Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Doppiakappa    28/03/2022    0 recensioni
Roy Steinberg, sedicenne figlio dello scienziato più influente del 2085, si ritrova vittima di un particolare incidente che lo porta al contatto con una misteriosa sostanza extraterrestre. A sua insaputa, si ritroverà coinvolto in una serie di eventi che lo porteranno a dover salvare il mondo da un'enorme minaccia.
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quella mattina Aren fece fatica a svegliarsi, disturbato da un dolore immenso, diffuso in ogni parte del corpo. Si alzò e tentò di stirarsi, rinunciando però a causa dell’enorme quantità di acido lattico nei muscoli.

- Dormire sul jet è stata una pessima idea… - disse, tastandosi le spalle e sbadigliando.

Si guardò allo specchio: aveva i capelli spettinati e gli occhi ancora socchiusi.
Come ogni mattina, il suo sguardo cadeva sul tatuaggio sul suo fianco: un drago che con le sue spire si faceva spazio fra le diverse cicatrici che macchiavano il corpo del ragazzo. Ripensò a quando se lo era fatto tatuare, aveva tredici anni allora, fu la sua richiesta per il compleanno.
Il compleanno, una cosa stupida, pensava, priva di senso.
Quello fu l’unico regalo che chiese in tutta la sua vita, solo perché lui aveva insistito per regalargli qualcosa. Nonostante l’età, la richiesta non aveva suscitato nessuna reazione nell’uomo. Quell’aspetto di lui dava fastidio ad Aren, non riusciva mai a capire cosa stesse pensando, cosa volesse fare, cosa stesse provando. La persona che lo aveva salvato era rimasta lo sconosciuto che si presentò di fronte a lui quel giorno, un libro chiuso, con un titolo aperto, dalle mille possibili interpretazioni.
Il ragazzo riprese subito coscienza, riemergendo dai suoi pensieri. Mosse il collo, sentendolo scrocchiare rumorosamente. Rabbrividì.
Indosso una delle sue felpe, del suo colore preferito: nero. Aren amava il nero, affascinato da come i colori, così vivi e luminosi, potessero unirsi in un qualcosa di così scuro, omogeneo, perfetto.
Si diresse verso l’infermeria del plesso, bussando poi alla porta del suo medico personale.

- Permesso… - disse, entrando.

- Aren, ragazzo mio, buongiorno. – rispose l’uomo col camice – Cosa posso fare per te? – chiese poi, alzandosi dalla scrivania.

- La missione di ieri mi ha fatto a pezzi, ho il corpo bloccato.

- Fammi vedere… - disse, tastando i vari muscoli del torace del ragazzo. – Già, è tutto rigido. Cosa hai fatto?

- L’impossibile, non saprei spiegarglielo…

- Dovresti andarci più leggero, ragazzo mio. È vero che sei addestrato per resistere a qualsiasi cosa, ma comunque al tuo corpo sforzarsi troppo non fa bene.

- Cosa può fare?

- Per adesso posso solo consigliarti un bagno caldo, inoltre dovresti stare a riposo per un paio di giorni. - Aren fece una smorfia.

- Lo dico per il tuo bene, ti stai massacrando. Dovresti calmarti un po’ e riposare.

- Va bene… se non ho altra scelta, mi tocca ascoltarla…

- A proposito di stare meglio, Diana si è svegliata.

- Davvero?!

- Sì, ora è fuori pericolo, ma deve rimanere assolutamente ferma. Il suo corpo è ridotto male.

- Posso andare da lei?

- Sì, ma non trattenerti troppo, ha bisogno di tutto il riposo possibile.

- Grazie, Signor Hammer.

- Figurati, ragazzo. Ci tengo alla tua salute. – disse, sorridendo, mentre si passò la mano sulla corta e ben curata barba.

Prima di uscire dallo studio, Aren rimase qualche secondo a osservare quella piccola camera: l’arredamento aveva un ché di rustico ma delicato, rendeva accogliente quel posto, facendo riaffiorare nella mente del ragazzo i ricordi delle prime volte che ci aveva messo piede. Le pareti erano decorate con curiosi dipinti antichi, probabilmente risalenti al Diciannovesimo Secolo, il Signor Hammer ne era appassionato. In quel caldo ambiente l’unica cosa gelida era la foto della famiglia del dottore, posta in una piccola cornice sulla scrivania. La moglie e la figlia erano morte in un incidente, lasciandolo solo. Nonostante Hammer avesse perso tutto, Aren non aveva mai visto alcun cenno di tristezza sul suo viso, solo un gran sorriso. Il ragazzo stimava il dottore, ammirava il come riuscisse a farsi scivolare addosso una tragedia come la sua, rimanendo solido come una roccia.

- Tutto bene, ragazzo?

- Uh? S-sì, oggi sono un po’ distratto. Sarà la stanchezza.

- Riposati, mi raccomando.

- Sissignore, arrivederci. – disse Aren, uscendo e chiudendo dietro di sé la porta di quel piccolo e rilassante studio.

Il ragazzo era impaziente, insolito da parte sua, ma quando si trattava di Diana era come se diventasse un’altra persona.
Precipitoso, corse verso la stanza della donna, ignorando il dolore che gli stava consumando le gambe. Aprì lentamente la porta, tornando immediatamente pacato come era suo solito essere.

- Permesso, disturbo?

- Aren… entra pure…

- Come ti senti? – chiese, sorridendo.

- Come se mi fosse crollato il mondo addosso… è un miracolo che io sia ancora viva…

- Riesci a ricordare cos’è successo? – chiese, avvicinandosi e sedendosi accanto al letto.

- Ho la mente un po’ annebbiata, ma ricordo che a un certo punto sono stata scaraventata via da quel ragazzino…

- Steinberg?

- Sì, ma non mi ha toccata… qualcosa è uscito dalle sue braccia… come… una forza… non so spiegare…

- Non sforzarti, il Signor Hammer ha detto che devi riposare il più possibile.

- È meglio non contraddirlo allora… - sorrise.

- Già… - ricambiò lui, sorridendo a sua volta.

Diana rimase a fissarlo per qualche attimo.

- Sei così carino quando sorridi, dovresti farlo più spesso. - Aren arrossì.

- N-non mi viene naturale…

- Mi sento fortunata allora. – rispose, facendosi scappare una risata. – Ahia… - gemette poi, disturbata dal dolore nel torace.

- Ehi, tutto bene?

- Sì, non dovrei ridere troppo, ho il torace ancora rotto…

- Forse è meglio se ti lascio riposare, dovrei farlo anche io…

- Hai esagerato in missione, vero?

- Non ho avuto scelta…

- A volte dovrebbe capire che anche tu hai dei limiti…

- Va bene così, ho solo faticato più del solito.

- Vieni qua. – disse, facendogli cenno di prenderle la mano. – Non strafare, ricordati che sei un ragazzo, non una macchina.

Aren si limitò ad annuire, sforzando un leggero sorriso.

- Adesso è meglio che vada, ti vengo a trovare stasera, se non starai dormendo.

- Va bene.

- A dopo allora. – disse con un sorriso più naturale in viso.

- A dopo. – ricambiò lei.

Diana era l’unica persona in grado di penetrare lo spesso strato di ghiaccio che copriva il carattere di Aren. Come lui, era stata salvata dal comandante dell’Ægis, aveva solo dieci anni allora. Aveva conosciuto quel gelido bambino pochi anni dopo, si ricordava ancora la prima volte che lo vide: lui sedeva sulla poltrona del dottor Hammer, raffreddato, con i piedi viola e il corpo pieno di lividi. Ricordava di come si era avvicinata a lui, pervasa da un’enorme curiosità e uno strano senso di colpa. Un attimo dopo era diventata come la sua sorella maggiore, si era affezionata a lui.
Dall’altra parte, Aren si era completamente infatuato di quella ragazza stupenda, lei, che lo aveva accolto come fosse la sorella che non aveva mai avuto. Il suo sguardo cambiava quando lei ne era il bersaglio: da gelido ed ermetico qual era di solito, diveniva ammaliato e luminoso. Col tempo anche lei aveva cominciato a provare dei sentimenti verso Aren, desiderando sempre più di poterlo avere solo per sé, ma entrambi avevano deciso di mantenere il loro rapporto così com’era, per non compromettere il loro lavoro. Si amavano, ma erano devoti alla causa che gli aveva rimessi al mondo.
Aren passò davanti allo spogliatoio, notando Drake sul punto di uscire.
Drake era un’altra delle poche persone che riuscivano a cambiare il modo di essere del castano: in sua presenza diventava più spiritoso, accentuando il suo quasi inesistente senso dell’umorismo. Drake Whitman era un uomo di colore, originario di Detroit. Era un militare in congedo che si era unito all’Ægis dopo aver perso tutto quello che aveva, una volta tornato dal servizio in Medio Oriente. I due avevano uno strano rapporto, sembravano quasi due fratelli litigiosi, ma molto legati fra loro. Fra i due correva rispetto reciproco e molta competizione, tuttavia nei combattimenti d’allenamento era sempre il ragazzo ad avere la meglio.

- Stai andando a recuperare quel ragazzo? – chiese Aren, appoggiandosi al muro.

- Sì, spero solo che non opponga resistenza, non ho voglia di alzare le mani su un ragazzino.

- Contro di me ci combatti però, e le prendi anche.

- Tu sei un animale, non sei un ragazzino manco per il cazzo.

- Beh, buona fortuna allora.

- Grazie, principessa.

- Vaffanculo. – sbuffò, andandosene.
 
 
Queen City, periferia del Distretto Ovest, un’ora più tardi.
 
Clint era uscito di casa prima del solito, fermandosi nel piccolo parco lungo la via per la scuola.
Si era seduto sulla sua solita panchina, rollandosi e accendendosi una sigaretta, tirando poi a pieni polmoni. Sbuffò la sporca nube di fumo, senza curarsi degli sguardi schifati degli anziani che lo giudicavano dalla distanza.
Non gl’importava di quello che la gente pensasse di lui, aveva sedici anni e fumava. Chi non lo conosceva, sosteneva che fumasse soltanto per rendersi figo agl’occhi dei coetanei, sopraffatto da un complesso di inferiorità. La realtà, tuttavia, era completamente diversa: Clint aveva trovato nella dipendenza da nicotina una via di fuga, un piccolo angolo buio in cui rintanare il suo animo martoriato dalla sua stessa esistenza.
Pensava spesso a sua madre e a come lui potesse essere un peso per lei che da sola, lo aveva dovuto crescere nelle peggiori condizioni. Lei era la persona a lui più cara, nonostante il rapporto litigioso che avevano. Clint avrebbe fatto di tutto per aiutare la madre. Lui, che col suo carattere si faceva odiare da tutti. Lui, che sentiva il bisogno di sfogare la sua frustrazione su chi, come lui, aveva mostrato un punto debole.

Tirò una, due volte ancora, prima di gettare il mozzicone nel piccolo tracciato di ghiaia. Buttò un occhio sul suo cellulare, controllando l’ora.

- Che due coglioni… - disse, sbuffando e alzandosi dalla panchina.

Si guardò attorno, immerso in quell’ambiente tranquillo, guardò le madri che vegliavano sui pargoletti mentre giocavano spensierati sulle giostre, guardò il volto di quei bambini, volto che non ebbe mai l’occasione di apparire su di lui. Provava sentimenti che non conosceva, ne era infastidito, spaventato, geloso.
Strinse i denti, aumentando il passo e abbandonando quel luogo che da pacifico com’era, si era tramutato nel parco giochi dei suoi demoni che lentamente, gli stavano facendo venire la nausea. Il cuore aveva iniziato a palpitargli, sentiva mancare il respiro. A un certo punto si sentì costretto a sputare per terra, per liberarsi dalla morsa della tensione. Decise di fermarsi a prendere fiato, appoggiandosi a un muretto di mattoni.

- Questa zona mi ricorda molto Detroit… - una voce richiamò la sua attenzione, spaventandolo.

Il ragazzo alzò lo sguardo, vedendo un uomo di colore, appoggiato al muretto di fronte.

- Queen City è una città stupenda, piena di occasioni, possibilità, piena di sbocchi verso il futuro… - continuò l’uomo.

- Ti sei guardato intorno? – rispose sgarbatamente Clint.

- Sì… e quello che vedo è un’altra periferia malfamata, culla della feccia… - a quelle parole, Clint volse uno sguardo infastidito verso l’uomo – Feccia, come me, come noi. – concluse l’uomo.

- Chi sei, non ho tempo da perdere con le stronzate. Se vuoi soldi sei nel posto sbagliato.

- Non sono qui per soldi. Il mio capo mi ha gentilmente chiesto di portarti da lui.

- Che cazzo stai dicendo? Capo?! Con chi stai, Chris? Manuel? Non devo soldi a nessuno, cosa vuoi da me?!

- Calmati, non faccio parte di nessuna banda da due soldi di questo quartiere. Il mio capo ha chiesto appositamente di te.

- Chi cazzo sei?

- Mi chiamo Drake, non sono molto bravo a parole quindi ti prego di seguirmi senza fare storie.

- Ti rendi conto di quello che stai dicendo, cazzo? Perché non te ne vai a fanculo e mi lasci in pace?!

- Clint… giusto? Hai un bel caratterino del cazzo, sai? Sei fortunato che abbiano mandato me e non Aren, lui ti avrebbe già spaccato il culo.

- Che cazzo vuoi?! – gridò, avvicinandosi con fare minaccioso, non curante della mole dell’interlocutore. Nella tasca teneva un tirapugni, rubato a una gang rivale qualche mese prima.

- Cristo… - sbuffò l’uomo, bloccando il braccio di Clint e atterrandolo cercando di contenere la sua forza. – Ti potresti calmare, per piacere? – chiese poi, facendo pressione con un ginocchio sulla schiena del ragazzo.

- C-cosa vuoi da m-me…? – chiese a fatica, mezzo terrorizzato.

- Devo portarti dal mio capo, tutto qui. Non volevo ricorrere a questo metodo ma sei stato tu a rendere le cose complicate…

- P-perché io…?

- Non lo so, io eseguo solamente gli ordini. Allora, fai il bravo e mi segui o devo portarti di forza?

- V-va bene… - disse, fingendo di essersi rassegnato.

- Che fatica… prossima volta faccio a cambio col ragazzino… - sbuffò, mollando la presa e girandosi di spalle.

Drake corse contro il muretto di fronte a sé, usandolo poi come appoggio per compiere un salto all’indietro e atterrare di fronte a Clint, che nel frattempo aveva provato a scappare verso la strada principale. L’uomo prese il ragazzino per il collo, sorridendo amaramente.

- La mamma non ti ha insegnato a non dire le bugie? – chiese, sbuffando.

- L-lasciami… - tentò di gridare il ragazzo, prima di perdere conoscenza a causa del soffocamento.
 
Base Ægis, diverse ore dopo.
 
Clint sentiva la testa pesante, il corpo gli si era intorpidito e il duro freddo del pavimento lo aveva fatto tornare in sé. Di colpo si ricordò cos’era successo, alzandosi di scatto da terra e guardandosi spaesato attorno.

- D-dove sono?! – gridò, sperando che qualcuno potesse sentirlo.

- Calmati, ragazzo. – quella voce gli era familiare.

- Tu! Cosa cazzo mi hai fatto?! – sbraitò, premendosi il collo, ancora dolorante.

- Ti ho fatto fare la nanna, hai dormito per quasi sei ore, sai?

- Dove ci troviamo?

- Sei nella nostra base. Ora, se hai intenzione di darti una mossa il mio capo vorrebbe vederti.

- Poi mi lascerete in pace?

- Dipende da come vi accorderete tu e il capo.

- Portami da lui.

Drake scortò il biondo fino all’ultimo piano, conducendolo nell’ufficio del comandante. Subito, Clint era stato catturato dall’enorme stendardo e dallo stemma di quell’organizzazione, mettendolo in soggezione. Una volta entrato, Drake chiuse la porta alle sue spalle, lasciando il ragazzo solo nell’ufficio.
Clint poté notare un altro ragazzo, castano, probabilmente un suo coetaneo, seduto a terra, sotto uno dei due enormi acquari. Il ragazzo lo stava fissando, con due iridi che gli ricordavano quelle di un lupo: fredde e silenziose. Di fronte a lui, dall’enorme sedia in pelle dietro alla scrivania, si alzò un uomo. Era alto, stretto in un elegante completo bianco, portava i capelli corti, pettinati con una cura quasi eccessiva e una barba tagliata fine. Le sue iridi, più glaciali di quelle del ragazzo seduto per terra, parevano quasi bianche. Due biglie fredde che lo stavano studiando.
Clint non riusciva a dire una parola, bloccato da un inspiegabile senso di terrore trasmesso da quell’uomo.

- Clint Mills… benvenuto. Perdonaci per averti condotto qui con modi così poco ortodossi, ma ahimè Drake non è una persona dall’eccessivo tatto… - nonostante il tono pacato dell’uomo, il terrore nel ragazzo non accennava ad andarsene.

- Vorrei farti una domanda, Clint. Che cos’è per te il potere?

- I-Il potere…?! – chiese, balbettando confuso. – I-Il potere è q-qualcosa che distingue i deboli dai forti… almeno credo.

- Esattamente. Il potere è ciò che eleva chi lo possiede al di sopra di chi ne è privo. Il potere non è equo, il potere discrimina, ma questo non è un male. Nel mondo esistono fin troppe persone che fanno un uso sbagliato del proprio potere.

- C-cosa vuole d-da me?

- Al mondo ci sono diversi tipi di persone: chi nasce col potere e chi nasce senza, chi lo trova e chi non ha la possibilità di trovarlo. Tu, Clint, sei nato senza il potere, così come tua madre. Lei non ha avuto il potere di evitare la vostra situazione, tu non hai avuto il potere per uscirne, ma questo perché non avete avuto alcuna possibilità di trovare questo potere.

- Come fa a sapere di me e mia madre?!

- Mi piace scavare nel passato delle persone, mi permette di aiutarle più facilmente.

- La tua vita non ti piace, mi sbaglio?

- …Eh? – il ragazzo fissò le iridi gelide dell’uomo.

- Provi invidia per chi è messo meglio di te, per chi ha la possibilità di eccellere, di brillare, mentre tu rimani oscurato dalla tua stessa ombra.

- Dove vuole arrivare?

- Roy Steinberg… - gli occhi del ragazzo brillarono per un istante quasi impercepibile, infiammati da un odio incontenibile. Alla vista di quello sguardo, l’uomo sorrise.

- Roy Steinberg, ti ha umiliato vero? Lo detesti. Lui ha tutto, tutto quello che tu non riusciresti mai ad avere. Ebbene, Roy Steinberg è un elemento a noi indispensabile. Tu sei nato senza potere, io sono la possibilità che hai di ottenerlo. Ti serve il potere per aiutare tua madre, ti serve il potere per ripristinare il tuo orgoglio. Eccomi, sono qua.

- Se Lei mi promette che potrò strangolare Steinberg con le mie stesse mani, potrà fare di me ciò che vuole. – l’uomo sogghignò.

- Steinberg ci serve vivo, una volta che avremo finito con lui, sarà tuo. Tutto tuo.

- Posso sapere il suo nome?

- Chiamami Schwarz.

- Signor Schwarz, accetto la sua offerta.

- Drake ti accompagnerà in un luogo, domani fatti trovare lì alle dieci del mattino.

- Sissignore.

- Ti anticiperò una parte del compenso, so quanto tu ne abbia bisogno.

- D-di quanto parliamo?

- In tutto due milioni, ti suona bene?

- A-Assolutamente… - al ragazzo mancò il respiro, mai aveva potuto vedere una somma del genere e ancor meno poterla pensare sua.

- Cosa dovrò fare per Lei? – chiese poi.

- Dovrai testare una nuova tecnologia e questa tecnologia sarà la fonte del tuo potere. Mi porterai Roy Steinberg e diventerai uno dei miei uomini.

- Sissignore.

- Ti aspettiamo domani, mi raccomando sii puntuale.

- Lo sarò, Signore.
 
Clint fece per uscire dalla porta, prima di incrociare nuovamente lo sguardo del ragazzo seduto a terra.
Era cambiato da quando era entrato in quella sala, in quelle pupille celesti ora non riscontrava più ostilità, ma solo indifferenza. Quello sguardo lo mise a disagio, facendogli accelerare il passo.

Drake lo accompagnò fino al luogo indicato da Schwarz, scortandolo a bordo di una jeep dai vetri oscurati.

- Non possiamo rivelarti dove si trova la base, è una questione di rischio, nulla di personale, ragazzo.

- Non c’è problema, comprendo questa decisione.

- Sei sveglio ragazzino, fai poche domande e sembri ubbidiente… se solo prima non avessi fatto tutte quelle storie…

- Ti chiedo scusa… la situazione era abbastanza surreale… ero spaventato…

- Dovrei essere io a chiederti scusa, non sono molto bravo a rapportarmi con la gente… Eccoci arrivati, scendi pure dalla macchina.

Clint scese dalla jeep, trovandosi in un parcheggio poco lontano da casa sua. Lo aveva riconosciuto, qualche mese prima era stato luogo di una rissa fra la sua gang e un’altra gang del quartiere.

- Ti aspetto qui alle dieci di domani, stesso posto, stessa macchina.

- D’accordo.

L’uomo risalì nel bolide, lasciando il parcheggio e Clint, lì da solo. Il ragazzo guardò l’ora: erano le quattro del pomeriggio.

- Fanculo alla scuola… ora finalmente posso dare una mano alla mamma… e poi… Steinberg… - strinse i pugni, sorridendo e correndo poi verso casa.
 
 
Il giorno dopo, ore 10:00.
 
Clint si fece trovare nel luogo prestabilito, spaccando il secondo. Sulla jeep trovò il ragazzo del giorno prima, seduto di fronte a lui, che col suo solito sguardo freddo lo fissava in silenzio.

- Mi chiamo Aren, il comandante mi ha detto di sorvegliarti durante i test.

- Io sono Clint… piacere… - disse, porgendogli la mano, ma venendo ignorato.

- Devi perdonarlo, Aren ha un caratterino un po’ del cazzo. - disse Drake, ghignando. Aren non rispose.

In poco tempo la macchina raggiunse uno degli stabilimenti di ricerca segreti dell’Ægis. Drake, Aren e Clint si diressero verso uno dei laboratori principali, lì li attendeva una equipe di ricercatori, medici e tecnici, radunati attorno a un tavolo per le operazioni chirurgiche e diversi macchinari.

- Quando mi avete parlato di nuova tecnologia… pensavo a qualcosa di più sobrio… - disse spaventato Clint, facendo due passi indietro.

- Non ti preoccupare ragazzo, dobbiamo solo inserire una nanotecnologia nel tuo corpo, ti migliorerà le capacità motorie e la forza fisica.

- Inserirmi qualcosa nel corpo?

- Sono una specie di cellule artificiali, si fonderanno con le tue senza farti sentire nulla.

- D-D ’accordo… cosa devo fare?

- Semplicemente togliti la maglia e sdraiati sul lettino a pancia in giù, ti sederemo e ti inietteremo le cellule nel midollo.

- V-Va bene…

- Potresti sentire un leggero fastidio al tuo risveglio, ma non avere paura, non ti succederà nulla.

- Ok… - rispose perplesso, levandosi la maglia e sdraiandosi sul lettino.

Il sedativo fece effetto in un paio di minuti, facendolo sprofondare in un pesante sonno. La troupe attaccò degli elettrodi al corpo del ragazzo e preparò i macchinari, dopo aver controllato che tutti i parametri vitali fossero stabili. Con l’ausilio di un braccio meccanico, calibrato per inserire l’ago nel punto esatto del corpo di Clint, iniettarono il materiale biotecnologico nel midollo del ragazzo.
Dopo tre ore, Clint aprì gli occhi, trovandosi sdraiato su una brandina all’angolo del laboratorio. Di fronte a lui, Aren e Schwarz lo stavano guardando riprendere coscienza.

- L’operazione è andata a buon fine, come ti senti ragazzo? – chiese l’uomo.

- Mi sento normale… solo ho un leggero dolore alla schiena…

- È normale, il midollo è una parte delicata del corpo. – disse uno dei dottori.

- Per piacere, Clint, potresti venire qua un secondo? – chiese un altro ricercatore.

L’uomo diede in mano al ragazzo una tiara tecnologica e un paio di bracciali da mettere attorno ai polsi e alle caviglie.

- Indossa questi, per favore. – chiese al ragazzo. Lui eseguì.

Uno dei tecnici portò una lastra di titanio spessa dieci centimetri, montata su un piedistallo.

- Per favore, quando ti diamo il segnale, colpisci con un pugno la lastra.

- Ma che cazzo sta dicendo? È mezzo scemo per caso? - esclamò confuso, girandosi a guardare Drake e Aren.

- Clint, per piacere, ascolta i nostri tecnici.

- Ma è una lastra di metallo… mi sfonderò il polso…

- Non succederà. Ora mettiti in posizione, per piacere. – Clint eseguì e si mise di fronte alla lastra.

- B.M.M.D pronto all’attivazione. Attivato.

- Clint, prego.

Il ragazzo fece un profondo respiro e sferrò un pugno verso la lastra. Nell’istante prima dell’impatto, sentì il bracciò contrarsi e le ossa muoversi. Una volta colpita, la lastra venne frantumata con una forza devastante, scaraventando i frammenti ovunque nella stanza.

- Porca puttana...! - Clint cadde all’indietro,  imprecando spaventato per quello che aveva appena fatto.

Aren rimase in silenzio, stupito da quello che aveva potuto vedere. Schwarz si avvicinò al biondo, lentamente, sorridendo.


- Questo è solo un assaggio di quello che puoi fare adesso. Benvenuto nell’Ægis, Clint Mills.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Doppiakappa