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Autore: ClodiaSpirit_    24/03/2022    2 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando si ritrovò Manuel davanti a sè, Simone si scostò dal muro, arretrando di qualche passo.

« Simò per favore, adesso mi devi stare a sentire per forza! » Manuel sollevò la gamba bagnata dal sanitario, camminò in avanti, sgocciolando acqua sul pavimento.

« Potevi farti male scendendo da lì... » indicò la finestra, Manuel non ci prestò attenzione « e poi cosa non capisci della parole voglio restare da solo? » sbottò, le braccia sempre conserte e lo sguardo che gli cadeva sulla figura di Manuel, che si avvicinava e creava piccole scie di cerchi bagnati.

« Non voglio capire Simone, » gli si mise di fronte, studiando se avvicinarsi o meno « e non me ne vado. Voglio che invece capisca tu perché non me va che tu possa pensare cosa che magari ti stanno già frullando in testa »

« Non mi è piaciuto il modo in cui mi guardava quella la, sembrava una serpe, » sputò fuori, le braccia che si aprivano, stava sempre attento a non fare entrare Manuel nel suo spazio vitale, adesso « mi sorprende che sia tua amica »
Manuel fece qualche passò avanti, ma Simone gli fece cenno di no con la testa.
« Non siamo amici. C'è stata quando tu stavi in Scozia Simone, » mormorò « tutto qua »

« Quindi è da un anno che pensavi di continuare a tenertelo per te o che avresti voluto dirmelo? » precisò, ridendo amaramente Simone.

Manuel serrò gli occhi, si fissò i piedi, le mani stavano già davanti, pronte a muoversi, l'agitazione gli premeva dentro come un macigno.
« Non me sembrava fosse importante, per questo non te l'ho detto »

« Però le cose mie doveva saperle, » era amareggiato, gli occhi erano un misto tra rassegnazione e delusione « erano la priorità, giusto? »

« Simone, » Manuel si avvicinò questa volta, non ce la faceva più a rimanergli distante, a doversi trattenere dal contatto visivo, anche se faceva male, si erano sempre confrontati anche quando venivano alle mani « non l'ho cercata io. È successo. Era il primo mese che eri andato via e non mi rispondevi ai messaggi, né sapevo come stavi, se ce pensavi un minimo ‘sto cretino che stava qua. Non avevo modo di parlare con te di quello che sentivo, » le mani si facevano più vicine e Simone indietreggiava, fissandole, volendo scappare per paura di cedere « come facevo a dirti che ero rimasto senza un appiglio se nemmeno mi davi un segnale? »

Manuel lo guardò negli occhi e Simone rispose. Fu un attimo solo, ma bastò all'altro per capire che non era ancora andato tutto perso.
« Mia madre aveva bisogno de aiuto, e non potevo parlare con lei di te ogni volta che volevo, aveva già i suoi impicci e io la aiutavo come potevo. Giulia l'ho conosciuta per caso, è venuta un giorno a casa mia per quel suo progetto e ho pensato di avere una valvola di sfogo co’ lei » spiegò.
Simone non sapeva più come ripetere a se stesso che doveva restare calmo e lucido, le mani gli si fermarono sul legno fatiscente della cabina, sentendo la ruvidezza del materiale: grezzo e frastagliato. « In quel mese mi ha aiutato parlarne, anche solo per buttarti insulti addosso, sì, è vero, » Manuel si indicò alzando un tantino la voce « me veniva più facile darti dello sfigato, piuttosto che coprirti di elogi, perché dentro sapevo, sapevo che lo stavo facendo per proteggermi, Simone, perché stavo messo male. Avrei voluto parlarti, avrei voluto abbracciarti, » il ragazzo era così vicino adesso, il palmo aperto si fermò sul legno, all'altezza della testa di Simone « ma avevo un muro. Eri diventato un cazzo di muro Simone. E con i muri non se può parlare »

« Ed è così che è successo, quindi? » a Simone fischiarono le orecchie, inghiottì l’aria, anche se non fu sufficiente a fare desistere il rumore sordo del petto. Inghiottì quel briciolo di ossigeno.

Manuel lo guardò confuso, spostando gli occhi in continuazione.

« Successo cosa, Simò? »

Simone chiuse gli occhi, i muscoli della mascella di nuovo tesi.
Sapeva qual era la domanda, ma aveva paura a farla. Aveva paura di avere una conferma o solo di sentirgliela dire? Simone doveva farla però o non avrebbe mai saputo.

« Sì, sincero, adesso e rispondimi »

« Simone dimmi tutto quello che vuoi sapere »

« Ci sei andato a letto? »

La domanda fu netta, uscì così tanto in fretta che a Manuel sembrò di aver capito male o forse voleva solo sorvolarla.

« Simone, avanti-» le mani gli si aggrovigliarono sui fianchi, ma non si voltò.

« Ci sei andato a letto sì o no? » Simone alzò il tono della voce, completamente in stato di nervosismo.

Occhi negli occhi, viso a viso.
Cosa ci vedi dentro?
Galassie, vulcani in eruzione, o semplicemente tanta paura. Veniva tutto fuori, come se avesse vomitato il ricordo più brutto percorrendolo a ritroso e riportandolo subito in vita.
La cosa migliore sarebbe stato evitare di guardarsi, perché Manuel poteva leggere lo stato d’ansia in cui si trovava Simone e Simone leggeva chiaramente il panico negli occhi dell’altro.

« È successo una volta sola »

L'espressione completamente vuota, senza calore. Simone si divincolò da quel piccolo spazio e camminò per quell'altra metà che restava all’interno stanza. Più vorticava però, più gli sembrava troppo stretta quella zona, avrebbe voluto avere più aria, più metri dove muovere le gambe. « Non ha significato niente! Simone, mi guardi un attimo? » Manuel lo raggiunse e Simone continuò a girare intorno, sfuggendo alla sua presa.
Simone si voltò giusto per caricare fuori la rabbia che gli montava in corpo.

« Ti rendi conto che io non sono riuscito ad andare con Christian, e tu, sei riuscito ad andarci con quella la! QUELLA GRANDISSIMA STRONZA CHE SE LA RIDEVA, RIDEVA DI ME » il tono era furioso, le mani portate alla testa e la voglia era quella di sprofondare. Simone continuò a oscillare con il capo, in stato di choc.
Manuel cercò di raggiungerlo, ma Simone continuava a stare lontano come se fosse fuoco puro e l’altro aveva paura di scottarsi. I palmi delle mani erano aperti davanti all’altro, il tono si stava abbassando per recuperare un minimo di pacificità.

« Lei non è nessuno… Ascolta, tu a Christian volevi bene, ce stavi insieme, ce stavi bene. E io ce stavo male, perché era una cosa quanto meno reale. Io a Giulia non la volevo, è capitato, è stata ‘na cosa da poco »

« L'idea di farlo mi sembrava ingiusta! Illuderlo, mi faceva schifo » il corpo di Simone vibro con un piccolo spasmo, gli occhi erano giganteschi « Non sono il tipo che si butta, Manuel. Dovresti saperlo, se non lo sento, non lo faccio. Ero bloccato, la tua idea, L’IDEA DI TE NON ME LO HA PERMESSO! Non puoi decidere con chi stare, ma puoi decidere se ascoltarti prima, » Simone era ridotto come un giocattolo da cui stavano uscendo tutti i fili che lo azionavano. Serrò la mascella, la voce si spense a mezzo tono « Io avevo un motivo valido per allontanarmi, lo sai quanto ci ho messo - »

« Avresti dovuto Simone, » Manuel era ridotto a un cane bastonato, le braccia lungo i fianchi, teneva le labbra serrate « avresti dovuto andare a letto con lui, magari ti sarebbe anche piaciuto. Perché non avresti avuto colpe, stavate insieme. Io e te, invece, non eravamo niente, invece. Se me lo chiedi, Simò, io di quella sera non ricordo niente, » fu già più vicino, perché non ce la faceva ad averlo lontano, anche se si fosse beccato un pugno, lo avrebbe preso perché era Simone a darglielo. Sapeva di meritarselo. « Non mi ricordo il giorno, l'ora, non ricordo nemmeno chi ha cominciato dei due. Ricordo di aver solo pensato come sarebbe stato se ci fossi stato tu con me, » scrollò le spalle, mentre sussurrava e non riusciva più a modulare la voce « perché questo pensavo. Non ho di certo pensato a lei. Chissà se Simone riuscirebbe a baciarmi sapendo come sono, chi sono, cosa faccio, chissà se me prenderebbe sul serio. So solo che dopo quella sera non l'ho più cercata. Ecco perché ha fatto la stronza, ho deciso di tagliare. In parte lo è pure, di carattere, ma c'è un motivo se ti ha risposto così. Forse mi sono solo cercato chi mi corrispondeva quando facevo ancora cazzate. Quelle persone che fanno le cose solo perché glie conviene. O forse no. E io questo, l'ho capito troppo tardi. »

Simone lo stava già guardando in modo diverso. Se avrebbe voluto, si sarebbe già dimenticato della questione, ma era passato troppo tempo per non farci caso.

« Te lo sei tenuto per tutto questo tempo, » sussurrò « se era una cosa chiusa, potevamo parlarne, io l’ho fatto con te. Ti ho parlato di lui e a lui ho parlato di te, ma non così. »

« E dirti cosa, Simò? Che ho buttato tempo a cercare di scacciarti dalla mia testa con una che manco me piaceva? Simone lo capisci che tu per tutta l'estate mi hai lasciato senza nulla, con un pugno de mosche in mano? Io non credo di volerce ritornare, ma tu mi ci costringi » alzò le braccia, senza la forza di arrabbiarsi.

« Non ritorniamo su questo punto, io stavo nei casini per te! »

« Io non me la so’ passata tanto meglio, ti ricordo »

Simone si morse il palato, inspirò, si irrigidiva sempre più. Cos’era, una gara a chi aveva sofferto di più? Tutto quello era ridicolo.

« Se avevi tanta paura come dici, così come ti sei consolato con lei, potevi farlo con altre Manuel » sbottò, colpendo nel segno.

Manuel non si sentiva di venir meno a quella frecciata.

« E tu pensi che io non ci abbia provato? » Manuel gli mise le mani attorno ai polsi, senza fare pressione però, glieli cinse delicatamente « Simò, io ho provato a replicare la cosa ma la verità è che mi sentivo così vuoto che non me fregava di averci qualcuno che non eri tu. Mi puoi chiedere tutto, ma non me puoi dì che potevo pescare gente a caso, per sostituirti. Quella ragazza, è l'esempio perfetto di come mi stavo rovinando la vita, Simone, perché tu non c’eri. »

Il ragazzo non parlò più, si era ammutolito. Non sapeva cosa fare, che dire. Simone se ne stava lì, con il petto che gli faceva meno male, ma che aveva comunque accusato più di un colpo. La sua testa era un ronzio preciso e ritmato, una recita di parole confuse, il cuore diceva a quello di ripensarci. Manuel era lì fermo davanti a lui, la presa sulle sue braccia.

« Quella stronza me la sognerò la notte » mormorò in tono duro, l'immagine della ragazza gli si ripresentava davanti, ironica e pungente.

« Non devi darci peso, non vale tutto questo. Questa, è un’altra cosa, noi siamo altro! »

« Mi sento così sporco e non dovrei nemmeno. Non ho motivo di sentirmi così, mi sento come se non contassi nulla ora »
Non lo scacciò, ma nemmeno gli diede segno di interruzione. Simone era lì, a muso duro, gli occhi erano una valanga colma di tante piccole puntine luminose, decisamente più saette che lacrime.

« Non dirle nemmeno ste cazzate »

Simone deglutì.

« Perché, non è così? Avevo tutto il diritto di saperlo, anche se è stata una botta e via, stiamo insieme, CRISTO, MANUEL! »

« Avanti, picchiami, » Manuel soffiò fuori sollevando la mano di Simone sul suo viso « se ti aiuta a sfogarti, fallo. Me lo merito, mi merito questo di essere mandato a fanculo, anche un calcio forte sulle palle se serve, » spostò lo sguardo negli occhi dell'altro in cerca di una risposta « piegame in due se aiuta, quanto ti ho chiesto se avresti voluto cambiarmi, ero serio, non so perché continuo a sbagliare, ma ritorno sempre indietro con te. Ma non andrò mai avanti, se non risolviamo, perché non posso vedermi senza de te Simone. Avanti, colpisci »

La mano e le dita affusolate di Simone erano lì ferme, immobili. Le narici seguivano il ritmo tribale del petto, inalando aria che non sapeva nemmeno a cosa gli servisse. Sentiva già sciogliersi la stretta che aveva in gola, le parole gli vorticano ancora però, sfortunatamente, dentro la testa.

« Tu credi davvero che mi basterebbe darti un pugno per risolvere le cose? »

« Più de uno se vuoi, anche tutte le parolacce e madonne che te vengono, » toccò piano la mano di Simone, chiudendola a pugno contro di sé, prese un respiro « sono pronto. Quando vuoi. »

Simone lo guardava con gli occhi chiusi, il naso si arricciava, e la mano si fermava proprio lì, sul suo braccio destro, a stringergli la pelle. Voleva essere picchiato, mentre manteneva e stringeva quel contatto con lui. Gli occhi di Simone frugarono ancora dentro quelli chiusi di Manuel, in attesa della sferrata improvvisa, del colpo. Quando però abbassò la mano che teneva stretta, Manuel aprì gli occhi, confuso.
Simone chiuse la mano a pugno e quello arrivò. Sapeva come fare male, senza far uscire il sangue, a rugby si colpivano continuamente, ma senza esagerare: lo zigomo di Manuel pulsava un poco, la mano andò a coprirsi la pelle, non si era formata nemmeno la stampa della mano. Gli occhi erano già pronti, annuivano e stavano per chiudersi per ricevere altro. L'irruzione di Simone non finì lì. Prima che quello colpito potesse parlare, le mani lo afferrarono prima per i lembi della camicia, poi per il collo, ma non per picchiarlo, anzi, lo spintonò dirigendo il corpo di Manuel contro la parete.
Il colpo fisico si sentì più del primo, la presa di Simone fu forte e assestata, come se fosse un giocatore in campo, andò dritto, spedito, senza lasciare che l'altro prendesse fiato o che ci provasse.
Quando Manuel provò a toccarlo, Simone gli fermò i polsi contro la parete, portandoglieli sopra la testa, in un atto svelto. Mentre sentiva la sua lingua contorcersi contro il palato dell'altro, gli venne in mente quella volta in cui un suo compagno delle medie gli aveva chiesto se avesse mai baciato qualcuno: Simone aveva risposto che avrebbe aspettato, perché solo con la persona giusta gli sarebbe venuto bene farlo. In quel momento aveva dimenticato tutta la finezza, la compostezza e la dolcezza che lo contraddistinguevano mandando al diavolo le buone maniere. Manuel non aveva bisogno di carinerie, così, sbattuto contro il legno scolorito. Il respiro caldo gli appannò quasi il viso, senza fiato, provando a ricomparsi, Manuel provò a dire una sola parola.

« Simon-»

« Statti zitto »

E così Simone ritornò di nuovo a baciarlo, in modo assolutamente disincantato e frenetico. Manuel aveva addosso quella camicia leggera, il colore rosso già sudato, che si scuriva. Avvertiva la gamba umida e i peli bagnati per via dell'atterraggio maldestro, quando si era calato dalla finestra del bagno.
Simone notò subito che Manuel non era indifferente a quelle sue attenzioni. Lo spinse contro la parete di nuovo, giusto per il piacere di farlo e quello si ritrovò a emettere il primo verso, uscitogli strozzato dalla gola. Simone non si curò tanto della sua testa che sembrava ancora parlare sopra il rumore dell'organo abbastanza scalpitante dentro la sua gabbia toracica.
Sfilando la camicia leggera e lasciandolo in boxer del costume, la figura di Manuel, andò a scagliarsi su ordine del più alto, contro la porticina del bagno, e con le dita, le nocche già bianche, cercava in tutti i modi di reggersi a lui, per l’ovvio tremore delle gambe. Un bacio completamente disordinato lo portò a scontrarsi con i denti, le lingue si toccavano di continuo, attraversate da tanti nervi caldi, energici.
La sensazione che aveva addosso era incomprensibile da spiegare.
Simone sembrava fosse il gatto e l'altro il topo, in un gioco ancora senza un vincitore reale. Quando Simone spinse Manuel sul pavimento, gli balenò in testa l'idea del luogo dove si trovavano. Fissò la porta per un secondo e poi un click gli partì in testa tra qualche minuto sarete più sudici di quel pavimento.
Il ragazzo se ne stava fermo in attesa, in suoi ricci erano ovunque, una matassa improvvisata, il petto si abbassava e alzare come la marea del mare. Raggiungendo Manuel a terra, Simone venne tirato giù perché quello lo spinse su di sé, infilandogli finalmente una mano dietro la schiena, lungo la linea interna dei boxer. Sperò di continuare così, sentendo entrambi i loro corpi premuti, già tiepidi ma non ebbe modo di dedicarsi a toccare il suo ragazzo, perché Simone lo privò per primo dell'unico indumento che gli restava addosso. Quando Manuel provò ancora a sfiorarlo allungando una mano, Simone si allontanò di colpo per osservarlo. Si mise al lato, ginocchia per terra. Era così che doveva essere, era così che voleva pagare il danno subito. Il suo tenerlo d'occhio era calcolato, in quel momento vinse la testa.

« Come lo avete fatto, quella sera? » chiese a voce seria e ferma.
Manuel di tenne su puntellando i gomiti, l'espressione era ridotta a un intruglio di confusione.

« Ti ho detto che non ha significato niente »

Lo aveva già ripetuto. Simone si sentì pizzicare qualche corda interna, l'immagine della rossa faceva capolino.
« Questo lo hai già detto. Voglio sapere, come eravate messi: dietro o davanti? »

« Non starai dicendo sulserio »

« Non mi sembra di aver chiesto nulla di male »

Manuel stava lì, disteso sul pavimento, incredulo, gli occhi ridotti a due fessure. Cosa stava facendo esattamente?

« Simone, cosa te ne frega...la proposta è ancora valida se vuoi, te puoi sfogare- »

« Non ti darò un altro pugno » Simone si alzò, le gambe lunghe lo facevano sembrare un gigante. Era abbastanza determinato, lo sguardo era rivolto a Manuel, non era dolce. Non era quel suo solito sguardo che vestiva di solito. Simone si spogliò molto piano di quel che gli rimaneva addosso. I boxer blu gli contornavano le cosce, poi toccarono le ginocchia, infine scesero ai piedi.
Manuel lo guardò, come sempre, senza darsi rimedio, senza nessun filtro.
Non diede all'altro nemmeno la soddisfazione di fare quel gesto al posto suo, lo costrinse a guardare, lontano, distante. Appena l’indumento raggiunse terra, Simone si avvicinò, il suo corpo si posizionò tra le cosce di Manuel. Simone mosse le dita indicando il suo corpo e quello dell'altro.

« Dimmi, stavate così? »

« E’ davvero questo che te interessa? » Manuel non riusciva a capire, il viso di Simone era impenetrabile – cosa non da lui « una cosa che non c’ha valore- »

« Per te non lo avrà, » Simone era in atteggiamento di sfida « se la hai cercata, vuol dire che un minimo ti piaceva »

« Allora non me sarei dovuto immaginà un’altra persona mentre ce ne stava un’altra sopra o sotto de me »

Simone faceva forza con il braccio sul pavimento, il palmo della mano aperta, guardava deciso e dritto Manuel, le gambe erano già pronte, la mano si piazzò sul fianco destro. L’immagine del suo ragazzo, adesso, era curiosa, c’era qualcosa di nuovo che non aveva mai visto in quella sospensione, quel suo distacco. In quel momento Manuel pensò che anche se avrebbe dovuto aspettare, si sarebbe accontentato solo di guardalo, nonostante lo volesse più di ogni cosa. Pur curioso e allettante che fosse, intuiva cosa Simone stesse facendo. Manuel si limitò a sospirare, a bocca asciutta. « Se te dico de sì, smetti de essere incazzato? » mormorò piano, indifeso.
Simone non rispose, non gli chiese nemmeno se era pronto per accoglierlo. Nel momento esatto, in cui il ragazzo alto sfiorò pochi centimetri dell’interno coscia, entrò dentro Manuel e quello ebbe un sussulto. La mano si artigliò dietro la sua nuca, le gambe erano già divaricate. Sostenne lo sguardo di Simone, che gli sembrò invasivo, troppo attento, come se fosse sotto una rigida analisi.

« Simone, » respirava piano, « scusami »

Simone lo guardava, senza parlare. Manuel non sapeva che fare, sembrava come se fossero tornati a pochi minuti prima, quando si stavano urlando addosso « Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo. Avrei dovuto essere diretto, ma stavo male. Come te stavi male fuori Roma. Non ha avuto importanza, manco mi è piaciuto, te lo posso giurà su quello che vuoi » sussurrò.

« Se lo me ne avessi parlato, mi sarei di sicuro incazzato meno »

Manuel annuì, ma il sorriso non c'era più. La fronte di Simone venne premuta contro la sua, rimanendo fermo in quel modo, dentro di lui, senza muoversi. Si avvertì solo il respiro di entrambi che si incrinava.

« Che stiamo facendo, voglio dì, Simone, che senso ha tutta questa cos-»

« Manuel » gli occhi si chiudevano, il tono era bagnato di rabbia, lo aveva lì sotto di sé, allacciato al suo corpo « so solo che preferirei tu stessi zitto »

Manuel, disteso lì lungo il pavimento scomodo in legno, deglutì, il pomo d’adamo si mosse, avrebbe voluto toccarlo, ma non osava farlo.

« Non ti voglio perdere per questa cazzata »

Il ragazzo lo guardò senza dire ancora nulla, gli occhi vennero attraversati da qualcosa di simile alla comprensione.

« Lo capisci che non è tanto il modo, quanto l’avermelo tenuto nascosto? »

Simone si fece spazio ancora dentro il suo ragazzo, mentre quello annuiva soltanto, non riuscendo a rispondere.
Poi, con un piccolo gesto, Manuel trovò spazio, nel dargli un bacio sulle labbra e Simone non lo respingeva, trovò libertà quando finalmente sentì quello baciargli l'incavo del collo. Simone si mosse e Manuel ricostruì quella sensazione che non smetteva mai di meravigliarlo: i loro corpi si fondevano, come bronzo fuso colato all'interno di uno stampo.
Si sciolse completamente quando Simone gli lasciò che gli accarezzasse la schiena e toccarlo, avvertire i peli che si rizzavano, la tensione dei muscoli, il braccio che lo stringeva. La pelle di Simone sapeva di sale, di sudore, di casa.
Aumentando il ritmo delle spinte, Simone si staccò per guardarlo, per sentirlo già gemere e cercare di trascinarlo di nuovo giù a premere i loro petti. In quel preciso istante, la voce di Manuel e le sue braccia interamente avvolte alla schiena di Simone, vennero fuori come un canto e un corpo di ballo spezzati.

« Non è così, non è stato mai così con nessuno, » sembrava agonizzante mentre Simone si muoveva dentro di lui, lo toccava nel profondo e riprendeva daccapo « né co’ Alice, co’ Chicca, co’ Giulia » Manuel cercò di tenergli fermo il viso, perché voleva guardare il suo ragazzo mentre gli diceva tutto quello, ansimando e libero « con nessuno è così. Simone, nessuno. Solo con te »

« Sta zitto, parli troppo » lo interruppe baciandolo, mentre si muoveva ancora, avvertendo la mano di Manuel riportarlo di nuovo a dargli ascolto, tra le gambe che cercavano di restare salde e il respiro che veniva meno. Simone lo coprì di nuovo, ingoiandosi un suo gemito. Manuel riprovò ancora, mentre si sforzava di non cedere, gli teneva fermo il viso ancora. Lo obbligò a stare fermo, la voce gli si abbassava a un sussurro spezzato.

« Quando mi prendi, Simone, » il calore gli arrivò sparato in viso « mi sento completo. Quando lo facciamo, mi sento così pieno... Per me esisti solo tu »

Lo sguardo che si scambiarono fu lampante, Simone non era più distante, i suoi occhi si erano colorati di nuovo, le labbra erano gonfie e due ciocche formavano due strane onde ai lati dell'orecchio. Riunendo le labbra, Simone sorrideva imbarazzato dentro, mandando in malora l'idea che si era portato in testa: quella di farlo penare.
Forse un po' di aveva provato, ma le parole di Manuel non ammettevano altre spiegazioni o repliche. Lo amava. Si erano detti di tutto, ma lo amava. Quando Simone colpì lì, dentro il corpo di Manuel, un sussulto uscì fuori.
L'impressione fu che gli avesse fatto male, ma il volto di Manuel era completamente preso, non dava segno di dolore. Simone gli accarezzò la guancia con la mano libera, mentre il corpo si spingeva sempre più in là, imprimendosi come cera. La tentazione di urlargli quanto lo odiasse era forte. Ma altrettanto lo era quella di tenerlo con sé, ancora per un po'.

« Non penso proprio ci perderemo » mormorò in un secondo, il suo viso era semi nascosto all'altezza dell'orecchio, gli partì un bacio giusto sotto il lobo.

A un'altra spinta, Manuel poggiò le labbra sulla spalla di Simone, le gambe erano diventate come due lunghe ventose al corpo del suo ragazzo, a cui ormai era legato. Non lo aveva sentito forse, preso com'era dal gemere contro la sua pelle, ora sudaticcia. Il sale era evaporato e ora nelle sue narici penetrava solo il calore, l'umido. Non sapeva come spiegarlo, ogni volta che si scambiavano la pelle, ogni volta che si toccavano, anche solo il minimo gesto, tutto si amplificava. Stare bene e sentirsi scoppiare dentro sembravano due concetti così dissimili, eppure Manuel era lì, totalmente sotto di lui, e si sorprendeva ingenuamente alla sua vista. Simone lo trovava così tanto preso da lui, quella bocca dischiusa, quegli occhi aperti e ora chiusi, quel tirarlo per avere un altro bacio e soffocarsi un gemito: era tutto un rito, di cui andava un po' fiero, se doveva ammetterlo.

« Ti amo »

Quello lo aveva sentito, forte e chiaro. Come una nave che avvistava la terra dopo giorni di viaggio. Suonò così piano, che Manuel si maledì internamente, tirò i capelli di Simone, lì, dietro la nuca.
Un'altra spinta e Manuel mugolò qualcosa di sconnesso. Riprovò. « Cazzo Simò, » la bocca gli tirò il lobo dell'orecchio in un atto di resistenza, anche se le sue gambe la dicevano lunga, avviluppate. La mano scivolò dalla schiena di Simone, ai suoi glutei « mi hai sentito? »

Simone era sul punto di scoppiare a ridere per aver fatto finta di non sentirlo.

« Che cosa, te che urli? » lo baciò sulla curva del mento, sul collo, i suoi movimenti di bacino si facevano sempre più svelti. Non c’era più frizione, scivolava dentro il suo ragazzo, gli provocava una serie di mugolii e frasi sconnesse, tra le quali appariva anche il suo nome, di tanto in tanto.
In un ultimo atto di lucidità, Manuel gli incastrò il viso nell’incavo del collo, la fronte era madida, una gocciolina di sudore gli cadde sulla porzione di pelle. Quando sollevò lo sguardo, trovò Simone, a una spanna dai suoi occhi, dal suo naso, riuscì a solo una cosa.

« Ti amo » ripetè.

Simone premette la sua bocca, baciandolo ancora, riprendendo più forte di prima, sentendo il cuore che gli pompava, se lo sentiva in gola.

« Io di più » fu solo quello che disse, quando sentì che erano pieni entrambi.

Nel momento in cui Simone si staccò, uscendo dal suo ragazzo, il petto e la pancia si sporcarono, le voci riempirono la cabina chimica del bagno, forse qualcuno di passaggio stava ascoltando da fuori. Quel pensiero non durò più di tanto e Simone sfinito, si accasciava su Manuel, nascondendo il viso dietro la spalla.
Il bussare alla porta fu qualcosa che li portò a guardarsi: scoppiarono a ridere entrambi. Il suono arrivò a colorare l'aria di quello squallido spazio striminzito, mentre qualche voce si levava fuori, abbastanza inviperita. Simone guardò Manuel, come se avesse già dimenticato quasi tutto. Ne era passata di acqua sotto i ponti, stava passando anche quello. Il ragazzo gettò un urlo, che suono più come una minaccia e i colpi alla porta cessarono di colpo.

« Non c'hanno tutti i torti, Simò, da quanto siamo qua dentro? »

Simone inspirò piano, gli occhi si chiudevano, l'aria adesso sapeva del loro sapore.

« Non lo so, » Simone di abbarbicò ancora di più alla figura dell'altro, la voce suonò ovattata « ma non mi va di alzarmi adesso »

Manuel gli accarezzò la schiena, l'idea di rimanere schiacciato dal suo ragazzo, era la cosa più bella e di sollievo che potesse avere. Soprattutto dopo quello che era venuto fuori. Forse non aveva finito di scusarsi, conoscendosi, Manuel ci avrebbe ripensato ancora un po'.

« Simone devi sapè che non le pensavo davvero quelle cose, quelle che dicevo a lei, » si fece serio « per me sei sempre stato l'opposto di uno sfigato, in realtà te invidiavo pure un po' »

« Lo so, non ne parliamo più »

Manuel non cercò di nascondere l'evidente senso di sollievo che gli incorniciò la faccia, il sorriso ritornava di nuovo. « Però glielo puoi dì, di questo incontro occasionale all'amica tua. Chissà se le può interessare, magari dopo le mandi un messaggio » usò un accento romano che gli uscì malissimo. La battuta gli uscì tranquilla, le labbra sfoggiavano gli incisivi. Manuel rise, il petto magro gli si gonfiava e il solo vederlo così, a Simone bastò.

« Il messaggio non renderebbe Simone, questo se chiama fà l'amore con stile » evidenziò, le dita indicavano le pareti « non potrò più vedè un bagno senza pensarci d'ora in poi »

Simone arricciò il naso, la mano percorse la linea d'inchiostro del tatuaggio.

« È anche una pena abbastanza lieve, se mi permetti » soffiò.

Manuel lo vide, le dita tracciavano i contorni della figura dell'animale sul suo petto, completamente disincantato.

« Te ne sei pentito per un-»

« Non ricominciamo, » Simone gli baciò la clavicola « non ti avrei mai messo le mani addosso. Mi è costato pure farlo. »

Il sorriso malizioso si affacciò sulla faccia del teppistello.

« Su quello dissento, c'hai pensato in un altro modo Simò »

Simone si sporse per baciarlo e fu calmo, lento, un contatto delicato. Come se la fretta fosse stata solo per scandire l'attimo, solo destinata al loro incontro di corpi, ma le anime rimanevano ancora vincolate fuori.

« Tu che dici, hanno capito che abbiamo fatto qua? »

« Manuel »

Simone scoppiò a ridere, seguito dall'altro in un secondo. I denti si affacciano sul teppistello, gli occhi sembravano già più grandi.

« Che c'è, era na domanda seria! »

« Non sono un esperto di musica, » Simone si alzò sul suo ragazzo, le gambe a cavalcioni « ma hai raggiunto frequenze notevoli. Se qualcuno è passato, suppongo non si sia limitato a andare via »

« Che te devo dì Simone, » Manuel gli teneva i fianchi « a me di trattenermi, non me ne frega proprio »

« L'ho notato »

« E certo che lo hai notato, ormai so' un libro aperto »

Simone gli sfiorò il naso e poi si accoccolò di nuovo accanto a lui, questa volta, senza pesargli addosso. Manuel non fu della stessa idea però, perché se lo trascinò vicino, cingendogli i fianchi.
« Non me davi fastidio, viè qua Simone » i capelli gli solleticavano la guancia, Simone si era fatto più stretto, contro la figura del ragazzo, come se quello più basso fosse lui. Respirava con il suo fiato, percepiva l'aria tiepida, ascoltava i battiti cardiaci.

Era un sabato pomeriggio estivo. Simone e Manuel distesi sul pavimento di un bagno chimico, occupato non si sa esattamente da quanto tempo, che non sembrava mai abbastanza. Era un sabato estivo e i mari in tempesta non davano più segnale di cattivo tempo, si erano finalmente placati.






Stava in piedi, le mani erano sudate, era conciato male. Non capiva perché il respiro gli risaliva agli occhi e quello che vedeva non era chiaro.
L’immagine sfocò, sgretolando i bordi: il viso davanti a lui, era cambiato, gli occhi erano cambiati e diventati più grandi, il mento era più pronunciato e i capelli si erano tramutati in ricci al posto di lunghe ciocche lisce.
Quando provò a guardare meglio quella non cambiò. Sapeva benissimo chi era, la forma delle labbra non mentiva e neanche il colorito candido, la piccola fossetta al lato. Era Simone.
Sbatté le palpebre più volte, ma la figura non cambiò: Simone.
La sua testa gli stava facendo degli strani scherzi, la scosse un po’.
Simone non era a Roma, non era lì. Non era fisico. Eppure, quando Manuel allungò lo stesso la mano per sfiorargli la guancia, quella sembrava la sua. Erano le sue dita, le vene delle mani, era tiepida. Si concesse un sorriso.
Gli aveva mai davvero sfiorato la guancia prima?
La pelle era morbida, sotto il tatto. Gli aveva già detto che gli era mancato?
Fece per aprire bocca, ma si fermò.
Manuel deglutì, nella luce fioca, gli occhi gli dicevano qualcosa di falso. Voleva credere che fosse davvero lì ma non era una cosa vera e lo sapeva. Simone si sarebbe lasciato sfiorare se ci avesse provato?
Se quello era Simone, perché erano in un garage e non a casa sua? Se era Simone, perché non gli parlava? Perché non lo chiamava, perché non lo chiamava stronzo? Se era davvero Simone, perché portava una collana al collo al collo e le labbra erano contornate di rossetto?
Manuel osservò la ragazza che si rivestiva in quell’anfratto di spazio che doveva essere il suo garage. Solo quando parlò, capì di aver immaginato tutto. Tutto quanto. Vedeva i fianchi stretti, i tatuaggi sulle mani, il modo in cui si annodava i capelli con un elastico. La ragazza e i suoi capelli rosso fuoco, lo guardarono.
Manuel fissò i suoi piedi nudi, poi risalì, una sensazione di apnea orrenda a invaderlo: i pantaloni erano ancora calati, era sporco e il fiato era ancora corto. Serrò le labbra e chiuse gli occhi. Cosa aveva appena fatto?
Si disse tra sé e sé: Simone cosa ho fatto, perché non ci sei tu qui.
La ragazza si rivestì totalmente, disse qualcosa e lui annuì, senza sentire veramente. Quella gli scoccò un bacio sul collo, l’odore era forte, sentore di rosa. Forse era più una rosa appassita. L’altro, sarebbe stato di vaniglia, se ancora ricordava bene. Se lei non fossi tu.

Simone ritorna.
Se solo lei fossi tu.










24 Giugno, pomeriggio

Usciti dalla cabina, Simone e Manuel avevano fatto una rapida corsa e si erano subito buttati in acqua, attirando qualche sguardo curioso e indiscreto. In effetti qualcuno abbassò gli occhiali da sole, guardandosi confuso. Quando Manuel lo tirò vicino, Simone quasi finì capovolto in acqua, trovandosi l'altro che lo tenne all’ultimo momento, dietro la schiena. La scena fu esilarante, perché quello più alto tra i due era proprio quello che cadde indietro dentro l’acqua.

« Simone, oh, hai bevuto? » il tono un po' preoccupato, portò Manuel a verificare fosse tutto nella norma.

Il ragazzo era stato affondato in acqua, il viso era bagnato ai lati, riaffiorava il naso, gli occhi e la bocca. Non sembrava aver subito qualche effetto collaterale, sputò un po' d'acqua in una leggera tossicciola. Fece cenno di no all'altro.
Poi Simone chiuse gli occhi, sentendo soltanto la presa di Manuel sul suo corpo, respirando piano. Stava dicendo qualcosa, ma le orecchie erano per metà coperte dall'acqua e la voce dell'altro suonava vicina, ma anche come un'eco. Il sole del pomeriggio gli batteva in faccia, creando luci ed ombre sul viso, rendendo Simone un dipinto. Le mani di Manuel si spostarono leggermente, si accovacciò sulla superficie dell'acqua, senza mollarlo del tutto. Trascinò il corpo di Simone di lato, senza affondarlo, questa volta. Delicatamente, lo muoveva a un ritmo sostenuto, ondulatorio, come si faceva per rilassare qualcuno. Manuel lo vedeva: come teneva le palpebre chiuse, il respiro era regolare, la mascella rilassata, le labbra incurvate. Gli sfiorò piano un fianco, mentre lo muoveva sul pelo dell'acqua, con quel leggero dondolio.

« Sai quando me agitavo troppo, mi madre me calmava così » mormorò. Il tatuaggio di Simone schizzava come una macchia nera contro la superficie chiara « Me ripeteva immaginati di essere leggero, un aereoplano, un pezzo de carta che viene soffiato via »
Manuel continuava a spostare Simone, il sole gli batteva sul petto adesso, con dei rivoli d'acqua.
« Io le ripetevo mamma ma come fa un pezzo de carta a non affondare in acqua? E lei subito co' la risposta pronta non pensare con la testa, usa la fantasia. Ripeteva lo stesso schema quando me faceva il bagno o quando stavamo al parco »

« E ci riusciva? » la voce uscì ovattata, trasparente « riusciva a calmarti? »

« La maggior parte delle volte sì, » una delle dita di Manuel gli passarono sul petto « quando non ce riusciva me lasciava andare e mi arrangiavo »

« E che facevi? »

Manuel arricciò il naso, raccolse una piccola ciglia da sotto l'occhio di Simone. Ci soffiò sopra.

« Stavo per conto mio oppure davo fastidio a qualche altro bambino »

« Certo, » Simone ridacchiò « dovevo immaginarlo »

« Ero già un po' rompi palle, sì » confessò.

« Manuel piccola peste Ferro »

Manuel rise un poco, sciogliendosi un poco. Mentre Simone veniva cullato, pensò molto a quelle ultime cose che gli passavano per la testa: loro due che avevano trovato sempre ogni pretesto per venire alle mani. La sfuriata di qualche ora fa, era un'altra. Solo che non c'era stato proprio odio, come le prime volte. Quel germoglio era cresciuto e ora c'era più amore.


« Simone ma te ci pensi mai a come eravamo prima? »

« Ogni tanto mi capita, perché lo chiedi? »

« Boh, così, » scrollò le spalle, « ce azzuffavamo pe niente...mi viene in mente quando abbiamo avvicinato i banchi »

« Sì perché così copiavi meglio, mi ricordo »

Manuel sospirò, e lo guardò dritto negli occhi, ora erano aperti: il sole colorava il castano intenso, la grandezza di quelle pozze.

« La verità è che me sentivo più sicuro così, » lo sollevò leggermente e Simone si raddrizzò dentro l'acqua, le gambe si toccavano « la matematica rientrava nei motivi, ma me sembrava strano non stare vicini »

Goccioline di sale cadevano lungo gli occhi di Simone, contrastando con le strisce di sole incastonate sulla pelle.

« Dillo che volevi primeggiare con mio padre, non mi offendo eh » scherzò.

« Dai, sò serio, » sentiva le mani del suo ragazzo portate a coppa sul viso « ogni tanto ce penso a questa cosa. A quando Matteo c'ha rotto perché voleva cambiare pure lui di posto e Lombardi lo aveva ripreso e noi invece ce siamo riusciti lo stesso. »

« Mi ricordo che me lo avevi chiesto e ti avevo detto di no la prima volta »

« C'avevi paura de me? »

Manuel insistette con quegli occhi curiosi, da specialista inventato. Simone che fino a poco fa avrebbe dato di tutto per vederlo sparire, ora lo guardava come faceva sempre. Per questo pensava di essere davvero troppo innamorato, o forse troppo scemo. O entrambe.

« Avevo paura che mi sarei lasciato troppo andare se avessi accettato »
Lo sguardo di Manuel fu tutto un programma, annuiva piano, poi gli portava una mano sul petto bagnato. « Da te mi aspettavo tutto tranne che mi chiedessi di sederti accanto » Simone la buttò sul ridere, sdrammatizzando. Manuel invece era serio.

« Ma lo hai fatto comunque »

« Già »

« Cosa ti ha fatto cambiare idea, Simò? »

Simone sospirò, baciò Manuel sulla bocca, già salata e poi gli passò un dito sulla stessa, disinibito. Il ragazzo lo fissò subito e glielo baciò.

« Quella frase che hai detto, il giorno che ci siamo cambiati di banco: senza de te non ha senso venire qua. Mi sono detto che se lo pensavi davvero, non era poi una cosa tanto sbagliata starti vicino »

Fu forse una delle poche volte che Simone vide Manuel diventare di un colorito più vivace, quasi sul rossigno, ramato. Si registrò quell'espressione in testa, la avrebbe trovata lì e riavvolta ogni volta che avrebbe avuto bisogno.




- - -



“Lo sai vero?” Sentì la voce parlare, ma in realtà voleva solo silenzio. Manuel alzò la testa, per guardare la fonte del suo. “Lo sai vero che se me voi chiamare, hai il numero, Manuel, non mi fare fa tanti giri di parole”
“Sì, lo so” aveva sospirato, inghiottendo le labbra “Adesso però devo annà, se arrivo tardi a casa mi madre fa un casino”
La rossa annuì, si stava sistemando il mascara allo specchietto, sopra un vecchio stereo, all’interno del garage. Quando si tirò su lo zaino, però quella gli disse un’ultima cosa. Il teppistello si raggelò sul posto. “Non ti ho capito, scusa”
In verità aveva sentito bene, l’idea non gli piaceva.
“Ho detto” esordì, scrollando le spalle, gli occhi che si infilavano sotto la pelle di Manuel come un bisturi tagliente “la prossima volta possiamo vederci a casa tua, magari quando non c’è Anita. Mio padre qua non viene mai a bussare, però me voglio togliere il vizio, sai” chiarì con le dita. Aveva due gemme verdi fosforescenti, polvere stregata, incantesimo di ripiego.
“Te faccio sapè, eh”
“Ci conto”
E dicendo quello, Manuel uscì fuori dal garage, si avviò allo scooter. Il cellulare vibrò dentro la tasca del giubbotto verde scolorito. Strabuzzò gli occhi: era il primo segnale che aveva dopo settimane. Simone aveva postato una foto, era quella di un cielo, terso di nuvoloni, ma con un lampione acceso in mezzo alla strada.
Oh.
Si apprestò a scrivergli qualcosa, qualunque cosa.
Cosa poteva dirgli? Per pubblicare questa roba sì, per farmi capire, invece no. Stava già per inviare, ma cancellò tutto subito dopo.
Era appena andato a letto con un’altra persona. La aveva toccata, la aveva baciata. E lo aveva fatto per fargli male. O forse, per farsi male da solo. Non lo sapeva: tutto era cominciato quando aveva deciso di andarsene. Forse era successo pure prima inconsciamente e lo squarcio era arrivato prepotente a colpirlo.
Manuel ricacciò il cellulare in tasca, con l’ultimo ricordo che gli restava. Quella dannata foto del cielo nuvoloso scozzese su un social. E’ questo che era diventato, Simone era un cielo diverso, dall’altra parte del mondo. E per quel cielo, ora ci stava piangendo.




- - -




24 Giugno, 18:30 pomeriggio

Col sole che pian piano calava, il tramonto era sempre più vicino, i corpi erano asciutti, stesi lungo la battigia, una birra a fianco ciascuno, l'aria che di era rinfrescata, calando verso l'ora di punta. Con qualche sorso qua e là, Simone frugava nella sacca spessa, cercando la maglia a maniche corte. La infilò non con poca fatica, restando con quella e con i boxer del costume. Sentiva la testa leggera, era calato il silenzio in spiaggia e alcuni dormivano sotto gli ombrelloni.

« Che bello »

Manuel guardava il sole sulla linea dell'orizzonte ridotto a una palla incandescente, la linea del mare era così sottile, sembrava vicina quasi a poterla toccare con la mano.

« Sì, proprio bello »

Prese un altro sorso della sua birra, osservando il ragazzo girato verso il tramonto, nella presa del cellulare che scattava con la fotocamera a quello che vedeva. Proprio bello, sì.
Aveva avuto paura per mezza giornata, aveva rischiato di farsi venire una crisi e tutto perché era innamorato di quel ragazzo lì. L'amore era lacerarsi e ricomporsi, un ciclo vizioso.

« Simone, » mormorò, sorprendendo l'altro mentre sfiorava la bottiglia di vetro « quindi stasera dormi da me, giusto? »
Il ragazzo assaporò la birra, aspettando un po' prima di ingoiarla.

« Non lo so, forse passo »

Manuel lo guardò in cagnesco, il cellulare ricadde dentro lo zaino o forse scivolò sulla sabbia. Simone era già contro il telo da mare, la bottiglia era tenuta a mezz'aria.

« Te scriverò una lettera de scuse, dove quella parola appare per almeno per dieci pagine e più, se serve, » Manuel gli teneva le mani sul petto, sembrava disperato « però l'ho detto a mi madre ormai Simò, fallo per lei, ce rimarrà male »
Simone ridacchiò dispettoso.

« Di lettere non ne voglio, » sospirò « voglio che ci diciamo tutto. E quando dico tutto, intendo anche la cosa più stupida »
Manuel annuì ripetutamente, precipitarono i suoi occhi.

« Sì, Simò, va bene, tutto, niente più segreti, niente più Giulie o rogne, » lo baciava tra una parola e l'altra, Simone si sentiva stordito « voglio solo dormì con te stanotte, vicini, appiccicati » la bocca si spostò sulla mascella, sulla spalla. Il ragazzo non ce la faceva a non tenerlo ancora sulle spine.

« E se io volessi dormire sul divano? »

Si alzò sui gomiti, e Manuel si ritrovò sollevato, a guardarlo offeso, ma comunque ci teneva ad affermare i propri diritti. Il suo diritto era quello di stendersi nel suo letto, dopo quell’intera giornata, col suo ragazzo.

« Ah Simò il divano no eh »

« Sono l'ospite, le richieste degli ospiti si soddisfano » continuò a giocare.

« Ma perché devi dormire sul divano, quando c'ho un letto in stanza che è grande abbastanza per tutti e due? »

Simone rise per il tono infantile appena usato, non era possibile che fossero coetanei, per come Manuel stava rispondendo. « Non mi vuoi? »

Aveva le mani spalmate sul suo petto, gli occhi dolci – come sapeva tirarli fuori in quelle situazioni speciali – puntati addosso a lui, il naso che lo sfiorava, la barba sul viso magro e furbo. Simone sapeva di non dover sospirare e cedere, ma era impossibile resistere quando l’altro faceva così.

« Manuel, la risposta già la sai »

Il ragazzo più piccolo, gli depositò un bacio, lì, all'altezza del cuore, per poi strofinarci il naso sopra. La maglietta pulita strideva con l'odore di sale, che ora era solo un’essenza, come fosse stato cotto, evaporato sulla pelle di Simone. Come se il cuore lo avesse assorbito e sciolto, lasciando solo il vago sentore.

« Me puoi toglie tutto Simone, ma quello no. Ormai ho battezzato il lato sinistro del materasso col nome tuo, immagina se glielo cambio, s’offende pure »

La testa riccia si chinava, sorrideva a quell’uscita pessima, ma rideva comunque perché Manuel era stato troppo serio nel pronunciarla.

« Che ne dici di andare tra un po', ci facciamo un giretto, ti va? » cambiò discorso, sapendo di dover tenere almeno saldo quel freno. Se si fosse sciolto completamente, Simone avrebbe fatto l'amore con lui di nuovo, senza nascondersi, davanti ai pochi rimasti sulla spiaggia.

« Va bene, » sorrise beffardo Manuel, rubava la bottiglia di birra a Simone e se la portava alle labbra, sempre mantenendo il contatto visivo, la mano sempre ferma sulla pelle « chi guida? »

« Ti dovrai fare portare ancora da me, purtroppo » gli sfilò via la birra dalle mani e si allungò sulla schiena, uno dei gomiti poggiati sul telo che sprofondò nella sabbia. Il sorso avvenne rapido, davanti ai suoi occhi già accesi e lampeggianti, il sorriso era aperto prima di chiudersi a mangiargli le labbra.







La brezza colpiva le figure di Simone alla guida della vespa e quella di Manuel dietro che si teneva alla sua felpa. Il paesaggio urbano di Roma, sfrecciava davanti ai loro occhi, come in una foro-ricordo o testimonianza diretta: il sole stava scomparendo quasi del tutto, la gente ritornava a casa dopo il mare, i colori del cielo viravano verso il rosa, il blu e il violetto come una pennellata di colore violenta appena rovesciata in cielo. La vespa proseguiva e si muoveva, con le mani di Simone lungo il manubrio, sciolte, il casco gli schiacciava il viso, il retro della felpa gli si gonfiava sulla schiena per via della velocità e del vento. Manuel si teneva saldo al suo torace, le mani si coprivano come potevano nelle maniche del giacchetto di jeans di Simone, avvertendo delle piccole scariche di freddo, con il corpo ancora caldo. Il calore che veniva tolto dal vento, veniva ricercato nel ragazzo alla guida, concentrato sulla strada. Manuel poggiò la testa tra l’incavo del suo collo, ed ebbe come l’impressione di stare sognando quella cosa, di trovarsi con Simone a girare in motorino per le strade romane. Lo aveva fatto anche con Chicca, però era diverso.
Non sapeva come spiegarlo a se stesso, Simone gli dava quel senso di protezione, che non aveva avuto con altri. Non lo avrebbe mai ammesso, com'era solito, le cose le dimostrava in modo diverso e andava bene così. Gli bastava tenersi comodo dietro il veicolo, aggrappandosi al corpo del ragazzo davanti, per dirlo.
Ogni tanto i due sobbalzavano, per via di qualche buca o perché l’asfalto sulla strada mancava. Alcuni tratti di quella erano liberi, privi di automobilisti, o presentavano orde di turisti ammassati. Passarono col veicolo nei pressi di Castel Sant’Angelo: il ponte con le statue di angeli ai lati sul ponte, era gremito di gente. Si stavano accendendo già i primi lampioni ai lati dei marciapiedi, gettando le prime luci sui sampietrini. Il cielo cambiava ancora, tingendosi di blu scuro, con un sentore di porpora violento, alla base. Le nuvole cambiavano, ridotte a batuffoli curiosi, allungati, spostandosi insieme a Simone e Manuel, al volo della vespa bianca, che fendeva il percorso. Simone, a quel punto disse qualcosa, ma col rumore di sottofondo del motore e del traffico, l’altro non sembrò sentire quasi nulla.

« Ho detto, ti va di mangiare qualcosa in giro? Ci fermiamo da qualche parte » alzò la voce di poco, calcolando che erano di pochi passi dal centro storico della città.

« Me va bene Simò »

Manuel si strinse più forte, avrebbe voluto riuscire a vederlo in viso, se non fosse stato per la protezione del casco.

« Vado troppo piano? Cosa ne pensa l’esperto qua? »

Manuel rise al lamento di Simone, osservando i suoi occhi dallo specchietto - occhi che non lo stavano guardando perché rivolti a svoltare l’angolo e la curva poco dopo - attenti, luccicanti.

« No, va bene così Simone, non c’è fretta de fare finì sta giornata »

Strattonò dolcemente la felpa, sgualcendola, portando gli occhi del suo ragazzo a muoversi e ad attenzionarlo. Fu in quel piccolo guizzo, che Manuel captò il leggero rossore del ragazzo alla guida. Quando reagiva così, avrebbe voluto baciarlo senza finire più.
T’ho beccato.
Come faceva quella canzone che ora gli veniva in mente? Simone la aveva ascoltata di recente e non riusciva a ricondurre bene la memoria. Sì, dai, quella nostalgica, la storia luminosa di Roma, la sera, due cuori in cerca dell’altro, la metafora di loro che sfrecciavano – adesso - davanti ai vari edifici.

« Che c’è, perché mi guardi così? »

Per capire fino in fondo la parola: accanto.

« Perché sto bene, Simò. Non voglio ancora tornare a casa » mormorò in mezzo alla confusione di clacson e altri rumori in lontananza.
Affondava il viso sul tessuto morbido della felpa, godendosi la vista. Simone cantava già la canzone in testa e aveva già associato quel preciso momento alle parole centrali del testo, cancellando l’aspetto triste. Quello non li descriveva.

Mi ricorderò di te, tra le luci di Roma, ogni abbraccio per strada.

« Simone, tutto bene? » lo studiò con aria attenta e curiosa.

« Torniamo insieme a casa » parlò, osservando furtivamente dallo specchietto, Manuel aveva il viso accoccolato su di lui, sembrava così innocente, era così vivida quell’immagine e voleva imprimerla così, con i primi lampioni accesi della sera. Simone gliela avrebbe dedicata, quella e molte altre canzoni, se solo il petto non gli fosse andato in tilt. « Però prima mettiamo qualcosa sotto i denti, non so tu, ma ho una fame tremenda »

« E so’ d’accordo, pensa io quanto ho mangiato, ero troppo impegnato a scassinà un bagno pubblico »
Simone con la sua risata fragorosa, accompagnò il motore della vespa e quando il verde scattò, quella melodia riempì l’unico spazio davvero importante: quello del guidatore e il ragazzo, dietro, che gli scoccava un bacio sulla spalla felpata, con attorno le prime luci serali della città che si accendevano.

Mi ricorderò di te, tra le luci dell’alba.








I ragazzi rientrarono dopo cena, la porta fece lo scatto girando la chiave e la figura di Anita era già posizionata sul divano accanto alla cucina.

« Oh, ciao ragazzi, com'è stata la giornata al mare? »

La donna sorrideva, e Simone e Manuel si guardarono a vicenda. Cosa c'era da dire? Simone si grattò la testa. Nessuno dei due sapeva chi parlare per primo, così venne fuori la voce del figlio in un miscuglio di ilarità.

« Com'è stata...
» Manuel guardò Anita cercando di rimanere piatto « scoppiettante » mormorò.

A quelle parole Anita abbozzò un sorriso mezzo confuso mente Simone ne nascondeva uno imbarazzato e si avvicinava per salutarla meglio. La donna aveva una coperta sulle gambe ed un libro posato sul grembo adesso.

« Simone, se vuoi qualcosa, se volete qualcosa da mangiare- » guardò subito Manuel che era già andato in camera.

« Non preoccuparti, » anticipò Simone, un sorriso comodo « abbiamo già cenato fuori »
Simone si incuriosì dal titolo del testo, lo indicò. « Su quello, ho letto delle ottimi recensioni »

« Ah sì? E speriamo, » sospirò, toccandosi le tempie Anita in fare stanco « mi tocca tradurlo, quindi spero ne valga la pena »

Simone annuì, abbozzando un sorriso di comprensione, mentre Manuel posava lo zaino a terra nella sua camera, la porta lasciata senza importanza, aperta.

« Deve essere una bella cosa, vedere come cambiano i modi di dire, da lingua a lingua, le sfaccettature »

« Si, è gratificante, c'è un sacco di differenza tra un testo e l'altro e tanto lavoro dietro »

Il ragazzo annuì, le occhiaie sotto gli occhi della donna la dicevano lunga. Simone si strizzava la sacca sulla spalla.

« Anita, » Simone si girò tra lei e la figura del figlio dall'altra parte « è un problema se per stanotte, sai, ugh, potessi dormire sul divano- »

In un attimo Manuel si precipitò nel salottino e lo prese per il braccio, fece cenno con il viso alla madre.

« Lascia sta mà, Simone sta scherzando, è un tutto un gioco suo »

Il ragazzo rise compiaciuto di averci potuto riprovare, con l'altro che lo trascinava nella stanza e Anita che gridava un buonanotte pieno di attenzione e un ghigno in volto.
Simone si affacciò, la testa spuntò dalla camera di Manuel, prima di essere risucchiato dentro dalla sua presa.

« Buonanotte Anita! »

La porta venne chiusa e Manuel lo guardò dandogli un buffetto sulla spalla. Poi camminò.

« Simone c'ho un letto apposta, ancora un po' e te ce faceva dormì davvero là » borbottò. Aprì il cassetto dentro l'armadio e tirò fuori un accappatoio pulito e due asciugamani. Le diede a Simone, che esitò un attimo prima di prenderle.

« Non volevi farti la doccia tu per primo? »

« No Simò, vai tu, » scrollò le spalle « poi appena hai fatto, mi aspetti qua buono buono e senza addormentarti »

« E chi si addormenta? » cercò il cambio posando la sacca sulla sedia della scrivania, poi prese le asciugamani e depositò un bacio, lì, sulla guancia di Manuel.


Il ragazzo ci impiegò più del previsto. Dei granelli di sabbia gli erano rimasti impigliati tra le ciocche e non poteva di certo ritornare a letto con i capelli bagnati però. Cercò quindi di velocizzarsi. Una volta finito, scattò in fretta verso la porta della camera, che si richiuse alle spalle. Respirò piano, trovando l'altro già bello che andato. Scosse la testa, gli si allargò il volo tingendosi di un mare di denti. Si inserì piano nella trama del materasso. Non era stato nemmeno sollevato il lenzuolo, perché Manuel ci dormiva sopra. Allora prese la coperta grande, la trovò di fianco al mobiletto pieno di cianfrusaglie variopinte. Se la portò dietro.
Simone si sdraiò sul materasso, inspirando piano, per paura di svegliare Manuel che stava già dormendo. Stese la coperta e fece per girarsi sul fianco. Il materasso scricchiolò sotto il peso e si immobilizzò per un secondo. Quando si mosse di nuovo, il corpo accolse la figura del più piccolo, le mani gli circondavano la vita e il naso respirava ancora il mare.
Il mare mi calma.
Che bello pensare a Manuel come al mare, ora.
Il suo rifugio inaspettato.
Irruento e violento nei giorni di tempesta, calmo quando rasserenava.
Pensò che fosse già completamente rapito dalle braccia di Morfeo, quando, la mano di Manuel si spostò per afferrare la sua e stringersela ancora di più sul corpo. Il gesto lo scaldò subito in un sorriso.

« C'hai messo un sacco » mormorò, si rimpiccoliva contro Simone, per aderirvi completamente.

« Lo so, scusa »

« Non fa niente Simò, » Manuel intrecciava il contatto, una mano dentro l'altra « io sono crollato » sbadigliò poco dopo.

Simone si sporse a baciargli la pelle dietro l'orecchio.

« E allora dormiamo » soffiò dolcemente.

« Te resti qui, sì? »

Dove dovrei andare, senza te.

« Sempre »

La luce venne spenta da Simone che si inerpicò con il braccio per raggiungere la lampada e poi, si incastrò di nuovo al suo ragazzo, nella morsa che di creava, tra schiuma e sale, tra sapone e vaniglia.





Clò: Un bagno, non potrà pi essere visto in modo normale.
Un garage, non potrà più essere visto in modo normale.
Io, non sono più normale.
Scrivere durante le ore buca in uni e aver paura - di essere guardata - non è normale.
Simone Balestra geloso e determinato, ci piace e chi ha da ridire
viene qua e lo canzono per bene.


Vi comunico che il prossimo sarà l'ultimo capitolo,
tenetevi saldi perchè non so se riuscirò a condensarlo nei tempi.
Vi voglio bene.



 
   
 
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