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Autore: MaryFangirl    07/03/2022    0 recensioni
Kaede Rukawa, ex matricola dello Shohoku, finalmente sta realizzando il suo sogno; ma troppo presto, tutto sembra andare a rotoli. Dall’altro lato, Hanamichi Sakuragi, autoproclamato genio e re dei rimbalzi, si trova a un bivio su quale college scegliere per il suo prossimo futuro.
Cercare risposte e prendere decisioni, è così che le strade di entrambi si incrociano di nuovo, iniziando un inedito viaggio che li porterà a conoscersi come non avrebbero mai pensato di fare.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lemon, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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La piccola stanza, perfettamente illuminata dagli intensi e caldi raggi del sole, sembrava un’orribile zona di guerra – una zona di guerra accademica e piena di libri – perché sul futon e sul pavimento c’erano centinaia di quaderni, libri, fogli stampati e fotocopiati, in maniera disorganizzata intorno a un frustrato e stressato ragazzo dai capelli rossi. Il ragazzo leggeva con fervore e appassionata attenzione le pagine di fronte a sé, cercando di imparare la formula o almeno di memorizzare nel poco tempo che aveva per gli imminenti esami.
 
“Agh! Come dovrei imparare tutta questa roba in meno di una settimana?!” urlò al soffitto prima di sbuffare e rotolare sulle morbide e soffici coperte sotto di sé. Sbatté le palpebre più volte senza concentrarsi su nulla in particolare, sbadigliando e muovendo lentamente il collo per rilassare la tensione accumulata. Gli scrocchi del suo corpo echeggiarono e l’esausto ragazzo fece una smorfia.
 
Se solo potessi giocare a basket, pensò.
 
Era passata una settimana da quando il genio era tornato in terra nipponica, imbattendosi nella spiacevole sorpresa dei suoi insegnanti che, sebbene lo avessero incoraggiato a seguire i suoi sogni, concedendogli più tempo del normale per sostenere gli esami, si erano presentati per dirgli che i tempi si erano accorciati, dato che si avvicinava la fine del semestre e il direttore della facoltà non avrebbe permesso esami al di fuori di quel periodo.
 
Ovviamente Hanamichi comprendeva la difficile situazioni dei professori e la politica che l’università seguiva, ma ciò non eliminava il fatto che in appena sette dannati giorni avesse roba da studiare per 4 materie; per fortuna divina i suoi voti durante l’anno avevano mostrato che già sapeva qualcosa, dandogli una media decente. Inoltre, il fatto che la maggior parte dei suoi compagni di lezione avesse sostenuto gli stessi esami significava che potevano guidarlo sul tipo di domande che potevano emergere e alcuni potevano anche prestargli i test che erano già stati restituiti.
 
Hanamichi osservò il vecchio cellulare sulla scrivania, che lo puntava quasi appositamente; il ragazzo era terribilmente tentato di afferrarlo e chiamare Yohei, o chiunque per uscire, ma fu fermato dal ricordo che solo il giorno prima avevano trascorso tutta la giornata insieme, traducendosi in una giornata di dispersione e nessun progresso negli studi.
 
Inoltre si sarebbe potuto divertire una volta finita tutta quella vicenda, come aveva fatto nel giorno in cui era rientrato, quando sua madre e i suoi più cari amici lo avevano sorpreso con una riunione di benvenuto.
 
C’erano stati tutti, l’Armata, gli ex compagni dello Shohoku, ragazzi delle altre squadre, i quali ridendo e dandogli pacche sulle spalle l’avevano salutato allegramente per il suo ritorno, facendogli quasi venire le vertigini con le domande sulla straordinaria terra del basket, sulle squadre, le città, le ragazze.
Haanamichi, con una smorfia imbarazzata e infastidita, aveva ignorato ogni dubbio.
La sua povera mamma, invece, era rimasta praticamente senza cibo né provviste dopo quella folle nottata, ma si era dimostrata felicissima ed euforica per preoccuparsi realmente, perché il suo unico e adorato figlio era tornato a casa dopo un intero mese di assenza.
 
Hanamichi, che aveva viaggiato in aereo con l’espressione più rigida e traumatizzata della sua vita, alla fine era riuscito a rilassarsi e dimenticare tutto a casa con i suoi amici. L’ansia e i nervi che avevano cercato di mangiarlo vivo per tutto il volo erano evaporati come acqua davanti ad alte temperature quando finalmente aveva ripreso a ridere con la sua Armata e gli altri. Si era divertito, tentando di di scordare, tra gli aneddoti del college di Miyagi e Mitsui. O le domande di Akagi e Kogure. I commenti fuori luogo di Noma, Taakamiya e Ookusu. Tuttavia ovviamente la spensieratezza non era durata eternamente, perché molti gli avevano chiesto:
 
“Come sta Rukawa, eh? Loquace come sempre?” aveva chiesto Miyagi senza malizia, provocando le risate dei presenti che l’avevano guardato in attesa di una risposta. Hanamichi era rimasto immobile per alcuni istanti, che per fortuna erano passati inosservati, ma per lui erano parsi infiniti e tortuosi.
Dal nulla, in un secondo tutto gli era tornato in mente: il modo in cui la volpe l’aveva chiamato per nome, con fiducia e determinazione; il modo in cui con passi esitanti si era avvicinato lasciando giusto qualche centimetro di disanza, e infine, quando aveva alzato il viso e l’aveva...baciato...sulle labbra!
 
Quel dannato..., si disse Hanamichi, trascinandosi tra le coperte, ricordando che alla festa di bentornato aveva risposto con un sogghigno e una risata sgradevole.
 
“Quel bastardo è ancora tremendo...non si avvicina minimamente alle fantastiche abilità del genio, ahahahah!” aveva risposto, contrariato e con vergogna repressa, sentendo in realtà il proprio cuore che gli martellava contro le costole e il viso arrossato. Gli altri tuttavia, impegnati col cibo, le chiacchiere e gli amici, non si erano accorti della sua espressione agitata e scomposta, per fortuna.
 
“Dannazione! Perché devo ricordarmi di quel bastardo?!” esclamò ad alta voce, mettendosi seduto sul futon.
 
In quei pochi giorni in cui stava impiegando tutti i suoi sforzi per recuperare il ritardo sulle materia e riprendere ad allenarsi con la sua squadra di basket, era risultato infruttuoso il tentativo di scrollarsi di dosso il ricordo di quella mattina in aeroporto e del gesto sconvolgente di Rukawa.
 
Inizialmente, pensandoci, si era ritrovato tremante, con lo stomaco che pareva cadere ai suoi piedi; era strano, ma era come se il suo corpo fosse ansioso di riprovarlo, di risentire quel calore sulle labbra e la scarica lungo la schiena, e più se lo ricordava, più si chiedeva perché diamine Rukawa l’avesse fatto.
 
Kaede gli aveva detto...Per prendere una migliore decisione, devi avere tutte le informazioni...
 
E cosa cazzo significa?!, pensava ogni volta.
 
La prima conclusione logica era che Rukawa fosse impazzito; dormire troppo gli aveva sciolto alcuni neuroni e cellule cerebrali e di conseguenza aveva agito nel modo più bizzarro e stupido possibile, mentre sfortunatamente c’era lui lungo la strada.
 
La seconda conclusione – scartando la prima perché un problema cerebrale avrebbe richiesto un comportamento costantemente assurdo – serpeggiava nell’ipotesi che forse la volpe provava...insomma...qualcosa per, beh...per lui...ma la respinse subito. Era del tutto impossibile.
 
Rukawa, il re dei ghiaccio, provava qualcosa per lui, il genio?
 
La volpe che provava sentimenti?
 
No, impossibile, la sola idea era esilarante.
 
Era dunque arrivato alla terza, ultima e chiara conclusione, che lo aveva convinto e fatto arrabbiare parecchio. Quel fottuto bastardo l’aveva fatto solo per intrufolarsi nella sua testa, confonderlo e manipolarlo a prendere una decisione che lo favorisse. Ovviamente la volpe si sentiva minacciata dal suo genio e capacità, quindi con quel bacio aveva tentato di allontanarlo. Quel dannato arrogante voleva i Tar Heels tutti per sé e quindi gli si era approcciato con l’intenzione di infastidirlo e alterarlo; cosa che sfortunatamente aveva funzionato, dato che Hanamichi non riusciva a togliersi quella scena dalla testa.
 
Solo pochi giorni prima però si era detto che non avrebbe lasciato che le azioni di un imbecille lo irritassero, influenzandolo a prendere la sua decisione. Se voleva andare con i Tar Heels, ci sarebbe andato! Niente e nessuno si sarebbe messo sulla sua strada per fermarlo; e se alla volpe non piaceva l’idea, che si impiccasse, perché se lui avesse voluto, si sarebbe unito alla squadra.
 
Hanamichi, sospirando, prese uno dei quaderni, vedendo le lettere senza leggerle veramente. C’era qualcosa che non si adattava alla sua brillante e perfetta ipotesi, ed era lo stesso Rukawa.
 
Beh, sapeva che la volpe non era l’essere più amichevole e adorabile del pianeta, c’era un motivo se non erano andati d’accordo ai tempi del liceo; ma...durante le settimane in cui era stato a casa sua, Hanamichi poteva giurare di averlo conosciuto più profondamente e in un altro modo; avevano condiviso ore e ore insieme, parlando, insultandosi, ridendo! Perciò...Hanamichi non capiva.
 
Non capiva assolutamente come Rukawa potesse fare una cosa del genere. Lo odiava tanto? L’astio accumulato era così tanto da non scuotere nemmeno un po’ la sua coscienza all’idea di fare una cosa così meschina come rubare il suo primo bacio solo per spaventarlo, respingerlo e allontanarlo?
 
E faceva male. Faceva male perché Rukawa era...
 
...un amico.
 
Ringhiando come un animale selvaggio, scosse con forza la testa, decidendo he era meglio concentrarsi sulle migliaia di fogli e quaderni che lo circondavano come una muraglia.
 
Dimentica quel bastardo! Ah, maledetto Rukawa!, pensò infine, prima di passare agli studi. Rimase lì, nascosto nella sua stanza, finché sua madre lo chiamò per la cena. Con lo stomaco che reclamava cibo, uscì quasi correndo.
 
^ ^ ^ ^
 
“E? E...? Com’è andata, Hanamichi?” chiese Takamiya con desiderio non represso, che insieme al resto dell’Armata guardavano come agnelli al macello il loro leader.
 
Hanamichi, che pochi secondi prima aveva lasciato l’aula dove aveva sostenuto l’ultimo esame, mantenne testa e faccia in bassa, quindi nessuno dei quattro poteva prevedere l’esito dell’arduo studio a cui il ragazzo si era sottomesso volontariamente.
I secondi continuarono a passare e nessuna risposta interruppe la tensione che aleggiava. I ragazzi batterono le palpebre quando Hanamichi alzò il viso con veemenza.
 
“Beh, cosa credete, scemi?! Il genio ha superato tutto! Ahahahah!” urlò portandosi le mani in vita.
 
“Congratulazioni, Hana!”
 
“Andiamo a festeggiare!”
 
“Sì, ho fame!”
 
“Ma in un posto economico, non ho molti soldi...”
 
L’allegra Armata con il suo capo si godettero finalmente un pomeriggio libero dall’università e preoccupazioni accademiche, dedicandosi invece al riposo e al girovagare, ridendo e infastidendo i passanti che lanciavano loro occhiate assassine. L’ultima destinazione fu il ristorante della famiglia Uozumi, e il ragazzo in quel momento era di turno. Il capo delle scimmie, riconoscendo i ragazzi, si occupò subito di loro, dando ancora più cibo di quello che avevano ordinato.
 
“D’ora in poi questo è il mio posto preferito!”
 
“Zitto, Takamiya! Lo dici solo perché ti hanno dato cibo gratis!”
 
“Non è vero!”
 
“Come, non è vero? L’altro giorno il tuo preferito era Danny, perché continuavano a sbagliare e darti più cibo!”
 
Mentre i tre stolti si imbarcavano in una lotta verbale, Yohei osservava il viso sorridente di Hanamichi, che guardava i ragazzi litigare, ridendo ogni tanto delle sciocchezze menzionate. Yohei, che forse non era il più serio, ma sicuramente era il più attento del gruppo, non poteva non notare il modo strano in cui Hanamichi si comportava da quando era tornato dall’America.
L’atleta ovviamente continuava a ridere, a fare commenti e a mostrare la sua turbolenta personalità, ma qualcosa sembrava fuori dal comune; a volte, quando erano tutti insieme, Hanamichi andava sulla luna e sembrava riluttante a scendere a terra per diversi lunghi istanti.
Yohei voleva attribuirlo alla pressione a cui il suo amico era sottoposto in quel periodo, solo quell giorno il semestre si era concluso, inoltre c’erano le partite da giocare con la sua squadra di basket, e la cosa più pesante di tutte era il dover decidere in quale università andare per la stagione successiva – sempre se ne avesse scelta una.
 
“Uh?” fece Hanamichi, sentendo lo sguardo fisso dell’amico su di sé, “che c’è, Yohei?”
 
“Ah, no, niente...mi chiedevo solo se avessi già parlato con il professor Anzai” chiese con reale curiosità, perché Hanamichi non aveva detto nulla sull’argomento ad eccezione dei commenti per ciascuna squadra: com’erano i giocatori, gli allenatori, le palestre e le città, ma niente sulla sua visione o preferenza.
 
“Con il vecchietto?” ripeté, “sì. Sono andato a causa sua l’altro giorno” rispose senza approfondite, ma in quell’istante tutti i ragazzi prestarono attenzione.
 
“E...?” dissero i quattro contemporaneamente.
 
“E niente! Abbiamo parlato e il vecchio mi ha dato la sua opinione...ma nel modo più imparziale possibile, perché non voleva influenzarmi. Come se qualcuno potesse manipolare il genio!” disse prima di trangugiare un boccone particolarmente grosso che lo zittì per alcuni minuti.
L’Armata lo guardò, sperando in qualcosa di più.
 
“E non hai ancora idea di quale ti piaccia di più?” osò Noma.
 
“Ah, perché tante domande all’improvviso? Non lo so! Sono tutte e tre fantastiche! E questo genio sarebbe utile per chiunque! I Duke sono grandiosi...quando li ho visti sono rimasto senza parole...Kentucky è una squadra rinomata e...i Tar Heels...beh, loro...sono stati i primi che ho visto...” disse, volgendo il viso verso la finestra, sbadigliando e corrugando il viso con indifferenza e noia. Ma i suoi amici lo conoscevano. Non per niente avevano parlato tanto in videochiamata durante il soggiorno con i Tar Heels, ed era chiaro che Hanamichi si fosse divertito con i ragazzi, l’allenatore, l’ambiente...lì Hanamichi si era sentito a casa.
 
Decisero poi di lasciar perdere, dato che se Hanamichi avesse davvero avuto bisogno di loro, li avrebbe cercati – in un certo modo; non c’era ragione di insistere fino a seccarlo – anche se erano dannatamente tentati dal farlo, ma l’incentivo diminuiva pensando alle probabili testate che avrebbero ricevuto se l’avessero disturbato.
 
Solo a tarda serata la scimmia entrò in casa sua , sentendosi esausto e con lo stomaco finalmente soddisfatto.
 
“Hana! Eccoti” lo salutò sua madre, ancora con gli abiti da lavoro, indicando che era appena arrivata. La donna si avvicinò al figlio con il telefono cordless in mano, “è il signor Dan”
 
“Come?” sussurrò impressionato, ma la donna alzò le spalle e se ne andò per cambiarsi.
 
Perché il vecchio lo chiamava? Forse non sapeva che le chiamate internazionali costavano una fortuna? Quel poveretto poteva andare in bancarotta! Forse era successo qualcosa di grave? Qualcosa di così tragico da poter essere raccontato solo via telefono?
 
No...
 
E se fosse successo qualcosa a mamma Rukawa o...alla volpe...
 
“Pronto?” chiese subito con urgenza, incollando inconsciamente la cornetta all’orecchio.
 
“Sakuragi! Che bello sentire la tua voce!” rispose l’uomo con entusiasmo paterno.
 
“Cosa c’è? È successo qualcosa? Stanno tutti bene?” la disperazione era evidente a ogni parola pronunciata, il nervosismo e l’ansia lo facevano sudare e respirare pesantemente.
 
“Eh...sì...solo preoccupati perché non hai chiamato dopo quasi due settimane, ragazzo. Se non avessi parlato con Anzai qualche giorno fa, penserei che sei sparito” rispose con tono di rimprovero, ma ridendo alla fine della frase.
 
Hanamichi si accigliò.
 
“Se stanno tutti bene, perché spendi così tanto per una chiamata, vecchio?” lo accusò salendo in camera sua per sistemarsi sul futon già steso, sicuramente preparato da sua madre.
 
“Beh, cosa credi? Sakuragi, sei più ottuso di quanto pensassi” sospirò Dan, scuotendo il capo.
 
“Cosa?! Come osi insultarmi? Il genio non è affatto ottuso! Capisco tutto alla perfezione!”
 
“Allora perché ti arrabbi tanto se ti chiamo? Voglio solo sapere come stai, ragazzo” l’uomo ovviamente era sincero, ma non stava dando tutte le informazioni.
 
La chiamata ad Hanamichi ci sarebbe stata prima o poi, perché il suo progetto – e ciò che gli aveva chiesto il suo caro amico Anzai – vedeva di rappresentare il ragazzo negli Stati Uniti a un certo punto, e avrebbe dovuto contattarlo per sapere la sua decisione. La comunicazione era stata anticipata, però, per motivi estranei al lavoro; era una chiamata motivata da ragioni strettamente personali. Ragioni motivate dal volto abbattuto di Kaede nelle ultime settimane.
 
“Mmh” grugnì Hanamichi, arricciando le labbra. “Sto bene...ho terminato il semestre...questo talentuoso studente ha passato tutti gli esami con ottimi voti! Ahahaha, e la mia squadra è in finale, giocheremo la prossima settimana. Il genio condurrà tutti alla vittoria, ahahaha!” si vantò ridendo.
 
“Me ne rallegro. E non ho dubbi che vincerete con te lì” fece, placando qualsiasi potenziale attacco. Come previsto, la scimmia rise liberamente e con freschezza.
 
“Ma certo! Ahahaha, è bello che tu riconosca il mio valore!”
 
“Ehi, Sakuragi...se non sei più impegnato, allora perché non hai chiamato i Rukawa? Mei è molto preoccupata e turbata dal fatto che li ignori” decise di andare subito al punto ora che il veemente ragazzo era più tranquillo.
 
“No! Non li ho affatto ignorati! Mamma Rukawa è la migliore! Ma...”
 
Non voglio parlare con quel bastardo...uh! Solo a pensarci mi viene voglia di uccidere qualcosa..., Hanamichi si morse il labbro, provando a inventare una buona scusa per non dirlo; purtroppo aveva già detto che il semestre era finito e che la sua unica partita si sarebbe tenuta la settimana successiva. Cosa gli rimaneva?
 
Non posso, ho gli allenamenti tutti i giorni...sì, ecco!
 
“Non dev’essere una cosa lunga, ragazzo. Una semplice videochiamata basta per far vedere che sei vivo e vegeto” lo interruppe Dan. “Che ne dici, se hai carta e matita con te, posso dettarti l’email di Mei, così puoi scriverle il giorno e l’ora in cui sarai disponibile e lei si organizza; ricorda che il Giappone ha 14 ore in avanti rispetto agli Stati Uniti orientali. Che ne pensi?”
 
Hanamichi, sentendo di poter comunicare solo con mamma Rukawa, acconsentì. Dan gli diede l’email. I due chiacchierarono, giungendo alla domanda fatidica:
 
“Hai già scelto una squadra?”
 
“No...sono tutte e tre fantastiche, ma ci devo ancora pensare”
 
Dopo poco interruppero la conversazione con la promessa di risentirsi presto, con Dan che chiarì ad Hanamichi che non sarebbe stato lui a chiamare.
Hanamichi, guardando per qualche secondo il pezzo di carta tra le mani, andò immediatamente al portatile sulla scrivania e inviò un’email alla donna, chiedendole di parlare in videochiamata due giorni dopo alle 12 della notte, così in North Carolina sarebbe stato ancora mattina. Con un sorriso allegro, si mise il pigiama e si fiondò in una notte con sogni che il giorno dopo non ricordò.
 
^ ^ ^ ^
 
“Passa, passa!”
 
Le urla rimbombavano nella palestra dei Tar Heels del North Carolina nel bel mezzo dell’allenamento pomeridiano. Le squadre provvisorie ora in campo cercavano di dare tutto nonostante fosse solo una partitella. Tutti sapevano quanto fosse importante non perdere il ritmo, la concentrazione e continuare a vincere. La partita successiva si sarebbe tenuta entro pochi giorni e il fuoco della determinazione sembrava più vivo che mai ora che erano imbattuti, con tre partite vinte.
 
Chris – Viso pallido – era sotto il canestro, posizionato e in attesa del rapido arrivo di Kaede, che sudando e respirando pesantemente, palleggiò con precisione e un’eleganza quasi anormale. Guardò rapidamente i compagni di squadra, sperando di scorgere un passaggio per rompere la difesa avversaria, ma il blocco raggiungeva il suo scopo. Sospirò e prese un’altra decisione. Con un piccolo passo indietro, leggermente ma in maniera evidente, unì un poco gambe e braccia, così che il provvisorio avversario saltasse per coprire la presunta tripla; ma Kaede, aspettandosi quel movimento, passò, sorprendendo sia il ragazzo che gli altri che non poterono fare molto contro il rapido volpino che segnò da sotto il canestro.
 
“Eccellente” disse Tom, dandogli il cinque e sorridendo; Kaede annuì.
 
La sua squadra alla fine vinse con una differenza di due punti e le congratulazioni dell’allenatore e dello staff tecnico presente; gli altri compagni ridevano o si sedettero per riposare. Dopo che il coach Williams ebbe parlato istruendoli sul giorno seguente, li congedò con un applauso. Kaede si alzò subito per dirigersi con calma nello spogliatoi, dove si cambiò i vestiti fradici attaccati alla pelle. Fece la doccia e si rivestì il più lentamente possibile. Ultimamente tornare a casa era uno dei momenti più spiacevoli della giornata, quindi quando si puliva cercava di impiegare più tempo umanamente possibile.
 
Seduto sulla panchina, fissò la borsa ai suoi piedi. I gomiti erano pesantemente appoggiati sulle cosce e le mani di tanto in tanto si incontravano o si sistemavano la corta frangia nera.
 
“Resti di nuovo fino a tardi?”, nonostante l’inflessione, le parole riflettevano più un’affermazione da parte del ragazzo più basso in squadra. Tom – il Nano – osservò il suo compagno che si limitò ad annuire senza guardarlo.
 
“Quindi...Sakuragi non ha ancora chiamato?”, quello, proprio come sperato, svegliò il giovane, che con aria un po’ più espressiva sollevò gli occhi e mantenne il silenzio. Tom rinunciò all’idea di lasciar perdere, chiaramente il suo compagno era arrabbiato o turbato per qualcosa; per lui era ovvio l’oscuro cambiamento che il giapponese aveva subito negli ultimi giorni. In campo e nelle partite Kaede Rukawa era ancora il giocatore più brillante e promettente del basket giapponese, una stella nascente e implacabile che spazzava via gli avversari; ma non appena i suoi piedi toccavano terra, qualcosa sembrava abbandonarlo.
 
“È...è comprensibile, sai? Insomma, è stato lontano da casa per un mese...starà recuperando con tutto quanto...la famiglia, gli amici, l’università, la squadra e il resto...deve essere occupato”
 
Sì...occupato a ignorarmi come la peste..., pensò scuotendo il capo.
 
Erano passate già due settimane – due fottute settimane! E la dannata scimmia non aveva dato alcun segno di vita, nemmeno una misera mail che diceva: ‘Ehi, il genio è vivo’. Niente. Niente di niente. E Kaede non avrebbe finto di non saperne il motivo. Era ovvio. Era chiaro e scritto sui volti di sua madre, di suo padre e anche del suo manager. Tutti sapevano. Tutti l’avevano sentito chiaramente, ma nessuno osava dirlo ad alta voce.
 
Kaede Rukawa, il re dei ghiacci, l’ex super matricola, il dannato stupido che aveva baciato un altro stupido, era stato respinto.
 
Brutalmente. In modo violento e straziante.
 
Per alcuni giorni avrebbe potuto giurare di sentire e immaginare Hanamichi allungare crudelmente la mano verso il suo petto, perforando pelle, carne e ossa, solo per strappare il suo cuore e lanciarlo a terra senza pietà. E lo vedeva lì, il suo cuore, rosso, vivo, palpitante e appassionato, mentre veniva calpestato furiosamente; mentre veniva schiacciato e spremuto da qualcuno che non lo amava e che mai lo avrebbe ricambiato.
 
E faceva male...merda, faceva male...perché ora il suo petto era vuoto...nulla sembrava muoversi dentro di lui. Niente pulsava vigorosamente. Niente aveva vita.
 
L’unica cosa che lo teneva sveglio e attento era il basket. Prendere la palla, palleggiare, segnare o soltanto guardarla, in quel caso il mondo tornava a brillare e ad essere migliore. Quando correva e giocava, si sentiva di nuovo potente e invincibile, come se nulla potesse acciuggarlo. Ma appena usciva dal campo, migliaia di frecce trapassavano la sua armatura che coraggiosamente aveva utilizzato, dilaniando vestiti e pelle, lasciandolo debole e sanguinante.
 
Come ora.
 
Se solo mi avesse detto qualcosa...se mi avesse colpito o insultato..., pensò. Ricevere una risposta negativa almeno sarebbe stato qualcosa; ma ora il silenzio era la sua unica risposta.
 
Sicuramente ora sceglierà il Kentucky...o, idiota com’è, nemmeno verrà in America...quel deficiente sarebbe in grado di rinunciare ai suoi sogni solo per...per non vedermi...mai più...
 
“Ehi, Rukawa” sentì accanto a sé; si voltò con calma per vedere di cosa si trattava, ma una nebbia sembrava offuscargli la visione; sbatté le palpebre un paio di volte prima di notare Tom in piedi, profondamente accigliato.
 
“Stai bene?”
 
Kaede annuì, preparandosi a prendere la borsa per andare a casa. Uhm, porterò la bici a mano..., avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare gli sguardi compassionevoli o preoccupati che gli altri ragazzi gli gettavano di recente.
 
“Ehi, Rukawa! Se in qualsiasi momento hai bisogno di qualcuno con cui parlare o...per qualunque cosa...io ci sono” disse Tom prima che Kaede uscisse.
 
La calda brezza notturna gli accarezzava il viso mentre camminava, con il fedele lettore cd agganciato ai pantaloni che lo distraeva con un qualsiasi brano. Ma la musica serviva per qualche istante, perché tornò rapidamente a quello stato di tortura e rimpianti continui. Anche se era una persona che non amava guardare al passato, non poteva smettere di pensare che se non avesse fatto quella scemenza in aeroporto, lui e Sakuragi sarebbero ancora stati amici, di quelli che parlavano ogni tanto per email, e se mai lo scemo fosse tornato in America, si sarebbero anche fatti visita; ma ora era stato tutto rovinato da un’azione così miserabile, e così...disastrosa.
 
Per quanto, baciandolo – con un bacio del tutto improvvisato, perché mai aveva pensato di provare qualcosa del genere – non si era aspettato che l’altro ricambiasse il gesto o l’abbracciasse o gli dicesse qualcosa, nemmeno aveva immaginato una risposta così, con il silenzio. Brutale. Chiaro. Crudele.
 
Quando Kaede, quel giorno all’aeroporto, si era allontanato dal ragazzo, era praticamente scappato, decidendo di aspettare i suoi genitori vicino all’auto e fortunatamente loro erano arrivati poco dopo non commentando nulla su quanto avevano appena visto e Kaede aveva ringraziato internamente, ma la vergogna, la speranza, la gioia lo avevano seguito per ore durante tutta la giornata.
 
Kaede non si era aspettato una chiamata o una email quella sera o quella successiva, perché come Tom aveva sottolineato, era ovvio che Hanamichi avesse delle cose in sospeso da risolvere, ma...dopo 3, 4, 5, 7, 13 giorni senza alcuna risposta, il messaggio era chiaro, perché forse non poteva parlare con lui e respingerlo direttamente, ma con quel ghiaccio che aveva adottato, ignorava anche sua madre, verso la quale si era mostrato riconoscente e affezionato.
 
In conclusione, l’idiota non doveva aver niente contro la sua famiglia nonostante quanto accaduto.
 
Deficiente..., pensò, rendendosi conto di essere davanti a casa.
 
Entrando, non vide nessuno dei suoi genitori, così andò subito in camera a cambiarsi; andrò in bagno e tornò nella sua stanza, controllando se aveva qualcosa da fare per le lezioni del giorno dopo. Non poteva permettere che il suo rendimento si abbassasse adesso, non quando gli esami appena finiti erano andati bene – non in maniera eccezionale, ma decente.
 
“Figliolo?” sentì la voce di sua madre dall’altro lato della porta. Kaede sospirò e le concesse di entrare. “Ehi...non sei passato a salutare” lo rimproverò con una piccola ruga sulla fronte; Kaede alzò le spalle. “Com’è andata la giornata?”
 
“Bene...l’allenamento è stato faticoso...e le lezioni noiosi” commentò per spegnere le sue domande e sua madre lo guardò soddisfatta.
 
“Eh, Kaede, per te è noioso tutto ciò che non è basket” lo accusò senza impeto né malizia, solo con ironia. Kaede la guardò, non sapendo se dover dire altro o se poter continuare a sfogliare le pagine per controllare se aveva qualche compito.
 
“Ehi...stamattina quando sono entrata nella mia email, ho trovato un messaggio di...Sakuragi”
 
Kaede la guardò con apparente sdegno.
 
“Me l’ha mandato ieri, ma non l’avevo notato...mi ha chiesto di parlare domattina...intorno alle 10-11”
 
“Mmh”
 
Almeno quello stupido si è degnato di contattare la mamma, pensò, trovando finalmente il compito che era stato assegnato qualche giorno prima.
 
“Bene, volevo solo darti la buonanotte. A domani” lo salutò con un sorriso per poi chiudere la porta.
 
Kaede riuscì, non senza un certo orgoglio e alta dignità, a ignorare per tutta la sera quello che sua madre aveva detto con presunta leggerezza, concentrandosi invece e stranamente su quaderni e libri; grazie alla noia che questi gli procurarono, si addormentò rapidamente un paio d’ore dopo.
 
La mattina seguente le sue tre sveglie lo catturarono dal suo sonno profondo, che venne dimenticato non appena aprì gli occhi. Li strofinò bruscamente prima di alzarsi sbadigliando e di dirigersi in bagno. Una volta lavato, scese al piano di sotto dove mangiò i suoi immancabili cereali. Mentre si portava una cucchiaiata indecente in bocca, si domandò distrattamente dove fosse sua madre, perché a quell’ora normalmente la donne era in piedi a muoversi qua e là.
 
Senza pensarci oltre, risalì e andò in camera sua per prendere la borsa e dirigersi al campetto pubblico per esercitarsi un po’ – quel pomeriggio non ci sarebbe stato l’allenamento, quindi avrebbe approfittato della mattinata per fare pratica da solo. Quando mise piede sulle scale, decise però prima di cercare sua madre per salutarla o almeno dirle che stava uscendo, così si recò verso la stanza dei suoi genitori.
A pochi passi dalla porta, Kaede sentì il timbro di sua madre, morbido e caldo; stava parlando con qualcuno, di certo non con suo padre, che era uscito al lavoro presto...stava parlando al telefono?
 
Se è così, mi limiterò a farle un cenno con la mano, pensò afferrando la maniglia.
 
Quando la girò e aprì la porta, come un colpo allo stomaco sentì la fragorosa e forte risata di Sakuragi. Questi, con i capelli rasati e la pelle abbronzata, era visibile dallo schermo del laptop dei suoi genitori, mentre rideva per qualche scemenza che sicuramente aveva menzionato lui stesso.
 
“Kaede! Che bello che sei qui...stavo giusto pensando di svegliarti per farti salutare Sakuragi!”
 
Merda, pensò, messo alle strette dallo sguardo insistente della donna. Con passo esitante ma deciso, si sedette accanto a sua madre sul letto, in diagonale rispetto allo schermo, il portatile era appoggiato sul comodino.
 
Hanamichi, che inizialmente non poté fare a meno di aprire esageratamente la bocca per protestare, sembrò controllare eventuali sentimenti negativi, scegliendo invece un’espressione impassibile, che non lasciava denotare odio, repulsione, imbarazzo o accettazione. Nulla. Era come se stesse guardando attraverso un muro. Come se lui non esistesse.
 
È un idiota...ma è così...così...così..., si interruppe deglutendo a fatica ma con discrezione il groppo in gola. Quello spazio vuoto nel suo petto, quel buco che sembrava crescere col passare dei giorno, pareva più freddo e solitario che mai. Kaede era tentato di rannicchiarsi e stringersi fra le braccia, cercando di proteggersi, ripararsi da quel gelo che lo consumava, ma si rassegnò a sperimentare quella sensazione in gola, il nodo allo stomaco, il bruciore agli occhi.
 
“Oh cielo! Mi sono ricordata che ho lasciato qualcosa nel forno. Sakuragi, torno tra poco, aspetta per favore” disse con enfasi la donna, alzandosi con urgenza e dirigendosi verso la porta. Kaede si accigliò immediatamente.
 
Ma sono appena stato in cucina e non c’era niente...ugh, mamma...
 
“No! Mamma Rukawa, aspetta!” gridò invano Hanamichi, ritrovandosi da solo con la volpe davanti allo schermo.
 
Grr...bastardo..., fu l’unica cosa che gli passò per la mente, che ora fissava un punto della sua stanza, ignorando apertamente l’altro.
 
Kaede si controllò per non alzare gli occhi al cielo o sospirare per quel comportamento infantile.
 
Ti faccio così schifo che non riesci nemmeno a guardarmi, idiota?, si chiese, stringendo i pugni e maledicendo Hanamichi per essere così crudele; non si sarebbe mai aspettato un simile atteggiamento da parte sua. Beh, a quanto pare l’ho giudicato male...non è altro che un fottuto omofobo.
 
Sospirò, perché a prescindere da quanti insulti o epiteti gli rivolgesse nella sua mente per rifiutare la sua presenza o personalità, la realtà era che il suo cuore aveva vinto da tempo la battaglia e la guerra dichiarata più di un mese prima, ed era risultato solennemente che quel dannato stupido, rumoroso e presuntuoso si rivelasse una delle persone più importanti della sua vita, tanto che in quel momento aveva la sensazione di essere fatto a pezzi dall’evidente rifiuto.
 
Vedendo come il ragazzo negava lo sguardo o evitava di parlare o di fare commenti stupidi gli rodeva il petto e bruciava la gola. Kaede inspirò discretamente una lunga boccata d’aria. Lui non era così. Non era un ragazzino debole che per un po’ di semplice dolore si sarebbe buttato in un angolo a piagnucolare. No, in alcun modo. Era Kaede Rukawa. Aveva orgoglio, dignità e onore. Beh, ora forse si sentiva di totale merda, ma non l’avrebbe mostrato. Non avrebbe dato a nessuno la soddisfazione.
 
“Come va in Giappone?” chiese trascinando le parole, fingendo almeno un po’ di cortesia.
 
“Cosa?!” l’altro giovane urlò, quasi assordandolo. Kaede si premurò di non infilarsi un dito nell’orecchio dolorante. “Come osi a parlare al genio dopo quello che hai fatto, dannato bastardo?! Se fossi lì giuro che ti ammazzerei a calci, maledetto! Tsk, e hai la faccia di presentarti qui, mentre parlo con tua madre! Che non c’entra niente con le tue stronzate!” gridò come se fosse al mercato a vendere verdura. Kaede, al vomito di parole, non poté più controllare né gestire le espressioni del suo viso, permettendo ai suoi occhi di aprirsi completamente e alle sue labbra di cadere sul pavimento sotto il colpo dello stupore e del dolore; non poteva crederci, non poteva crederci, non poteva credere a quello che stava sentendo. Quello era il vero Sakuragi? Un essere crudele, una persona vile...
 
Come...come si permette...?, scosse impercettibilmente la testa, sentendo, nutrendo e sperimentando una cruda e travolgente furia che iniziava a ribollirgli nelle vene in maniera angosciante.
 
Va bene che non ricambi; va bene che non gli interessino gli uomini...ma non ha il diritto di parlarmi così!, pensò, lanciando fiamme dai suoi occhi blu.
 
“Quale cazzo è il tuo problema, stupido? Se ti ha dato tanto fastidio, dillo e basta. Non devi insultarmi, maledetto idiota!” esclamò con uguale forza e potenza ma senza alzare troppo la voce. Non sarebbe caduto così in basso, denigrando se stesso in quel modo. Non avrebbe rinunciato alla propria personalità per la massa umana di idiozia che si trovava di fronte a lui. Kaede giurò che non si sarebbe vergognato di chi o di come era, e sicuramente non avrebbe permesso a qualcun altro di farlo sentire inferiore o male rispetto a quello che provava, anche se quel qualcuno era la causa di tutto. Preferiva morire.
 
“Se mi ha dato fastidio?! Se mi ha dato fastidio?! Sei rincoglionito?! Come poteva non darmi fastidio?! È stata una bassezza perfino per te!” continuò a urlare Hanamichi, agitando e muovendo esageratamente le braccia. Era ovvio che stesse per esplodere dalla rabbia.
 
Una bassezza...? Una bassezza...? È così che considera quello che provo? Un...degrado...?, Kaede non poteva fare a meno di respirare velocemente e profondamente mentre si sentiva lacerato; le mani dolevano a causa delle unghie che scavavano nella pelle, la mascella pulsava dalla forza con cui serrava i denti, gli occhi gli bruciavano e avvertiva prurito al naso.
 
“Sei un miserabile...un dannato figlio di puttana” mormorò. Non ne poteva più. Se fosse rimasto ancora qualche minuto davanti a quell’idiota, avrebbe buttato il portatile fuori dalla finestra. E avrebbe urlato. E l’avrebbe insultato. E avrebbe urlato ancora. E avrebbe rotto altre cose. E avrebbe pianto...
 
“Come osi?! Tu lo sei! Sei stato tu a baciarmi solo per farmi fuori dalla squadra! Sei un dannato egoista! Credevo fossimo amici, bastardo! Ma la verità è che tu non vuoi che venga nei Tar Heels! E per questo tu...tu...ma non manipolerai il genio, dannato! Andrò nella squadra che voglio! Hai sentito?!”, Hanamichi, con il viso rosso e il petto che si alzava e abbassava velocemente, fissò con sguardo omicida il ragazzo perso e confuso dall’altro lato. Nemmeno lui poteva più sopportare quella conversazione. Il suo temperamento già per natura alterato era al punto di rottura. Le visibili e pulsanti vene sulla sua fronte erano la prova della sua agitazione.
 
Perché?, si chiese, perché fa così male?
 
Perché i suoi occhi volevano piangere?
 
Rukawa era un amico...o almeno così aveva pensato. Era solo un amico. Un amico. Un amico. Un compagno di squadra. Un compagno. Una persona con cui ridere. Con cui competere. Una persona che ammirava. Che invidiava.
Una persona con cui amava passare i pomeriggi. Una persona che gli piaceva osservare. Una persona di cui si fidava. Una persona che avrebbe voluto vedere per sempre.
 
Hanamichi si zittì e si fermò da quel brivido e scarica lungo la schiena. Aspettò la risposta dell’altro, fingendo di distrarsi. Ma non poté evitare di fissare il suo ex compagno attraverso lo schermo. Rukawa sembrava così composto. Così elegante. Così irraggiungibile. E Hanamichi lo odiava per questo, perché voleva essere come lui. Voleva essere al suo fianco. Camminare al suo ritmo. Condividere e vivere le stesse avventure. Le stesse disgrazie e le stesse gioie.
 
Gli costa così tanto accettarmi?
 
Kaede, d’altra parte, era ben lungi dall’immaginare i pensieri del ragazzo.
Shock. Puro e assurdo shock impregnava la sua mente.
 
Cosa...?
 
Cos’ha appena detto questo scemo...?
 
Lui pensa...?
 
Crede che...?
 
Crede che l’abbia baciato...con l’unico scopo di allontanarlo e non farlo venire in North Carolina...?
 
Per questo è arrabbiato...
 
Per questo non ha chiamato...
 
Perché è un completo e totale idiota...
 
Dal nulla, Kaede si mise a ridere con forza, così tanto da doversi tenere lo stomaco per il dolore.
 
“Cosa ridi, fottuto bastardo?!” esplose Hanamichi, che non trovava nulla di divertente in quella situazione. Il suo precedente intorpidimento evaporò per la strana reazione della volpe. Anche se qualcosa di dolce e soffice svolazzava nel suo stomaco nell’ascoltare la libera e alta risata del giovane, la rabbia gli consumava il cervello. Non avrebbe permesso a quel perdente di continuare a prenderlo in giro.
 
“Di te” rispose Kaede, ancora ridendo. Provò a fermare un po’ le risatine che gli uscivano dalle labbra screpolate.
 
“Dannato! Ti ucciderò! Giurò che verrò lì e-”
 
“Sei ottuso, Hanamichi”, prima che Sakuragi potesse reagire e possibilmente avere un infarto, Kaede proseguì, “pensi davvero che potrei baciarti solo per non farti venire nella squadra? Che farei una cosa così stupida...così imbarazzante...davanti ad altre persone, a Dan...davanti ai miei genitori...solo per impedirti di venire qui?”
 
“...sì?” mormorò Hanamichi che ora, sentendolo dalle labbra della volpe, ammetteva che suonava come una vera idiozia; nessuno sano di mente, tantomeno il re dei ghiacci, avrebbe fatto una cosa così assurda e infantile.
 
Ma...
 
...allora perché l’aveva fatto?
 
Quando entrambi riuscirono a riprendere fiato, a regolare la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca, si guardarono negli occhi. Quelli color cioccolato incontrarono quelli blu. E Hanamichi, in quel leggero e pacifico momento, rilevò qualcosa nello sguardo intenso dell’altro; qualcosa che non aveva mai visto prima, perché il modo in cui lo stava guardando era così diretto, penetrante, così attento e travolgente...Hanamichi non poté controllare una viva e indisciplinata fiamma che si accese nel suo stomaco. Gli si seccò la gola e i nervi si tesero. Le sue larghe spalle si irrigidirono.
 
Forse la volpe...?, si chiese senza osare finire la frase, perché il semplice pensiero era sciocco e ridicolò. Già una volta aveva riflettuto su quell’opzione e...semplicemente, pareva impossibile. Non poteva essere. Di sicuro era frutto della sua mente fantasiosa. Un trucco della sua immaginazione esausta.
 
Però...nah...non può essere...
 
Kaede, d’altra parte, si sentiva, dopo settimane, più leggero. Più libero. Più felice. Era testimone vivente di come il vuoto nel suo petto scomparve, come per magia. Evaporando in una schiuma calda e salutare; di come, invece che da un freddo spaventoso, ora sembravano esserci un calore e un fuoco deliziosi, una fiamma rossastra e viva. Si sentiva così avvolto, così al sicuro. Si sentiva forte, energico, vivo, coraggioso e grintoso. In grado di uscire e sconfiggere qualsiasi avversario. In grado di scalare la montagna più alta. In grado di nuotare nel mare più agitato. Si sentiva il re del mondo, l’essere più potente del pianeta.
 
“Sai perché l’ho fatto?” chiese lentamente, guidato incantevolmente da quella nuova fiamma che lo spingeva e lo colmava. Il suo petto si espandeva ad ogni secondo che passava. Era come se delle bolle gli solleticassero i muscoli, e una spuma svolazzasse dentro di lui. Hanamichi, che lo guardò per qualche secondo con un’espressione ebete, scosse il capo.
 
“Perché...l’ho fatto perché...mi piaci; la decisione è tua idiota, ma...se fosse per me...verresti in North Carolina...con me”
 
Era incredibile quanto si sentisse leggiadro, spensierato; non che una risposta negativa non gli avrebbe fatto male, ma finalmente il fardello che lo stava gravando da settimane era finalmente scomparso.
 
“C-cosa...c-come? A-a te...piacciono...a t-te piacciono gli u-uomini?” Hanamichi, rimasto per qualche secondo con occhi e bocca aperti, disse la prima cosa gli passò per la testa. La domanda non aveva ovviamente senso. Ma non sapeva che altro dire.
 
Hanamichi onestamente non poteva credere alle proprie orecchie; una parte di lui continuava a urlare che si trattava di uno scherzo malato della volpe, e di non credere a una parola uscita da quelle labbra rosate, ma...la parte logica e ragionevole negò con forza. Non c’era motivo per cui Rukawa dovesse mentire su una cosa del genere; ma ciò era di poco aiuto per Hanamichi, che non sapeva dove guardare per l’imbarazzo. Sentiva collo, guance e orecchie in fiamme, e non ne era meravigliato.
 
Non era la prima volta che qualcuno gli si dichiarava, ma mai prima d’ora l’aveva fatto un uomo. E Rukawa, tra tutti!
Hanamichi non poté fare a meno di provare un certo compiacimento e presunzione che qualcuno come Rukawa avesse puntato lui, ma c’era anche smarrimento e confusione.
 
Cosa doveva dire ora? Alle due ragazze che gli si erano dichiarate in precedenza, con cortesia ed imbarazzo, aveva risposto che era già innamorato di qualcuno (all’epoca, Haruko) e che non poteva ricambiare i loro sentimenti.
 
Doveva fare la stessa cosa? Rispondere che era innamorato di Haruko? Il che, pur non essendo del tutto falso, non era nemmeno vero, perché mesi prima aveva confessato alla ragazza i suoi sentimenti e lei lo aveva respinto con dolcezza e tristezza, aiutandolo a distaccarsi e a lasciare andare i sentimenti per lei.
 
...e allora cosa dire?
 
Che non gli piacevano gli uomini?
 
Perché...non gli piacevano, no?
 
“Te l’ho appena detto, scemo: mi piaci tu” rispose Kaede evitando di alzare gli occhi al cielo per la stupida domanda. Il suo stomaco fu invaso da crampi e attesa, ma si rifiutò di soffermarsi su quello.
 
“Ah” esalò Hanamichi abbassando gli occhi sulle proprie mani. Anche se Kaede non poteva vederlo, sapeva che la scimmia stava giocando con le dita come un bambino.
 
Era tutto lì?
 
Così finiva ogni cosa?
 
Quella strana ma perfetta amicizia che era nata per forza e da una costrizione, finiva così?
 
In maniera così imbarazzante, così...distante?
 
Kaede si guardò le mani pallide, torvo. Vide i segni rossi causati dalle unghie sulla forza della disperazione. Si rifiutò. Si rifiutò di accettarlo.
 
Hanamichi era...era stato suo compagno...suo amico...
 
“Non devi dire niente, sciocco, ma...possiamo...parlare per email o per videochiamata?”, Kaede fece quasi una smorfia, odiando il suono della propria voce, così piccola e supplicante mentre cercava di fingere indifferenza.
 
Cosa non faccio per questo stupido...
 
“Eh...s-sì, sì, certo” rispose Hanamichi agitando il capo.
 
“Mia mamma non tornerà e io ho gli allenamenti” mentì, impassibile e annoiato nel tentativo di dimostrare che nulla sarebbe cambiato. Il fatto che gli avesse parlato dei propri sentimenti non significava che avrebbe cominciato a comportarsi come una mocciosa innamorata. Non era il suo stile, grazie tante.
 
“Mmh, allora ci vediamo, volpe”
 
Kaede si congedò con un cenno del capo prima di spegnere la connessione e il pc.
Per alcuni eterni minuti, fissò l’apparato chiuso, meditando e analizzando tutto. Normalmente non era una persona che rifletteva molto su una questione; era più un ragazzo d’azione, che reagiva, che non si soffermava su parole o pensieri profondi. Ora però, pensava che fosse necessario riflettere un po’ su tutto quanto...beh, l’aveva detto. Alla fine aveva confessato i suoi sentimenti; e sebbene non fosse stato brutalmente respinto, non era nemmeno stato accettato (il che, in effetti, era ovvio).
 
Quello che era successo non lo faceva sentire felice né desideroso di urlare e saltare per la gioia (cosa che in ogni caso non avrebbe mai fatto), ma almeno non sperimentava più le depressive sensazioni che lo avevano perseguitato e tormentato per le ultime settimane. Quel piccolo dolore che lo pungeva lì, nel posticino dove tanto gelosamente custodiva il suo cuore, era una bazzeccola in confronto, quindi...beh, non aveva motivo di festeggiare, ma nemmeno di lanciarsi da un ponte molto alto.
 
Sorrise leggermente rimettendo il portatile al suo posto, alzandosi e dirigendosi verso il punto che aveva preventivato, il campetto, ma senza lo scopo di dimenticare o isolarsi dal mondo e dalle emozioni frustranti che lo stavano invadendo o dai genitori preoccupati, ma semplicemente per godersi lo sport che tanto amava. Durante quel periodo gli era servito e l’aveva aiutato molto come necessario rifugio e disperato mezzo di fuga, ma ora poteva tornare a essere ciò che era da sempre: un mondo a parte in cui tutto sembrava ed era migliore.
 
I giorni seguenti, Kaede continuò con la sua routine: dormire finché lo consentivano il suo corpo e gli orari, andare a lezione, allenarsi nel pomeriggio e studiare in seguito; un’ultima attività si era però di recente aggiunta al programma: comunicare con l’idiota.
A volte ci voleva solo una mezz’ora se si trattava di rispondere a una email, ma altre sere passavano lunghe ore in videochiamate che contenevano sia insulti che chiacchiere sulle rispettive squadre e su come andava in generale.
Quelle conversazioni, così pateticamente attese da Kaede, non erano state così facili da costruire, perché inizialmente lo scemo si era limitato a fissarlo per la maggior parte del tempo, dicendo scemenze e cose senza senso, con evidente disagio e nervosismo.
 
Kaede, sorprendentemente, si era sempre controllato per non sospirare irritato, con commenti offensivi, né urlandogli che era un dannato idiota; si era trattenuto per dirgli che non doveva cambiare nulla tra loro: anche se aveva confessato sentimenti insignificanti, non significava che si aspettasse qualcosa o che si sarebbe comportato in modo differente. Quello stupido di Hanamichi ci aveva messo un po’, impiegando quasi due settimane intere per balzare con un forte:
 
“Tu! Bastardo, come ti viene in mente di trattare così il genio? Dannato, non hai diritto! Un giocatore del tuo livello-!” aveva gridato dopo un attacco verbale particolarmente aggressivo della volpe, che aveva sorriso della reazione.
 
Finalmente, aveva pensato con un grugnito.
 
Da quel momento fortunatamente tornarono a parlare come avevano sempre fatto: alcune volte si guardavano e Hanamichi si voltava rapidamente con un vivido rossore sulle guance. Ma Kaede capiva. Era consapevole che l’altro si vergognasse nell’accorgersi che nei suoi occhi blu non c’era traccia dell’antico disprezzo o astio, ma solo accettazione, calore e tenerezza. Lo stesso Kaede era stupito di quanto la propria espressione cambiasse ogni volta che parlava, pensava o guardava Hanamichi.
 
Grazie a tutto ciò, casa sua tornò ad essere un posto sicuro e privo di sguardi e commenti attenti e compassionevoli; sua madre, che in precedenza stava attenta anche solo a menzionare la parola ‘Giappone’, ora chiedeva liberamente come stava Sakuragi, sapendo che suo figlio comunicava costantemente con il giovane.
 
Anche la squadra aveva notato il miglioramento nell’umore del ragazzo, cosa che stupì incredibilmente Kaede, perché aveva ingenuamente pensato che solo Tom si fosse accorto delle sue condizioni; ancora di più quando il coach Williams lo convocò nel suo ufficio un pomeriggio per parlargli in privato ed accennò che era contento che avesse risolto qualsiasi problema, e di non pensarci due volte, in futuro, a parlare con lui, dandogli completa disponibilità per ascoltarlo, e Kaede a malapena controllò la propria mascella, sul punto di crollare sul pavimento per lo shock, limitandosi a rispondere che stava bene, che non aveva problemi e che era grato per l’appoggio.
 
“Allora...hai parlato con il rosso?” gli aveva chiesto Tom un paio di giorni prima mentre uscivano dagli spogliatoi e si dirigevano al parcheggio delle biciclette. Gli altri ragazzi erano usciti un po’ prima, quasi correndo di gioia nell’essere liberati prima del solito. Kaede, pur non essendo la persona più osservatrice e attenta né della squadra né del mondo, avrebbe potuto giurare di aver visto Chris e Kevin uscire insieme, cosa strana dato che fino a qualche giorno prima si evitavano come la peste.
 
Kaede, camminando con il suo compagno, si era vantato internamente per aver totalmente padroneggiato l’arte di prevenire e controllare qualsiasi espressione facciale, voltandosi e annuendo con discrezione. Dentro di sé non aveva potuto evitare di percepire che il ragazzo sapesse che qualcosa stava succedendo tra lui e l’altro giapponese; non era sicuro che l’americano sapesse che si trattava di qualcosa di romantico, ma sicuramente avvertiva che c’era qualcosa di strano che coinvolgeva entrambi. E in realtà era meglio che le cose rimanessero così. Tom poteva essere ciò che si avvicinava di più alla definizione di amico, ma non aveva con lui – né con nessun altro – abbastanza confidenza per avvicinarsi e confessare di provare dei sentimenti per un uomo. In quell’ambiente cose del genere erano molto rischiose.
Era già sufficiente che lo sapesse Dan, e il vecchio era quasi di famiglia (parole sue, non di Kaede).
 
I Tar Heels fortunatamente stavano vivendo una delle migliori stagioni della loro storia, vincendo titoli e spazi quotidiani nei telegiornali e nei programmi sportivi. La striscia vincente che si trascinava fin dall’inizio rimbombava in tutto il paese, anche nelle orecchie degli interessati al basket internazionale. Kaede era orgoglioso e soddisfatto del suo sforzo e lavoro; non dubitava ovviamente di dover fare ancora molto per crescere e imparare da se stesso e dai suoi compagni, ma sapeva che il primo passo era avvenuto con successo, perché accettando l’aiuto o ammettendo i propri errori non si perdeva l’orgoglio né ci si denigrava, ma si dimostrava di volersi superare e maturare.
 
Nonostante tutto ciò, i giorni luminosi che riempivano le sue settimane, le partite emozionanti che vinceva con i suoi compagni, gli esami che riusciva a passare grazie al suo duro studio, c’era qualcosa che stava oscurando quello che avrebbe potuto essere l’anno migliore della sua vita.
 
A prescindere da quante volte parlasse con Hanamichi o dalle centinaia di email che si spedivano in pochi giorni, non lo aveva ancora con sé. Al suo fianco, mentre gli urlava insulti dovuti alla gelosia, sorridendogli per sfidarlo a duello, a basket o ai videogiochi. Non poteva toccargli il braccio. Non poteva strappargli una risata e vedere la pelle intorno ai suoi occhi raggrinzirsi, o deliziarsi nel modo in cui quella bocca si apriva come l’alba davanti ai suoi occhi.
 
A volte desiderava averlo come fidanzato (sì, la sua immaginazione tendeva a viaggiare lontano), consolandosi e pensando che Hanamichi dall’altra parte del mondo sentiva la sua mancanza e lo desiderava a sua volta, forse con la stessa forza e disperazione. Forse con la stessa ansia e angoscia. Lo confortava l’idea di non essere il solo in quella sciocca e sdolcinata faccenda definita amore e, più importante, che Hanamichi, con lo stesso desiderio e sogno di rimanere con lui per sempre, avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per stare al suo fianco.
 
Ora invece l’unica cosa che poteva fare era convincersi che alla fine Hanamichi sarebbe venuto in America per la successiva stagione e semestre accademico; si rifiutava di pensare che Sakuragi avrebbe respinto tutte le offerte decidendo, al contrario, di rimanere a studiare e giocare in Giappone. Se si soffermava su quella remota ma esistente possibilità, allora cosa gli rimaneva? Avrebbe avuto qualche sciocca speranza?...quindi no, grazie. Preferiva, per quanto risultasse infantile, aggrapparsi a quei pensieri, concentrandosi sul lato relativamente positivo delle cose.
 
Da un lato, se l’idiota avesse scelto i Wildcats di Kentucky, almeno sarebbero stati nello stesso continente, nello stesso paese, nella stessa lega orientale; sarebbero stati separati da 7 ore di auto, ma comunque si sarebbero potuti vedere con una certa regolarità. Se avesse scelto Duke, avrebbero vissuto vicini, e con la bicicletta non ci sarebbero stati praticamente ostacoli a incontrarsi quasi ogni giorno. Infine, se avesse scelto North Carolina, forse avrebbe avuto anche la possibilità di conquistarlo – sognare non costava nulla.
 
I suoi piani e le sue riflessioni erano abbastanza semplici e stranamente non considerò l’idea più facile di tutte: dimenticare l’idiota.
 
Non gli passò mai per la testa. Era stupido, considerato il trauma subito quando aveva appreso di quei sentimenti per il goffo scimmione. Ma, beh, era ancora giovane...chi poteva rimproverarlo per voler sperimentare sentimenti del genere almeno una volta? Non stava facendo del male a nessuno, perché se qualcosa fosse andato storto, l’unico a rimanerne ferito sarebbe stato lui.
 
Altre volte, mettendo da parte il fantasioso sogno in cui l’idiota accettava di essere più che amici, Kaede sentiva la mancanza del suo calore, della sua presenza, della sua forza e del suo corpo. Gli mancava incollarsi a lui quando si allenavano, o sentire il calore della sua pelle quando dormivano vicini; gli mancava il privilegio di mangiarselo con gli occhi ogni volta che voleva, soprattutto quando l’idiota se ne stava senza maglietta lasciando scoperto il suo torso tonico, abbronzato e sudato alla mercé del suo sguardo avido.
Quei ricordi e quei pensieri portavano a dure e appiciccose conseguenze ogni mattina e ultimamente ogni sera.
 
Come aveva iniziato a fare quando Hanamichi era arrivato a casa sua più di un mese prima, Kaede aveva ripreso l’abitudine di masturbarsi sotto la doccia, solo che ora non era più sufficiente. Quindi aveva cominciato a farlo anche di sera, dolo le lunghe conversazioni con Hanamichi via chat o videochiamata. Era ridicolo, imbarazzante, ma anche incredibilmente piacevole e liberatorio. Tutte le sue fantasie solitamente erano le stesse. Lui e Hanamichi insieme, mentre si baciavano – e non era un male aver già assaggiato le sue labbra -, toccandosi e sfregandosi l’uno contro l’altro, alcune volte masturbandosi a vicenda – quello quando riusciva a resistere fino a quel punto.
 
Ma non era pienamente soddisfacente. Aveva bisogno di più.
Dopo averci pensato e meditato più volte, un venerdì sera decise, mentre i suoi genitori dormivano, e lui era accaldato da morire dopo aver parlato con Sakuragi, di accendere il pc e di aprire il motore di ricerca in Internet.
Per qualche secondo rimase a fissare lo schermo luminoso, ma febbrilmente mosse la mano e scrisse nella barra bianca ‘sesso gay’.
 
La prima cosa che bombardò il ragazzo imbarazzato fu una decina di pagine (ma ce n’erano molte altre) di video porno. Kaede dubitò all’idea di entrare in una di esse, guardare i video o leggere e basta. Per qualche minuto provò l’ultima opzione – per la propria salute mentale – trovando articoli interessanti – ebbene sì – sull’argomento, ma alcune parole, terminologie e fotografie lo eccitarono più di quanto non fosse già (sesso orale, succhiare, sesso anale e masturbazione quasi portarono i suoi ormoni adolescenziali al limite), così cedette ai video. Senza sapere bene cosa scegliere, optò per il primo della pagina.
 
Oh...
 
Come riesce a farlo...?
 
Oh!
 
Wow...
 
Ah...
 
Mmh...
 
Oh merda...
 
Q-quello deve essere figo...
 
Se inizialmente guardò lo schermo con una certa apprensione voltandosi frettolosamente verso la porta della stanza, finì per concentrarsi con attenzione sui due attraenti uomini che si stavano cavalcando con forza.
 
“Mmh” gli uscì dalla gola mentre si toccava con uguale o più intensità dei tizi che si succhiavano e si leccavano nel video. I suoi occhi sembravano non volersi staccare dalle bollenti immagini che gli si presentavano, e non lo fecero finché non venne nella propria mano nascosta da un vecchio pigiama.
 
Ah...è stato fantastico..., pensò osservando annebbiato e perso il soffitto bianco della sua stanza, ignorando la pagina sul pc ancora attiva. Fu però subito assalito da un senso di imbarazzo e timidezza, ma con velocità lo scacciò.
Se l’era già detto una volta, niente e nessuno lo avrebbe portato a vergognarsi di ciò che era o di quello che provava.
Si alzò, si pulì, aprì la finestra per far entrare aria e chiuse il pc. Sdraiandosi ora tranquillamente sulle coperte, non poté impedire alle immagini appena viste di tornargli in mente, ma questa volta non c’erano i tizi protagonisti del video, c’erano invece lui e Hanamichi insieme, con addosso solo succinta e sexy biancheria intima, che si baciavano e si toccavano.
 
Kaede si incendiò all’idea di mettersi in ginocchio per leccare e mordere la parte più sensibile dell’altro; l’avrebbe succhiato con entusiasmo e fervore fino a farlo finire nella propria bocca, poi il ragazzo avrebbe ricambiato il favore con uguale fame e desiderio. Si sarebbero baciati con ulteriore passione e bisogno. Si sarebbero avvinghiati alle reciproche pelli sudati lasciando segni, graffi e succhiotti su ogni parte visibile.
 
Kaede si vide mentre veniva leccato in maniera particolarmente intensa da Hanamichi. Lo immaginò mentre mordeva con una certa violenza il suo collo pallido. Avrebbe ansimato. Certamente sì. Avrebbe ansimato e respirato pesantemente. Avrebbe abbracciato il suo corpo, stringendolo. Si sarebbe goduto il suo calore e la sua potenza. Hanamichi gli avrebbe sorriso. L’avrebbe guardato con i suoi innocenti occhi color cioccolato e l’avrebbe baciato teneramente. Gli avrebbe accarezzato la guancia, quasi con riverenza.
 
Si sarebbero uniti, le fronti bagnate, le guance arrossate, i colli sensibili, mani e gambe impazienti, stendendosi sulle coperte, impazienti e affamati.
 
Kaede onestamente non sapeva quale idea lo eccitasse di più: se dare o ricevere, nel sesso anale. Naturalmente, da uomo orgoglioso qual era, l’immagine di lui che penetrava Hanamichi con forza e velocità era immensamente desiderabile. Era incredibilmente eccitante immaginare il ragazzo con le labbra gonfie e bagnate mentre ansimava di piacere, respirando affannosamente per riprendersi dalle spinte di un volpino disperato. Ma non poteva negare che anche l’idea di ricevere la forza e l’ardore di Hanamichi fosse piacevole. Poteva immaginarlo: Hanamichi su di lui, sudato e arrossato per lo sforzo, le labbra aperte e gli occhi velati di piacere, mentre spingeva in lui con impeto e aggressività, intrappolandolo contro la testiera del letto, incitandolo ad aggrapparsi per sostenersi. L’avrebbe ghermito come un polpo. Si sarebbe attaccato alla sua schiena muscolosa, affondando le dita ed emettendo gemiti e urla di soddisfazione.
 
“A-ah...” gemette, riprendendo a toccarsi.
 
Sì...sarebbe stata sicuramente una notte molto lunga.
 
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Le famose e amate figure di Dragon Ball in un 2D di dubbia qualità combattevano strenuamente sullo schermo della tv; Crilin stava pestando in modo memorabile Goku, che a malapena sembrava difendersi dagli attacchi travolgenti dell’avversario. Per quel motivo, e per la poca vita che aveva quest’ultimo, dopo poco apparve sullo schermo del giocatore un gigantesco e bruciante Game Over.
 
“È la terza volta di fila che ti batto, Hanamichi. Penso che le tue grandi capacità si stiano esaurendo” disse dolcemente il ragazzo bruno, cercando di richiamare l’attenzione del suo amico, che rimase perso a fissare distrattamente lo schermo.
 
“Eh? Che dici, Yohei?! Il genio si è distratto, tutto qui!” urlò prima di sbuffare e strizzare la console per preparare un’altra partita, ma la mano ferma del suo amico fermò qualsiasi movimento. Se l’avesse fatto qualcun altro, Hanamichi non avrebbe esitato a colpire l’impertinente, ma si trattava del suo migliore amico, al quale lui stesso si era rivolto per una conversazione seria.
 
“Hana...perché non mi dici che ti succede?” chiese, lasciando perdere il gioco e concentrandosi sugli occhi castani ultimamente distratti dell’altro.
 
“Tsk! Perché pensi che stia succedendo qualcosa? Ahahaha, il genio non potrebbe stare meglio” rispose con un gesto esagerato, con chiaro riferimento alla recente vittoria che ancora vantava – menzionandola a chiunque – della sua squadra di basket; il trionfo aveva portato la squadra ad essere incoronata come la migliore del torneo nazionale dopo un incontro estenuante ma gratificante di pochi giorni prima.
 
La partita e la vittoria avevano molto a che fare con il motivo per il quale era con il suo incondizionato amico durante quel sereno pomeriggio, dopo aver chiesto con tono alto e indifferente al telefono se potevano parlare senza gli altri a dare fastidio. Yohei aveva acconsenito subito, senza negare di provare un’immensa curiosità per scoprire, finalmente, cosa stava turbando Hanamichi negli ultimi tempi.
 
“Beh, se ricordo bene, stamattina mi hai chiamato perché volevi parlare...”
 
“Lo so, lo so! Non devi ricordarlo allo studente migliore della sua generazione! Io...beh...volevo...”
 
Yohei Mito, inseparabile amico e compagno dell’ex teppista dai capelli rossi, guardò con stupore e sconcerto come Hanamichi si grattava la nuca e si dibatteva per cercare le parole giuste per esprimere qualunque cosa volesse dirgli; Yohei non l’aveva mai visto così, tranne ovviamente quando faceva il filo a una delle ragazze che gli erano piaciute (soprattutto Haruko), ma anche in quel momento era solo un po’ nervoso e imbarazzato. Ora sembrava contrariato e alterato.
 
Hanamichi nel frattempo combatteva una tremenda e sanguinosa battaglia di pensieri e parole dentro di sé.
Come spiegare? Da dove iniziare? Dall’inizio, sembrava logico. Ma qual era l’inizio? La squadra da scegliere? La dichiarazione della volpe? Entrambi? Sì...poteva andare bene.
 
“Beh...sai che devo decidere in quale squadra andare dalla prossima settimana...”
 
Yohei annuì e il ragazzo lo guardò con determinazione.
 
“Delle tre...ne ho già esclusa una...”
 
Yohei si controllò per non sussultare di sorpresa, perché era la prima volta che Hanamichi ne parlava di sua volontò e apertamente. In un certo modo, si sentì lusingato e umile di fronte alla richiesta di aiuto e consiglio dell’amico, credendo onestamente che la faccenda riguardasse solo quello.
 
“Le tre...tutte e tre le squadre sono fantastiche. Questo genio andrebbe alla grande in chiunque. Ma...in Kentucky non mi sono mai sentito...argh! Non so, come...come...” stava cercando il termine giusto, guardando da ogni lato.
 
“Non ti sentivi bene?” fece l’altro tentando di aiutarlo.
 
“No, mi sentivo bene, solo che...nelle altre...sono stato meglio?” finì, non sapendo davvero come spiegare il disagio, la lontananza, la mancanza di compagnia che aveva avvertito nella prestigiosa università del Kentucky.
Yohei, che poteva vantarsi di conoscere Hanamichi come pochi altri, non ebbe bisogno di altre parole o gesti per capire, quindi annuì con un sorriso, spingendolo a continuare.
Hanamichi sospirò prima di farsi coraggio.
 
“Ma tra Duke e North Carolina...non ho idea di quale scegliere...”
 
“Mmh, potresti fare una lista...” propose dopo qualche secondo, pensando che quello fosse l’unico problema.
 
“E poi quel maledetto bastardo non è stato di alcun aiuto! Ha solo peggiorato le cose!” urlò frustrato e irritato, all’improvviso, facendo accigliare Yohei con un’espressione sinceramente confusa.
 
“Maledetto bastardo?” chiese.
 
“Quel volpino puzzolente! Chi altro?” rispose, sbuffando.
 
“Che ha fatto Rukawa questa volta?” domandò, quasi annoiato; Yohei era pronto a scommettere che l’ex super matricola avesse detto qualcosa ad Hanamichi per provocarlo o seccarlo, ecco perché ora era così sconvolto. Una cosa tipica, in realtà, se si tornava un po’ indietro nel tempo. Non era per niente insolito trovare Hanamichi al liceo che quasi esplodeva per ogni minimo commento della volpe. Yohei e i ragazzi erano così abituati che al terzo anno, invece di spingerli ad andare d’accordo, non facevano che infastidire Hanamichi ulteriormente, a volte persino schierandosi con Rukawa. Ma Rukawa aveva sempre avuto quell’effetto su Hanamichi. Era l’unico in grado di accenderlo, in un certo senso. L’unico in grado di tirarlo fuori da qualsiasi buco o mondo in cui Hanamichi fosse sommerso quando non rendeva, riuscendo a fargli dare il meglio di sé.
 
Una cosa strana, pensò Yohei, considerato quanto non andassero d’accordo.
 
“L-lui...il volpino...ah, quel bastardo!”
 
Wow, ha detto qualcosa di così grave?, pensò Yohei con genuina curiosità. Normalmente Hanamichi si sarebbe limitato a inveire contro Rukawa, raccontando i dettagli delle atrocità che aveva commesso per alterarlo tanto, ma ora Hanamichi sembrava non riuscire neanche a parlare.
Hanamichi, affogando nella propria miseria e vergogna, in quel momento desiderò avere di nuovo i capelli lunghi per tirarseli con frustrazione.
 
E adesso come lo dico...!, solo pensarci era imbarazzante.
 
Anche se continuavano a mantenere l’amicizia che avevano sviluppato in America, non significava che ogni tanto Hanamichi non provasse vergogna, soprattutto quando entrambi, attraverso Skype, rimanevano zitti a guardarsi; in quei momenti i loro occhi si scontravano e ogni avvenimento, evento o persona al mondo veniva dimenticato. Hanamichi finiva sempre per tremare e innervosirsi più del solito, soprattutto per quello che esprimevano gli zaffiri del ragazzo.
 
Gli occhi della volpe...sono così...così...luminosi...e profondi...e...blu...
 
Senza poterlo prevenire o prevedere, sentì un gran calore al ricordo del bacio che il ragazzo gli aveva dato in aeroporto.
 
Per Hanamichi era stato facile qualificare quel momento come il più tremendo della sua vita, includendo il giorno in cui Haruko l’aveva rifiutato, e anche ora poteva ricordare l’acidità di quell’istante, la torsione allo stomaco e il bruciore sulle guance; ma dal preciso momento in cui Rukawa si era avvicinato a lui, chiudendo gli occhi e alzando il viso, era stato sopraffatto in modo schiacciante ed esorbitante; sentendo il calore delle sue labbra sulle proprie, la sensazione di ogni punto screpolato premuto contro di lui, la scarica elettrica lungo il suo corpo, l’ardore nello stomaco, la rapidità del sangue che abbandonava il suo cervello e lo lasciava debole, quel giorno Hanamichi Sakuragi aveva sentito bruciare persino le punte dei piedi, e non esattamente per l’imbarazzo.
 
E ora non poteva svegliarsi, allenarsi, andare a lezione e addormentarsi senza pensare o ricordare la stupida volpe.
 
Era orribile! Quel maledetto Rukawa era costantemente nella sua testa!
 
Principalmente era per quello che si trovava lì, oggi. Perché la sua attenzione sempre sviata su quell’idiota gli stava divorando la testa, non permettendogli di pensare in maniera logica e ragionevole.
 
“Il giorno in cui mi hanno accompagnato all’aeroporto...” cominciò, pensando che spiegarlo in altro modo fosse troppo complicato. Yohei, incuriosito, ora era ancora più confuso. Cosa c’entrava una cosa successa più di un mese prima?
 
“Io...ho salutato il vecchio Dan...la mamma e il papà di Rukawa e...anche quel perdente...” raccontò con lo sguardo incollato sul pavimento, “mentre me ne stavo andando, la volpe mi ha chiamato...dicendo il mio nome”
 
Yohei alzò le sopracciglia per lo stupore, cioè gli era chiaro che quei due si fossero lasciati alle spalle le asperità ed ora erano più o meno amici, ma non si aspettava tanta confidenza tra loro, soprattutto in così poco tempo.
 
“Quando mi sono girato, lui si è avvicinato e....b-beh, lui...la volpe...”
 
Yohei era tentato di colpirlo per farlo parlare, ma poi si sarebbe ritrovato livido e dolorante, quindi finse pazienza e arricciò le labbra.
 
“S-sai...lui mi ha...quel bastardo mi ha baciato!” terminò, completamente rosso.
 
“Che cosa?!” urlò Yohei – facendosi sentire probabilmente per tutto l’isolato.
 
Oh mio dio, oh mio dio...oh mio dio! Non posso crederci! Quel re dei ghiacci...anche se...beh...
 
In realtà non era così strano che il ragazzo fosse dell’altra sponda, considerato che non degnava di un’occhiata nessuna delle sue compagne o fan – e alcune di loro non erano affatto male. Ma che gli piacesse Hanamichi, dell’intera popolazione maschile del pianeta?!
 
Quel tipo non sta bene! Hana lo odia...a malapena lo sopportava quando è andato in America...ah! Poveretto...mi fa un po’ pena..., pensò mentre elaborava il tutto. Tuttavia, quando alzò gli occhi e vide la faccia taciturna e arrossata di Hanamichi, qualcosa gli scattò in mente.
 
Potrebbe essere che Hana...?
 
“E tu...hai ricambiato?” chiese dopo essersi schiarito la gola.
 
“Cosa?! No, cosa credi?!” rispose subito sentendo il fuoco sulle guance che si diffondeva su tutto il viso e il collo. “Quel...quel bastardo ha usato rubare il primo bacio del genio!” cambiò argomento, ricordando che quello lo faceva arrabbiare e vergognare ancora di più.
 
“Beh...era ora, Hana, ahahahah!” scherzò Yohei, rendendosi conto che nulla di quella conversazione lo disgustava, lo infastidiva o gli risultava repellente. Hanamichi era e sarebbe sempre stato il suo migliore amico, indipendentemente dalla persona alla quale avrebbe deciso di consegnare il suo cuore.
 
“Zitto, scemo! Questo genio lo stava conservando per qualcuno di speciale!” rispose per giustificarsi, ma ora inspiegabilmente si sentiva più leggero e spensierato. Guardò il suo amico ridere e scherzre come sempre, di sicuro si era privato di un peso che non aveva idea di tenere sulle spalle. “Qualcuno...come Haruko...” continuò in un sussurro.
 
Yohei sospirò, cercando di riunire le parole per esprimere quello che voleva dire; in realtà non era molto sicuro di cosa stava succedendo.
 
Beh...chiaramente Rukawa è...gay...e a quanto pare gli piace Hanamichi, ma...ad Hanamichi...piace ancora Haruko? E poi cosa c’entra Rukawa con la faccenda di scegliere la squadra?
 
“E tu...hai provato qualcosa? Per il bacio, intendo?” chiese, cercando di mettere insieme i pezzi del puzzle.
 
“Certo che no! Insomma...ho sentito...sai! Le sue labbra e il suo c-calore...ma fine!” rispose subito, scoprendo che non era ancora pronto per spiegare cos’aveva effettivamente provato quando la volpe l’aveva baciato in maniera così sorprendente ma tenera quella mattina.
 
“Ti ha fatto schifo?”
 
Hanamichi spalancò gli occhi per lo stupore. Non si era aspettato quella domanda, ma non poteva negare che fosse una domanda giusta, perché molte persone si sarebbero sentite violate o disgustate se una persona dello stesso sesso le avesse baciate senza consenso. Hanamichi rivisse rapidamente quel giorno, quel momento e, ironia della sorte, ricordò di aver desiderato che qualunque cosa stesse provando non finisse mai; quel calore, quell’elettricità, quel tepore piacevole, gli aveva dato dipendenza. Per quel motivo, e perché non se la sentiva di negarlo a se stesso, scosse il capo.
 
“Forse...forse ti è piaciuto perché non hai mai baciato nessuno prima...” Yohei, che dall’espressione di Hanamichi intuì cosa stava accadendo, non volle insistere. Proprio com’era successo, quando Hanamichi si fosse sentito pronto, sarebbe andato a parlarne con lui, non prima. Solo per quello concesse una via di fuga.
 
“Mmh” borbottò Hanamichi, guardandosi le scarpe accigliato.
 
“Però, Hana...se il dubbio che hai tra Duke e North Carolina è che vorresti scegliere i Tar Heels ma consideri i Duke solo per allontanarti da Rukawa, ti consiglio di seguire la squadra e non la persona da cui vuoi separarti” disse Yohei seriamente, decidendo di fermarsi con la scusa di andare a cercare da bere, ma in realtà volendo lasciare un po’ di privacy al suo pensieroso amico.
 
Hanamichi, osservando l’amico che si allontanava con occhi smarriti, fece una risatina sarcastica, scuotendo il capo.
 
Cosa diresti, amico mio, se confessassi che i Duke sono sempre stati la mia scelta, finché la volpe non mi ha baciato...?
 
^ ^ ^ ^
 
Forse ti è piaciuto perché non hai mai baciato nessuno prima...
 
Quelle parole, dette con tanta attenzione e presunta leggerezza da parte del suo migliore amico, ora riecheggiavano nella mente di Hanamichi, seduto in attesa e nervoso nella solitaria panchina in un noto parco ora poco frequentato. Hanamichi sospirò e si alzò, non resistendo a rimanere fermo. Si fece più domande su quello che stava per fare, ma se lo confermò con forza e determinazione.
 
È l’unico modo per saperlo, si disse con le mani in tasca e lo sguardo alzato verso il cielo arancione.
 
Lui e Yohei avevano parlato qualche giorno prima e la conversazione lo aveva lasciato ancora più ansioso e in all’erta, perché aveva portato in superficie pensieri e sentimenti che non aveva idea esistessero, immagazzinati e presenti in lui. Aveva cercato di ignorare tutto concentrandosi sugli amici e il basket, ma rimanevano pur sempre le lunghe e solitarie notti; in quelle interminabili ora si girava e rigirava nel suo futon, soprattutto dopo aver parlato con la volpe in videochiamata.
Quelle chiacchierate lo calmavano sempre, lo rassicuravano e lo rendevano perfino felice, ma ugualmente lo irrigidivano, rendendolo accaldato ed energico. Hanamichi non aveva idea di come spegnere qualunque cosa stesse sperimentando.
 
Hanamichi non era sicuro di cosa, esattamente, avesse innescato il motivo per cui si trovava lì oggi, o forse lo sapeva ma non voleva ammetterlo.
La sera prima, parlando con Rukawa delle squadre dell’NBA e delle loro preferenze, Hanamichi aveva detto di non sapere bene cosa scegliere tra gli Oklahoma City Thunder o i Miami Heat. Kaede aveva dato la sua dura opinione su entrambe, dicendo con indifferenza che anche se gli piacevano quelle squadre, avrebbe saputo la verità solo vedendole giocare dal vivo, e avrebbero potuto farlo insieme quando fosse tornato negli Usa. Hanamichi era rimasto in silenzio, mentre Kaede si era immobilizzato – apparentemente rendendosi conto solo dopo di cos’aveva detto. Hanamichi, un po’ nervosamente, si era deciso a confessare che sapeva che non avrebbe scelto Kentucky, ma era ancora indeciso tra i Blue Devils e i Tar Heels. Kaede non aveva detto nulla – e non ne aveva avuto bisogno – perché l’abbagliante e gioioso sorriso che gli aveva aperto le labbra aveva zittito Hanamichi.
 
Hanamichi era turbato e stupito che una piccola azione simile – un semplice sorriso! – fosse stata in grado di smuovere pavimento, pareti e mondo intero. Il suo cuore si era messo a martellare così forte che Hanamichi aveva temuto di essere di fronte a una situazione simile a quella vissuta da suo padre o da Anzai. Il respiro si era fatto pesante e le mani avevano cominciato a tremare per il bisogno di toccare qualcosa, di accarezzare, di afferrare. Tutta la sua pelle e il suo corpo avevano iniziato ad ardere di desiderio.
E ne era stato spaventato.
Perché Kaede Rukawa, la volpe puzzolente, il re dei ghiacci, il suo più grande rivale, aveva provocato tutto ciò.
 
“Sakuragi-kun!”
 
Per quel motivo era lì, oggi.
 
La dolce voce femminile lo riportò alla realtà. Con un ghigno sciocco, il genio si rivolse alla ragazza che arrivava di corsa.
 
“Mi dispiace tanto per il ritardo! Ma mi ha chiamato mio fratello e sai quanto mi manca...” si scusò con il viso arrossato e leggermente sudato, ma sempre grazioso.
 
“È tutto a posto, Haruko-san, non devi scusarti” la confortò rapidamente, grattandosi la nuca e abbassando il capo verso la giovane che lo osservava attentamente, “uhm...perché non ci sediamo?” domandò indicando la panchina. Lei annuì e si accomodò.
 
“Sono stata così contenta di ricevere la tua chiamata, Sakuragi-kun. Non sono riuscita a vederti dalla vittoria del campionato...poi siamo andati a Tokyo per fare visita a mio fratello...”
 
Hanamichi annuì fermamente e sorrise a ogni parola, senza ascoltare realmente nulla di quello che usciva dalle labbra della ragazza. Possibile che il suo cuore si sentisse sempre così con lei? Come se fosse spremuto nel suo petto?
 
“Abbiamo visitato un sacco di posti! La città è bellissima, Sakuragi-kun, dovresti andarci un giorno...mio fratello mi ha portato in una fiera gigante! C’erano tantissime cose! E, beh...io ho...preso una cosa per te!” disse cominciando a frugare nella borsetta viola. Hanamichi la fissò a bocca aperta.
 
H-Haruko-san mi ha comprato qualcosa...?, rimase bloccato quando gli si presentò una figurina davanti agli occhi. Concentrandosi vide che la piccola mano della giovane reggeva un portachiavi nero, che raffigurava il viso sorridente e rosso di una scimmietta. Hanamichi lo fissò per qualche secondo.
 
“N-non intendevo offenderti né altro! Solo che...l’ho visto e ho pensato a te” aggiunse subito Haruko mordendosi il labbro inferiore.
 
“N-no! Mi piace! Ahahah, ora il genio non perderà le chiavi”
 
Entrambi risero e si guardarono. Haruko lo osservava con curiosità, mentre Hanamichi era nervoso.
 
Forza! Chiediglielo e basta, è tua amica!
 
“Haruko...in realtà ti ho chiamato per chiederti una cosa” ammise guardandola.
 
“Cosa?” chiese lei sinceramente intrigata.
 
“Io...in America...beh, io...ho conosciuto una persona...” cominciò arrossendo e deviando lo sguardo. Haruko avvertì una stretta al petto.
 
“Con questa persona, siamo diventati amici...intimi...” deglutì prima di continuare, mentre la ragazza non capiva perché le stesse raccontanto tutto ciò e soprattutto perché la infastidisse.
 
“E quando ero in aeroporto per tornare...mi...mi ha baciato...dicendomi poi che provava dei sentimenti per me...” riassunse, guardando finalmente Haruko negli occhi.
 
“E...lei ti piace?”
 
Hanamichi non vide la necessità di correggerla dicendo che si trattava di un uomo e peggio ancora del suo vecchio (o ancora attuale, non lo sapeva) amore, l’unico e impareggiabile Kaede Rukawa; si limitò ad alzare le spalle ignorando il lieve disagio per l’aperta bugia. Non provava vergogna, ma...non voleva ferire la giovane donna che lo stava guardando con curiosità.
 
“Questo è quello che non so...io...sono stato innamorato di te per così tanto tempo...”
 
La ragazza arrossì all’istante e con violenza, deviando lo sguardo e serrando nervosamente le mani.
 
“...che non so dire se quello che provo per questa persona sia amicizia o...altro”
 
“Allora...cosa ti serve da me?” chiese lei senza capire.
 
“Haruko, io...beh...mi chiedevo se potessi...”, il suo viso, mentre parlava osservandosi le grandi e abbronzate mani che giocavano con i jeans, arrossì in fretta dal collo fino alla fronte, ma il resto del suo corpo e del suo cuore si mantennero saldi e forti sulla panchina del parco durante quel mite pomeriggio. Solo così lo saprò..., si disse guardando la ragazza, ancora imporporata dalla precedente dichiarazione, “...baciarti...?”
 
“C-cosa?”
 
“Solo una volta! Per...per sapere...” terminò in un sussurro implorante.
 
Haruko era sinceramente senza parole, con labbra e occhi aperti. Solo una volta aveva baciato un ragazzo, durante l’ultimo anno del liceo, per provare a dimenticare Rukawa, che solo poche settimane dopo sarebbe andato in America, ma non le era piaciuto; non perché il ragazzo in questione non fosse attraente o simpatico, solo che...non aveva provato nulla, tranne forse l’emozione e il nervosismo di dare il suo primo bacio.
 
Ora invece era Sakuragi, il suo migliore amico e il migliore ragazzo che conoscesse, a chiederle un bacio, uno solo...e lei voleva darglielo...dunque annuì lentamente, senza guardarlo negli occhi.
 
Hanamichi si strozzò con la saliva, ma rimase saldo.
 
Il mio primo bacio...
 
Il mio primo bacio è con Haruko-san!, si disse, decidendo all’istante che il bacio della volpe non contava realmente, perché lui non aveva ricambiato.
 
La ragazza alzò il viso con gli occhi delicatamente chiusi. Hanamichi deglutì a fatica ed iniziò ad avvicinarsi. A pochi millimetri di distanza, chiuse gli occhi a sua volta e finalmente fece unire le loro labbra.
Quelle della ragazza erano piene, morbide e umide per via del rossetto. Hanamichi diminuì la pressione e si abbassò verso il labbro inferiore, strofinando il naso con quello di lei; Haruko sospirò, aggrappandosi al ragazzo. Lui afferrò il suo labbro tra le proprie. Passarono pochi secondi e respiri irregolari, poi si separarono piano.
 
Haruko respirava pesantemente, guardando affascinata la bocca del giovane.
 
“Io...mi dispiace, non avrei dovuto...” disse Hanamichi in fretta non sapendo che fare in quella situazione, era stato lui a istigare la cosa, ma in realtà la ragazza appariva seriamente turbata da quanto appena successo.
 
“Va tutto bene...sono contenta...di averti aiutato...” lo interruppe Haruko, sentendo uno strano bruciore negli occhi. “Io...mi sono ricordata di avere un impegno con i miei genitori per cena...” disse alzandosi un po’ esitante. Hanamichi annuì sorridendo, alzandosi a sua volta per salutarla.
 
“Certo, non preoccuparti. Vai pure” la esortò. Haruko non tardò ad andarsene con insolita velocità, ma Hanamichi la ignorò.
Quando la figura del suo antico amore scomparve tra gli alberi, Hanamichi si appoggiò sulla panchina, alzando gli occhi al cielo quasi scuro.
 
Bene...
 
Si portò una mano alle labbra e abbassò il capo, accarezzandosele quasi teneramente.
 
Era incredibile, ma...non aveva sentito niente.
 
Niente di niente.
 
La sua bocca su quella tanto sognata di Haruko aveva provocato solo la sensazione di labbra morbide sulle sue. C’era stata umidità e calore, ma solo esternamente. Dentro di sé, nel petto, nello stomaco, non aveva sentito nulla. Niente in confronto con quello che aveva sperimentato con quel bastardo. Quel fuoco, quell’elettricità, quelle piacevoli vibrazioni che fluttuavano nel suo stomaco.
 
“Maledetto Rukawa” disse in un sospiro.
 
Beh...questo spiega tante cose..., pensò accigliandosi e con le mani sudate. Si grattò la testa ricordando certi momenti, certe scene che all’epoca non avevano avuto senso, nessuna spiegazione, ma ora era tutto più chiaro, più luminoso e, perché no, migliore...
 
Quel bisogno e quell’ansia che avvertiva nei confronti di Rukawa; quel desiderio che lo sopraffaceva per parlargli, infastidirlo e sfidarlo, provocarlo e ottenere una reazione. Ora era tutto più chiaro. Ricordò, non senza vergogna, gli sguardi che avevano condiviso ultimamente. Sentendosi annegare mentre lo ascoltava parlare con tono roco e profondo. Intimo. Segreto. Quanto si sentiva depresso quando non riusciva a parlargli anche solo per una sera. Ringhiò pensando a qualche giorno prima, quando il ragazzo, ovviamente a modo suo, si era congratulato per un video che Hanamichi gli aveva mandato e raffigurava uno dei suoi ultimi allenamenti.
 
Quella sera Hanamichi aveva avvertito un’esplosione nel petto. Uno sfavillio travolgente nello stomaco. Aveva sentito guance, collo e orecchie in fiamme. Il suo cuore pareva lottare per uscire dal torace. Aveva deglutito esageratamente, insultando poi la volpe con commenti imbarazzanti e inutili. Ma dentro si era sentito così tanto realizzato, così felice.
 
Hanamichi, sperimentando nuovamente quella rivolta in tutto il suo corpo, provò l’impulso irrazionale di parlare e vedere Rukawa. Voleva sentirlo ridere. Osservare le sue fossette. Ascoltare le sue battute patetiche. Insultarlo per qualunque motivo.
 
Avrebbe voluto averlo lì con sé.
 
Il ragazzo, un po’ più lucido, meno confuso e calmo, si alzò, si lisciò i vestiti e si diresse all’uscita del parco.
 
Penso..., rifletté, arricciando le labbra con un po’ di fastidio, penso di sapere cosa fare...Yohei, amico...è in arrivo un’altra delle nostre conversazioni..., si disse sorridendo mentre accelerava un po’ il passo e andava verso casa.
  
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