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Autore: ArielSixx    26/03/2022    0 recensioni
In una società post-moderna in cui guerre e carestie dilagano una società segreta porta avanti dei misteriosi esperimenti utilizzando dei ragazzi come cavie. Selena è una di loro e si ritroverà per necessità ad avere a che fare con un esperimento che cambierà per sempre le sorti della sua vita.
Genere: Fantasy, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tanfo di morte e sudore, cenere e disprezzo nell’aria. La fuliggine che mi cade addosso lascia un leggero pizzicore sulla pelle scoperta, è il regalo che ci dona l’inceneritore sempre in funzione, qui non c’è tempo o possibilità per pensare alle norme di sicurezza. Mi ricorda un episodio di quando ero piccola; a scuola avevamo organizzato tutto secondo i minimi dettagli con apri fila e chiudi fila pronti a fare il loro lavoro in caso di pericolo, ogni tanto scattava un’esercitazione e allora seguivamo tutti un percorso ben preciso che terminava sempre con un caloroso applauso, segno che anche questa volta non vi era nulla di cui preoccuparsi. Avrei voluto riuscire a imparare di più quando mi era ancora concesso. Eppure, eppure l’illusione che certe cose non capiteranno mai ci fa rimandare tutto al giorno successivo con l’assurda consapevolezza che tanto ci sarà tempo per fare domani quello che vorremmo fare oggi.  

“Quanti ne mancano?”, chiede Wynona distogliendomi dai miei pensieri. Da quanto tempo sono bloccata così a fissare il vuoto? Non troppo considerando i tre corpi rimasti a terra senza etichetta.  

“Di questo passo almeno fino al resto dei nostri giorni”, le rispondo. Anche terminando il nostro lavoro si potrebbe benissimo continuare per anni senza mai arrivare alla fine dell’ultima pila.  

Ogni qualvolta etichettiamo l’ennesimo cadavere una ragazza e un ragazzo si danno il cambio per trasportarli su di una carriola malmessa, dritti verso i loro ultimi attimi in questa forma. Quello che ne resta viene trasportato via dal vento e adesso penso a quante volte, inconsapevolmente, queste ceneri ci hanno raggiunto nella zona abitata. Per chi ci vede da fuori questo è solo un immenso cimitero senza capo né fine. Ma qui non importa, molti non se ne rendono conto e probabilmente non lo sapranno mai, hanno cose più urgenti alle quali pensare come sopravvivere ad esempio.  

Quando sembra scorrere tutto a un ritmo naturale noto qualcosa che, per la prima volta dopo settimane, mi fa accapponare la pelle. Lo sguardo di quell’uomo su di me. Considerate le nostre condizioni e il tempo che sicuramente abbiamo già passato qui il bus deve aver completato nuovamente il giro. Ma perché scendere a questa fermata? Perché arrivare qua? A meno che non gli manchi qualcosa... che mossa stupida. Cosa fare adesso, restituirlo o scappare? Nessuna delle due opzioni prevede un bel lieto fine.  

Mi sposto il più possibile dietro la pila ancora abbastanza alta da sovrastarmi, come quando hai l’impressione che nascondendo una cosa alla tua vista sparirà improvvisamente anche il problema. Eppure, sfortunatamente, non funziona mai così.  

“Hai qualcosa che mi appartiene”, dice con un tono che fa ben chiarire che non si tratta di una domanda. Pensavo davvero di farla franca tranquillamente, saltare giù dal bus rubando un coltello e portamelo in giro? Tre anni qui non mi hanno ancora insegnato abbastanza.  

“Non so di cosa sta parlando” dico, infilando le targhette rimaste dentro la tasca solo per controllare che l’arma si trovi ancora lì.  

“Oh dolcezza” sussurra lui “sai benissimo di cosa sto parlando”. A ogni suo passo avanti io ne faccio istintivamente uno indietro senza accorgermi che in questo modo ci stiamo allontanando da Wynona.  

Da quant’è che non tremavo così e non pensavo davvero che qualcosa potesse ferirmi, inconsapevolmente abituata a districarmi in questa giungla di pericoli. I movimenti del mio corpo tradiscono lo sguardo che cerco di sostenere e deve essersene accorto perché in lui non vi è nessun cenno di tentennamento, sa ciò che fa e una ragazzina impaurita è forse l’ultimo dei suoi problemi. Scatto indietro appena due secondi prima d’intuire la sua ennesima mossa, non ha più voglia di restare a parlare. Le mani strette al collo mi lasciano a malapena respirare; sono esile, ma non così tanto da sopravvivere a questa situazione. Dalla mia gola non escono parole, potrei urlare per avvertire Wynona o chiunque altro dei pochi presenti, ma nulla. Per un attimo, uno solo, penso che forse la fine è veramente arrivata. Dimenarmi è inutile, il peso del suo corpo mi blocca a terra e i suoi occhi gridano vendetta prima di riprendersi ciò che gli appartiene, ma le mie mani sono agili e in men che non si dica faccio qualcosa che mi ero ripromessa di riuscire a evitare.  

Quando il suo corpo mi ricade addosso mi rendo realmente conto di avere il coltello ben saldo al polso, tra me e lui, ancora conficcato sul suo petto. Un rivolo di sangue gli scende dalla bocca riversandomisi sulla faccia e questa volta, pur facendo appello a tutta la buona volontà, devo scansare il suo corpo con tutte le forze che mi rimangono per ritrovarmi a rigurgitare i pasti degli ultimi due giorni. Le mani continuano a tremarmi e i succhi gastrici rimasti nello stomaco fanno a gara per venire fuori. Perché l’ho fatto inizio a domandarmi, perché non sono riuscita a trovare un’altra soluzione. Eppure, non è tanto diverso dal togliere a qualcuno l’ultimo boccone della propria esistenza, addirittura sembrerebbe più immediato e indolore. Se solo mi vedesse la vecchia me, si chiederebbe subito cosa abbiamo fatto di male per ridurci così.  

Uso un lembo della canottiera ormai sudicia per togliermi dal viso saliva e sangue, adesso devo rimediare all’irrimediabile. Striscio i palmi delle mani sul terreno per togliere via i residui di sangue che potrò lavare solo tra parecchie ore con quel misto di acqua e detriti disponibile ai rifugi, sempre meglio di niente.  

“Cos’è successo?”, la voce di Wynona arriva alle mie spalle. Ha lo sguardo atterrito e sconcertato mentre guarda la scena che le si presenta davanti. I miei occhi, invece, passano meticolosamente da lei all’arma del delitto. “Quando l’hai preso quello?”, mi chiede. È vero che a volte ci si capisce solo con uno sguardo.  

“Sul bus” ammetto “pensavo che avremmo potuto averne bisogno”.  

“Beh, è stato utile in effetti”, risponde lei. Non mi chiede come o perché, sa che i motivi potrebbero essere innumerevoli. “Lo lasciamo qui” dice, riacquistando tranquillità.  

In due dobbiamo comunque fare uno sforzo notevole per avvicinarlo il più possibile alla pila e ricoprirlo coi suoi compagni di sventura, il tempo che qualcuno arriverà a quel punto saranno già passati giorni o addirittura mesi. Il coltello, al contrario, ritorna stretto nella mia tasca. Non posso portarmelo dietro a lungo, ma questo non è il posto adatto in cui lasciarlo.  

Quello che è successo mi ha stremata, ma devo alla mia amica una giornata di lavoro e un favore bello grande; finire il nostro lavoro tanto da ricevere la paga è il minimo che possa fare. Venti dollari stropicciati a testa, potrebbero bastarci per settimane intere se razioniamo i pasti una volta ogni due giorni ed evitiamo le medicine finché non ve ne sarà estremamente bisogno. Potrebbero bastarmi per i prossimi quindici giorni, finché non arriverà finalmente il pagamento che mi devono. Sto già pagando un prezzo fin troppo caro per la mia sbadataggine.  

Il viaggio di ritorno sembra quasi una passeggiata, siamo parte di quella stessa puzza e ormai degli stessi peccati. Alla penultima fermata un’idea mi balena per la testa: “Scendiamo qui” dico, invertendo i ruoli e trascinandomi dietro Wynona. Un vicolo stretto e buio ci aspetta poco lontano, è un nascondiglio perfetto per un’arma che non deve essere trovata. All'angolo del marciapiede c’è una piccola insenatura dentro alla quale la lama entra perfettamente. Bingo! 

“In caso di necessità”, sospira Wynona.  

“In caso di necessità”, le faccio eco io.  

Ritornare ai rifugi è l’unica cosa che ci resta da fare e abbiamo ancora abbastanza tempo per percorrere la strada a piedi, una doccia e un pasto caldo saranno il nostro premio di consolazione. Ce li meritiamo, almeno oggi. Domani sarà di nuovo un’altra storia.  

Arrivate all’entrata sto già pregustando il sapore di una minestra calda dal contenuto sconosciuto che, per qualche assurda ragione, ha sul serio un sapore ben definito. Nessuno ha mai chiesto cosa c’è dentro e forse è meglio non saperlo. Per un momento il microchip – posto all’altezza del polso destro – fa un rumore insolito, e devo aspettare qualche minuto per capire cosa sta succedendo. Markus Kane è il nome che risulta sullo schermo, una, due, tre volte quando il chip passa sotto al lettore. Qualcosa, per istinto, mi dice di sbattere le palpebre due volte. Ed eccolo lì: Selena Veyr, anni 17, stato orfana.  

“Ci dev’essere stato un errore nel sistema, puoi andare”, mi dice una delle guardie prima di lasciarmi passare.  

Una volta arrivata di sotto la tentazione è più forte di me: ‘una volta per accendere e due per spegnere’ mi ripeto in testa, mentre mi vedo riflessa sulla lamiera che ricopre le pareti. Il volto è sempre il mio, sono io, male indicazioni che compaiono non mi appartengono. Eppure, non mi ci vuole molto per capire di chi si tratta. La foto sul fascicolo è in condizioni migliori, ma quel volto non lo dimenticherò ancora per molto tempo. Una cosa del genere non era tra le indicazioni che mi erano state consegnate dal medico, possibile che io ne sia in grado? E se non funzionasse solo con i morti? Potrebbe essere la mia via d’uscita da questo posto.  

 

 


   
 
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