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Autore: Parmandil    14/03/2022    1 recensioni
Dopo tre anni di sanguinosa guerra civile, l’Unione Galattica si appresta a soffocare gli ultimi focolai di ribellione. Mentre i Voth colonizzano la Terra, una progressiva sterilità condanna gli esuli Umani all’estinzione. La Presidente Rangda si accinge a trasferire la capitale sul suo mondo d’origine, mentre prosegue l’indottrinamento di massa per cancellare ogni memoria del passato.
Messi di fronte all’annientamento, i ribelli della Keter giocano l’ultima carta. Andranno ad Andromeda, dove ancora vivono i Proto-Umanoidi, per implorarli di fare da arbitri della contesa. A loro si unisce la banda dello Spettro, la cui sorte è però segnata da un nemico implacabile e forse dal tradimento. Nel frattempo una forza inarrestabile avanza verso l’Unione, diramando un famigerato messaggio: «La resistenza è inutile».
È l’ultima battaglia per la salvezza della Terra. Molti la abbandoneranno, giudicandola persa; altri lotteranno fino all’ultimo per difenderla. E quando Rangda lancerà il suo ordine finale per estirpare l’Umanità, inizierà la corsa contro il tempo. Amico contro amico, fratello contro sorella, ciascuno compirà il suo destino. Al termine della Guerra Civile, la Galassia è cambiata per sempre. E anche per noi è tempo di dire addio agli eroi della Keter.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Klingoniani, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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-Capitolo 2: Altamid
 
   Il globo verde-azzurro di Altamid sfavillava sotto i raggi della sua stella, celato nelle profondità della Necro Cloud, come una perla in uno scrigno. Lo Spettro lo ammirò: nella sua vita errabonda aveva visto molti bei pianeti, ma quello era il più incantevole di tutti. «Analisi sensoriale» ordinò.
   Sullo schermo corsero rapide panoramiche della superficie. Altamid era un mondo incontaminato, dalla bellezza aspra e selvaggia. C’erano numerose montagne, dalle vette frastagliate e scintillanti di neve. A quote più basse predominavano foreste rigogliose, mentre le aree desertiche erano limitate. Quanto agli oceani, anch’essi pullulavano di vita.
   «È il pianeta con più biodiversità che abbiamo mai visitato» commentò Siall, mentre proseguiva le analisi. «Gli insetti, in particolare, sono estremamente diffusi. Rilevo alveari e termitai giganti un po’ dappertutto».
   «Ci sono tracce di tecnologia?» chiese Jack, ricordando che lo Sciame veniva da lì.
   «Rilevo tracce d’insediamenti, perlopiù sotterranei» confermò il Boliano. «Comunque sembrano abbandonati. Non rilevo segni vitali».
   «È coerente con quel che mi ha detto Vitani» commentò Jaylah. «I Pacificatori hanno preso quel che gli serviva e poi se ne sono andati».
   «Siamo certi che non abbiano lasciato un presidio? Qualche squadra in esplorazione?» incalzò lo Spettro, non volendo uscire dall’occultamento prima di sentirsi al sicuro.
   «Negativo, non... ehi, un momento!» si corresse l’addetto ai sensori. «Rilevo un’astronave atterrata sulla superficie, non lontano da una delle miniere. Che strano, è scesa tra le montagne!».
   «Sullo schermo» ordinò subito Jack. Davanti a lui comparve una strana scena. Un vascello federale giaceva tra le grigie rocce frastagliate, in precario equilibrio davanti a un pauroso strapiombo. Ma non era un vascello come quelli a cui era abituato. In primo luogo era assai piccolo: c’era una sola fila d’oblò nello spessore della sezione a disco. Lo scafo era di un insolito color bronzo, con le saldature a vista. Le gondole di curvatura, di tipo antidiluviano, erano agganciate direttamente al disco, senza traccia di una sezione motori.
   «Ma... è un vecchio modello» mormorò Jaylah.
   «Molto vecchio» riconobbe Jack. «È una classe Freedom, del tipo varato subito dopo la nascita della Federazione, negli anni Sessanta del XXII secolo. Furono ritirate dal servizio più di trecento anni fa. Mi sa che stiamo osservando un relitto».
   «Confermo» disse Siall, che stava proseguendo le analisi. «Il nucleo di curvatura è disattivato e lo scafo presenta danni. Niente segni vitali».
   «Cerca il numero di registro, così potremo identificarla» ordinò lo Spettro.
   «Eccolo» disse il Boliano, zoomando su una porzione dello scafo. «USS Franklin NX-326. Cerco un riscontro nel database... trovato. Avevi ragione capo, è proprio una classe Freedom del XXII secolo. È armata con cannoni a fase e siluri spaziali con testate atomiche. Niente scudi, al massimo può polarizzare le corazze dello scafo. Il teletrasporto è omologato solo per la materia inanimata. E non ci sono replicatori, infatti è piena di stive contenenti provviste e parti di ricambio. Ma non credo che potremo recuperare niente di utile, considerando il gap tecnologico».
   «Uhm... strano che sia ancora qui» commentò Jack. «Che dice il database sulla sua sorte?».
   «La Franklin era al comando del Capitano Balthazar Edison, ex ufficiale dei Militari d’Assalto e Combattimento, quando scomparve misteriosamente nel 2164» riferì il Boliano. Mentre parlava mostrò una foto d’archivio di Edison, un afro-americano sulla cinquantina, dall’aria severa. «La nave stava esplorando la Cintura di Gagarin, nel sistema Loracus, quando svanì senza lasciare traccia. S’incolparono i Romulani, con cui la Federazione era stata recentemente in guerra, ma loro negarono ogni coinvolgimento. Fu anche teorizzato che l’astronave fosse stata risucchiata da un tunnel spaziale instabile, poi scomparso. In ogni caso, la Franklin non fu più ritrovata... fino a oggi».
   «Così è rimasta qui per tutto questo tempo» commentò Jaylah. «Non possono essere atterrati di proposito. La classe Freedom non era fatta per atterrare, e poi solo un pazzo sarebbe sceso tra le montagne. Devono essere precipitati in una sorta di caduta controllata, e solo per miracolo non sono esplosi all’impatto. Sarebbe una grande scoperta, se vivessimo in tempi più felici. Ma nella nostra situazione, temo che non possiamo perderci tempo».
   Lo Spettro, tuttavia, non sembrava altrettanto disposto a lasciar cadere la faccenda. «Se la Franklin è qui, devono averla trovata anche i Pacificatori» ragionò.
   «Considerata la sua antichità, devono averla giudicata irrilevante» ipotizzò Siall. «Anche se...».
   «Se cosa?» chiese l’Umano, girandosi verso di lui.
   «Ecco, è molto strano» fece il Boliano, proseguendo le analisi. «Sebbene l’energia primaria sia inattiva, ho rilevato lievi emissioni energetiche nella stiva principale. Quella nave non è del tutto morta. Ma così a distanza, è difficile dire di che si tratti».
   «Allora andò a sincerarmene di persona» decise lo Spettro.
   «Attento, potrebbe essere un’altra trappola dell’Esecutore» avvertì Jaylah, in apprensione.
   «Terrò gli occhi aperti» promise Jack. «Graush, a te il comando».
   Di lì a poco, l’Umano aveva indossato la sua famigerata corazza a Occultamento Sfasato. Si recò sulla pedana di plancia, per farsi teletrasportare a terra. «Non trasferitemi direttamente sulla Franklin» ordinò. «Mandatemi fuori, a qualche centinaio di metri, così potrò tastare il terreno. E tenetevi pronti a riprendermi, se ci fossero problemi» raccomandò.
   «Terrò i sensori sempre su di te, capo» garantì Siall.
   Pur avendo il volto già celato dal casco, il corsaro fece un cenno d’intesa a Jaylah. «Energia» ordinò, e si dissolse nel raggio trasferitore.
 
   Il primo impatto con Altamid fu interessante. Lo Spettro si era materializzato tra degli alberi d’alta quota, simili a conifere, più radi rispetto alla giungla che si stendeva a valle. Come annunciato c’erano molti insetti nell’aria, che si muovevano a sciami. Il corsaro si occultò subito, dopo di che avanzò cautamente verso la sagoma dell’astronave, che intravedeva tra gli alberi. I sensori della sua tuta non captavano umanoidi, ma del resto non erano infallibili. Così procedette lentamente e un po’ a zig-zag, fermandosi spesso per guardarsi attorno. Sempre per motivi di sicurezza, mantenne il silenzio subspaziale con la Stella.
   Quando infine raggiunse lo scafo della Franklin, l’Umano sfiorò per un attimo la superficie macchiata dal tempo, con le saldature e i bulloni a vista. Era incredibile come i suoi antenati sfidassero i pericoli dello spazio su quelle navi primitive, che perdevano radiazioni e rischiavano d’esplodere a ogni attivazione. Eppure una parte di lui rimpiangeva di non essere vissuto in quei tempi eroici. «Se le lamiere potessero parlare, chissà che mi direbbero queste...» pensò. L’attimo dopo azionò anche lo Sfasamento, divenendo intangibile. Attraversò lo scafo della Franklin, sbucando in un corridoio semibuio, e si mise in cerca della stiva.
 
   Sulla plancia della Stella, Jaylah camminava nervosamente avanti e indietro. Aveva un senso d’ansia che cresceva a ogni momento. Dopo tutti gli agguati che avevano subito nell’ultimo anno, ormai era abituata ad aspettarsi il peggio. «Siall, continua ad analizzare il pianeta in cerca di segni dei Pacificatori» disse a un certo punto. «E analizza anche lo spazio circostante, fin dov’è possibile».
   «Lo sto facendo, ma le radiazioni della nebulosa interferiscono» spiegò il Boliano. «Comunque ho tutto sotto controllo entro un raggio di... un momento, un vascello ci è apparso a poppa! Doveva avere qualche genere d’occultamento. Sta attivando le armi!».
   «Allarme Rosso, pronti allo scontro!» ordinò Graush. Gli scudi si alzarono all’istante, per proteggere la nave. Questo comportava però l’impossibilità di richiamare lo Spettro a bordo. «Ci sono altre navi?» chiese il Letheano, temendo il peggio.
   «Negativo, solo quella» rispose il Boliano. «Però non è dei Pacificatori».
 
   Mantenendo il silenzio subspaziale, lo Spettro si addentrò sempre più nel relitto della Franklin. Nel procedere osservava tutto con attenzione, cercando di capire cosa fosse accaduto alla nave e all’equipaggio. I danni erano gravi, ma non catastrofici. E non c’erano corpi, segno che i superstiti dovevano aver seppellito le vittime. Ma cosa gli era accaduto in seguito? Di certo non erano riusciti a tornare alla Federazione, o il database ne avrebbe parlato. Né avevano costruito una colonia, o la Stella ne avrebbe trovato tracce... sempre che non si celassero nei centri sotterranei degli alieni.
   «Questa piccola nave aveva meno di cento persone a bordo» rifletté Jack. «Forse i superstiti erano così pochi e le difficoltà così soverchianti che sono morti tutti, senza riuscire a creare un insediamento. Magari se trovassi il diario di bordo del Capitano Edison ne saprei di più...». Per il momento, però, non voleva deviare in plancia. Il suo primo obiettivo era identificare quelle strane letture energetiche provenienti dalla stiva.
   Trattandosi di una nave piccola, non ci volle molto per arrivare. Una targhetta all’ingresso informò lo Spettro che aveva raggiunto la stiva principale. Il portone era stato sfondato, all’apparenza di recente. Il corsaro lo varcò, trovandosi in un ambiente debolmente illuminato. E spalancò gli occhi.
   La stiva era stata svuotata dai container, per fare posto a lunghe file di capsule criogeniche. Jack ne contò 47 in tutto; probabilmente era il numero dei sopravvissuti allo schianto. Evidentemente avevano esaurito i viveri e, non trovando di che sostentarsi sul pianeta, si erano ibernati in attesa dei soccorsi... che però non erano mai arrivati. Le capsule erano alimentate da cavi connessi alla griglia EPS, con un collegamento di fortuna che aveva richiesto di sventrare una parete. Ma non appena si avvicinò, il visitatore si accorse che erano rimaste quasi tutte senza energia. All’interno dei tubi criogenici oscurati s’intravedevano appena le sagome degli sfortunati occupanti, morti durante la stasi. Quei poveretti confidavano che qualcuno li avrebbe salvati... si erano addormentati con quella speranza... e invece...
   Passando tra le capsule, lo Spettro andò in cerca delle poche ancora illuminate. Ne trovò tre in tutto. Una era quella del Capitano Edison: lo riconobbe dalla foto dell’archivio. Gli altri due superstiti erano ufficiali superiori, un uomo asiatico e una donna occidentale, che al momento non riconobbe.
   «Sono ancora vivi, dopo tutto questo tempo» pensò Jack, sfiorando la capsula di Edison. «Scommetto che i Pacificatori li hanno trovati prima di me, quando hanno setacciato il pianeta. Devono essere stati loro a sfondare l’ingresso della stiva. Però hanno deciso di non svegliarli. Dovrei farlo io... altrimenti passeranno anni prima che arrivi qualcun altro. E nel frattempo queste vecchie capsule cederanno» ragionò, osservando i tubi criogenici che funzionavano al minimo della potenza.
   «Ma se li sveglio, poi che gli racconterò? Che sono gli unici superstiti della Franklin, e tutto il loro equipaggio è morto?» si chiese l’Umano. Ibernarsi in attesa dei soccorsi non doveva essere stata una scelta facile; di certo ne era responsabile il Capitano Edison. Se avesse scoperto che in tal modo aveva condannato quasi tutto il suo equipaggio, sarebbe potuto uscire di senno. «E poi che altro gli dirò? Che sono passati quattrocento anni, così che tutti i loro cari sono morti e la Terra è occupata dai Voth? Che la Federazione, da loro costruita coi migliori intenti, è diventata l’Unione Galattica e perseguita gli Umani? Ce n’è da far ammattire chiunque. D’altra parte non posso nemmeno andarmene come se niente fosse... questi poveri diavoli hanno bisogno d’aiuto».
   Guardando Edison, decise che non avrebbe condannato quell’uomo all’oblio. Lo avrebbe svegliato e gli avrebbe detto la verità, per quanto dolorosa. Presa la decisione, lo Spettro uscì dall’occultamento. Passò cautamente la mano sul pannello di controllo della capsula, per levare lo strato di polvere, e lesse i dati. Quel poveretto era ridotto male, dopo la stasi secolare: serviva l’infermeria della Stella per rianimarlo. E gli altri due non erano certo in condizioni migliori. Bisognava portarli a bordo con tutte le capsule, e poi...
   «Fermo lì!» tuonò un’aspra voce alle sue spalle, seguita dal rumore di passi.
   Lo Spettro s’irrigidì. C’erano più persone dietro di lui; dovevano aver nascosto i loro segni vitali, o la Stella li avrebbe rilevati. Era fortunato che gli avessero intimato la resa, anziché sparargli all’istante. Questo escludeva che si trattasse dell’Esecutore, o anche dei comuni Pacificatori; ma allora chi lo aveva sorpreso?
   «Mani in alto, e voltati lentamente!».
   Il corsaro decise di obbedire, se non altro per vedere chi lo minacciava. Ma era pronto a sfasarsi e passare al contrattacco. «Signori, forse non mi conoscete...» disse, girandosi adagio. Trovò gli aggressori a pochi metri da lui, con le armi spianate. Malgrado la scarsa luce, li riconobbe: erano quattro Cacciatori Hirogeni, per la verità alquanto malmessi.
   «No, e non ci teniamo!» berciò il caposquadra. «Ma i pirati come te hanno sempre una taglia sulla testa, e a noi serve grana per rimetterci in pista. Quindi non fare strane mosse. Togliti il casco, lentamente».
   «Così mi ucciderete?».
   «Così ti porteremo dal nostro Beta, e deciderà lui la tua sorte».
   «Dal Beta? E perché non dall’Alfa?» s’interessò Jack, sempre pronto a sfasarsi per fuggire.
   «Lei... non è disponibile, al momento» si lasciò sfuggire l’Hirogeno, che era piuttosto giovane e inesperto.
   «Lei?» s’interessò lo Spettro. Le ataviche leggi degli Hirogeni impedivano alle donne di diventare Cacciatrici; figurarsi scalare la gerarchia fino al rango di Alfa. Per quanto ne sapeva, c’era un solo clan che si era modernizzato, rigettando l’antica tradizione...
 
   «Pronti a fare fuoco» disse Graush, squadrando il vascello che li aveva sorpresi. Era una nave piccola e dalle forme aggressive, con lo scafo giallognolo irto di armi.
   «Fermi!» intervenne Jaylah. «Non la riconoscete? Quello è il Dorvic, la nave del clan di Norrin!».
   «Sempre che non sia l’Esecutore» avvertì il Letheano. «Ricorda che la sua nave ha un sistema di mascheramento olografico».
   «Analizzatela. Cercate la traccia di curvatura, calcolate la sua massa» ordinò la mezza Andoriana.
   «Non rilevo alcuna traccia, devono essere qui da un po’» disse Siall. «Comunque la massa è inferiore a quella dell’Hydra».
   «Bene, allora chiamali» disse Jaylah, tornando a sedersi in poltrona. Attivò il casco della sua tuta, tornando a essere la Banshee. Non si accorse che dietro di lei Graush la fissava con astio, per il modo in cui lo aveva messo da parte.
   Sullo schermo apparve il viso familiare di Garid, Ingegnere Capo del Dorvic e Beta del clan. «Siete voi... non ne ero sicuro» disse nervosamente. «Di questi tempi, non ci si può fidare neanche dei propri sensori».
   «Fidatevi della memoria, allora. Avete ancora il pugnale del vostro clan, che io vi ho restituito dopo la Battaglia di Cestus III?» chiese la Banshee, per dimostrare la sua conoscenza dettagliata di quegli eventi.
   «Ce lo abbiamo» disse Garid, impugnando l’arma in modo che fosse inquadrata. «Quel che ci manca è la nostra Alfa» disse con un groppo in gola.
   «Lo so... ma non disperate. Vitani è viva, si trova prigioniera sulla Forgia» rivelò la corsara. «Se uniamo le forze, potremo liberarla».
 
   «Figliolo, mi sembri inesperto, quindi perdonerò la tua scarsa educazione» disse lo Spettro, abbassando le mani. «Ora portami da Garid, così potrò dargli notizie aggiornate su Vitani».
   «Conosci le nostre faccende?» si stupì l’Hirogeno. «Beh, non importa, riferirai al Beta. Prima però levati il casco, come ti ho ordinato!».
   «Altrimenti?» fece il corsaro, sardonico.
   «Altrimenti ti aspetta una sorte spiacevole» minacciò il Cacciatore, tenendolo sotto tiro col fucile tetrionico. «E non solo a te, ma anche ai tuoi simili!» aggiunse. Al suo cenno, i gregari presero di mira le tre capsule ancora attive.
   Jack sbuffò, incerto sul da farsi. Se non ci fossero stati gli ibernati in pericolo, avrebbe fatto ingoiare le minacce agli Hirogeni. Stando così le cose, tuttavia, aveva le mani legate. Non osava nemmeno ritirarsi, per timore che i Cacciatori si vendicassero comunque sui tre della Franklin.
   In quella la stiva si riempì dei bagliori del teletrasporto. Erano due gruppi distinti, come rivelavano i diversi colori. Dai bagliori arancioni apparvero alcuni Hirogeni. «Fermi tutti! Questo è lo Spettro, il nostro più fedele alleato!» annunciò Garid, in tono perentorio. I quattro Cacciatori non poterono far altro che abbassare i fucili tetrionici.
   «E questo è il clan di Norrin» disse la Banshee, apparsa con altri corsari dai bagliori verdastri.
   «L’avevo intuito» puntualizzò Jack, salutandola con un gesto. «Questi ragazzi hanno i nervi a fior di pelle, ma li capisco. Nessun rancore». Porse la mano al caposquadra, che la strinse riluttante.
   «Bene. Assodato che stiamo tutti dalla stessa parte, dobbiamo decidere il da farsi» disse Garid, guardandosi attorno con interesse. Esaminò le capsule criogeniche, concentrandosi sulle poche ancora attive.
   Jaylah riferì le sue scoperte sulla Forgia, chiarendo che aveva parlato con Vitani appena il giorno prima. «Stavamo cercando di mettere a punto un piano di salvataggio, ma come potete immaginare, le nostre speranze erano esigue. È una fortuna avervi incontrati» concluse.
   «Immagino che siate qui per lo stesso motivo» notò lo Spettro.
   «Sì, dopo l’attacco ad Amar seguimmo i Pacificatori, nella speranza di salvare Vitani e gli altri prigionieri» confermò Garid. «Così abbiamo scoperto la Forgia; ma non siamo riusciti a infiltrarci. Le vostre informazioni ci saranno preziose per elaborare un piano. Comunque nel frattempo non siamo rimasti in ozio. Esplorando la Necro Cloud abbiamo trovato questo pianeta, con le sue miniere abbandonate e relitti. Li stavamo setacciando, in cerca – ehm – di ricambi e qualunque cosa utile» disse, vergognandosi nell’ammettere la loro situazione di bisogno. «Ma nelle miniere non è rimasto granché, e questo relitto è troppo antiquato per esserci utile. È una nave federale, vero?».
   «Sì, una delle prime» confermò Jack. «Come vedi, l’equipaggio s’è ibernato in attesa dei soccorsi; ma sono rimasti solo in tre. E anche loro moriranno presto, se non li tiriamo fuori da lì».
   «Dovremmo perdere tempo prezioso per tre Umani del passato?» chiese il caposquadra dei Cacciatori.
   «Non abbiamo ancora una strategia. Ma quando l’avremo, questa nave potrebbe farne parte, almeno come diversivo» ragionò Jack. «In tal caso, ci servirà qualcuno che la conosca. E gli unici sono loro» disse, accennando agli ufficiali ibernati.
   «Va bene, rianimateli» convenne Garid. «Posso darvi solo un giorno per rimetterli in piedi. Poi c’incontreremo di nuovo, per elaborare un piano d’attacco».
 
   Lo Spettro osservò attentamente, ma senza intervenire, il salvataggio dei tre superstiti della Franklin. Le capsule criogeniche furono collegate a moderni generatori portatili e teletrasportate con essi sulla Stella. Una volta in infermeria, i corsari procedettero ad aprirle e rianimare gli occupanti. Anche con la sofisticata tecnologia medica del tardo XXVI secolo, non fu facile tenere in vita i tre Umani. Secoli di stasi avevano debilitato i loro organismi, fin quasi al punto di non ritorno. Tutti e tre necessitarono di supporto cardiaco e respiratorio nelle prime, cruciali ore. I medici gli somministrarono dei preparati rinvigorenti, dagli acceleratori metabolici all’inaprovalina per rafforzare le pareti cellulari. Infine il Medico Capo andò a fare rapporto da Jack. «Sono fuori pericolo, tutti e tre» disse. «Si sveglieranno tra poche ore».
   «Bene, informami quando accadrà» disse Jack, e lasciò l’infermeria. Prima di confrontarsi coi tre ufficiali del passato, voleva saperne di più sul loro conto. Così tornò rapidamente sulla Franklin, dove aveva lasciato alcuni ingegneri al lavoro. Stavolta si recò in plancia, per consultare i diari del Capitano. Ancor più degli altri ambienti, il ponte di comando gli sembrò primitivo: non c’erano oloschermi, solo interfacce vecchio stile con monitor incassati nelle pareti. «I diari?» chiese.
   «Li abbiamo, capo» rispose Virrikek, al lavoro sul computer. «Suppongo t’interesserà vedere le registrazioni fatte subito dopo lo schianto».
   Jack venne al terminale e prese a visionarle. Come si aspettava, l’equipaggio della Franklin era ridotto male dopo lo schianto. Lo stesso Edison dava segni di cedimento mentale, man mano che le difficoltà aumentavano e il senso di solitudine si faceva più opprimente.
   «Diario del Capitano... non ricordo la data stellare. Nessuna risposta alle richieste di soccorso. Dell’equipaggio siamo rimasti in 47. Questo pianeta potrà sembrare bello dallo spazio, ma a viverci è un inferno. Le punture degli insetti sono pericolose e ci sono pochissime piante commestibili. I miei uomini sono sempre più stanchi e sfiduciati, dicono che la Flotta ci ha abbandonati. Temono che questo mondo ci ucciderà tutti, uno dopo l’altro... ma non lo permetterò!». Il Capitano si prese la testa fra le mani, uscendo dall’inquadratura.
   Jack aggrottò la fronte e passò alle registrazioni successive. Erano sempre più brevi e spezzate, infarcite di recriminazioni contro la Flotta e tutta quanta la Federazione. Notò inoltre che erano sempre più distanziate nel tempo. «La razza indigena abbandonò il pianeta molto tempo fa. Si sono lasciati dietro sofisticate attrezzature minerarie e una forza lavoro di droni. Hanno strane tecnologie, che stiamo ancora cercando di comprendere. Farò il possibile per me e per il mio equipaggio».
   Un altro salto in avanti, stavolta di settimane. «Per la Federazione, noi non contiamo niente. Ma piuttosto che fare... cose di cui mi pentirei, ho preso una decisione drastica. Io e l’equipaggio andremo in stasi criogenica, mentre la nave continuerà a inviare una richiesta automatica di soccorso. Posso solo sperare che qualcuno la rilevi, prima che l’energia si esaurisca del tutto. Non sappiamo se ci risveglieremo; né cosa troveremo in quel caso. Perché lo spazio è molto buio, e freddo, e solitario. Questa è la realtà che scopri, quando s’infrangono i sogni».
   Era l’ultima registrazione, prima del lungo sonno. Jack si chiese se le “strane tecnologie” alle quali Edison accennava comprendessero anche il trasferitore bio-energetico. E quali erano le “cose di cui mi pentirei” alle quali aveva rinunciato? Solo un confronto diretto col Capitano avrebbe dissipato i dubbi.
 
   Risalito sulla Stella, lo Spettro tornò in infermeria. «Novità?» chiese.
   «I pazienti sono stabili e in ripresa. Il Capitano Edison è in procinto di risvegliarsi» rispose il dottore.
   «Bene, gli parlerò io» disse il corsaro. Si fece avanti, fino al capezzale del paziente, e attese che si destasse. Per l’occasione aveva rinunciato alla tuta da Spettro: voleva che Edison lo riconoscesse subito come un essere umano.
   Il Capitano del passato cominciò a muoversi sul lettino e si lasciò sfuggire un lungo sospiro. Aprì gli occhi e li sbatté più volte, cercando di mettere a fuoco la vista. «Quanto... tempo?» sussurrò, con un filo di voce.
   «Più di quanto si aspettava, Capitano Edison» rispose prudentemente lo Spettro.
   «Mi conosce?».
   «Solo come un eroe del passato, temo. Si calmi... qui è tra amici. Sono Jacob Wolff, Capitano della Stella del Polo, e sono Umano come lei» disse il corsaro, notando che Edison si stava agitando e cercava di alzarsi.
   «Umano... mi fa piacere. Temevo di svegliarmi in qualche carretta aliena» disse Edison, riuscendo a metterlo a fuoco. Per il momento rinunciò ad alzarsi. «Che ne è del mio equipaggio? Eravamo rimasti in 47...» si preoccupò.
   «Questa, Capitano, è la prima brutta notizia che ho per lei» sospirò lo Spettro. «Non c’è un modo per addolcire la pillola, quindi glielo dirò e basta: siete rimasti in tre». Ciò detto lo osservò attentamente, per valutare la sua reazione.
   «In tre?!» gemette Edison, oppresso dal dolore e dai rimorsi. Sollevò le mani tremanti e se le passò sul volto, trattenendo a stento le lacrime. «Solo in tre...».
   «Non è colpa sua» disse subito Jack. «Ha fatto tutto ciò che era umanamente possibile per il suo equipaggio. Esaminando la Franklin, abbiamo notato che prima d’ibernarvi avevate attivato un segnale automatico di soccorso. Purtroppo ci troviamo al centro della Necro Cloud, una densa nebulosa ad assorbimento, che lo ha bloccato E dopo qualche anno l’antenna subspaziale ha perso energia, così che avete anche smesso di trasmettere. Ecco perché la Federazione non è mai riuscita a trovarvi».
   «Mai riuscita?» mormorò Edison, confuso. Osservò gli abiti del suo anfitrione, notando che non erano una vera e propria uniforme; piuttosto avevano un’aria paramilitare. Allora si guardò attorno, accorgendosi d’essere in un’infermeria; ma assai più fantascientifica di quelle che conosceva. «Non riconosco queste tecnologie» disse con voce roca. «Diavolo, non so nemmeno a quali specie appartengano i dottori! Quanto tempo ho dormito?».
   «Glielo dirò, Capitano, ma... sia forte» avvertì Jack.
   «Sono pronto» disse Edison. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo, preparandosi al peggio.
   «Dal vostro incidente sono trascorsi 429 anni» rivelò il corsaro. «La Terra, e tutta quanta la Galassia, sono profondamente cambiate...».
   A Edison servì parecchio per riprendersi. Rimase a lungo in silenzio, cercando di venire a patti con la tremenda realtà: era condannato a vivere in un’epoca non sua. Era ancora sotto shock quando Jaylah entrò in infermeria. «Salve, Capitano Edison» salutò la nuova arrivata, accostandosi al lettino. «Ho letto di lei quand’ero in Accademia. Le mie condoglianze per tutto ciò che ha subìto».
   Edison sgranò gli occhi nel vedere le antenne andoriane che spuntavano dai capelli biondo platino della corsara. «Lei... che cos’è?» le chiese, poco diplomatico.
   «Mio padre, l’Ammiraglio Chase, è Umano proprio come lei» rispose l’interpellata. «Invece mia madre, la dottoressa Neelah, è Andoriana d’etnia Aenar. Vede, noi meticci siamo piuttosto diffusi nel XXVI secolo» disse, un poco guardinga. Temeva che l’Umano del passato reagisse negativamente a questa notizia.
   «Aveva ragione, Capitano Wolff: la Galassia è molto cambiata» convenne Edison, rivolgendosi allo Spettro. «Ai miei tempi, una cosa del genere era impensabile. Temo d’essere... sorpassato» si avvilì.
   «Non è detto» obiettò Jack. «Lei può ancora esserci di consiglio e d’aiuto, Capitano Edison. Avrà notato che questa non è esattamente una nave della Flotta Stellare...».
 
   In quel primo incontro i corsari non vollero sovraccaricare Edison con le rivelazioni, per cui si limitarono a dire che la Federazione era dilaniata dalla Guerra Civile e che la loro nave era in prima linea. Ma il giorno dopo, quando le condizioni di Edison migliorarono tanto da permettergli di lasciare l’infermeria, entrarono assai più nel dettaglio. A questo punto anche gli altri due superstiti avevano ripreso conoscenza, per cui furono aggiornati a loro volta. Si trattava del Comandante Anderson Le e del Tenente Jessica Wolff, i più alti ufficiali di Edison.
   «Wolff? Ha il mio stesso cognome» notò lo Spettro.
   «È molto diffuso» rispose la donna. Non aggiunse altro, essendo ancora sotto shock; ma non poteva escludere che il corsaro fosse un suo lontano parente.
   Riuniti in sala tattica, i tre superstiti della Franklin furono aggiornati dai corsari sulla Guerra Civile. Come previsto, ciò che più li indignò fu il resoconto sulle politiche anti-umane di Rangda e sull’occupazione Voth della Terra.
   «Questa è un’infamia!» insorse Edison, quando seppe che gli Umani venivano deportati su altri mondi per fare spazio ai sauri. «Ai miei tempi non avremmo mai permesso una cosa simile!».
   «Ai vostri tempi, una sola nave Voth avrebbe spazzato via tutte le difese terrestri» corresse Jaylah.
   «Ma davvero? Mi dica: a che giova tutta la vostra tecnologia, se la usate contro di noi?!» insisté Edison, alzandosi incollerito. «La Federazione era nata per difenderci, non per opprimerci! Ma suppongo che il voltafaccia fosse inevitabile. Già ai miei tempi avevo delle riserve sull’intera faccenda. Dopo aver perso milioni di uomini contro gli Xindi e i Romulani, ora dovevamo spezzare il pane coi nostri nemici! E guardate dove ci ha portato la nostra cieca fiducia: a diventare un popolo di deportati! Avevano ragione quelli che ai miei tempi dicevano: humanity first! Prima gli Umani!».
   «Al tempo!» lo fermò lo Spettro. «Come Umano, condivido il suo dolore e la sua rabbia per la sorte della nostra gente. Ma humanity first non è la risposta. Vede, la realtà è sempre più complessa di come appare. In passato la collaborazione con gli alieni ci ha salvati più volte. E anche ora, la maggior parte di coloro che si oppongono in armi alla dittatura di Rangda sono proprio alieni. O mezzi alieni» aggiunse, accennando a Jaylah. «Senza di loro, saremmo già stati completamente annientati».
   «Io... non volevo offendere i suoi ufficiali» disse Edison, riacquistando l’autocontrollo. Tornò a sedersi, più calmo. «Ma è un dato di fatto che questa Unione Galattica ci ha ridotti in schiavitù. Ora cosa contate di fare?».
   Jack non era sicuro di volergli rispondere subito; ma il tempo stringeva e dovette rischiare. «Siamo qui per colpire una stazione, la Forgia, ubicata appena oltre la Necro Cloud» rivelò. «Un tempo era una città nello spazio in cui convivevano tutti i popoli federali. Ora è un cantiere spaziale e una fabbrica d’armi, in cui lavorano come schiavi molti prigionieri dell’Unione. Il nostro primo obiettivo è liberarli».
   «Ma quando mi sono infiltrata a bordo, ho scoperto un’altra cosa» intervenne Jaylah. «I Pacificatori hanno rinvenuto un’incredibile quantità di caccia alieni su Altamid. Li chiamano lo Sciame e li stanno imbottendo di siluri per renderli ancora più distruttivi. Se li lanciano contro le nostre ultime roccheforti, sarà la fine».
   «Quanto tempo resta?» si allarmò Edison.
   «Solo una settimana, temo» sospirò la mezza Andoriana.
   «Dai vostri diari di bordo risulta che avete trascorso parecchi mesi su Altamid, prima d’ibernarvi» intervenne Jack. «In tutto quel tempo, avete capito qualcosa dei suoi antichi abitanti e della loro tecnologia? Avete visto lo Sciame?».
   I tre Umani si scambiarono occhiate nervose; infine fu il Comandante Le a rispondere. «Abbiamo scoperto degli insediamenti sotterranei, che a dire il vero erano più che altro miniere. E sì, abbiamo trovato lo Sciame. Ma non siamo riusciti a riattivare i caccia, o li avremmo usati per andarcene».
   «Vi risulta che abbiano qualche punto debole?» insisté lo Spettro.
   «Le analisi dovrebbero essere ancora nel computer della Franklin; posso aiutarvi a scaricare i dati» si offrì il Tenente Wolff, che era l’Ufficiale Scientifico.
   «Bene, lo faccia» approvò Jack.
   «C’è anche un’altra cosa» disse Edison, cupo. «Nelle nostre esplorazioni del pianeta, trovammo una strana tecnologia aliena. Io credo che... possa essere usata per prolungare la vita di un individuo, prosciugando però la forza vitale di un altro. Di tutto l’equipaggio, noi tre eravamo i soli ad averla scoperta; e ordinai di nasconderla agli altri. Non ne parlo nemmeno nei miei diari. Vedete, dopo il naufragio la nostra sopravvivenza era a serio rischio e gli animi erano esasperati. Temevo che qualcuno della ciurma usasse il congegno per prolungarsi la vita, ai danni degli altri. Così rinunciai a costruire un insediamento e presi la decisione d’ibernarmi con tutto l’equipaggio. Speravo che, se la Flotta Stellare ci avesse salvati, avrei potuto distruggere quella macchina infernale. Ma se i Pacificatori sono stati qui prima di voi...».
   «Hanno trovato anche il congegno, purtroppo» confermò Jaylah. «Stanno già facendo degli orribili esperimenti sui prigionieri. Se quella tecnologia diventasse di dominio pubblico...» lasciò in sospeso.
   «Insomma, che possiamo farci?!» esplose il Comandante Le. «Il nemico s’è preso tutto e a noi non resta niente! Ci conviene andarcene, prima che i Pacificatori ci scovino!».
   «Andare dove?! Li avete sentiti, ormai non ci sono posti sicuri!» sbottò Edison. «Non ci resta che stare qui e aiutare questi... corsari. Sempre che abbiano un piano» disse, scrutandoli dubbioso.
   «La mia idea era impadronirci dello Sciame, sfruttando il collegamento subspaziale tra le Api» rivelò Jaylah. «A quel punto potremmo usarne una parte per colpire la Forgia, abbassandone le difese. Questo ci permetterà di teletrasportare i forzati, anche se dovremo trovare un modo per neutralizzare le cariche esplosive che gli hanno ficcato in corpo. Infine potremo fuggire col resto dello Sciame. Certo, fare tutto questo con la sola Stella è impossibile. Ma fortunatamente abbiamo incontrato dei vecchi alleati, i Cacciatori Hirogeni. Ci daranno una mano, visto che la loro Alfa è tra i prigionieri. E con la Franklin, avremo una terza nave da usare come diversivo».
   «La Franklin?!» si stupì Le. «Scordatevela, ormai è un rottame. Non siamo riusciti a rimetterla in volo neanche noi. E dopo quattrocento anni, sarà ancora più scassata».
   «La tecnologia moderna ci dà un vantaggio» insisté la mezza Andoriana. «Grazie ai replicatori, possiamo procurarci tutti i pezzi di ricambio necessari. Io dico che la vostra nave può tornare a volare... non vi piacerebbe?».
   «Beh, certo» ammise Edison. «In fondo, che ci perdiamo a tentare? Signori, siamo con voi!» disse, ritrovando una scintilla dell’antico orgoglio. Si alzò, imitato dai suoi ufficiali. «Per aspera ad astra!» proclamò in latino. Era il motto dell’antica Flotta Astrale terrestre, che aveva preceduto la Flotta Stellare: «Attraverso le asperità si giunge alle stelle».
 
   Quel giorno stesso, Edison e i suoi scesero su Altamid. Prima di tornare alla Franklin, tuttavia, vollero fare un po’ di chiarezza sui misteri di quel pianeta. Così guidarono i corsari a una delle miniere, la più vicina al relitto. «È qui che ci accampammo, nei mesi successivi al naufragio» spiegò Edison, che faceva da cicerone. «Queste caverne ci hanno accolti, anche se devo dire che non le ricordavo così. È tutto sottosopra» aggiunse, incespicando fra il ciarpame.
   «Saranno stati i Pacificatori, quando hanno preso lo Sciame» indovinò lo Spettro.
   «Beh, spero che non abbiano preso tutto. C’è una cosa che voglio mostrarvi... la nostra ultima scoperta, prima d’ibernarci» disse Edison. Giunto a un terminale alieno, lo attivò e prese a usarlo con disinvoltura.
   «Come fanno queste attrezzature ad avere ancora energia?» chiese Garid, che si era unito al gruppo.
   «A quanto ho capito, la prendono dal sottosuolo. Energia geotermica... dopo millenni, è ancora sufficiente ad alimentare gli impianti» rispose Edison distrattamente. Mentre parlava, continuava ad armeggiare coi controlli alieni. «Ah, ecco. Signori, vi presento una degli antichi abitanti di Altamid» disse infine.
   In una nicchia della parete si attivarono dei proiettori e comparve un’immagine olografica. Dapprima sfarfallò, sgranandosi; poi si precisò in una figura umanoide. Era una donna ammantata d’arancione, con lunghi capelli neri che scendevano ai lati del viso e la carnagione bronzo-dorata. Alcuni caratteri cuneiformi erano dipinti, o forse tatuati, sul viso e sulle mani. Il suo atteggiamento era improntato a una solenne compostezza.
   «Sono Annahir, della Repubblica Kalandan» si presentò l’aliena. «Non so se voi, che osservate questo messaggio, siate miei compatrioti; in ogni caso vi spiegherò le circostanze che ci hanno condotti alla rovina. Abbiamo colonizzato questo pianeta dieci anni fa, dopo averlo raggiunto col nostro Sciame. Speravamo che la nebulosa ci tenesse al riparo dai malintenzionati. In questo tempo abbiamo realizzato le prime colonie minerarie, come quella in cui ci troviamo. I nostri insediamenti erano fiorenti e nulla pareva in grado di ostacolarci. Ma il Fato, ahinoi, aveva in serbo altri piani.
   Un morbo sconosciuto ci sta decimando e i nostri medici non riescono a trovare la cura. Per non diffondere il contagio su altri mondi, abbiamo deciso di metterci in quarantena, vietando a chiunque di lasciare il pianeta. Stiamo anche cercando di contattare la Repubblica via subspazio, per chiedere consulenza medica, ma la nebulosa interferisce con le comunicazioni, così che non abbiamo ottenuto risposta. Ormai siamo rimasti in pochi e ci stiamo rassegnando all’inevitabile. Se la nostra ultima ricerca non darà frutto, questo pianeta sarà la nostra tomba. In tal caso, lo Sciame e tutte le nostre attrezzature rimarranno incustoditi.
   Dopo lunghi dibattiti, abbiamo deciso di non sabotare la nostra tecnologia. Speriamo che i primi a rimettere piede su questo pianeta siano Kalandani come noi, e che una volta sconfitto il morbo possano riprendere da dove ci eravamo interrotti. Ma se così non fosse... se voi che mi ascoltate siete alieni... posso solo pregarvi di non fare cattivo uso delle nostre risorse. Contattate la Repubblica Kalandan, se possibile, e fatele pervenire questo messaggio, così che almeno la nostra gente sappia cos’è accaduto».
   Dopo una breve pausa, l’antica aliena riprese in tono più dolente e intimistico: «Speravamo di aprire un nuovo capitolo nella nostra storia, ma è come se avessimo sbattuto contro un muro, e ci sentiamo più a terra che mai. Stiamo facendo tutto il possibile per risollevarci da quest’abisso, ma se falliremo... spero almeno che altri possano continuare la nostra opera. Siamo venuti in pace; fate altrettanto!». L’ologramma svanì, lasciando la nicchia vuota. Per parecchi secondi vi fu silenzio.
   «Sapete nulla di questi Kalandani? Perché ai miei tempi erano ignoti» disse infine Edison.
   «Ho letto qualcosa, sì» disse Jaylah. «Erano una grande potenza, diecimila anni fa. Poi scomparvero a causa di un’epidemia... forse proprio quella di cui parla la registrazione. La Flotta Stellare conosce pochi avamposti di questa civiltà, tutti abbandonati. Questo è certamente il più grande mai ritrovato e il meglio conservato. Peccato che non ci sia più nessuno a cui consegnare il loro ultimo messaggio!» rimpianse, osservando la nicchia vuota. «Da quanto ne sappiamo, i Kalandani erano pacifici... e in effetti sono stati i Pacificatori ad armare lo Sciame» ragionò.
   «E il trasferitore bio-energetico? Quello non sembra tanto innocuo!» commentò lo Spettro.
   «Forse gli ultimi Kalandani lo misero a punto nel disperato tentativo di sconfiggere il morbo» ipotizzò Garid. «Forse era un modo per assorbire il DNA di qualche altra specie, non necessariamente senziente, nel tentativo d’acquisire l’immunità». Era un’ipotesi azzardata, ma nessuno seppe suggerire di meglio.
   «Comunque è chiaro che hanno fallito» concluse Edison, scrollando le spalle. «Erano partiti in grande stile, ma... lo spazio ti riserva le sorprese peggiori. Se anche non ti ammazza, rischi di perdere te stesso» borbottò fra sé. Accortosi che gli altri lo guardavano, si riscosse: «Non c’è più nulla d’interessante qui. Torniamo alla Franklin, c’è molto lavoro da fare!».
   Il gruppo si mise in cammino per uscire dalla miniera. Una volta all’aperto, la Stella li avrebbe teletrasportati direttamente nel relitto, dove gli ingegneri erano già all’opera. Approfittando di quegli ultimi minuti, Jaylah si accostò a Edison e gli parlò sommessamente. «Si sente in grado di farcela?» gli chiese.
   «È il mio dovere» rispose lui con durezza, ma poi la guardò e si addolcì un poco. «Sai, la prima volta che andai nello spazio, ebbi le vertigini» confessò. «Niente alto e basso, nessun punto fermo. È più facile di quanto si creda, perdere la direzione... il proprio scopo... perdere se stessi. T’è mai capitato?».
   «A volte» ammise la mezza Andoriana. «Specie ora che la guerra va così male».
   «Beh, ora abbiamo di nuovo uno scopo» disse Edison, ritrovando la determinazione. «Sconfiggere i Pacificatori e restituire la Terra agli Umani. È la cosa giusta da fare, non dubitarne neanche un attimo. E ce la faremo, costi quel che costi!».
 
   I giorni successivi videro un susseguirsi di lavori frenetici sul relitto della Franklin. I corsari e gli Hirogeni lavoravano fianco a fianco coi tre superstiti dell’equipaggio originale, nel tentativo di rimetterla in funzione. Come previsto, i sofisticati replicatori del XXVI secolo furono essenziali per procurarsi i necessari pezzi di ricambio. Ma nessuno avrebbe saputo come far funzionare quella tecnologia d’altri tempi, senza la consulenza dei tre Umani del XXII secolo. Loro conoscevano la Franklin come le loro tasche, il che permise di risparmiare tempo prezioso. Gli ingegneri furono all’opera giorno e notte, dandosi il cambio in modo che ci fosse sempre qualcuno al lavoro. Il più instancabile fu Garid, che era l’Ingegnere Capo della sua nave e se la cavava anche con la tecnologia federale. Il pensiero di sua moglie costretta ai lavori forzati e frustata dai Pacificatori gli faceva ribollire il sangue e lo spingeva a lavorare senza sosta per rimettere in sesto la Franklin.
   In tal modo, i lavori procedettero a una velocità incredibile. Le brecce sullo scafo furono riparate con materiali più resistenti, le scorte di plasma vennero ripristinate, mentre il processore del computer fu sostituito con uno moderno, migliaia di volte più potente. Il vecchio computer fu portato sulla Stella, dove gli ingegneri scaricarono tutti i dati riguardanti Altamid. Riservarono particolare attenzione alle scansioni dello Sciame, nella speranza di trovare qualche punto debole, specialmente a livello del sistema di guida.
   In parallelo ai lavori, i corsari e gli Hirogeni fecero piani di battaglia. Ogni sera si riunivano per aggiornare la loro strategia, alla luce dei progressi compiuti in giornata. Furono vagliate tutte le possibilità, scartando man mano i piani che si rivelavano inattuabili. Alcune idee furono ridiscusse più volte, modificandosi fino a diventare irriconoscibili. Infine si giunse a una strategia condivisa dai tre Capitani, ovvero lo Spettro, Garid ed Edison. In quella stessa serata, i lavori sulla Franklin terminarono: la nave era pronta a decollare.
   A tarda ora, terminata l’ultima riunione, Jack si ritrovò con Edison nella vecchia mensa della Franklin. Quella saletta non era stata toccata dai restauri, così che era praticamente immutata. «Domani è il gran giorno, dobbiamo brindare» disse Edison, frugando dietro al bancone. «Ah, eccolo qui: un bourbon del Kentucky. Chissà com’è, dopo essere invecchiato per 430 anni!».
   I due decisero di scoprirlo subito. Dopo tutto quel tempo il liquore si era parecchio inacidito, ma se ne scolarono comunque un paio di bicchieri. «Ah... chissà, forse questo è l’ultimo vero bourbon che esiste!» disse Edison, contemplando malinconico la bottiglia mezza vuota. «Adesso bevete tutti sintalcool replicato, da quanto ho capito».
   «Non proprio. C’è ancora chi, come me, apprezza le cose naturali» corresse Jack.
   «Intende le cose vecchie... come questa nave» disse Edison, guardandolo di sottecchi. «Non prendiamoci in giro: se anche riusciremo a farla volare, non vi sarà di grande aiuto. È antidiluviana, in confronto a ciò che i Pacificatori possono scagliarci contro».
   «Mi basta che funga da diversivo» ribatté Jack. «E perché la cosa funzioni, lei e i suoi dovrete essere a bordo. Siete gli unici che sappiano davvero pilotarla. Ma questo significa anche assegnarvi il ruolo più pericoloso» chiarì. «Se i Pacificatori hanno la luna storta, potrebbero distruggervi senza nemmeno chiedervi chi siete».
   «Lo immaginavo» sospirò Edison. «Beh, preferisco rischiare il tutto per tutto, piuttosto che restare nascosto in qualche buco, sperando in un miracolo. Questo vale anche per Le e Wolff. Non so se posso ancora considerarmi il loro Capitano, dopo tutto quel che è successo. Ma ne abbiamo parlato e si sono detti pronti ad andare sino in fondo».
   «Facciamolo, allora» disse il corsaro, riempiendo un’ultima volta i bicchierini. «Per la nostra gente, o ciò che ne resta. Comunque vada domani... è stato un onore conoscerla, Capitano Edison».
   I due Umani levarono i bicchieri in un muto brindisi, prima di sorbire il liquore. Dopo di che lasciarono la mensa. Lo Spettro tornava sulla Stella, mentre Edison avrebbe trascorso l’ultima notte nel suo vecchio alloggio sulla Franklin.
 
   Era un mattino terso, sui monti di Altamid; qualche residuo di nebbia indugiava solo nei crepacci e a fondovalle. Il relitto della Franklin giaceva sull’orlo del dirupo, come aveva fatto negli ultimi quattro secoli; ma ancora per poco. Edison era in plancia, assieme a Le e Wolff; il resto dell’equipaggio era composto da corsari.
   «Controlli pre-volo ultimati; tutto regolare» riferì il Comandante Le.
   «Allora procediamo» disse Edison, accomodandosi sulla sua vecchia poltrona. «Plancia a sala macchine, attivate l’energia principale».
   «Ricevuto» disse Garid, che dirigeva il reparto ingegneristico, alcuni ponti più sotto.
   Dopo oltre quattrocento anni, il nucleo di curvatura si riattivò e l’energia tornò a scorrere in tutta la nave. In plancia le consolle si riaccesero, mentre la Franklin tremava come una creatura che si desta da un lungo sonno.
   «La griglia EPS tiene, energia stabile!» si emozionò Le. «Anche le armi stanno tornando in linea».
   «Integrità strutturale buona, motori a impulso operativi» riferì il Tenente Wolff.
   «Allora procediamo» disse Edison, tamburellando sul bracciolo della poltroncina. «Dite alla Stella d’emettere quel suo raggio traente».
   Di lì a un minuto, la nave corsara agganciò la Franklin col fascio di gravitoni. Ma non poteva innalzarla fino all’orbita, senza una certa collaborazione. La vecchia astronave tremò e cigolò, improvvisamente alleggerita.
   «Avanti a minimo impulso e pronti a cabrare» ordinò il Capitano. Una piccola goccia di sudore gli scese lungo la tempia, mentre osservava sullo schermo il precipizio che si spalancava innanzi alla sua nave. Sembrava senza fondo... ma il fondo c’era, e fin troppo vicino per i suoi gusti. Se i propulsori avessero fallito, la Franklin si sarebbe accartocciata come una lattina contro le rocce affilate e durissime. Ma non era tempo per i ripensamenti.
   Spinta dai motori a impulso, la vecchia nave scivolò in avanti, inclinandosi sempre più. L’equipaggio di plancia si tenne ai sedili, mentre l’angolo di visuale sullo schermo cambiava, mostrando il fondo del burrone. «Ci muoviamo!» avvertì il timoniere, ma era superfluo.
   Con uno stridio sgradevolissimo, la Franklin scivolò oltre il ciglio del burrone, provocando una piccola frana. E precipitò in caduta libera. Il raggio traente della Stella la rallentò, ma solo i suoi propulsori l’avrebbero salvata dalla distruzione.
   «Cabra ora!» ordinò Edison. Davanti ai suoi occhi, il fondo del crepaccio era sempre più vicino. La nave stava cabrando, ma avrebbe fatto in tempo? Ancora pochi attimi...
   I motori a impulso ruggirono mentre la Franklin volava raso terra, stroncando le cime degli alberi. All’ultimo istante s’innalzò, sfuggendo alle rocce affilate all’estremità del crepaccio. Prese rapidamente quota, salendo oltre il suo precedente giaciglio, oltre le vette più alte. E fu inondata dalla luce del sole nascente. In plancia, il Capitano si schermò gli occhi da quel bagliore, quasi incredulo di avercela fatta. Dopo il secolare oblio, la sua nave era finalmente sfuggita ad Altamid, ed era pronta ad affrontare l’ultima battaglia. Il cielo azzurro trascolorava già al nero dello spazio, venato dalle tinte della Necro Cloud.
   «Signori, ce l’abbiamo fatta, la Franklin è di nuovo in volo. Congratulazioni a tutti» disse Edison. «Ora però comincia la parte difficile: abbiamo una battaglia da combattere». 
 
   
 
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