora.

«Be', che... che in fondo è una cosa bella. Non ti rende felice? Quando lo pensi o quando lo vedi non sei al settimo cielo?»

Non aspetto altro ogni volta, risposi dentro di me.

Irene si protese in avanti e mi appoggiò entrambe le mani sulle spalle. «Nina, basta. Basta usare la testa. Vivitela per quello che è, e come andrà andrà» mi sussurrò poi all'orecchio.

Non ribattei, eppure non riuscivo a vederla come lei. Non potevo permettere che accadesse, che Filippo offuscasse la mia razionalità.

Ma forse era già troppo tardi per quello.

 

   
 
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