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Autore: moganoix    24/03/2022    0 recensioni
Felix, Changbin, Chan:
Un minuto semidio, un alchimista perso nelle nuvole, un soldato senza macchia e senza paura (forse).
A causa di un'arcana profezia, al secondo tocca uccidere il primo sotto la supervisione del terzo, ma non tutto andrà per il verso giusto...
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["Affinché nostra Madre Terra fiorisca
Felicità, ogni cent'anni, appassisca."]
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!!Chanlix/Changlix!!
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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Asfissia.
Asfissia fu il suo primo pensiero: un puro, spontaneo, semplice desiderio di respirare che si infrangeva contro quel sapore terroso che gli inondava la bocca e le narici. Cercava di comprendere in quale strano luogo si trovasse, ma più spalancava gli occhi e meno sembrava riuscire a vederci. Secondo dopo secondo, il desiderio di prendere aria aumentava, si faceva più subdolo, gli stringeva i polmoni in una morsa tanto dolorosa da fargli scoppiare il petto. Tentò allora di muovere le braccia e le gambe – da qualche parte sarebbe pur andato se si fosse sforzato, pensò – e si dimenò con tutta la forza che i suoi muscoli riuscivano a cacciare fuori. Qualcosa gli feriva le dita, il palmo delle mani, qualcosa di duro e spigoloso gli colpì un avambraccio e comprese che dovesse trattarsi di un sasso. Si domandò se, dunque, si trovasse sotto terra, ma gli fu difficile rispondersi senza porsi altre impossibili questioni.
Come aveva fatto ad addormentarsi sotto terra?
Lo avevano sepolto vivo?
Da quanto si trovava lì sotto?
Forse si trovava in missione – era pur sempre una Guardia Reale, gli capitava spesso di viaggiare – e una frana lo aveva travolto. Aveva quindi perso la memoria? Forse sì, forse no. Propendeva per il no. Ricordava perfettamente ciò che era successo appena prima di addormentarsi. Era in ricognizione con due compagni, tali Hajoon e Jihyun, e, durante la notte, si erano imbattuti in un folto branco di lupi. Se in seguito si era messo a dormire significava che dovevano averli sconfitti.
A corto di ossigeno, cominciò a sferrare pugni verso l’alto e a dimenarsi con violenza. Fece forza sui reni e, con un secco colpo, tirò su le ginocchia. Nonostante la fatica, però, sentiva già la coscienza venir meno. Desiderava solamente respirare, arrivare in superficie per prendere un po’ d’aria per dare ristoro ai polmoni, per poi rimettersi a dormire lì sotto, se qualcuno desiderava che lo facesse. Prima che svenisse di nuovo, però, assistette ad uno strano fenomeno. Non si seppe spiegare perché, ma decine di insetti, vermi, addirittura alcune talpe, cominciarono a circondarlo e a salire e strisciare fin sopra di lui per scavare al posto suo. Ne riconobbe il viscido passo, dunque era davvero sottoterra.
In poco tempo gli animali scavarono una galleria verso l’alto larga abbastanza affinché passasse un po’ di quell’aria che tanto gli mancava. Gettò il viso verso la galleria ed inspirò a lungo più volte, senza lamentarsi dei sassolini che ogni tanto gli scivolavano sul viso e gli rigavano le guance.
Luce.
Dopo che si rifocillò di aria, si accorse di non essere molto lontano dalla superfice, vedeva, chiarissima, la luce del sole attutita da spesse nuvole che promettevano pioggia a catinelle. Era strano che fosse nuvoloso ad agosto, forse quell’anno la stagione delle piogge aveva anticipato. Infilò le braccia nello stretto cunicolo. Non arrivava fino in cima, anzi, mancavano ancora diversi centimetri prima di riuscire a tastare il terreno in superfice, ma evidentemente qualcuno lo sentì. Diversi cani, tutti insieme, cominciarono a mugolare mentre continuavano il lavoro degli insetti e delle talpe, tanto che ben presto il cunicolo fu abbastanza comodo da potervisi issare. Prese lo slancio, ebbe quasi la sensazione che la terra stessa lo aiutasse a prendere la rincorsa, tanto che balzò fuori in un attimo.
Fu costretto a chiudere gli occhi. Doveva aver dormito veramente a lungo; sebbene molto debole, la poca luce gli ghermiva rabbiosamente gli occhi color pece. Li strofinò leggermente con i dorsi delle mani e si accartocciò su se stesso. Si sentiva incredibilmente nudo. Era agosto, a quanto ricordava, i vestiti da guardia, il mantello e lo spallaccio con la testa di lupo in particolare, non avrebbero dovuto essere tanto comodi. Respirò ancora, si massaggiò il viso con le mani e, solamente dopo diversi secondi, si convinse a spalancare di nuovo le palpebre. Lo accolse un astruso spettacolo: un folto capannello di gente lo osservava con espressione generalmente sconcertata, mezzo affranta mezzo turbata, e borbottava tra sé e sé apparentemente indicandolo con indici accusatori. Si allarmò per un secondo, forse quegli individui lo avevano sepolto vivo come punizione? Allora doveva aver sicuramente perso la memoria. Indicò se stesso con immane dispiacere, non voleva recar alcun disturbo a quelle persone. Smise anche di accarezzare i cani e le talpe che, nel mentre, si erano accoccolati, docili e mansueti, ai suoi piedi.
Si accorse dopo qualche secondo che dietro di sé, meravigliosamente imponente, stava la carcassa di un vecchio albero dal tronco maestoso. Sebbene fosse evidentemente secco, qualcosa del legno lo attirava morbosamente.
“Ha ucciso l’albero della Fonte… Ma chi è?!” sentì mormorare qualcuno tra la folla nello stesso istante in cui appoggiò la propria mano sulla rigida corteccia dai toni ormai grigiastri.
‘L’ho ucciso? Ecco perché non sembro stare loro molto simpatico…’ ragionò il ragazzo. Ma forse poteva rimediare. Lasciò una lunga carezza sul tronco, sorrise appena nel vederlo di colpo rifiorire. Il legno, dalle radici sino ai rami più alti, riacquistò per magia il tono caldo del tipico marroncino estivo e, come se fosse ancora primavera, gemme e poi fiori di color pastello sbucavano naturalmente tre le fronde già verdi e rigogliose. Era un miracolo – un contadino fece cadere il poderoso tridente con cui aveva intenzione di colpire il ragazzo dai capelli corvini che la terra aveva appena vomitato – e la guardia non era così sicura di essere sempre stata in grado di compierne. Forse aveva davvero perso la memoria, ma non era chissà che problema. Aveva un villaggio intero disposto a raccontargli ciò che si era perso. Sorrise all’albero, lo accarezzò ancora e lo ringraziò di aver recuperato la sua nobile vitalità, per poi voltarsi quindi verso i paesani e domandare con voce ancora roca ed impastata: “Oggi è il diciottesimo giorno di agosto, vero? Per quanto tempo ho dormito?”
Molti ebbero timore di lui, molti si inginocchiarono, una sola donna, seguita probabilmente dal marito e dal figlio piccolo, osò rispondergli: “Tu eri uno dei nuovi compagni di mio figlio, Hajoon… Tu… Tu eri morto…”
 
-
 
Il giorno in cui si risvegliò, dunque, era il quindicesimo del mese di settembre. Era convinto che niente, a parte l’apprendere di essere morto e di essere poi stato riportato in vita, avrebbe potuto sconvolgere maggiormente quella giornata. Ebbene, siccome – è una sorta di legge non scritta – le sfortune non giungono mai da sole, la sera del giorno seguente, mentre ancora riposava a casa del suo, ancora, defunto compagno d’armi – la madre aveva tanto insistito ed egli non se l’era sentita di rifiutare – trovò un grosso drago dorato a volteggiare al di sopra del proprio tetto. Di certo aveva già creato un profondo sconvolgimento all’interno del tranquillo vivacchiare della cittadina, molti vecchi non avevano retto il colpo di veder risorgere un morto e, colti da improvvisi malori, avevano intasato ambulatori ed infermerie, non poteva addirittura attirare un enorme lucertolone soltanto la sera seguente. Sospirando si mise gli stivali e, stringendosi nella camicia da notte che gli avevano prestato, scese dal letto e corse in strada per cacciarlo via.
‘Santo cielo, ascoltami!’ lamentò internamente il giovane, ma il drago, a differenza di altri piccoli animali con  cui aveva interagito nelle ultime ore, pareva indifferente ai suoi ordini. Sospirando, allora, si recò verso la grande piazza su cui stava l’albero a cui aveva ridato vita e chiese al rettile di seguirlo, in modo che non atterrasse in pieno centro abitato. Quando il drago fu a terra si precipitò verso di esso per accarezzarne il muso solenne. Lo sentì addirittura ridacchiare quando gli fece anche i grattini tra le rigide scaglie e ripulì rapidamente i suoi lunghi baffi da quelli che sembrano a tutti gli effetti resti di lava rappresa. Si teneva una zampa, una di quelle anteriori, la sinistra, probabilmente era ferito, per questo lo aveva cercato e voleva a tutti i costi comunicare con lui. Era ciò che di più naturale potesse scegliere di fare, in fondo. Se qualcuno necessitava di aiuto lui non si sarebbe posto problemi a soccorrerlo, era per questo che aveva deciso di entrare nel corpo delle Guardie. Dopo i convenevoli corse allora verso la zampa che pareva dolergli tanto, ma quando fu accanto ad essa comprese che non era quest’ultima a necessitare di cure, bensì il piccolo uomo dal volto incartapecorito che essa stringeva quasi morbosamente. Chiese allora al drago di appoggiare il corpo dell’uomo al suolo e, solo in quell’istante, si rese conto che si trattava dell’anziano Cantastorie. Vivendo a palazzo aveva avuto l’occasione di incrociarlo un paio di volte, questo lo ricordava bene, era impossibile dimenticarne la ricurva schiena che, un tempo aveva pensato, chissà quali misteri celava o era costretta a sostenere. Non aveva di certo una bella cera, parte del corpo era completamente ustionata – c’entrava forse la lava rappresa che incrostava le squame del drago? – ma non era il danno maggiore. Mise una mano sul suo cuore ed una sulla sua fronte e comprese. Era come se qualcosa dall’interno lo stesse letteralmente, con la lentezza di una saggia Tartaruga Purpurea, divorando, costringendolo ad uno stato di inesorabile e perpetua agonia. Forse aveva degli incubi, se ne dispiacque tanto che si chinò su di lui e pregò affinché cessassero. In seguito rigenerò la pelle bruciata e lasciò per ultima la parte più complessa. Poteva certamente interrompere momentaneamente il processo di autodistruzione, ma non bloccarlo totalmente. Prese in braccio il vecchio, pesava circa quanto un bel mazzafrusto di buona fattura, forse le spesse vesti che indossava servivano per celare il suo corpicino ossuto ed acciaccato, e lo condusse fin sotto l’albero in fiore. Si sedette ai suoi piedi, incuneandosi tra le spesse radici, e si tenne il vecchio in grembo. Era suo compito provare almeno a salvarlo, e non c’era altro modo di farlo se non restargli vicino e provare a conoscerlo. Il drago, a sua volta, si accucciò accanto a lui e si addormentò profondamente. Avvolti dal freddo accogliente delle notti di fine estate, sotto una fitta, leggerissima, pioggerellina che benediva la terra e lavava via il marcio di chi la abitava, una solitaria falena che recava ali bianche consacrate al coraggio si poggiò sulle labbra del giovane.
 
-
 
Restarono in quella stessa posizione per giorni, il giovane dai capelli color pece ancora avvolto nella fradicia camicia da notte, il Cantastorie, il drago e la falena. Sembravano un quadretto famigliare, oppure un’iconica pietà da sigillare nella memoria e venerare con intimo riguardo. Era una scena estatica, a chiunque capitasse di passare lì davanti toccava inginocchiarsi, ringraziare, e quel punto il giovane sorrideva e lo congedava. Mercanti, cittadini, pellegrini appena di passaggio, ognuno di loro ammirava con mistica paura e sublime curiosità il respiro dell’anziano.
“L’ho legato al mio ciclo vitale, ma purtroppo non è che una soluzione temporanea…” sospirava però affranto il ragazzo. Doveva riportarlo alla Capitale, forse lì qualcuno sapeva che cosa gli fosse successo e lui avrebbe potuto curare quel male che voleva a tutti i costi portarlo alla morte. Una notte, così, scivolò rapidamente nella casa della signora che lo aveva ospitato la prima notte e recuperò i propri vestiti, per poi raggiungere nuovamente il Cantastorie ed il drago.
Partì in volo con loro e in poche ore raggiunse la fiera silhouette della grande città. Ne sorvolò in cerchio le alte residenze del centro, per poi passare oltre e giungere, finalmente, a palazzo. Volse lo sguardo al cielo, probabilmente mancava qualche decina di minuti a mezzogiorno. Chiese infine al gigantesco animale di planare in modo che potesse scendere a terra, lo ringraziò ancora e prese quindi con sé l’anziano.
In quella settimana aveva scoperto di poter fare innumerevoli miracoli che prima non sapeva di poter compiere, la pioggia sanava, il sole non distruggeva, ad ogni singolo passo che compieva la natura si svegliava e, vigorosa, verde di vita, sbocciava come a cucire un maestoso strascico erboso. Un corteo di sonnolenti uccelli, rondini, passeri, corvi, gazze, persino un’aquila, si univa al suo divino incedere, vari insetti si lanciavano in virtuose acrobazie aeree per annunciare la sua venuta. Infine gli stessi cavalli delle guardie, giunte per caricare contro lo spaventoso gruppo di intrusi, si piegarono alla sua regale, celeste possanza. Il giovane poggiò con la sua solita eterea delicatezza una mano sul legno del portone che lo avrebbe condotto nell’atrio principale e, non appena lo stesso legno se ne accorse, cominciò, emozionato, a rifiorire. Tornò indietro nel tempio, piegò le assi del gigantesco portone e le fuse finché non plasmò un grosso grumo ripieno di inestimabile vita, e da questo nacquero altre piante, fiori, e dai fiori vennero fuori falene, farfalle, morbide api. Intonarono un canto, lo stesso canto che fu il preludio dello sconcerto, del tormento, dell’era in cui a dominare non sarebbe stato altro che la Morte.
Sciami interi di falene piombarono nell’invaso principale del palazzo, dietro di loro una nera figura che procedeva spedita verso il centro del salone mentre dai suoi piedi nasceva tutto ciò che di vita era composto, che di vita si nutriva, che di vita si inebriava. Le persone all’interno del salone, agghindate al meglio per presenziare alla cerimonia di diploma di Seungmin, raggelate, fissavano l’intruso con timore reverenziale. Chan, Changbin, Hyunjin non facevano eccezione.
“Chi sei?” domandò uno dei tre.
Il ragazzo sollevò il greve sguardo sull’intera sala, si inchinò davanti a quello che sapeva essere il suo amato popolo, poggiò il corpo del Cantastorie a terra e, con tono fermo ed irreale, muovendo appena le labbra, scandì: “Io sono Lee Minho.”
Aria. Luce. Un respiro, un momento di buio, il battito d’ali di una bianca falena che sferzava l’aria con la sua onirica irrealtà.
“Io sono la Fonte della Felicità.”


FINE


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Fireflies giunge così al termine... più o meno. Il vero epilogo della storia di Changbin e Chan che accompagnano Felix al Cratere e di quella di Seungmin e Hyunjin che smantellano la setta dei Filosofi si trova nel capitolo 21, il senso del personaggio di Minho si troverà invece in una ff complementare a questa che penso di pubblicare ad aprile (l'ho già scritta, ma devo revisionarla prima di metterla online). Questa nuova ff si chiamerà Moths e avrà otto capitoli, i protagonisti saranno Minho e Jisung e tanti altri che non spoilero u_u
Nell'attesa penso che inserirò qui ancora un capitolo "bonus" in cui metterò di disegni che ho fatto di ognuno dei protagonisti, lì probabilmente dirò quando ho intenzione di pubblicare Moths :)
Inoltre, ringrazio chi ha letto, chi leggerà, chi ha recensito e chi recensirà. I vostri commenti sono davvero preziosi per me <3
-moganoix
 
   
 
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