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Autore: My Pride    20/03/2022    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Get well soon, my sweet boy Titolo: Get well soon, my sweet boy
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 3357
parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Clark Kent, Thomas Alfred Wayne-Kent (OC)
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Malinconico, Fluff
Avvertimenti: What if?, Slash, Hurt/Comfort
Easter Calendar: 107. "Non devi mai chiedermi scusa per una cosa simile"
Uovo di Pasqua: Pasto magro


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved
.

    Jon aveva corso talmente veloce nella hall dell'ospedale che aveva quasi rischiato di scivolare nel corridoio, chiedendo in fretta alla receptionist dove fosse stato ricoverato Thomas Wayne.
    In preda al panico, le aveva imprecato contro che era il padre quando lei aveva indugiato sul dirgli o meno la stanza, ma aveva dovuto farlo quando un'altra infermiera, sentendo tutto quel baccano, si era affacciata da una stanza e aveva dovuto intercedere, imponendole di farlo passare.
    Quando aveva ricevuto quella chiamata dalla scuola, Jon si era alzato così velocemente dalla sua scrivania che, se avesse avuto ancora i suoi poteri, con molta probabilità il suo capo avrebbe visto solo una macchia che gli comunicava che suo figlio era stato ricoverato in ospedale, ed era uscito dalla sede giornalistica prima ancora che qualcun altro dei suoi colleghi potesse fare domande. Agitato, aveva provato a calmarsi solo per riuscire a guidare senza incidenti fino all'ospedale, cercando il cellulare che aveva buttato chissà dove per chiamare in fretta Damian; era stato proprio in quel momento che quest'ultimo aveva cominciato a squillare e si era reso conto di averlo avuto per tutto il tempo in tasca, rispondendo alla svelta non appena visto l'ID del chiamante. Lui e Damian avevano parlato talmente rapidamente nello stesso istante che per un momento non si erano nemmeno capiti, almeno finché Damian non gli aveva detto che era già in strada e che si sarebbero visti lì in ospedale.
    Essendo in città, Jon aveva raggiunto l'edificio prima ancora che Damian potesse oltrepassare i campi di grano dei Dayton. E, per quanto quella donna alla reception aveva fatto un po' di storie perché aveva dimenticato la carta di identià e nn aveva voluto credergli subito, alla fine era riuscito ad incamminarsi in quel corridoio per poter raggiungere la stanza 107.
    «Signor Kent?»
    La voce di un medico, il quale aveva appena girato l'angolo che Jon avrebbe dovuto prendere, richiamò la sua attenzione e lui gli corse in contro, con in volto un'espressione così preoccupata che l'uomo, sistemandosi la cartellina sottobraccio, si presentò come Dottor Smith e si affrettò a tranquillizzarlo subito. Peccato, però, che Jon si sentisse tutt'altro che rassicurato.
    «Sta bene?»
    «Adesso sì, non si preoccupi», disse l'uomo nel guidarlo verso la stanza. «Uno degli insegnanti l'ha portato qui, in questo momento si trova in sua compagnia».
    «Cos'è successo?»
    «Suo figlio ha avuto una crisi ipoglicemica, signor Kent».
    Jon sgranò gli occhi. «Cosa?» gli venne spontaneo chiedere. «Com'è possibile?» sussurrò, deglutendo. Sentiva il cuore palpitare forte nel petto e osservava l'uomo con l'incredulità dipinta in viso, e aveva persino cominciato a sentirsi un po' male per non essersene reso conto prima. Lui e Damian erano sempre stati così scrupolosi... come avevano fatto a non accorgersi di niente?
    «Suo figlio soffre di una forma di diabete monogenico, ha le caratteristiche del diabete di tipo due presenti nell’adulto», spiegò ancora il dottor Smith, poggiando una mano sulla spalla di Jon nel vedere quell'espressione persa. «Non si crucci, non potevate saperlo. Questa forma di diabete nei bambini è rara e, oltre ad essere solitamente genetica, i sintomi sono meno evidenti a differenza del diabete di tipo uno», continuò a parlare, svoltando a sinistra per superare altre due stanze. «In genere la malattia è presente in uno dei genitori o nei nonni... avete storie di diabete in famiglia?»
    «Tommy è stato adottato quand'era ancora un neonato, noi... non sappiamo niente della sua famiglia biologica», ammise Jon, passandosi una mano fra i capelli mentre sentiva gli angoli degli occhi bruciare. Per quanto il medico gli avesse detto di non crucciarsi, era piuttosto difficile non farlo. Lo avevano visto un po' stanco e negli ultimi tempi aveva mangiato un po' di più, certo, ma avevano imputato la cosa all'età dello sviluppo... non avevano minimamente pensato che potesse trattarsi di diabete. Si sentiva davvero un pessimo genitore, in quel momento.
    «Signor Kent». La voce del dottor Smith era comprensiva, come se volesse rassicurarlo. «Se si tratta di una predisposizione genetica, la scoperta di questo tipo di diabete può avvenire in modo del tutto casuale, ad esempio durante un check-up. Il fatto che sia svenuto a scuola non deve farla sentire in alcun modo colpevole per quanto è accaduto».
    Per quanto avesse faticato a guardare in volto il medico, stringendo il cellulare nella propria tasca quasi si aspettasse di sentirlo suonare, Jon si umettò un po' le labbra prima di trarre un sospiro. «...posso vederlo?» chiese con un fil di voce, e il dottor Smith fece un breve cenno col capo.
    «Certamente, venga», accennò, superando un altro paio di stanze prima di girare l'angolo; alla vista del numero 107 non gli sfuggì il modo in cui il signor Kent aveva trattenuto un attimo il respiro, accompagnandolo fino a quella camera per dirgli che sarebbe passato in un secondo momento per spiegar loro cosa avrebbero dovuto fare da quel momento in poi.
    Jon ringraziò e, passandosi ancora una volta una mano sul viso, aprì in silenzio la porta e sbirciò al suo interno, notando immediatamente Tommy sdraiato sul letto con uno sguardo spaesato e spaventato mentre, parlando frettoloso con l'insegnante, non faceva altro che chiederle dove fossero i suoi genitori. E fu proprio nel sentire la porta aprirsi che si voltò immediatamente verso di essa, sgranando gli occhi.
    «Papà!» urlò, e si sarebbe sicuramente strappato la flebo dal braccio per correre dal padre se non fosse stato trattenuto dalla sua maestra, che lo costrinse a restare a letto.
    Jon stesso gli disse di non muoversi, richiudendosi la porta alle spalle mentre si avvicinava. L'insegnante cominciò a spiegargli a grandi linee ciò che la scuola gli aveva già detto, ovvero che Thomas era diventato improvvisamente pallido e, barcollando, era svenuto durante l'ora di fisica; l'avevano portato di corsa in ospedale quando non erano riusciti a farlo rinvenire, ed era stata una fortuna che avessero scoperto in fretta il problema e si fosse rimesso almeno un po' dopo quella flebo.
    Ringraziandola, Jon le aveva detto che da quel momento in poi ci avrebbe pensato lui, vedendola uscire dalla camera prima di accasciarsi letteralmente sulla sedia che era stata occupata dalla donna fino a quel momento, stringendo la mano del figlio nella propria nel mormorargli qualche parola rassicurante mentre gli baciava la fronte.
    Tommy lo lasciò fare, godendosi quelle attenzioni mentre il ritmo frenetico del suo cuore si calmava, evidentemente spaventato dalla situazione. Quando si era svegliato in ospedale, con la sua insegnante a vegliare su di lui, si era guardato intorno con una certa angoscia e non aveva smesso di chiedere dei suoi genitori, con quella flebo al braccio e la testa che gli doleva. Era stato davvero terribile.
    «Dov'è baba?» chiese infine, accasciandosi ancora una volta sul cuscino. Era ancora un po' sciupato, ma c'era un lieve colorito rosato sulle guance che contrastava il pallore.
    «Sta arrivando... tranquillo», provò a rassicurarlo Jon con un sorriso, ravvivandogli i capelli all'indietro. Sentiva ancora le mani tremanti, ma stava cercando in tutti i modi di non darlo a vedere per non agitare ulteriormente Tommy. Aveva bisogno di rilassarsi, non di un padre più nervoso di lui per la situazione che si era venuta a creare.
    «Tu resti qui, vero?»
    La voce di Thomas era bassa e un po' fremente, come se fosse spaventato al pensiero di restare da solo. E il volto di Jon si addolcì maggiormente, dandogli un altro bacio fra i capelli.
    «Certo che resto qui, dove altro vuoi che vada?» gli sussurrò, inspirando a pieni polmoni nel tentativo di restare tranquillo. Il dottore l'aveva rassicurato che stava bene, lo tenevano lì solo per precauzione. Tutto qui. «E poi il tuo baba mi ucciderebbe se sapesse che ti ho lasciato solo, non credi?» lo prese in giro nel pizzicargli il naso, ignorando il modo in cui lo aveva arricciato poco dopo, infastidito.
    Restarono in silenzio per un po', l'uno con la mano stretta in quella dell'altro mentre Jon continuava a carezzargli i capelli, desideroso di tenerlo al sicuro e spaventato dal fatto che sarebbe potuto succedergli qualcosa. Per quanto addestrati fossero, per quanto avessero affrontato situazioni fuori dall'ordinario e invasioni aliene, quelle erano cose che non avrebbero mai potuto controllare, forse nemmeno se avesse avuto ancora i suoi poteri.
    «Scusa», se ne uscì d'un tratto Tommy, e Jon, riscuotendosi dai suoi pensieri, si accigliò nel guardarlo.
    «Di cosa?»
    «Io... non volevo farvi preoccupare».
    Jon lo guardò con la fronte corrugata, ma ammorbidì nuovamente lo sguardo prima di scuotere il capo. Ah, accidenti. A volte Thomas si comportava esattamente come un certo scemo di sua conoscenza. «Non devi chiedermi scusa per una cosa simile, campione».
    «Ma...»
    «Tommy». La voce di Jon fu imperativa, ma non lasciò comunque che la dolcezza si dileguasse dalle sue parole. «Non potevamo saperlo. Il dottore mi ha spiegato come stanno le cose e non è niente di cui tu debba anche solo pensare di doverti scusare. Ciò che conta è che adesso stai bene».
    «Ma...» riprovò, ma non riuscì a terminare la frase che il padre gli pizzicò il naso, e lui si lamentò qualche secondo dopo.
    «Niente ma», ripeté pazientemente Jon, ignorando il suo sguardo accigliato quando si sfilò la giacca per poggiargliela sulle spalle; Tommy lo osservò con fare interrogativo, ma Jon sorrise prima di carezzargli nuovamente i capelli. «Adesso cerca di riposare un po'».
    «In realtà...» imbarazzato, Tommy indicò il comodino dall'altra parte del letto mentre si stringeva nella grossa giacca del padre. Il suo dopobarba era forte, ma aveva un effetto calmante su di lui e se ne beò. «...dovrei mangiare quella roba».
    Jon seguì il suo sguardo, notando uno di quei vassoi d'acciaio in cui venivano solitamente serviti i pasti negli ospedali e sbuffò ilare, alzandosi. «Allora vedi di non fare storie, campione», affermò nell'aggirare il letto per andare a recuperare quel pranzo lui stesso, poggiandolo sulle cosce del figlio per scoperchiarglielo senza tanti complimenti.
    Tommy arricciò il naso e afferrò la forchetta, punzecchiando il cibo che gli avevano portato. Aveva una consistenza strana e sembrava molliccio, tanto che gettò una rapida occhiata verso il padre per osservarlo con occhioni imploranti. «...devo proprio mangiarlo?» domandò, provocando una risata divertita a Jon.
    «Se vuoi stare meglio, sì».
    Anche se assunse l'espressione di chi era sul punto di ingoiare letteralmente un rospo, Tommy trasse un lungo sospiro e si sforzò di buttar giù qualcosa sotto l'occhio vigile di suo padre, al quale strappò la promessa di portato alla partita di baseball non appena fosse stato meglio; finì quel pasto tra chiacchiere e qualche risata, posando il vassoio ormai vuoto nello stesso istante in cui un rumore proveniente da fuori fece trasalire entrambi.
    «Thomas!»
    La voce possente di Damian fu inconfondibile prima ancora che la porta si spalancasse con un tonfo, mostrando la sua figura massiccia che si stagliava sulla soglia. Respirava pesantemente per lo sforzo e il petto gli si alzava e gli si abbassava a ritmi irregolari, gli occhi dilatatati e la camicia infilata alla bell'e meglio come se si fosse cambiato in fretta. Un infermiere dietro di lui stava cercando di calmarlo, ma lui lo ignorò completamente, entrando in quella stanza. La protesi rendeva ogni suo passo più pesante di quanto avrebbe dovuto essere, sbattendo sul pavimento con un sinistro clangore metallico nonostante la scarpa che indossava e, prima ancora che Jon potesse dire qualcosa, Damian aveva già gettato entrambe le braccia intorno al collo del figlio.
    «عزيز, عزيز», sussurrò spasmodicamente, stringendolo a sé mentre continuava a ripetergli “tesoro” come se fosse l'unica cosa che riuscisse a dire in quel momento.
    Seppur preso alla sprovvista per quell'arrivo così impetuoso, Tommy non fece resistenza e gettò invece le mani dietro la camicia del padre, stringendo la stoffa con le dita mentre affondava il viso nel suo petto; fu Jon ad occuparsi dell'infermiere che gli era corso dietro trafelato, tranquillizzandolo che andava tutto bene prima di chiudere lui stesso la porta quando se ne andò. Tornò da Damian per avvolgergli un braccio intorno alle spalle, lasciando che la preoccupazione e l'ansia fluissero dai loro corpi poco a poco mentre si rilassavano l'uno contro l'altro. Quelle ore erano state per loro una vera tortura e una completa angoscia, ma potevano finalmente dire che il peggio era passato e avrebbero potuto pensare a ciò che sarebbe venuto in seguito.
    Lasciando Damian con Tommy, e sentendoli solo vagamente mormorare qualcos'altro in arabo, Jon aveva anche informato i loro familiari delle condizioni del bambino, giacché quella stessa sera avrebbero dovuto partecipare ad una cena a casa loro e si sarebbero preoccupati se non li avessero trovati. Aveva dovuto calmarli uno ad uno, fin troppo consapevole dell'agitazione che quella notizia aveva provocato in tutti loro - ma che altro avrebbe dovuto fare, tacere? Sarebbe stato peggio, poiché poi si sarebbero giustamente indignati per non averlo saputo prima -, e tutti, nessuno escluso, avevano detto che sarebbero ugualmente passati per accertarsi delle sue condizioni. Suo padre era persino volato fin laggiù per primo, e Jon non aveva potuto fare a meno di ringraziarlo.
    La situazione era stata stressante, e avere almeno suo padre lì, con Bruce stesso che lo aveva spronato a precederlo prima di mettersi in viaggio con Selina, aveva fatto scivolare un po' il peso di tutta quella giornata che era gravata sulle loro spalle. Durante quelle ore Tommy si era riaddormentato e Damian si era allontanato con la scusa di andare a prendere un caffè, offrendosi di portare qualcosa anche a loro... ma non era ancora tornato.
    Jon si passò una mano fra i capelli, gettando una rapida occhiata verso la porta prima di guardare l'orologio. Erano passati più di quindici minuti da quando Damian era andato a prendere quel caffè, e conosceva abbastanza bene Damian da sapere che la preoccupazione per Thomas non lo avrebbe tenuto lontano così a lungo se non fosse stato per qualcosa. «Papà, puoi tenere d'occhio Tommy mentre sono via?» gli chiese nell'alzarsi, richiamando l'attenzione curiosa di Clark. Ma bastò leggere il volto del figlio per capire, facendo un breve cenno col capo senza dire nulla. Non avevano bisogno di parole, e Jon sorrise di riflesso. «Grazie. Torno... torno subito», accennò, lanciando un'altra rapida occhiata a Tommy che sonnecchiava nel letto prima di uscire silenziosamente dalla camera.
    Una volta fuori, inspirò pesantemente dal naso. L'odore di disinfettante, medicine e candeggina sembrava impregnare ogni corridoio, o semplicemente era l'impressione dovuta al momento. Il medico aveva detto loro come comportarsi e come evitare possibili complicazioni causate dal diabete, quali tipi di cibi evitare e che pasti magri somministrargli in quelle settimane per assicurarsi un buon recupero, ma li aveva anche tranquillizzati dicendo che Thomas stava bene e che, per quanto lo avrebbero tenuto in osservazione almeno per quel giorno, sarebbe bastato seguire tutte le indicazioni per tenere d'occhio i suoi valori glicemici e non avrebbero dovuto preoccuparsi di altro.
    Ciononostante, Jon sentiva ancora un po' il petto e la testa pesanti per tutta la situazione che si era venuta a creare. Non faceva altro che pensare e ripensare, mentre si incamminava fra quei corridoi, che forse avrebbero dovuto davvero cogliere i segnali di ciò che stava succedendo a discapito delle rassicurazioni che il Dottor Smith aveva dato loro, ma fu nel dipingersi in viso l'espressione più tranquilla che riuscì a creare che svoltò l'angolo, arrivando ai distributori e restando interdetto alla vista di Damian.
    Seduto pesantemente sulle sedie poste accanto al muro, con un bicchiere di caffè abbandonato al suo fianco e la schiena curva, se ne stava con la testa incassata nelle spalle e le mani a coprirsi in parte il viso, apparendo stranamente fragile nonostante la sua stazza; respirava pesantemente, e Jon sentì un tuffo al cuore nel vederlo così.
    «D?» lo richiamò a mezza voce mentre si avvicinava, vedendolo solo irrigidirsi per un momento; forse Jon lo sentì trattenere il fiato, forse no, ma gli si avvicinò immediatamente per spostare quel bicchiere e sedersi accanto a lui, avvolgendogli un braccio intorno alle spalle per attirarlo a sé. «Ehi... va tutto bene, hayati... va tutto bene».
    «Per niente», sentenziò Damian, spostando un po' le mani dal viso. «Avevo a disposizione qualunque cosa per essere sicuro che Tommy godesse di buona salute. Avrei dovuto fare tutti gli accertamenti del caso, informarmi, cercare tutta la storia clinica dei suoi--»
    «Non potevamo saperlo, D», cercò di farlo ragionare, ma fu a quel punto che Damian sollevò lo sguardo e si voltò verso di lui, fissandolo così intensamente negli occhi che Jon si rese conto che aveva le pupille talmente dilatate che il nero aveva inghiottito anche le sue iridi verdi.
    «Ed è proprio quello il problema».
    Jon si accigliò e, se avesse potuto, avrebbe probabilmente sentito il cuore di Damian battere all'impazzata. Gli tremava una mano, ed era difficile dire quale fosse la vera ragione. Lì, seduto su quella sedia di plastica in un corridoio d'ospedale, non sembrava affatto il solito arrogante Damian Wayne... era solo un padre preoccupato per suo figlio.
    «Dovevamo essere più cauti, prendere ogni cosa in considerazione. Se non gli fosse successo a scuola, sarebbe potuto succedere ovunque e lui sarebbe potuto essere solo», riprese, inspirando pesantemente dal naso senza distogliere lo sguardo da Jon. «Avrebbe potuto avere delle complicanze, dei danni al sistema nervoso», deglutì rumorosamente, mordendosi il labbro inferiore. «Se non fosse stato trattato in tempo, Thomas avrebbe potuto m--»
    Prima ancora che potesse finire quella frase, Jon gli tappò immediatamente la bocca con una mano, dandogli una capocciata e ignorando l'esclamazione soffocata che Damian si lasciò sfuggire contro il suo palmo. «Non pensarlo, brutto idiota. Non pensarlo nemmeno».
    Si guardarono dritto negli occhi per un momento che parve durare una vita, quasi stessero assimilando le parole che si erano appena detti. Jon aveva anche allontanato la mano poco a poco, entrambi senza aprire ulteriormente bocca, come se farlo avrebbe potuto infrangere lo strano equilibrio che si era creato fra loro. Era vero, sarebbero potute succedere cose a cui preferivano non pensare, cose concrete che avevano rischiato di affrontare, e il solo pensiero, per due ex-eroi come loro che avevano sempre vissuto in bilico tra la vita e la morte, sembrava pesare più di quanto avrebbero voluto ammettere. E Jon si rifiutava di associare a Tommy pensieri negativi.
    «Hai ragione», esordì d'un tratto Damian. Era raro che tornasse sui propri passi quando pensava a qualcosa, ed era altrettanto raro che desse ragione al compagno. «Io... mi sono lasciato prendere dal panico», ammise. Non poteva negare di essere sempre stato paranoico quasi quanto suo padre e, forse, essere diventato padre a sua volta aveva peggiorato le cose.
    Capendo come si sentisse, Jon allungò un braccio verso di lui e gli cinse le grosse spalle con un braccio, attirandolo contro di sé. «Tranquillo, D... è normale. Perfettamente normale», sussurrò nel baciargli una tempia, carezzandogli la schiena con una mano qualche momento dopo. «Ora torniamo da Tommy, mhn? Sarà più tranquillo nel vederci lì quando si sveglierà».
    Damian cercò di riconquistare la sua compostezza, traendo un lungo respiro dal naso e socchiudendo le palpebre mentre si beava di quel conforto che Jon gli stava regalando. Erano entrambi preoccupati, non avrebbero potuto negarlo. In fin dei conti c'era loro figlio in quel letto di ospedale. Ma Thomas stava bene... sarebbe stato bene.
    Dopo un attimo di incertezza, si alzarono entrambi e si gettarono un'ultima occhiata, e Jon vide Damian tentare di sorridere prima di avviarsi per primo; Jon osservò la sua ampia schiena ancora rigida, i muscoli delle spalle che sembravano flettersi contro la stoffa dei suoi vestiti, e lo raggiunse per cingergli i fianchi con un braccio, dandogli supporto in silenzio mentre tornavano in camera. Tommy si era svegliato e stava ridendo e chiacchierando con Clark ma, quando li vide, la sua attenzione fu solo e unicamente per loro.
    Quel suo sorriso valse più di mille parole.






_Note inconcludenti dell'autrice
Finalmente posso postare anche questa, visto che l'uovo di pasqua è stato aperto e questa storia è stata scritta per l'iniziativa #EasterAdventCalendar indetta sul gruppo facebook Hurt/comfort Italia.
Come avevo accennato nel capitolo Kids grow up so fast, Tommy soffre di diabete e qui viene anche spiegato quale tipo, ovvero quello monogenico.
Ovviamente non poteva mancare un pizzichino di angst,
perché io sono brutta e cattiva (no, non è vero, lo sono solo un pochino), quindi abbiamo un Damian che si incolpa anche quando non è certamente colpa sua. Ma quando sei stato cresciuto con la convinzione che puoi fare tutto... beh. Però Jon è sempre con lui e tutto bene quel che finisce bene!
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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