Da
dove arriva questa fan fiction?
Non ne ho idea, mica sono una persona seria, io <345.
No, non c’entrano né lo spettacolo delle
marionette né Matt cantante lirico, parola
di giovane marmotta. – O almeno
credo.
Mellow
yellow è una
canzone di Donovan, la citazione finale è di Jean
Baudrillard.
[Titolo].
(82 ~ Se. | 572 parole.)
Inspirò
ed espirò lentamente, beandosi
dell’aria fredda della sera. Un freddo
che gli entrava nelle ossa e non lasciava via di scampo, un freddo che
trovava
quasi ristoratore dopo quelle ore preda di mani estranee.
«Sbrigati,
ancora un po’ e tocca a noi»
lo sorprese una voce non poco seccata
alle spalle.
Si
voltò, rimettendo il pacchetto di sigarette in tasca e
alzando le mani in
segno di resa.
«Non
ne ho accesa una, lo giuro»
sghignazzò, muovendosi verso l’altro. Colto da
una strana nostalgia sfiorò con le dita il volto deturpato,
sentendo il trucco
e la carta sotto i polpastrelli. «Non vedo l’ora
finisca» sospirò, portando lo
sguardo dritto avanti a sé.
Guarda il caso,
quegli orrendi stivali colmavano i tre soffertissimi
centimetri che rendevano il compagno più alto di lui.
Desistette dal
saltargli addosso solo per non doversi poi ripulire da
tutto
quel fondotinta e incorrere nelle ire della signorina –
ancora non se ne
capacitava, avrà avuto settant’anni! –
Maria.
«They
call me mellow yellow...» sorrise,
avvicinandosi, guardando divertito il
ragazzo che ora fremeva.
«Postino,
rompi poco i coglioni».
Lo
guardò dirigersi a grandi passi verso l’unica
porta che conduceva sul tetto,
cominciando a correre per gli scalini, saltando di tanto in tanto per
fare più
veloce.
«Sei
tornato un ragazzino che assomiglia a una
bimba?» lo schernì urlando per
la tromba delle scale.
«Stronzo»
fu la risposta dell’altro, che aveva raggiunto il pian
terreno lasciando Mail a
scendere con calma dal quarto e ultimo. Rise fra sé, questi,
prendendo il
cellulare dalla tasca e recuperando in un attimo il numero del compagno.
«Mihael?»
sussurrò nonostante
l’ambiente fosse vuoto. «L’aula di
informatica al
terzo è vuota».
«Tutto
il terzo è vuoto»
ribatté con uno sbuffo, mentre la ragazzina assistente
di Phillips controllava lo stato della cicatrice sulla parte sinistra
del
volto.
«Cosa
ne diresti se prendessi le chiavi e facessimo una
capatina più tardi...?»
Arrossì
prepotentemente, la ragazza che lo guardava
incuriosita. Lei lo riprese
un poco quando ghignò, lo sfregio più che
verosimile posto a un movimento non
adatto alla qualità dei materiali.
«Fai
come vuoi».
«Non
te ne frega
niente?».
Ridacchiò
a bassa voce, fulminando con lo sguardo la
diciassettenne che si
portava le mani fra i capelli, esasperata. «Chi
può saperlo».
Jeevas chiuse la
telefonata, fermandosi appena un paio di minuti dal
parrucchiere
e dirigendosi poi verso la quinta dalla quale si prevedeva il suo
ingresso in
scena.
Osservò
Lawliet accasciarsi a terra – quelle
occhiaie disegnate gli davano
un’aria strana, interessante, doveva concederlo.
«Visto
che il mondo sta prendendo
una
direzione delirante...» recitò a memoria,
guardando senza molta convinzione i
googles che un uomo più che disinteressato gli sventolava di
fronte al viso.
Cercò di ricordare il nome per ringraziare, ma non ci
riuscì; forse era per la
sua scarsa memoria in fatto di nicknames e copioni
che avevano
rinunciato a fargli interpretare la parte di Kira.
«...è il caso di assumere un punto di vista
delirante».
Con un sospiro
osservò il sipario calare sul primo atto.
Con un sorriso
affrontò il proprio ingresso in scena. Quella
che definiva un importante
ruolo di sfondo.
E se lo chiese.
Si chiese come
sarebbe stato, salvare Mihael dalle fiamme quello stesso
10
novembre 2009. Si chiese come sarebbe stato vivere sul serio
quell’uscita di
scena da fuoriclasse, dopo un’esistenza meravigliosamente
superficiale.
Si
chiese come sarebbe stato vivere con
un Mello vestito di pelle ogni singolo giorno, Natale e Pasqua compresi.