Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
Ricorda la storia  |      
Autore: dramy96123    22/03/2022    0 recensioni
Soulmates!AU, basata sulla leggenda del filo rosso del destino, in un mondo in cui le persone in un momento della loro vita vedono il proprio filo che le collega alla persona prescelta.
(Hint) Yoonkook
Hint Vmin
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

È sempre stata una leggenda, quel vecchio negozio di musica. I padroni sono cambiati, ma quel negozio è sempre stato lì. I vinili sono impilati in ordine di genere, leggermente impolverati, nell’angolo a destra della spaziosa stanza poco illuminata. Spaziosa, certo, ma con così tanti scaffali e strumenti musicali da rendere difficile il passaggio. C’è un bancone in legno, con un vecchio computer e una cassa a lato, e non ci sono sedie. Non c’è un posto per appoggiarsi, se non su un logoro tappeto. Bisogna spostare una pila di dischi e qualche spartito, ma il ragazzo ha imparato a rendere quel piccolo spazio confortevole. L’unico sgabello è di fronte a un pianoforte a coda, l’unico oggetto che riesce a prendere quel poco di luce che entra dalla finestra impolverata. Entrambi sono smaltati di nero, ma hanno visto giorni migliori. Sul pianoforte ci sono vari fogli spiegazzati, alcuni con macchie di caffè sopra, altri piegati maldestramente. I tasti sono giallastri, consunti, ma a parte quello il pianoforte è perfettamente accordato. Tutto il negozio è un ammasso di scricchiolii e persino il grammofono (appoggiato su una raccolta di pezzi jazz) a volte si interrompe, cigola, e bisogna aggiustare il braccio prima di far ripartire il vinile; la campanella all’ingresso trilla spiacevolmente come se i clienti non fossero particolarmente desiderati. Ma se c’è un suono limpido e piacevole, verrà dal pianoforte. A volte i passanti si fermano, alzano la testa cercando di capire da dove viene la melodia, fissano gli occhi su quella vecchia finestra. Ci vogliono diversi minuti prima che riescano a scuotere la testa, passando oltre.

 

Raramente il padrone del negozio parla. Per essere precisi, non tutti sono sicuri di averlo mai sentito parlare. Se qualcuno compra qualcosa, abbandona la sua postazione al piano, lascia che paghino, inclina leggermente la testa in un inchino, poi torna lentamente sul suo sgabello, spolverandosi distrattamente i pantaloni scuri. Non è della capitale, questo è certo. Il negozio non era suo originariamente, non c’è modo che un uomo così giovane abbia reso così antico e malmesso un posto del genere. Ma in qualche modo è diventato parte della stanza, la figura che siede al pianoforte, mai senza suonare.

Non è scostante, questo no. Nonostante i clienti siano pochi, quelli che davvero comprano qualcosa, a varcare la soglia sono in tanti. I curiosi che sentono la melodia dalla finestra, ad esempio.

Anche loro, raramente parlano.

La prima volta che il ragazzo è entrato, due bambini sedevano sul vecchio tappeto, guardando curiosi le dita dell’uomo muoversi sul pianoforte. Poi, come erano entrati erano anche usciti, stranamente silenziosi. Il padrone del negozio non aveva mai alzato la testa dai tasti. Solo più tardi, in futuro, il ragazzo si sarebbe accorto che non ha bisogno di leggere alcuno spartito. Suona ad occhi chiusi, con espressione tranquilla.

E così, non parla, non si muove dal suo posto, ma si fa benvolere grazie alla sua musica.

La signora che gestisce il ristorante al lato della strada gli lascia a volte il pranzo sul bancone di legno, lamentandosi sempre il fatto che sia pelle e ossa, e che non gli farebbe male mangiare un po’ di più. Poi gli chiede quella bella canzone che le piace tanto, e senza rispondere l’uomo muove le dita, concedendole di ascoltarla ancora.

L’adolescente al lato della strada, il piccolo ribelle che è scappato di casa due volte, ora preferisce rifugiarsi da lui se discute con i suoi genitori, ascoltare della vecchia musica dal grammofono, borbottando spesso che dovrebbe aggiustarlo, prima o poi. È uno dei pochi a cui l’uomo concede un accenno di sorriso.

E poi c’è lui, il ragazzo. Lavora un paio di volte la settimana in un negozio di fiori, a un incrocio di distanza. Da quando si è perso la prima volta per una consegna, ed è entrato per caso in quel posto, raramente fa passare una settimana prima di andare a visitare il signore del pianoforte.

 

E gli porta i fiori.

Non sapeva precisamente quali fiori preferisse, ha fatto diversi tentativi. Girasoli, tulipani, crisantemi. Non sa quando è diventata un’abitudine, ma d’altronde non sa neanche da quando è diventata un’abitudine per gli altri. Sa solo che quando gli porta dei fiori, il giorno dopo si trovano sempre in un vaso, al lato della finestra, dove il sole può raggiungerli.

Non sapeva quali preferisse, diceva, sino a quando l’uomo non ha fissato per pochi secondi in più un mazzo di rose bianche, il suo quindicesimo tentativo. Da allora alla finestra le rose bianche sono un ospite regolare.

Che ci sia qualcosa di romantico, non ci ha mai davvero pensato. O forse ci ha pensato, ma la verità è che è un pensiero così casuale, quello di portargli dei fiori ogni volta, come se fosse qualcosa di naturale. Lui ringrazia sempre, con un piccolo cenno e un sorriso, che a volte - solo a volte - raggiunge i suoi occhi.

 

Perchè nessuno gli fa domande? Se lo è chiesto spesso, davvero tanto spesso. Poi alla fine anche lui l’ha notato, e da allora si chiede come ha fatto le altre volte, seduto su quel tappeto, a non vederlo prima. Quanto cieco può essere stato, a non vedere quel filo rosso pendere dal mignolo dell’uomo, sfiorare gentilmente il pavimento quando suona,  

Quel filo rosso collegato a nulla. Spezzato, con qualche filo più lungo di altri, sottile, ma irrimediabilmente lì, di quel rosso spento che non si illumina neanche ai raggi polverosi del sole.

E lì Taehyung aveva trattenuto bruscamente il respiro, rumorosamente. La cosa non aveva disturbato l’uomo, che aveva continuato a suonare ad occhi chiusi.

Certo, certo che nessuno gli fa domande. Quando vedi un uomo aggrappato al suo filo rosso, senza lasciarlo andare, senza scioglierlo, puoi solo stare in silenzio. E anche Taehyung era rimasto in silenzio.

 

Da allora però, ogni nota su quel pianoforte portava un nuovo significato, e ogni nota era triste e dolce, e aveva spezzato il cuore del ragazzo. Per settimane non aveva fatto altro che trattenersi dal piangere per quel pover’uomo, seduto sul tappeto. Se lui se n’era accorto, non ne aveva fatto cenno.  

 

Poi un giorno l’adolescente, il ragazzino con i pantaloni strappati e una borsa degli attrezzi in mano (per aggiustare una volta per tutte quel maledetto aggeggio, aveva borbottato), gli aveva rivelato qualcosa, casualmente. Che la musica che aveva sentito lui la prima volta era diversa. Aveva esitato, non aveva saputo davvero spiegare, ma aveva detto che le note erano arrabbiate. Arrabbiate? Così aveva detto, annuendo dubbioso.

La signora del ristorante, alla sua domanda di qualche giorno dopo quell’incontro, aveva scosso la testa, aggrottando le sopracciglia. Certo, certo, la musica era cambiata con il tempo, ma quando lei l’aveva sentita la prima volta era qualcosa di doloroso. Era disperato, quel povero giovane. Così aveva detto, scuotendo la testa dolcemente. Ma lentamente, di giorno in giorno, cambiava. Aveva detto anche quello.  

A Taehyung sembrava solo dolce. E triste.

Però tutti glielo avevano detto. Persino i due bambini, una volta. Che faceva male, sentirlo suonare.

E anche così, nessuno aveva mai pensato di non ritornare.

 

 

 

Il filo rosso era qualcosa di potente, glielo avevano sempre detto. Lo aveva sempre visto. Nelle coppie che camminavano per strada, nei suoi nonni, anche sul mignolo del suo migliore amico. Non era comune, ma non era raro. Era splendido, e rendeva le persone splendide.

Ma non aveva mai, mai visto nessuno con un filo spezzato.

 

I fili si ricreano, gli avevano sempre spiegato i suoi genitori. I fili si sciolgono, e si intrecciano nuovamente. Si restringono quano discuti, si distendono quando vuoi stare vicino alla tua persona, e sono di un rosso brillante e gioioso.

Taheyung non sapeva cosa volesse dire avere un filo spezzato, cosa fosse successo, ma sentiva una fitta allo stomaco alla sola immagine, senza motivo.

Poi una volta lo aveva chiesto, alla signora per cui lavorava. Uno sguardo di stupore, poi di rassegnazione, le aveva attraversato il volto. Aveva capito di chi parlava, questo era chiaro. La voce triste della donna gli aveva fatto perdere il respiro.

Se perdi qualcuno, puoi sciogliere il filo spezzato. Quando lo sciogli stai meglio, sai? È quello che l’altra persona vorrebbe, sempre. Così da poter creare un nuovo filo. così dal lasciare andare definitivamente l’altro.

Poi l’anziana fioraia aveva sorriso

Lui non l’ha mai fatto però. Sono passati anni, e lui non lo ha fatto. Li conoscevo, sai? Avevano comprato insieme quel piccolo negozio. L’altra parte del suo filo ha sempre amato Yoongi suonare.

 

 

Per questo, quando vede un filo rosso allacciarsi al suo mignolo un giorno di febbraio, ha solo paura. Ha solo paura. Nella sua mente l’immagine del pianista alla finestra, con il filo che sfiora il pavimento lo fa tremare.

La sua anima gemella è lontana. Lontana, lo vede. Il filo si perde tra le strade, invisibile agli altri. Si perde tra le strade della capitale. Taehyung fa cadere il vaso ai suoi piedi, e corre via. Corre sino a che non gli fa male respirare, e anche un po’ di più. E poi, quando è notte e l’unica luce accesa proviene dal vecchio negozio, si siede nel suo spazietto sul tappeto e piange.

L’uomo continua a suonare, come se non lo avesse sentito, come se la sua presenza non fosse importante.

 

Non sa per quanto tempo rimane lì, a sentire la musica.

Ha parlato prima di allora all’uomo. Ci ha provato, almeno, anche se i suoi tentativi si contano sulle dita di una mano. Gli ha detto il suo nome. Ha balbettato la prima volta che gli ha portato dei fiori, poi la seconda. Una volta gli ha chiesto di suonare una melodia del giorno precedente.

Questa volta, sussurra.

 

Oggi è successo, la mia mano brucia e il filo mi si attorciglia alle caviglie, ed è pesante, è solo un filo, come fa a essere così pesante?

Ho paura.

Ho paura, non voglio.

E se fa male?

                                                    (E se fa male come fa male a te?)

Non voglio che faccia male.

 

E poi, poi Taehyung alza lo sguardo. Guarda l’uomo, che suona come se non lo avesse sentito. Non inciampa su nessuna nota. Non apre gli occhi, non incontra quelli del ragazzo.

- Aiutami, signore del piano - sussurra alla fine. La richiesta esce spezzata dal pianto, e forse l’uomo non lo ha neanche sentito. Forse non lo ha sentito, perché ha solo sussurrato, e lui non ha mai smesso di suonare.

 

Però poi, quando a Taehyung sembrano essere passate ore, la voce roca e tranquilla dell’uomo lo raggiunge tra le note. Come se stesse parlando a se stesso. E anche se Taehyung lo guarda, alzando gli occhi di scatto, le palpebre dell’uomo rimangono chiuse, e le dita continuano a muoversi.

 

Non fa male, sai?

 

Una pausa.

 

Non fa male.

Faceva male quando litigavamo, e il filo ci incastrava così stretti che inciampavamo e cadevamo a terra. I lividi quelle volte facevano male. Faceva male quando bisticciavamo e il filo si stringeva intorno al mignolo così forte che ridevamo, forte. Faceva un male dannato, quelle volte. Una volta ci siamo inciampati sopra perché litigavamo su cosa mangiare per cena, e siamo caduti giù per le scale. Abbiamo riso così tanto che era la pancia che faceva male. 

 

E poi l’uomo smette di suonare.

Apre piano gli occhi, e si gira verso Taehyung, e gli sorride. E quel sorriso, quel sorriso fa tanto male, a Taehyung. Perchè è dolce, e triste.

 

Avrebbe fatto più male non averlo mai incontrato, sai?

 

Poi sorride un po’ di più, quando abbassa lo sguardo sulla sua mano, e tocca il filo, attorgliandolo all’indice.

 

E farebbe più male scioglierlo.

 

 

 

Taehyung rimane a fissare l’uomo, e lo ascolta parlare. Lo ascolta per tutta la notte, mentre gli racconta di quella volta che si sono svegliati col filo attorno ai loro corpi, e ci hanno messo ore a districarsi, ridendo. Quella volta che hanno cominciato a suonare in quel piccolo negozio sino a che non sono finiti a cantare sino al mattino, nel modo più stonato possibile, tutte le peggiori canzoni degli Ottanta, ed era stato difficile perché lui era dannatamente bravo a cantare. Quella prima volta quando si erano incontrati e tutto il caffè era finito sul cappotto nuovo di Yoongi, e ovviamente la prima cosa che avevano fatto era stato bisticciare. Quella volta che lui, quel maledetto ragazzino, aveva mangiato così tanto che si era lamentato per tutta la notte del mal di pancia, non facendolo dormire. Quella volta in cui avevano passato il loro anniversario a studiare per l’esame di quel dannato moccioso, perché aveva deciso di procrastinare sino all’ultimo. Quella volta in cui lo aveva svegliato alle tre del mattino perchè aveva deciso che era proprio il giorno perfetto per fare un giro in macchina e vedere l’alba dal punto più alto della città. Quella volta in cui si erano ubriacati insieme e Yoongi era finito a essere portato in braccio, se non fosse che erano caduti e avevano dormito nei cespugli sino al mattino dopo, beccandosi il peggior raffreddore della loro vita. Quella volta in cui gli aveva portato delle rose, bianche, alle due di notte, completamente pieno di graffi perché li aveva visti in un parco e aveva pensato a lui, e ovviamente invece di comprarli come tutte le persone normali dovrebbero aveva scavalcato l’inferriata, cadendo. E quella volta quando non gli aveva parlato per cinque ore perché per un caso fortuito Yoongi era riuscito a batterlo nel suo videogioco preferito. E quelle volte in cui quando Yoongi suonava per lui, si sedeva ad uno sgabello accanto al suo, studiando le sue mani e implorandolo di insegnargli solo per poter un giorno suonare un duetto insieme, per poi appoggiarsi alla sua spalla, addormentandosi la maggior parte delle volte.

E quelle volte quando gli faceva dei complimenti, perché certo, la cosa lo imbarazzava, ma la scena di Yoongi strozzarsi col suo caffé era quello che illuminava le sue giornate.

 

 

 

Quando Taehyung lascia il negozio è mattina. Yoongi è tornato silenzioso. Prima che il ragazzo attraversi la strada, la musica è ricominciata, dolce e triste.

Yoongi glielo ha raccontato, che a volte, pochissime volte, riesce a ricordare la voce dall’altra parte del suo filo, che canta quando suona. Per questo continua.

 

 

Quando quel giorno la sua anima gemella si presenta dal fioraio, alzando speranzosamente il mignolo legato dal filo, Taehyung gli sorride.

Yoongi gli ha promesso che non farà male.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS) / Vai alla pagina dell'autore: dramy96123