Anime & Manga > Kenshiro / Hokuto no Ken
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Autore: Redferne    10/03/2022    4 recensioni
Tre fratelli.
E una tecnica segreta che rappresenta la summa, lo stadio ultimo di una disciplina millenaria dall'incomparabile potere distruttivo.
Ed il modo in cui essa coinvolgerà le loro vite, ed i loro rispettivi destini.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jagger, Kenshiro, Raul, Ryuken, Toki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 16

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Nnngghh...”

Non si era ancora ripreso appieno.

Anzi...proprio per niente.

Gemeva e mugolava ad ogni passo, arrancando vistosamente.

Ogni metro, ogni centimetro gli causava uno sforzo enorme, immane.

Grondava di sudore, e la testa gli doleva in maniera a dir poco insopportabile.

Purtroppo le capacità di cui disponeva e l'allenamento a cui lo aveva sottoposto suo padre avevano fatto sì che non rimanesse ucciso. Ma nemmeno un allievo di Hokuto era esente ed immune dal fuoco incessante del dolore, purtroppo. La arti della Sacra Scuola non potevano donargli conforto e metterlo al riparo da esso. Specie se era stata proprio una delle sue tecniche, a causarlo.

Aveva gli occhi letteralmente fuori dalle orbite, quasi in procinto di uscirsene fuori dalla loro sede naturale da un momento all'altro.

Aveva la vista offuscata. Di rosso. Del rosso acceso e scuro del sangue che con tutta quanta la probabilità gli si stava rimestando nella sottile linea di spazio che separa la materia grigia dall'osso.

E non doveva essercene rimasto poi molto, di quello spazio. Dato che aveva come l'impressione che si facesse via via sempre più stretto, da quelle parti.

Lo sentiva, quello sciabordio continuo così simile alla risacca del fiume o di un torrente.

Lo sentiva eccome. Non sentiva più altro. E non sapeva per quanto tempo avrebbe ancora resistito a quella pressione allucinante.

Da lì a poco gli sarebbe colato tutto quanto fuori dal naso e dalle orecchie. E dai bulbi, dopo averli sradicati con la violenza del suo getto.

I pugni di quel grandissimo pezzo di merda gli avevano quasi fatto uscire il cervello.

La parte sinistra della faccia gli si era tutta gonfiata. Ma adesso che l'effetto stava svanendo, poco per volta aveva finito col riassumere le dimensioni normali. Almeno dal punto di vista esteriore.

Dentro era rimasto tutto uguale. La scatola cranica lo aveva tenuto fermo e al suo posto, ma continuava a spingere. A pulsare. E a schiacciare.

La fronte e la nuca erano come in fiamme. Li sentiva ardere.

Era una sorta di fitta continua, con lampi più acuti in corrispondenza di qualche battito cardiaco più intenso, quando la pressione sanguigna tendeva a farsi più alta con improvvisi quanto acuti picchi.

Proprio come si diceva capitasse ad alcuni cani di razza bastarda ma anche no, quando diventavano anziani. Al punto che bisognava sopprimerli.

Lo sapeva perché glielo aveva spiegato un tizio che aveva conosciuto durante una delle sue scorribande. Uno completamente fuori di testa, in fissa sempre e solo coi cani.

Ogni volta non parlava che di quello. E di quelli che aveva dovuto far abbattere. Con estremo rammarico e con la morte nel cuore, tra un mare di lacrime.

Ogni fottuta volta, perché era estremamente affezionato ad ognuno di loro. E li trattava come e meglio dei figli, dato che sosteneva che un cane sa essere ben più di un figlio. Perché é e resta fedele per sempre, e non tradisce mai.

Non gliene fregava un cazzo, a lui. Quelle stupide bestie dovevano essere tutte bastarde. Dalla prima all'ultima. Morte o vive che fossero.

Quanto lo era il figlio di puttana che gli aveva fatto questo bel regalino. Questa bella croce che adesso si era ritrovato a portare indosso sul groppone.

Il capo gli prese a vorticare, e lo assalì un'ondata di nausea.

Si tenne il volto con una mano, stringendo piano con la punta delle dita in corrispondenza degli zigomi e dei muscoli adibiti alla mimica facciale, mentre distendeva l'altra come a voler fare a tentoni. Alla pari di un cieco o di uno che tenta di avanzare nelle tenebre più fitte e spesse.

Quell'idiota d'un cinofilo s'intedeva di medicina, però. E aveva fatto radunare tutti i migliori veterinari della regione, nella sua banda. O almeno quelli che gli era riuscito di rimediare, o che erano rimasti ancora in vita dopo l'olocausto nucleare.

Non era certo come mettersi a consulto con un medico o un chirurgo, ma in mancanza di meglio...poteva andare.

In fin dei conti quel tizio, Galf o come diavolo all'anima sua si chiamasse, gli doveva un favore.

Un giorno lo aveva coperto durante una rovinosa ritirata, e poi si era diretto al quartier generale della gang rivale e aveva fatto piazza pulita. E da quella volta in poi nessuno si era più permesso di invadere il loro territorio per occuparlo, dato che ormai sia lui che i suoi uomini si potevano considerare sotto la sua diretta protezione.

Sulla ricompensa la questione era rimasta in sospeso. Ma adesso era giunto il momento di riscuotere.

Su ordine del loro capo, quei cerusici per animali da quattro soldi gli avevano realizzato una sottospecie di protesi.

Una maschera contenitiva realizzata con fettucce e pezzi di gomma e caucciù ricavati da coppertoni di auto e camere d'aria di bicicletta. Annodati gli uni alle altre sino a formare un reticolo. E tenuti insieme ed assicurati da apposite fibbie e cinghie sistemate sulle estremità.

Almeno in teoria tutto quell'armamentario avrebbe dovuto permettere al gonfiore di espandersi quanto bastava, e al contempo tenere insieme quel che restava del suo volto. Nella pratica...non stava poi funzionando quel gran che.

Gli avevan spiegato che era roba di fortuna, realizzata in quattro e quattr'otto. Ed in genere applicata ai cani dopo un'operazione interna o ai tessuti molli, per impedire che si formi troppo tessuto di stampo cicatriziale, col rischio di compromettere le funzioni o la mobilità piena della parte interessata.

Ma lui non era affatto un cane. Anche se di recente lo avevano trattato proprio come tale.

Peggio, addirittura.

Pazienza. Non poteva fare altro che resistere, per ora. E pazientare. E anche darsi da fare e riorganizzarsi, che lui non era certo quel genere di persona da starsene a rimuginare troppo a lungo con le mani in mano.

Era in preda alla rabbia, e aveva una gran voglia di sfogarsi su qualcuno.

E al momento, in tal proposito...non faceva distinzioni di sorta. Così come non aveva preferenze in particolare.

Chiunque sarebbe andato bene. Anche il primo che gli fosse capitato.

Quel pensiero contirbuì a consolarlo e farlo sentire sollevato, almeno in parte.

Un uomo normale nelle sue condizioni sarebbe già morto, come minimo. E nel migliore dei casi avrebbe perso per sempre il senno e la ragione. Ma lui no.

Quella era la prova. La prova che cercava. Da tempo.

La prova definitiva.

Che ci provasse, che si azzardasse ancora qualcuno a dire che lui non era il degno successore della Divina Arte dell' Hokuto Shinken.

Chi altri, chi mai avrebbe potuto tollerare e sopportare una tale sofferenza senza avere alcuna sorta di ripercussione dal punto di vista mentale e fisico? Senza dare di matto o entrare in stato catatonico o vegetativo, oppure senza rimanere paralizzato e inerte?

Presto glielo avrebbe dimostrato, a quel bastardo.

A quel figlio di un brutto cane rognoso e di una lurida scrofa.

Ma adesso come adesso non poteva ancora riaffrontarlo, per ottenere la giusta quanto meritata e sacrosanta rivincita.

Non era ancora giunto il momento.

Che si vantasse pure della sua più recente vittoria. Che tanto per essa, contrariamente a quanto potesse pensare, non aveva alcun merito.

Aveva avuto un puro colpo di fortuna, e basta.

Era scivolato. Non era pronto, e quello ne aveva approfittato.

Aveva giocato sporco, come tutti gli schifosi vigliacchi della sua risma.

Che se la tenesse pure, quella convinzione. Non gli costava nulla, lasciargliela.

E che rimanesse pure a crogiolarsi con il suo titolo di successore fasullo e fittizio.

Nell'attesa del loro nuovo duello, che avrebbe decretato senza alcun dubbio ed in modo insindacabile il vero erede di Hokuto e cioé LUI, una volta per tutte...

Nell'attesa di ciò gli avrebbe fatto capire e scoprire che c'era un'altra cosa in cui eccelleva suo fratello maggiore, oltre che l'innata abilità con le tecniche del Sacro Pugno della Stella del Nord.

C'era un'altra cosa, in cui non eveva praticamente rivali e non era scondo a nessuno.

Il rancore.

Se ne sarebbe accorto ben presto. E aveva già un bel paio di ideuzze, a riguardo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si trovava seduto su di una lussuosa poltrona, con lo schienale ed il sedile foderati entrambi in finissimo quanto prezioso velluto color della porpora.

Era pigramente adagiato, con gli arti superiori piegati e poggiati interamente sui larghi braccioli.

Sembrava stesse letteralmente sprofondando, in essa.

Lo stesso discorso valeva per le gambe, piegate anch'esse ad angolo retto e completamente spalancate.

Nel loro mezzo c'era una persona, di spalle e inginocchiata.

Una donna. Una fanciulla. Lo si poteva perfettamente capire dalle spalle piuttosto muscolose e tornite, nonostante i lineamenti morbidi ed affusolati tipici delle femmine.

In un'epoca del genere, per riuscire a sopravvivere, nemmeno le donne potevano fare a meno o rinunciare alla prestanza e alla forza fisica.

Era fuori questione. Anche se dovevano ed erano costrette a mascherare il tutto sotto procaci e formose curve, se volevano risultare appetibili agli avventori e agli esponenti del sesso opposto. E talvolta anche del proprio, se pagavano bene. O se non riusciva a rimediare di meglio, in certe circostanze. Che l'importante, ciò che contava davvero, era di riuscire a riempire la bisaccia o di mettere qualcosa sotto ai denti.

Farsi riempire una spanna più sotto, davanti oppure di dietro. O parecchie più sopra, in modo da riempirsi poi la pancia. O le tasche. Di roba da mangiare o che fosse commestibile, ovviamente. Che col denaro in monete o banconote, nel secondo caso, ti ci potevi giusto pulire il culo o asciugarti la fica, dopo una pisciata o una cagata di quelle belle grosse. Oppure, nella prima tra le due versioni ed opzioni appena previste, usarle come oggetto contundente per sfracellare e spaccare il cranio a qualcuno. Dopo averle raggruppate in un apposito mucchietto per poi avvolgerle e racchiuderle opportunamente in un sacchetto, in un calzino o in uno straccio. O magari come armi da lancio, a mano o con una tirasassi, per centrare dritto dritto in mezzo alle palle degli occhi qualche stronzo.

Farsi farcire. O farsi riempire la bocca per permettersi poi di riempirla con qualcosa d'altro. La propria e quella dei propri cari e dei propri figli. Della rispettiva prole e famiglia.

Non potevano farne a meno e nemmeno potevano concedersi il lusso di sottovalutarlo o sottostimarlo, quell'aspetto.

Non potevano assolutamente trascurarlo o pigliarlo sottogamba. In particolar modo se avevano o sviluppavano l'intenzione di guadagnarsi da vivere a quel modo. Che era spesso diffuso, più diffuso di quanto si pensi. E spesso più preferibile e desiderabile dello starsi a spaccare la schiena e il culo al lavoro nei campi. Al punto che molte, specie se erano giovani, belle e carine, sceglievano quella strada e quella via di proposito, e di propria spontanea volontà.

Non tutte venivano prese e subivano abusi contro al loro volere. Non bisognava credere a tutto quel che si diceva e che si sentiva in giro. Anche se lo stupro era ancora un'attività bella fiorente e diffusa.

Colpa dell'epoca, che sembrava favorire ed incitare gli aspetti più ferini e bestiali dell'uomo.

Ci si accoppiava spesso come gli animali, e senza nemmeno andare in calore o aspettare la stagione riproduttiva e degli amori.

I maschi adulti viaggiavano e vagavano con la testa piena di nebbia e fumo per l'alcool, le droghe e per l'ormone a mille. Con i muscoli, i nervi e i tendini tirati e il cazzo bello duro. E le palle piene.

Con l'adrenalina che scorreva libera nelle vene. E persino nell'uretra e nei dotti collegati ai testicoli, forse. Sempre insoddisfattti e inappagati nonostante avessero appena finito di scannare o trucidare qualcuno, oppure che fossero usciti reduci o indenni da una battaglia o un assalto sanguinario terminato con la morte e lo sterminio sistematico dei nemici. E la successiva decimazione di eventuali superstiti.

Non gli bastava mai. Nemmeno le orge a base di violenza e sbudellamenti a cui erano soliti lasciarsi andare e trasportare. Dovevano anche celebrare la fine di ogni massacro con un'altra orgia. E questa volta a base di sesso.

Vivevano con la voglia ardente e perenne di infilarlo dentro a qualcuno. Che si trattasse di un'arma o di qualche oggetto contundente nelle carni. Oppure del loro membro turgido e virile.

Era come stare in uno stato di copula, di eiaculazione perenne.

La prostituzione spontanea stava tornando lentamente in auge e in voga. Come ogni volta nei tempi difficili e di crisi. E già iniziava a comparire e a fare capolino quella organizzata e industrializzata, persino.

Pienamente comprensibile. Così come gli schiavi per la forza lavoro, anche le puttane andavano salvaguardate e mantenute il più possibile. Non era più concepibile l'idea di ucciderle dopo essersele scopate, come si faceva agli inizi. Altrimenti, presto o tardi, non ce ne sarebbero state più.

Bisognava cercare di farle durare. E più a lungo che si potesse. Ognuna di loro.

L'essere umano é certamente una risorsa finibile. Ma se ben amministrata, non si esaurisce tanto presto.

Certo, fare quella professione e quella vita equivaleva a sprecarsi, a buttarsi via. E coloro che la praticavano e la percorrevano si sarebbero ben presto ritrovate a finire avvizzite e sciupate come e peggio delle vecchie. Perché non era affatto un godersela, contrariamente a quanto si possa credere.

Ma considerando le malattie, la durezza delle condizioni sociali, la fame, la sete, le pestilenze e spesso anche le botte, le denutrizioni e le sevizie pure in ambito strettamente famigliare...forse beccarsi uno che te lo vuol mettere nel culo in cambio di un po' di cibo, di un regalino o della proposta di diventare la sua amante temporanea o permanente non doveva poi essere la cosa peggiore che ti doveva capitare nell'arco di un'intera giornata.

E alla fanciulla in questione stava andando veramente fin troppo grassa.

Le era capitata una di quelle occasioni ghiotte, ghiottissime. E adesso stava a lei sfruttarla al meglio.

Il cliente era uno di quelli esclusivi e selezionati.

Il meglio del meglio. Ricchissimo, importante, e pure bello.

Bellissimo.

Che diavolo...con uno così avrebbe pagato lei, per starci. Se non fosse che di ciò che aveva da parte un bella fetta gliel'aveva data in tangente al suo pappone e di riflesso al magnaccia che stava sopra di lui. E quel poco che aveva avanzato lo aveva impiegato per comprarsi il vestitino che adesso stava sfoggiando, anche se dalla posizione che stava tenendo non é che si vedesse poi questo gran che.

Si era agghindata di tutto punto, per l'appuntamento e per il lavoretto che doveva fare. Anche se il capo doveva essere minimo di quarta o di quinta mano, e la stoffa ad un'occhiata più attenta appariva lisa e consunta in più punti.

Doveva appartenere a qualche sua collega finita morta ammazzata, senza dubbio. Magari perché aveva voluto fare la furba, o aveva provato a ribellarsi perché era stufa.

L'ultima ad averlo indossato prima di lei, s'intende. Perché quel vestito era già passato attraverso parecchie mani, come minimo. E doveva averne avute ben parecchie di proprietarie. Numerose almeno quanto lo dovevano essere i cazzi che aveva preso ognuna di loro, lei compresa.

Aveva messo pure la collana e gli orecchini. Vecchi cimeli appartenenti ai suoi genitori, quando erano in vita.

Paccottiglia di nessun valore, in quel mondo. Ma che contribuiva senz'altro a donarle un aspetto più gradevole.

Quando non li riesumava, cosa che accadeva di rado, se li teneva nascosti nel didietro. Almeno quando non doveva usarlo come pista di atterraggio per uccelli.

Ma in genere transitavano ben poco, da quelle parti. Non dopo che l'ultimo che ci aveva provato e osato si era preso i vermi.

E meno male che le era riuscito di convincere il gorilla fuori dall'improvvisata stanza da letto che quel bastardo voleva farsela ancora una volta. Una in più di quanto avesse pattuito, e per quel che aveva pagato.

Lo avevano accoppato, il figlio di puttana. Giusto un istante prima che facesse la stessa cosa con lei, dopo aver scoperto che bel regalino gli aveva lasciato sulla punta della cappella.

Avrebbe voluto mettergli qualcosa nella parte anteriore, giusto per contraccambiare. Ma non il suo uccello, questa volta.

Una bella roncola. Un gancio di metallo arrugginito, per poi sventrarla dal di dentro. Ecco il bel progettino di quel gran pezzo di merda di un sifilitico.

Mors tua, vita mea. Se i suoi capi avessero scoperto che teneva le larve nel sedere si sarebbe ritrovata lei, a galleggiare in una pozza composta del suo stesso sangue.

Era riuscita ad ingannare tutti, ed era ancora la più richiesta. Ed era per questo che l'avevano scelta.

E lei, ora...stava dando del suo meglio, senza risparmiarsi. Perché le avevano raccomandato che il tipo in questione era davvero molto esigente. E capriccioso.

La sua testa si stava alzando ed abbassando ritmicamente, variando la velocità ed alternando tra l'estremamente lento ed il decisamente rapido.

Cercava di seguire le spinte delle pelvi da parte di chi gli stava di fronte, che in genere col passare dei minuti si facecavo via sempre più insistenti ed insistite. Sempre più continue ed involontarie, mano a mano che andava avanti a succhiare. Fino a che non traboccava, per spurgare e riversare all'esterno tutto il liquido caldo e viscoso appositamente pasturato nelle palle, con una piccola aggiunta proveniente dalla prostata con vescicole seminali annesse.

Era sempre così. Quando raggiungevano l'acme, toccavano il limite, erano come dighe che rompevano gli argini e allagavano tutto il territorio circostante come in un'onda di piena.

In fin dei conti gli stupidi uomini, gli stupidi maschi, erano così semplici da sedurre, far eccitare e far venire.

Potevano diventare violenti, brutali e feroci quanto volevano, ma cedevano sempre di fronte alle arti femminili del sesso. Bastava che glielo prendevi in mano, lo agitavi un attimino e poi, quando diventava bello rigido, te lo cacciavi in mezzo o dentro a qualche parte di te stessa che erano già lì che non capivano più niente. Fosse anche tra le gambe e basta.

Aumentò ancora il ritmo e prese a pompare più forte, stando bene attenta all'imminente reazione.

Quando arrivavano ad inarcare la schiena e a dare un'ultima e profonda spinta di bacino...ecco, quello era il momento. Il momento in cui il cliente cominciava a spruzzare e schizzare come una pistola ad acqua, ed il momento in cui lei in genere si scostava.

Non le piaceva molto ricevere il getto in gola o in faccia. E non lo faceva mai, a meno che non fosse il cliente a volerlo e chiederlo espressamente. Afferrandogli la testa con una o entrambe le mani e costringendola a restarsene dov'era mentre lei cercava di allontanarsi.

Ma qui non era successo ancora nulla. In tutti i sensi.

Le mani del tizio se n'erano rimaste al loro posto, e così il busto.

Da lui non stava provenendo nulla, nonostante si stesse mettendo d'impegno. E al massimo delle sue forze e possibilità, che se riusciva a soddisfar uno così e a diventare la sua preferita, sarebbe stata a cavallo.

Sarebbe stata fatta, e si sarebbe sistemata per il resto della sua vita.

Ma l'impresa si stava rivelando molto più ostica e difficile del previsto. E dire che era partita lanciata e bella convinta.

Nessuno le aveva mai resistito così tanto. Nessuno le resisteva. Né a lei, né alla sua abilità e tecnica sopraffina.

Nei pompini era un'assoluta maestra, tant'era vero che si era messa ad insegnare persino ad un paio di colleghe più giovani, in cambio di una parte dei loro guadagni giornalieri. Anche se non aveva certo insegnato loro tutto, per evitare che le potessero fare troppa concorrenza.

Ma qui...la faccenda non quadrava.

No, c'era decisamente qualcosa che non andava.

Non sentiva un gemito. Non un fremito. E nemmeno un sussulto.

Alzò leggermente la testa. E si accorse troppo tardi del tremendo errore che aveva appena fatto e commesso.

Eppure glielo avevano detto.

Le avevano detto ed espressamente raccomandato di non guardarlo mai negli occhi, neppure per un singolo istante.

Perché secondo lui c'era solo una persona, solo una donna al mondo che poteva permettersi di farlo.

E quello, a detta degli organizzatori del loro incontro intimo, era l'unico modo in cui quel tipo riusciva a provare un minimo di piacere e uno straccio di soddisfazione sessuale.

Il pensare che chi gli stava sotto fosse proprio quella persona. Quella donna. Anche se non lo era, e non avrebbe mai potuto esserlo.

Ma era fondamentale, estremamente ed assolutamente essenziale che i suoi occhi non incrociassero mai quelli della meretrice di turno. Altrimenti...

Altrimenti l'incanto e l'inganno si sarebbero spezzati. La magia e l'incantesimo, sciolti. La breve e fugace illusione, difinitivamente rotta.

Si sarebbe accorto e reso conto che non lo era. Che non era lei.

Che non era quella donna. E che mai avrebbe potuto esserlo.

Abbassò subito il capo, riprendendo a fare di buona lena quel che stava facendo. E tirò un breve ed imprecettibile sospiro di sollievo, dato che la sua bocca era troppo occupata per effettuare quell'azione.

Aveva intravisto poco, pochissimo. Ma quel che aveva notato era stato più che bastante. E sufficiente.

Di solito, durante una pratica sessuale di stampo orale, viene istintivo e naturale alzare la faccia per vedere se quello o quella a cui glielo stiamo ciucciando o gliela stiamo leccando sta godendo. O se sta provando qualcosa. Specie se vediamo che non arriva nessuna risposta, alcun segnale.

E nel loro specifico caso...da un bel po' aveva come la sgradevole impressione di succhiare un ciocco o un pezzo di legno.

E comunque, quel che aveva scoperto con quella fulminea sbirciata le aveva confermato in pieno i suoi sospetti e timori.

Non stava facendo una piega. Un'assoluta piega.

Non faceva altro che rimanersene immobile, con lo sguardo perso e fisso in avanti e verso l'orizzonte a scrutare chissà cosa.

Appariva distratto, pensieroso. Con l'aria completamente annoiata e passiva.

Ma non importava. Era sicura che mancava poco. Ancora cinque minuti e ce l'avrebbe fatta a farlo eiaculare.

Non esisteva, che non ci riuscisse. Ma non esisteva proprio. Ce l'aveva sempre fatta a partare a termine l'incarico e la missione, in quel senso. E neance questa volta sarebbe stato diverso o differente.

Sentì una leggera pressione sulla sommità della nuca.

 

Ci siamo, pensò.

 

Anche stavolta aveva protato a casa il risultato. Punto, gioco e partita. E a quanto pare...

A quanto pare lui era uno di quelli che VOLEVA.

Poco male. In fin dei conti era da tanto che non capitava. Una bella sorsata o innaffiata di sperma caldo ci poteva anche stare.

Avrebbe retto e sopportato lo schifo ed il disgusto, pensando al lauto guadagno che le avrebbe assicurato quel lavoretto eseguito a regola d'arte e così di fino.

Ma le cose non andarono affatto come aveva pensato ed ipotizzato.

La pressione appena sopra l'osso temporale si fece più forte ed insistente. E dopo quache istante, decisamente dolorosa. Ed inoltre non la stava guidando verso il basso, verso il suo membro, ma piuttosto dalla parte esattamente opposta.

“Mhphah?!”

Le scappò fuori quel che stava ingoiando, dopo quel lamento quasi sorpreso. Le aveva privato la bocca del suo più recente e carnoso contenuto. Dell'ultima, intima preda.

La stava costringendo a rialzare la testa. E lei non poté fare altro che obbedire ed assecondare quel movimento, dato che si sentiva la zona compresa tra le tempie e le orecchie andare a dir poco in frantumi. E avrebbe potuto giurare a sé stessa che ci mancava davvero poco. Pochissimo.

Doveva dar retta a quel pazzo. Ma in che razza di bordello si era cacciata?

Tirò su gli occhi, e...lo vide. E capì.

Capì che le cose avevano preso davvero una brutta, bruttissima piega. E che si stavano mettendo decisamente male.

Malissimo.

Non era durato che una manciata di decimi di secondo, il loro scambio visivo. Eppure...eppure se n'era accorto. L'aveva notato.

L'aveva scoperta. Sorpresa a sbirciare.

Il suo volto era lo stesso bellissimo, nonostante fosse alquanto arcigno ed accigliato. Contornato com'era da tutti quei capelli lunghi e biondi, disposti a raggiera che parevano fili e spighe di grano baciati dal sole nascente, talmente brillanti da eguagliare l'oro più puro. Ma la sua espressione era cambiata, adesso.

Da annoiata e piena di ignavia che era, adesso ne aveva assunta una decisamente diversa. Che trasudava sdegno, condanna e riporvazione da ogni poro. E ira.

“Basta” le disse con tono freddo, meccanico ed impersonale. “Smettila. Non c'é bisogno che tu vada avanti oltre. E' inutile. Del tutto inutile!!”

“Ma...”

“Si” le ribadì. “Hai capito bene, sciocca femmina. E' proprio come ho detto. Non mi stai facendo provare nulla. E' noioso. Tanto varebbe che lo ficcassi dentro a una bistecca, o a qualunque altro pezzo di carne. Non vali niente. Nemmeno uno dei miei beni spesi. La tua tecnica fa schifo, semplicemente schifo! Fai vomitare!!”

La ragazza fu colta alla sprovvista, da quell'offensivo commento che insieme voleva essere anche un'amara constatazione.

Nessuno aveva mai osato mettere in dubbio le sue capacità. Per quanto infami, erano l'unica cosa per cui era conosciuta e rinomata nella zona. L'unico motivo di vanto e di orgoglio, per quanto infimo. L'unica cosa per cui la sua inutile ed insulsa vita valesse qualcsa.

E adesso, quello stronzo...quello stronzo le aveva levato pure quello.

Non aveva più nulla, ora.

Si divincolò ripetutamente e si mise ad agitarsi nel tentativo di liberarsi. Dapprima con una serie di rapidi movimenti e scatti del collo, con la coppia di tendini centrali che le si erano irrigiditi facendosi di nerbo, come due fruste nodose. E poi aiutandosi con le mani, afferrando con entrambe quella che la stava tenendo imprigionata.

“Nngh!!”

Niente da fare. Non ci fu nulla da fare. La presa di quel tizio era di ferro. Una morsa d'acciaio.

“So cosa ti stai domandando, sgualdrina” le disse l'uomo. “Con ogni probabilità ti starai chiedendo perché non sto provando piacere, vero? Ti starai chiedendo perché non provo piacere come tutti gli altri clienti che hai avuto prima di me, giusto? Come tutte le altre bestie che hanno approfittato del tuo misero corpo!”

“Vorresti sapere cosa mi farebbe provae piacere, per caso?” Le chiese poi. “Rispondi! Basta che annuisci e che mi fai di sì con la testa. Non serve che parli.”

Le strinse ancora di più il capo con le dita, e la ragazza obbedì prontamente eseguendo l'inquivocabile gesto che le aveva appena richiesto.

“Molto bene” le fece l'uomo. “Vorrà dire che ti accontenterò subito.”

Alzò il braccio rimasto libero tenendo il gomito ad angolo retto e a novanta gradi esatti.

“Hmmm...”

Ne allineò poi le quattro falangi tenendole strette strette tra loro e col pollice quasi a chiuderle, tenuto torto in egual ampiezza e misura del braccio se por in scala ridotta. Quasi come a voler formare la punta perfettamente levigata e triangolare di un grosso quanto puntuto scalpello.

“Uhn!!”

Espirò ed eseguì quindi un gesto rapidissimo, quasi impercettibile. Ed un istante dopo le dita di quella mano si immersero nel corpo tremante della donna, alla base della gola, per fuoriuscire dall'altra parte.”

Crearono e diedero vita ad un foro netto, pulito. Non una sola goccia di sangue era stata versata, o aveva sporcato.

“Dopo un rapporto orale in genere si passa all'amplesso vero e proprio” Commentò sarcastico lui. “Stimolare i genitali con la lingua serve ad eccitare e a prepararli per l'atto finale. Forse avresti voluto che ti penetrassi con qualche altra parte. Con qualcosa d'altro. Ma...devi sapere che a me piace così.”

Ritrasse la mano, subito dopo quel commento. Ed il buco, rimasto libero e sgombro, si riempì subito di rosso rubino liquido a compensare il vuoto, la mancanza. Come una gengiva subito dopo aver subito l'ablazione e la rimozione di un dente cariato, per via chirurgica. Ed in maniera alquanto violenta e brusca, forse perché eseguita da una mano poco sicura ed inesperta.

Gli occhi della fanciulla erano rimasti spalancati e sgranati per l'orrore. Anche se era difficile stabilire con certezza se fosse ancora viva. Non con una ferita del genere ad abbellirla.

La vita doveva esserle stata strappata via nel momento stesso in cui era iniziata la copiosa emorragia.

Dava l'impressione che stesse contemplando la propria morte. La sua stessa morte.

Già da morta, con tutta quanta la probabilità.

“Vuoi sapere cosa mi piace?” le ribadì. “Ecco, quel che mi piace. Vedere lo stupore e la sorpresa sul tuo volto, brutta puttana che non sei altro. Mentre ti rendi conto che le cose non sono andate affatto come avevi sperato. E calcolato.”

La mollò anche con l'altra mano. E come a confermare il sospetto appena enunciato e spazzare via ogni dubbio relativo ed in merito, la fanciulla si accasciò su di un fianco. Riversa. Ed esanime.

Una pozza scarlatta si allargò e si propagò sotto al suo vestito.

“Hm” fece l'uomo, sarcastico. “Alla fine...ti ho comunque penetrata con qualcosa, no?”

Portò davanti a sé la mano che aveva appena terminato di impiegare per compiere quel gesto così efferato.

Era anch'essa intonsa, candida. Quanto lo era la ferita orrenda che aveva provocato nel corpo della prostituta. Almeno sino ad un secondo prima di tirarla fuori da lì.

Il suo volto si incupì, mentre ne osservava con calma le dita ed il palmo. E la tristezza parve assalirlo di colpo, a giudicare dalla smorfia prodotta dai suoi lineamenti e dall'inarcarsi delle sopracciglia a voler formare una volta di estremo disappunto.

Era inutile. Una volta non sentiva che l'odore del sangue, ma adesso come adesso non gli rusciva più di percepire nemmeno quello.

Si sentiva come un guscio vuoto, un contenitore da cui avevano riversato fuori tutto quel che c'era dentro.

Era come se si stesse gradatamente quanto inesorabilmente allontanando dal suo corpo. E così anche dal suo spirito, dall sua anima.

Si sentiva come estraneo, fuoriuscito da sé stesso.

Nessuna riusciva più a soddisfarlo, ormai. Neanche tra quelle più navigate e prezzolate.

Per forza. Una volta che scopri la bellezza di un vero, puro, e autentico diamante...

Una volta che hai la fortuna ed insieme anche la dannazione di scoprire il tesoro più bello che c'é, che vi può essere a questo mondo...tutte le altre gemme e pietre preziose perdono valore e lucentezza.

Non diventano che bassa bigiotteria. Paccottiglia. Pietruzze colorate, e nulla più.

Avesse potuto avere chi voleva, chi diceva lui...

Avesse potuto avere, possedere LEI...

Anche se non vi era affato il bisogno di possederla, per goderne.

LEI era una di quelle, era la sola che lo avrebbe fatto godere unicamente con la sua presenza.

Sarebbe bastato solamente averla vicino e a fianco per sentire l'equivalente di un orgasmo.

Un orgasmo duraturo, perenne, continuo. Senza erezione e senza la necessità di sfograsi eiaculando, come al termine del sesso.

A ormai non poteva più averla. Non era più sua. Non gli apparteneva più.

Anzi...non lo era mai stata, sua. Non gli era mai appartenuta.

LEI doveva servire a scopi ben più alti che a placare il desiderio egocentrico di un solo individuo. Per quanto forte, bello e potente.

LEI doveva servire a riportare l'equilibrio tra le due forze che con la loro danza e battaglia incessante governano e gestiscono l'intero universo.

Udì una voce.

“Sire!! Sire!!”

L'uomo guardò nella direzione da cui l'aveva sentita provenire, per capire di chi fosse e a chi appartenesse. E non dovette passare molto tempo prima che la sua curiosità venisse soddisfatta, al contrario della sua libido.

Quello era un discorso assai più complicato.

“Sire!!”

Uno dei suoi sgherri. Uno di quelli a cui oggi toccava il servizio di sorveglianza e di corveé, invece che di ricognizione e pattuglia.

Funzionava a giorni alterni. Aveva equamente ripartito e suddiviso i ruoli, in modo che ognuno di loro non potesse dare origine e credito a rancori o eventuali rivalità con la scusa di sentirsi escluso e messo da parte. E in modo che si potessero specializzare in ogni cosa, e nelle medesime cose senza fare distinzioni di sorta.

“Sire!!” Urlò ancora il soldato, mentre procedeva a passo spedito verso di lui. “Tutto...tutto bene? Perdonate la scortesia, ma mi é parso di sentire un gran trambust...oh!!”

Si zittì, subito dopo quell'esclamazione di sorpresa, non appena vide il cadavere a terra.

“Questa puttana mi ha deluso” gli disse il suo signore. “Sbarazzatene. Portala via. Non la voglio più vedere. E questa reggia deve rimanere pulita.”

Il sottoposto si mise sull'attenti.

“Si...signorsì, Vostra Maestà!!”

Portalo ai beccai del piano seminterrato” gli ordinò l'uomo. “Che ci pensino loro.”

“A – agli ordini.”

“Solo...” aggiunse, subito dopo. “...Assicurati che non se ne rimangano per conto loro con lei. Quelle bestie non fanno distinzioni da morti e vivi. Per quelli, qualunque cosa abbia fattezze anche solo umane va bene. Anche se non valeva niente da viva e men che meno da morta, i morti meritano comunque rispetto. Non lasciare che nessuno la oltraggi, o ne risponderai direttamente a me! E con la tua vita, sono stato abbastanza chiaro?!”

“S – si, V – vostra Maestà.”

“Solo io posso disporre delle vite e dei corpi di chi risiede qua dentro, e di chi occupa le mie terre” dichiarò il sovrano. “E nessun altro! Tienilo bene a mente!!”

“Si, mio signore.”

Il soldato prese la povera salma con la massima delicatezza di cuii poteva usfruire e disporre un bruto quale era, e se la caricò sulle spalle.

Si mise comunque a digrignare i denti, mentre si allontanava e dava le spalle al suo capo.

Lo temeva, ma non tanto ed abbastanza da non lasciargli la libertà di manifestare il suo feroce disappunto.

Stando bene attento a non farsi scoprire, però.

Guai, a guardarlo dritto e direttamente negli occhi. Soprattutto se si alzava con l'umore di traverso e più nero dei suoi furori. E la luna storta. Per motivi tutti suoi, e che si guardava bene dal rivelare agli altri in modo che potessero per lo meno stare più attenti, e fare in modo di evitare comportamenti che lo potessero irritare in qualche modo e dar libero sfogo al suo istinto omicida.

E quella stupida che adesso portava sulle proprie spalle e sul proprio groppone a peso morto in quanto tale era, doveva aver fatto decisamente quello per fare la fine che aveva appena fatto, e venire ridotta a quel modo.

Sua Maestà quel modo di fare lo mandava su tutte quante le furie. Lo interpretava come un gesto di sfida. Di ribellione. E a memoria sua ne aveva ammazzati tanti da quando lui si trovava e aveva preso posto fisso lì, alle sue dipendenze e al suo servizio. E anche per molto meno di così.

Adesso, poi, da qualche tempo aveva pure preso il brutto vizio di ucciderle brutalmente dopo ogni servizietto o sveltina.

Chissà...forse era il suo modo di eccitarsi. O di venire.

Esistono malati di mente e psicotici che riescono a sborrare solo quando accoltellano, squartano o sventrano qualcuno. Specie se si tratta di una donna. Meglio ancora se bella.

Per loro, evidentemente, equivale a farsi una bella chiavata e ad infilare il cazzo in fica.

Brutto affare, comunque. Almeno, fino a quelche tempo prima, quando Sua Maestà aveva finito di sollazzarsi con la pupattola di turno si limitava ad allontanarla o a cacciarla, disgustato e sdegnato. Spesso dopo averla schiaffeggiata, insultata e picchiata.

Quello era il massimo della violenza che si concedeva. E a lui, e a tutti gli altri che insieme a lui formavano e davano vita al battaglione, uno dei tanti che costituiva il suo pressoché sconfinato esercito, la cosa andava bene così. Più che bene.

Perché almeno le lasciava comunque malconce, ma ancora vive. E quindi...potevano approfittarsene pure loro, mentre le portavano via prima dal castello e poi dal regno.

Se le lavoravano ben bene. Con calma e senza fretta alcuna. Che tanto c'era posto, tempo e spazio per tutti.

E loro ci stavano, uh se ci stavano. Non potevano fare altrimenti. Perché se no se ne finivano sgozzate o passate a filo o a punta di lama.

E tutto sommato, da come la poteva vedere lui...meglio prendersi qualche uccello in più nella bernarda, in culo o in bocca che beccarsi un coltello o un pugnale in gola e nel gargarozzo.

Tra il soffocare per via del proprio sangue o dello sperma d'altri...meglio il secondo. Almeno puoi remprimere lo schifo, ingoiare e mandare giù. Male che vada, puoi vomitare subito dopo.

Lì, almeno, forse ti puoi salvare.

Era come prendere gli avanzi. Loro erano come un branco di iene che si nutrivano e si sfamavano sgranocchiando e spolpando i resti e le carogne che gli lasciava il leone, il Re della foresta.

Però erano resti, avanzi e carogne di prima scelta e qualità.

Ad avercene.

E comunque, la pacchia era finita. Ed era durata ben poco. E proprio quando la cosa iniziava a farsi divertente, e stavano cominciando a prenderci l'abitudine e a farla diventare un sano vizio.

Magari quel gran bastardo del loro signore aveva preso a farlo pure apposta, perché vedeva che si stavano divertendo troppo. E li voleva tutti quanti perennemente repressi ed incazzati almeno quanto lo era lui.

Sempre, vita natural durante.

Ogni volta così, quando ci si metteva a seguire il più forte. E pre forza di cose ci si metteva a sottostare ai suoi capricci.

Ogni volta così, in quell'epoca dannata e maledetta.

Tocca accontentarsi. Ed arraffare quel che si può, finché si può.

Si fotte. Fino a che non si viene fottuti, un giorno o l'altro.

Certe volte stava prendendo a convincersi che Dio, o chi per esso, aveva inventato l'intero universo al solo scopo di pulircisi il suo enorme, sconfinato, vecchio e rugoso culo.

E non poteva che essere così, vissto che aveva la sua stessa età. Anzi...visto che esisteva già da parecchio prima, stando a quanto dice qualche predicatore mezzo suonato che va ancora in giro a voler diffondere il sacro verbo in mezzo alla barbarie, continuando ad essere convinto di stare invariabilmente nel giusto.

Dio ci si dev'essere pulito il culo, con l'universo. E la Terra dev'essere senz'altro la sua macchia, il suo spruzzo di merda marrone più grosso sul pezzo di carta igienica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'uomo dai capelli biondi si decise ad alzarsi dalla lussuosa poltrona.

Nel fare ciò, le sue spalle si infilarono sotto il mantello che stava poggiato sulla parte superiore dello schienale.

Era bianco, quasi perlaceo. Il colore dell'avorio. Ad abbellirlo ed impreziosirlo vi erano tutta una serie di intarsi e ricami dorati.

Era l'unico capo d'abbigliamento che indossava, in quel momento. Per il resto era completamente nudo.

Il lineamenti dei muscoli risaltavano sotto la luce solare e del giorno. Piuttosto sottili e fini, ma perfettamente cesellati e scolpiti.

Rimase ad ammirare il panorama che si estendeva oltre la balconata, ed osservò i suoi possedimenti, i cui confini giungevano ed arrivavano fin oltre la distanza che può raggiungere l'occhio umano. Persino i suoi.

Non aveva limiti. E nemmeno se ne poneva. Eppure tutto gli appriva e gli sembrava vuoto. Inutile. Privo di qualsiasi senso.

Nulla lo soddisfava.

Senza LEI, senza di LEI...nulla aveva senso. Nulla poteva averlo.

Avrebbe dovuto, avrebbe fatto meglio a rassegnarsi. Ma non ci riusciva.

Non riusciva affatto a farsene una ragione, anche se in cuor suo sapeva che era giusto.

Che era giusto così. Che doveva per forza essere giusto così.

Ma la mente non gli obbediva. E csì pure l'orgoglio.

Non obbedivano, a quei precetti. Non ne volevano sapere di quei comandamenti, se pur inviolabili.

Eppure ne era consapevole.

Era conscio che LEI era essenziale per mantenere lo staus quo. Senza il quale l'intero modo sarebbe sprofondato nel caos e nelle tenebre.

L'ultimo grande condottiero ed il prescelto.

La rappresentante vivente, la reincarnazione della natura stessa, della Grande Madre da cui discendono tutti gli elementi e tutte le creature volanti e viventi da cui l'uomo ha attinto, imparato ed appreso per creare e sviluppare tecniche di combattimento invincibili.

E il successore, il reggente e depositario della tecnica assassina più letale che esista. Il frutto perfetto di quasi duemila anni di storia dell'evoluzione umana. Un racconto costellato di sangue e violenze, con ben pochi barlumi di vera intelligenza.

Uomo e natura che si reincontrano e si ricongiungono vicendevolmente.

Il Grande Carro ed il Grande Mestolo.

L' Orsa Maggiore e la Croce del Sud.

Uomo e donna.

Luce e buio.

Il Dio della morte e la Dea della vita.

Yin e Yang.

Hokuto e Nant...

“Mio signore! Mio signore!!”

L'uomo si girò.

Che altro c'era, adesso?

Cos'altro ci poteva mai essere ancora, quel giorno?

Un altro dei suoi soldati. Già prostrato, messo su di un ginocchio e pronto a riferire.

“Che succede?” Gli domandò il Re. “Parla. Ti ascolto.”

“M – maesta!!!” Balbettò il guerriero. “S – siamo...siamo sotto attacco!!”

L'uomo da capelli lunghi e biondi lo guardò perplesso. Un lieve smorfia di stupore comparve sul suo volto impassibile, mentre aggrottava le sopracciglia con aria incredula.

“Mh? Sotto attacco, hai detto?”

“Ehm...s – si, M – maestà!!” Gli conferò l'altro. “S – si tratta d – di...di un...di uomo.”

“Un uomo?”

“S – si, V – vostra M – maestà. U...un uomo. Un uomo solo. Un uomo ha fatto irruzione nei nostri territori. Ha sfondato la barriera di Sud – Est. E'...ha un aspetto d – deforme. S – sembra sfigurato, mio Sire. O – orribilmente! E avanza a fatica. M – ma...ma ha una tecnica micidiale! I...i n – nostri soldati non sono in grado di fermarlo! E...E i miei c – compagni...i miei compagni sono morti! Tutti morti!! C – come se fossero ESPLOSI!!”

“Esplosi, dici?”

“S – si, V – vostra Maestà! V – ve lo giuro! Ve lo p – posso giurare sulla mia stessa vita! E'...é stata una cosa agghiacciante! I – i loro c – corpi...i loro corpi si sono squartati, sventrati per proprio conto! Quell'uomo li ha fatti letteralmente a pezzi! L – li ha...li ha smembrati, uno dopo l'altro! Li ha...li ha fatti tutti quanti a brandelli, come se fossero scoppiati direttamente dall'interno! Come se avessero una bomba dentro alla pancia!! I – io...io sono l'unico ad averla scampata! Sono l'unico sopravvissuto!!”

“Hmm...”

Il sovrano parve riflettere e riordinare le idee per qualche istante. Ma non fece ugualmente una piega. Per il semplice fatto che conosceva bene gli effetti in questione. Così come conosceva cosa era in grado di scatenarli. O meglio...la tecnica che era in grado di scatenarli.

Sapeva fin troppo bene di cosa stava parlando il suo sottoposto. Però...

Però era strano. Anche se ultimamente aveva preferito rimanersene piuttosto defilato e sulle sue per motivi del tutto privati e personali, fino ad adesso non aveva mai avuto problemi con quella scuola. E neppure col suo reggente. Tanto meno coi suoi allievi.

Il maestro di quella disciplina ed il suo, il sommo Fugen, erano pure amici di lunga data.

Lui, dal canto suo, aveva preferito mantenere le distanze e tenere i rapporti piuttosto freddi. Ma non aveva mai dato alcun motivo per giustificare un attacco diretto al suo territorio e ai suoi possedimenti.

Era ora di vederci chiaro.

La voce tremante del soldato lo distolse dalle sue elucubrazioni, e ciò gli dette parecchio fastidio. Anche se decise di non darlo affatto a vedere.

“V – vi prego, V – vostra Maestà!!” Lo implorò quest'ultimo. “N – non...non sarei mai venuto a disturbarvi! N – non...non mi sarei mai permesso, se non fosse una questione della massima gravità e urgenza! M – ma...ma t – temo che solo v – voi, a questo punto...”

“Dici bene” lo interruppe il Re. “Solo io posso fronteggiarlo, chiunque egli sia. Non é decisamente roba per voi. Darò ordine alle truppe in zona di ritirarsi, e di limitarsi ad osservarlo e a contenerne l'avanzata sino al mio arrivo.”

“Ho...ho capito bene, Vostra Maestà?!” Fece il sottoposto. “Avete detto...a – avete forse detto che andrete a dare l'ordine p – personalmente?”

Il suo sovrano aveva deciso di scendere in campo di persona.

Avrebbe dovuto esultare, come minimo. Essere raggiante. Eppure...

Eppure non vi riusciva. Non gli veniva.

C'era decisamente qualcosa di strano, che non tornava. E di decisamente preoccupante.

Non gli piaceva. Non gli piaceva affatto il tono che aveva utilizzato in occasione della sua ultima frase.

E quella successiva non fece altro che confermare i suoi peggiori timori.

“Dici bene anche questo” affermò l'uomo dai capelli lunghi e biondi. “Andrò io, perché tu non uscirai vivo da qui. La tua strada termina dentro a queste mura!!”

“S – Sire!!” annunciò il destinatario di tale spietata sentenza. “M – ma...ma perché?!”

“Perché, mi dici? Hm. E me lo chiedi, anche? Osi pure chiedermelo? Non hai proprio un briciolo di decenza, razza di lurido animale! Credi che non lo abbia capito, il motivo per cui sei qui a riferirmi l'accaduto? Credi che non abbia capito il motivo per cui sei stato l'unico a salvarti! Perché sei fuggito a gambe levate, ecco perché! Sei scappato con la coda tra le gambe, approfittando del fatto che il nemico stava trucidando e facendo strage dei tuoi commilitoni! E stando così le cose, per me non sei altro che il migliore ed il più lesto quando si tratta di tagliare la corda! E al mio esercito non servono i vigliacchi! Preparati a morire!!”

Il soldato posò anche l'altro ginocchio a terra insieme ad entrambe le mani, genuflettendosi e mettendosi carponi.

“I – io...V – vi prego, V – vostra Maestà! Perdonatemi!!”

“Di cosa!!” Ruggì il suo sovrano.

“I – io...io n – non...io non lo so, Maestà! D – di...di qualunque cosa, ma perdonatemi, vi prego! Vi scongiuro! I – io non...non...”

“Ecco. Queste parole hanno già emesso la sentenza al posto mio. Ti sei appena condannato da solo, con quel che hai detto. Sei soltanto buono a chiedere ed implorare il perdono del tuo padrone, come il più irresponsabile, incapace ed infedele tra i servi!!”

Lo sgherro vide la propria morte imminente, in quelle parole. Poi alzò la testa e la rivide subito dopo, nello sguardo furente di chi gli stava davanti.

Tentò di giocarsi l'ultima carta, quella in cui di solito eccelleva ed era più bravo.

Si alzò di scatto e iniziò a correre come un forsennato, cercando di mettere in una manciata di secondi la maggior distanza possibile tra lui e quell'invasato.

Con la mente si vide già al di fuori di quel maniero, oltre la valle che lo conteneva ed oltre le montagne che la circondavano come un elegante quanto robusta e spessa cintura.

Libero. E vivo.

Ma la realtà fu ben differente. E a guastare quel panorama idilliaco ci si mise il suo signore e padrone, che gli si piazzò davanti nel bel mezzo della fuga interrompendogli e guastando sia la visione che il suo patetico tentativo di allontanamento. Irrimediabilmente.

Una fuga stroncata sul nascere, la sua.

Doveva aver spiccato un balzo nel momento stesso in cui aveva iniziato ad azionare e macinare le gambe.E gli era piombato proprio di fronte dopo aver effettuato un'acrobatica e funambolica piroetta a mezz'aria e sopra alla sua testa, fin quasi ad arrivare e toccare l'ampia volta del soffitto.

“Dove vai?” Gli disse il Re, sprezzante. “Dov'é che te ne staresti andando, hm?”

Il soldato si bloccò di colpo. Quasi incespiscò, per la brusca frenata.

“Hhh...ehm...hhh...”

Tentò di balbettare qualche confusa quanto bizzarra giustificazione che potesse levarlo dall'impasse. E salvare la sua vita, che gli appariva alquanto agli sgoccioli. Ma dalla bocca gli fuoriuscì unicamente un mormorio sommesso, un fiatare indistinto.

“Dove stava andando di bello, uno dei miei fidi soldati?” Gli domandò il sovrano. “E senza neanche prendersi la briga di accomiatarsi come si deve, per giunta. Cos'hai di tanto urgente ed importante da fare da non poter nemmeno perere un singolo istante a salutarmi? Per salutare a modo e come si deve il tuo sovrano? Dimmelo. E' un ordine!!”

“Te lo dico io” Gli rispose. “Nulla. E non c'é nessun posto dove tu debba andare. Proprio più nessun posto.”

Il soldato lo guardò con aria interrogativa, pur ben sapendo dove stesse andando a parare tutto il suo discorso. E pur sapendo anche cosa lo aspettava.

Ma fingersi tonto poteva rappresentare l'unica possibilità di scamparla, in quel momento.

Magari lo avrebbe mosso a pietà.Oppure lo avrebbe fatto ridere.

Se ti vogliono ammazzare e riesci a far vedere al tuo potenziale assassino dov'é che la cosa risulata tanto divertente, forse ti risparmierà.

Ma solo perché il più delle volte non si é ancora udita la frase che arriva immediatamente dopo.

L'ultima frase che si sente quando si é ancora in vita, prima di perderla del tutto.

La frase che di solito toglie qualunque speranza residua.

Ed anche questa volta non fu diversa. Né fece alcuna eccezione.

“Nessun posto” ribadì spietatamente il Re. “A parte L' Inferno.”

Dopo questa dovuta quanto fatale precisazione alzò il braccio destro e lo fece scattare in avanti, con un movimento talmente fulmineo da risultare praticamente impercettibile.

Le sue dita affondarono nel torace dell'uomo, al centro esatto di esso.

Penetrarono nella gabbia dello sterno e nella cavità del mediastino. E durante il loro tragitto schiantarono, spezzarono e sfondarono tutto quello che riuscì loro di incrociare.

Costole, tessuti, vasi sanguigni, il cuore. Tutto, fino a sfondare la schiena e a trapassarla uscendo dalla parte opposta, a fianco della colonna vertebrale.

Una gittata di sangue gli gonfiò la gola, soffocandolo.

Cadde a terra emettendo un cupo gorgoglio, ed il corpo si dimenò senza sosta in preda alle convulsioni giusto per qualche secondo, fino a bloccarsi del tutto.

Morì così, con le membra e gli arti rattrappitti per l'estremo sforzo causato dal trapasso e per il dolore. E per la fatica di dover contenere entrambi. Inutilemente.

Non si può resistere alla morte e alla sua avanzata. E neanche sfuggirgli.

Messo così pareva un insetto schiacciato. L'insetto che era stato stato da vivo, e l'insetto che era adesso dopo non esserlo stato più.

Vivo, s'intende.

“Morte agli inutili, ai vigliacchi e agli sconfitti” sentenziò con freddezza. “Queste sono le regole, qui. Queste sono le regole che vigono e valgono, nella mia città. E queste sono le regole che vanno rispettate ed osservate, se vi si vuol vivere. E continuare a farlo.”

La morte restituisce in pieno l'autentica essenza di ognuno.

Insetti. Nient'altro che insetti.

E ce n'erano ben due che avevano lordato il pavimento della sua dimora, quel giorno.

Pazienza. Qualcuno, tra gli innumerevoli servi di cui disponeva, avrebbe senz'altro pulito e riassettato il tutto, durante la sua assenza. Altrimenti, al suo ritorno, ve ne sarebbero stati ancora di più.

Ben più, di quei due.

Ma adesso era ora. Era giunta l'ora di andare.

Ora di sistemare l'altra faccenda. E di vedersela a tu per tu con l'invasore.

Nessuno poteva permettersi di invadere e di profanare il suo sacro territorio. Ma trattandosi del Pugno della Stella del Nord, occorreva andarci cauti. O vi era il rischio di scavarsi la fossa da soli, per proprio conto e con le proprie mani.

Magari voleva solo trattare, o parlare. In tal caso, se erano solo le parole che cercava, ne avrebbe avute quante ne voleva.

Ma se cercava lo scontro ed il conflitto diretto, beh...Hokuto o non Hokuto, se ne sarebbe finito anche lui bocconi e disteso ad avvelenare la terra col suo sangue lurido e marcio.

Meglio andare a controllare, in ogni caso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Vi sono mancato? No? Beh, pazienza. Mi dovrete sopportare lo stesso.

Ok, ironia a parte...voglio scusarmi per la LUNGHISSIMA assenza.

Purtroppo il tempo a disposizione é quel che é, e negli ultimi tempi ero stato impegnato con la one – shot su Ashita no Joe che ha finito per occupare tutte quante le mie ore libere.

E' stata lunga, faticosa e difficile. Sia dal punto di vista lavorativo che emotivo, perché uno come Joe non é mai un personaggio facile da trattare.

Ma la soddisfazione é stata immensa. L'avevo nel cassetto già da un po', e visto il tema trattato ci tenevo a pubblicarla assolutamente entro Natale.

E ora che finalmente ce l'ho fatta, e l'animo é di nuovo sgombro, sono finalmente pronto per ricominciare.

Prima mi sono disteso con una storiella breve ma carina su di un altro fandom, e poi mi sono rigettato subito a capofitto.

Ma prima di tutto...come va?

Spero bene.

Purtroppo in questi primi mesi abbiamo avuto l'ennesima riprova che non c'é limite al peggio, quando si tratta di esseri umani.

Come diceva un arcinoto cantante in una sua strofa...E QUANDO PENSI CHE SIA FINITA, E' PROPRIO ALLORA CHE COMINCIA LA SALITA.

E ciò mi sa che vale sia per le cose belle che per le cose brutte. Sia per il risollevarsi che per le difficoltà.

Sembra di essersi ritrovati in pieno revival di guerra fredda, con gente che improvvisamente riprende a esprimersi con concetti che sembravano morti e sepolti da decenni. In barba ed in spregio alla tanto sbandierata tolleranza e convivenza reciproche.

Non solo hanno avuto il coraggio (o la pazzia) di piantare in piedi un altro gran casino, come se quello in cui abbiamo sguazzato da un paio di anni a questa parte non fosse già stato più che sufficiente. Senza contare che non é ancora finita, nonostante i giornali di colpo non ne parlino nemmeno più.

Ci sarebbe da aprire un certo discorsetto sul fatto che così, a casa mia, NON E' FARE INFORMAZIONE. Ma lasciamo perdere.

Adesso rimettono in ballo uno spettro che per certi versi aveva proprio fatto la fortuna del manga e dell'anime che amiamo tanto.

Che cosa? Beh, é facile intuirlo.

Già all'arrivo del cartone di Ken era una paura concreta.

Quella di un'imminente conflitto nucleare.

Proprio vero. Se hai la fortuna di campare abbastanza a lungo ti rendi conto che a distanza di decenni le cose prendono a susseguirsi con una cadenza quasi ciclica.

E la storia si ripete. Persino quella che ci auguravamo di non rivedere mai più.

Allora si risolse tutto. Ma c'erano in ballo solo due diversi schieramenti. Oggi, dal punto di vista politico ed economico, la situazione é molto più complessa.

Mi auguro che alla fine prevarrà il buon senso. Anche se non ho fiducia nei miei simili, purtroppo.

Certe volte ho l'impressione che non saremo contenti fino a quando non ci saremo annientati con le nostre mani.

E' il problema insito nella natura umana. Ci consideriamo padroni del mondo ma ragioniamo ancora come prede che devono difendersi a tutti i costi.

Non si sa da cosa, e nemmeno da chi.

Pensiamo solo a sopravvivere, spaventati come non mai. Quando in realtà dovremmo capire che dovremmo iniziare a vivere, e a prenderci cura di questo posto.

Perché non ne siamo i padroni, ma i CUSTODI.

Ma se non impari a calmarti, e a vivere bene ed in pace prima con te stesso e poi magari con gli altri...é impossibile.

Non vuoi vivere in pace? Preferisci continuare ad odiarmi?

Mi sta bene. Non l'ha mica stabilito il dottore che ti devo andare a genio per forza.

Uno può avere le sue idee, e vivere tranquillo. Non deve per forza imporle sugli altri a tutti i costi.

Io posso avercela con una categoria di persone, ma se uno di quella categoria é in pericolo o ha bisogno di aiuto...io la aiuto, che cazzo.

So fare distinzioni. Un conto sono le mie considerazioni, un conto é il mio dovere personale e nei confronti degli altri.

Volete starvi sulle palle? Ok.

Ma...NON CI SI POTREBBE ODIARE IN SANTA PACE?

Non ne siamo usciti, dicevo. E non ne siamo usciti affatto migliori.

Due anni di pandemia pare non ci abbiano insegnato NULLA.

Finita più o meno che sia l'emergenza...l'odio ha ripreso a divampare mille e mille volte più forte di prima.

Ormai mi sono convinto che a furia di stare in fissa col paradiso e con l'inferno non ci siamo resi conto di averli trasferiti direttemente su questo pianeta.

La Terra é il vero paradiso perduto, altro che Eden.

Ci é stato dato il migliore dei mondi possibili. E noi?

Ci siamo messi d'impegno, ce l'abbiamo messa tutta...é in soli duemila anni scarsi ce l'abbiamo fatta, finalmente.

A far che? Ma é ovvio, no?

A renderlo UN AUTENTICO INFERNO.

IL PEGGIORE DEGLI INFERNI.

Il mondo non fa schifo, come invece sento dire in giro.

Non é così. Siamo noi.

Siamo noi ad averlo reso uno schifo.

Le risorse per renderlo anche solo un filino migliore ci sarebbero. Ci sarebbero eccome.

E invece abbiamo guerre, fame, malattie, persone cattive ed insopportabili che godono della sofferenza altrui. E menefreghismo.

Io non so se mi guadagnerò il paradiso. Non so in grado di sapere o di capire se esiste, e non mi interessa.

Al momento mi interessa sistemare le cose qui. A partire dal mio piccolo.

Perché ripeto: se non vivi bene con te stesso non puoi vivere bene con gli altri. E soprattutto non puoi nemmeno provarci, a far vivere bene e meglio gli altri.

Vi confesso una cosa strana.

Certe volte, vedendo mia figlia...provo VERGOGNA.

Vergogna per il mondo che le sto offrendo, nonostante alla fine di colpe vere e proprie non ne abbia.

Ma quando sono nato io la situazione era tranquilla. Alla sua età l'unica preoccupazione (perché la scuola alla fine era un divertimento) era quella di rimediare abbastanza genete da fare una partita a pallone.

I bambini dovrebbero pensare solo a giocare e divertirsi.

Non vedere guerre, carestie, morti ed epidemie.

Non é giusto.

Ma come dico sempre...torneranno tempi migliori. Occorre solo avere pazienza.

E quando le cose non vanno, si può solo resistere. E tenere duro.

E fare in modo che nel proprio piccolo, almeno in quello...filino lisce.

E' già una gran cosa, credetemi.

Bene, e adesso passiamo al capitolo.

Come avevo annunciato la volta scorsa (mi pare), data la scena di sesso si é reso necessario una cambio di rating in corsa. Anche se in genere é una cosa che detesto.

Per me l'arancione dovrebbe andare più che bene, visto che non si scende nei particolari e non vi sono descrizioni minuziose di amplessi o di atti erotici veri e propri.

Inoltre, la scena di sesso é funzionale alla storia e non fine a sé stessa.

Da come la vedo io, se si mette una scena di sesso il rating dovrebbe scattare automaticamente in arancione. Ma se gli atti di stampo sessuale non vengono descritti nei più minimi dettagli e ci si limita a buttare qualche imbeccata qua e là...allora l'arancione può bastare benissimo.

Per farla breve...se ci si limita a suggerire anziché spiattellare, allora é arancione. In caso contrario é rosso.

Fatemi sapere che ne pensate. E se può andar bene così. Più che altro per evitarmi casini.

Comunque...da dove é venuta fuori, una scena del genere?

Beh, come vi ho già detto anche in questo caso, la stesura definitiva di questa storia sta venendo ben diversa da come l'avevo ideata all'inizio.

Ho aggiunto parecchi capitoli, e persino un personaggio come Jagger che nelle prima versione aveva un ruolo puramente marginale, ha acquisito spazio. E spessore.

E nel corso della pubblicazione uno va avanti anche a leggere, oltre che scrivere. E tutto quel che legge finisce per influenzare più o meno indirettamente il suo lavoro.

E direi che un grosso peso nella realizzazione di questo episodio ce l'avuto lo stimatissimo collega Kumo no Juuza con la sua HOKUTO NO LADIES, che saluto e ringrazio.

Oltre naturalmente a consigliare la lettura della sua long, s'intende.

Dai, ormai con la tua storia sono quasi in dirittura d'arrivo. E credo sia superfluo dirti che mi sta piacendo un sacco, visto che giunti a questo punto lo si é senz'altro notato.

Piuttosto...avete capito chi é il biondo cattivone di quest'ultima mia puntata, vero?

Ovviamente anche lui ha i suoi bei problemucci caratteriali, a quanto si vede...

Bene. Prima di chidere passiamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie a Kumo no Juuza (di nuovo), Devilangel476, vento di luce e innominetuo per le recensioni all'ultimo capitolo (sembra passata una vita...).

Ed un grazie ulteriore, non potendolo fare sulla pagine dedicata, sempre a Devilangel476 e a innominetuo per le accorate recensioni alla mia storia su Joe.

E' stata una faticaccia, ma sento che ne é valsa davvero la pena. E ne sono contentissimo, davvero.

E come sempre, un grazie a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un commento.

Grazie ancora di tutto e alla prossima!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

   
 
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