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Autore: Feisty Pants    29/03/2022    1 recensioni
In una scuola americana, lontana dalla Spagna e dalla storia dei Dalì, i figli degli ex rapinatori vivono la propria adolescenza con spensieratezza, gioia ed energia, senza sapere di avere, come genitori, i ladri più geniali della storia. La vita trascorre normalmente per i Dalì, ormai intenti a lavorare e a seguire una routine che li entusiasma, ma la tranquillità non durerà per sempre: presto la verità verrà a galla, portando con sé rischi e pericoli.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bogotà, Il professore, Nairobi, Rio, Tokyo
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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CAPITOLO 18

“Ok ci siamo, il navigatore indica di entrare in questa strada” spiega Cecilia, puntando il dito su un percorso costeggiato da alberi e prati incontaminati.

Ma è normale che sia tutto così… abbandonato?” chiede Ramon guardandosi intorno, notando distese erbose, foreste e colline abitate solo da qualche pecora.

“Un museo su dei delinquenti mica lo potevano fare in città no?” prova a farlo ragionare Dimitri, mettendosi gli occhiali da sole per ripararsi dal calore del pomeriggio.

“Che cosa diciamo se ci chiedono qualcosa?” si intromette Nieves, dopo cinque minuti di camminata su sassi e rami scricchiolanti.

“Perché mai dovrebbero farlo? Le nostre identità non sono da camuffare! Alla fine nessuno sa i veri nomi dei nostri genitori” afferma Cecilia perfettamente a suo agio intravedendo, tra i cespugli, la figura di una grande casa in mattoni rossi dall’aspetto trasandato.

“E questo dovrebbe essere un museo?” critica Dimitri facendo una smorfia nei confronti della catapecchia.

“Ricordi quanto detto da Andres? Il luogo è stato costruito per similare il casale di Toledo dove i nostri hanno studiato tutto” risponde Ramon facendo un passo avanti per squadrare dei cartelli visibili in lontananza.

“Dai andiamo, seguiamo la fila” comunica Cecilia, invitando gli amici a mettersi in coda di alcune persone che attendevano fuori dal portone d’ingresso.

Il luogo, anche se all’esterno logoro, si dimostrava ben organizzato. All’ingresso erano presenti delle guide turistiche vestite elegantemente, degli uomini della sicurezza, igienizzanti, biglietti, brochures, gadget, metal detector e nastri per far scorrere e controllare le borse. Una classica atmosfera da museo che permette ai giovani di abbandonare le preoccupazioni e fiondarsi nel proprio passato.

“Tutto ok! Buona permanenza ragazzi! Al primo piano potrete trovare tutti i documenti riguardanti la strategia del professore. Al secondo le testimonianze degli ostaggi, le indagini della polizia e qualche informazione riguardante ciò che si conosce dei Dalì. Sempre al secondo piano troverete una zona al momento inagibile perché in fase di miglioramento” inizia a spiegare la donna che riconsegna zaini ed effetti personali ai giovani.

“Mi dispiace che sia chiusa proprio quella sezione riguardante le supposizioni che sono state fatte sulla vera identità dei Dalì. Come sapete nessuno conosce i loro veri nomi! Pare, però, che siano stati trovati documenti e testimonianze che gli esperti stanno ancora valutando” aggiunge la guida, mettendo così la pulce nell’orecchio a quei piccoli ribelli che avrebbero cercato di accedere ugualmente all’area riservata.

Da un certo punto di vista, l’idea riguardante la vera identità dei Dalì spaventa i giovani. Se il mondo collegasse i nomi di città a dei volti, le loro famiglie sarebbero state costrette a scappare.

Senza farsi ulteriori domande, i ragazzi ringraziano cordialmente e cominciano a setacciare il museo. Dimitri e Ramon si fermano immediatamente al primo piano, dando un’occhiata ai disegni e alle strategie utilizzate dal professore. L’ingegno del papà di Andres sconvolge i due ragazzi che, entusiasti, commentano insieme tutti i reperti ricevendo spesso le occhiatacce degli altri visitatori presenti. Cecilia e Nieves, invece, salgono le scale intenzionate a raggiungere il secondo piano. Una grande sala con un vecchio tavolo, bottiglie vuote e moltissimi articoli di giornale appesi alle pareti, si palesa agli occhi delle due fanciulle. Nella sala erano presenti solo altri tre ospiti che, incuriositi dalle vicende, leggevano le inscrizioni silenziosamente.

Cecilia si sofferma davanti alla fotografia di una donna alta con qualche ciocca di capelli neri visibile attraverso la maschera di Dalì. Nessuno avrebbe potuto riconoscerla, se non il sangue del suo sangue. Cecilia, infatti, si appresta a leggere le dichiarazioni degli ostaggi, dopo aver sorriso alla figura mascherata della madre.

“Lì dentro ci trattavano bene. Ci portavano cibo, acqua, medicinali e ci accompagnavano in bagno quando necessario. Non hanno ucciso ma il terrore era alle stelle”

“La migliore di tutti era sicuramente la signorina Nairobi. Era una donna carismatica, forte e coraggiosa che ci incitava a stampare quante più banconote possibili. Lei non si limitava a stare lì e guardare, era una grande lavoratrice e si sporcava le mani quanto noi. Quella donna doveva avere qualcosa di geniale perché riusciva a valutare qualsiasi tipologia di soldi e non commetteva errori!”

Questa alcune delle dichiarazioni riportate dagli ostaggi e Cecilia, frastornata da quanto appreso, distoglie lo sguardo dall’immagine di sua madre vedendo, anche dai racconti riportati, una persona con tempra solida a seguito di una vita infelice e sofferente.

“Avrei voluto che me ne parlasse sai… di tutti i suoi dolori, di quel figlio di cui non ha saputo più nulla e…” comincia a dire Cecilia, convinta di avere vicino la migliore amica che, invece, scompare alla sua vista.

Cecilia si guarda attorno spaventata ma di Nieves neanche l’ombra.

“Nieves?” la chiama Cecilia a bassa voce, sperando di non attirare l’attenzione dei presenti che stavano tornando al primo piano. Ancora qualche secondo di silenzio ed ecco una figura incappucciata correre fuori dal corridoio vietato.

Cecilia sobbalza dallo spavento per poi identificare Nieves nello sconosciuto.

“Ma sei matta? Che cosa stai facendo?” sussurra Cecilia stringendo i denti per non farsi sentire.

“Ho trovato un faldone con le vere storie dei nostri genitori. Lo dobbiamo portare via di qui!” spiega Nieves guardandosi intorno, confermando la non presenza di telecamere e tirando un sospiro di sollievo. La mancanza di videocamere, però, le fa corrugare la fronte e una domanda le inizia a ronzare nella testa:

“Possibile che in un piano ricco di contenuti sensibili come questi non ci siano telecamere?”

La domanda era più che lecita e, forse, se Nieves ci avesse ragionato sopra maggiormente, avrebbe potuto comprendere la trappola senza via di uscita nella quale si erano cacciati. La priorità di Nieves, però, si concentra sul fascicolo nascosto nello zaino con il solo desiderio di leggerne il contenuto al più presto.

Chiamati a sé gli altri due compagni, il gruppo si appresta a lasciare il luogo con fare calmo, in modo da non destare sospetti. L’attenzione e l’interesse di tutti ora era focalizzato sui dati personali dei genitori.

Felici di aver passato il metal detector senza particolari intoppi, i ragazzi iniziano a correre il più velocemente possibile diretti all’appartamento dove, da lì a qualche ora, avrebbero conosciuto la storia dei propri genitori.

L’appartamento appare grande e spazioso ma nessuno dei presenti sembra interessato a valutarne la comodità. Dimitri butta la propria borsa per terra, chiude a chiave la casa e controlla dalle finestre di non essere osservati. Cecilia, che lamentava il bisogno di andare in bagno, sembra dimenticarsi del fastidio e concentrare l’attenzione sul faldone nello zaino di Nieves.
La piccola Cortes, infatti, si inginocchia davanti alla borsa ed estrae un grande fascicolo disordinato contenente fotografie, ritagli di giornale e molti altri documenti.

“Dovremo pensare a che cavolo fare poi… si accorgeranno che manca il contenuto più importante per dare visibilità al loro museo!” afferma Cecilia preoccupata, sentendosi il fiato sul collo.

“Ora direi di leggere… poi vedremo” le risponde Ramon con gli occhi fissi sui fogli che Nieves stava staccando e porgendo loro. La ragazza, infatti, aveva trovato una sorta di curriculum dedicato a ogni membro della banda e aveva appena posto la storia di Nairobi e Bogotà tra le mani dei gemelli. Anche Dimitri riceve dei documenti riguardanti Palermo, Helsinki e un uomo sconosciuto chiamato Oslo che era cugino di suo padre.

Nieves, dopo aver diviso equamente il materiale, si chiude in una piccola stanza dell’appartamento e si appresta a leggere tutto. Il cuore le batteva all’impazzata e un forte desiderio di vendetta e rivalsa sulla propria famiglia la agitava profondamente.

Gli occhi di Nieves scorrono sui dati sensibili dei suoi genitori ma un forte senso di tristezza pare prevalere dentro di lei. Già dalle prime righe, la ragazza entra a conoscenza dei genitori di suo padre, di tutta la vicenda “Rayo”, del ricatto avvenuto alla televisione e molto altro ancora. Nieves vede alcune fotografie riguardanti il suo papà molto più giovane, obbligato a imbracciare un fucile per salvare la vita ai propri compagni.

La vicenda che la smuove in particolare, però, appartiene a Silene. I documenti di Tokyo sembrano pugnalarle l’anima, motivo per cui la ragazza porta una mano sulla bocca, scioccata da alcune scritte e immagini che le si palesano di fronte.

Nieves vede la fotografia di un ragazzo morto, mitragliato e grondante di sangue abbandonato per terra e di sua madre sdraiata piangente su quel corpo inerme. È così che Nieves scopre l’identità di René: quell’uomo che sua madre aveva amato con tutta l’anima e per il quale si era fatta chiamare Tokyo.

Nieves viene così a conoscenza del fatto che la sua famiglia e gli amici erano semplicemente dei ladri e che i veri assassini erano stati poliziotti e Stato. La polizia aveva ucciso il nonno di Andres, il fratello di Sergio e il fidanzato di sua madre.

Nieves legge poi di un’altra tragedia riguardante la mamma di Silene. La mamma di Tokyo era stata minacciata dalla polizia, tenuta sotto stretta sorveglianza e la donna, per salvarsi, cercava di convincere la figlia a tornare a casa e consegnarsi. Silene era disposta ad ascoltare la madre, quando il professore le salvò la vita invitandola a salire su una macchina e unirsi al suo piano.

Un po’ di tempo dopo giunge la notizia della morte di sua madre, una donna che le voleva molto bene e che Tokyo aveva creduto corrotta. La donna, in realtà, non aveva mai smesso di coprire la figlia e Silene non aveva nemmeno potuto salutarla.

Nieves legge poi dell’amore che la madre nutriva per i compagni, in modo particolare per Nairobi alla quale aveva effettuato anche un intervento chirurgico molto pericoloso. Tokyo era considerata una scapestrata, ribelle e irregolare, ma con un grande senso etico e un desiderio irrefrenabile di vivere.

Nieves lascia scorrere le lacrime, mentre legge l’ultimo documento ritraente la fotografia di una porta bianca disegnata in un bagno. Una porta magica che sua madre le aveva invitato di aprire una sola volta nella vita, quando avrebbe creduto che la paura fosse stata troppo grande da sopportare. Una porta che Tokyo aveva regalato a Rio, una porta che non aveva mai aperto perché sempre più coraggiosa e forte delle avversità.

Nieves lascia cadere a terra i documenti, portandosi le mani tra i capelli e singhiozzando amaramente. Mai si sarebbe immaginata di entrare in contatto con una storia simile e, soprattutto, di essere la figlia di due ragazzi che avevano veramente perso tutto: le famiglie, l’amore, la vita. Nieves si batte il petto in segno di pentimento, triste nell’aver sempre giudicato sua madre e per averla profondamente odiata quando, invece, lei aveva fatto di tutto per risollevarla.

Nieves lascia correre la propria mente che, frenetica e irrefrenabile, comincia a viaggiare nei ricordi mostrandole tutti i momenti in cui la madre era stata presente per lei. Un flashback particolare, però, pare attirare la sua attenzione e rivelarle un dettaglio del suo passato che aveva dimenticato.

Alcuni anni prima…

“Signori Cortes” li chiama un dottore uscendo dalla sala operatoria. Anibal, Silene e Agata sono ancora fuori nel corridoio, in attesa di conoscere le sorti della loro bambina. Il viso di Silene, in modo particolare, appare invecchiato di molti anni, colmo di occhiaie, rughe e gonfiori che incorniciano il terrore vivente di una madre che teme di perdere il proprio gioiello più grande.

“L’operazione è riuscita! La bambina sta bene!” annuncia immediatamente il chirurgo con le lacrime agli occhi, emozionato per il risultato e per il sollievo che può donare ai familiari.

Silene, finalmente, riesce a eliminare una piccola parte di tensione sprofondando tra le braccia di Rio che la stringe a sé in un abbraccio d’amore meraviglioso.

“Hai visto amore mio? È tutto ok, è tutto ok!” commenta il ragazzo piangendo, baciando sulla guancia la moglie che si copre gli occhi colmi di lacrime.

Agata osserva la scena commossa, felice nel vedere così uniti due cari amici che, di fronte a una sofferenza tale, riescono a sopportare insieme le avversità.

“Devo proprio dirvelo: quella bambina è una forza della natura. C’è stato un momento in cui abbiamo dovuto rianimarla, stava perdendo sangue e pareva non esserci più niente da fare. Non sappiamo come, ma lei è come se avesse utilizzato tutte le proprie forze per restare viva e permetterci di continuare l’operazione. Avete una figlia meravigliosa… tenetevela stretta!” si congratula il primario sorridente, stringendo la cuffietta per capelli utilizzata durante l’intervento.

“Sa, dottore, quella bambina è il simbolo della resilienza… proprio come i suoi genitori. È la degna cugina di un bambino che conosco bene” si aggiunge Nairobi, con un peso in meno sul cuore.

La frase dell’amica colpisce particolarmente Tokyo che, ancora emozionata, rivolge le braccia anche ad Agata.

“Non so cosa farei senza di te” le sussurra Silene all’orecchio, stringendola forte a sé.

“Ce lo siamo promesse per sempre… Jarana Hermana!” risponde Agata con un filo di voce, accarezzando i capelli scuri della ribelle e asciugandole le guance dalle lacrime.

Il momento seguente vede Silene dentro la sala operatoria, pronta a palesarsi non appena vede gli occhi della figlia riprendersi. Nieves, frastornata e completamente fasciata, fatica ad alzare le palpebre appesantite e cerca di guardarsi intorno contestualizzando il luogo.

Una profonda sensazione di panico prende vita dentro di lei. Nieves sente il corpo inerme, debole e un forte dolore al petto pare pugnalarla costantemente.

“Mamma…mamma” piagnucola preoccupata la piccina, spaventata anche dal suono delle macchine che indicano l’accelerazione del suo cuore.

“Shhh, amore sono qui! Tranquilla!” le sussurra subito Tokyo, sedendole accanto e accarezzandole la guancia.

La mano di Nieves prende istintivamente quella della madre e se la preme con forza sul volto, come a volerla implorare di non andarsene.

“Sono qui! Sono qui!” continua a dire Tokyo con una tranquillità e uno sguardo d’amore capaci di placare lo spavento della bambina.

“Che cosa mi è successo?” si esprime a fatica Nieves, sperando di poter ricevere dell’acqua per lenire la secchezza della gola.

Silene risponde alla domanda con una risata soffocata, cercando di dare pace alla piccola.

“Hai avuto una malattia e ti hanno fatto un intervento. Ora ti sentirai strana perché una parte di te è stata tolta per permetterti di stare bene” sospira Silene, accarezzando anche la mano attraversata da flebo della figlia.

Ad aiutarla in quella difficile rivelazione giunge anche Anibal, seduto subito dall’altra parte del letto.

“Ciao papà” saluta Nieves, rivolgendo lo sguardo al suo grande compagno di giochi.

“Ma ora sono guarita, vero?” chiede ancora la bambina, avvertendo il petto bruciare a causa degli innumerevoli punti.

I genitori si guardano titubanti sapendo di doverle la verità.

“Sai… i medici hanno detto che sei stata fortissima! Avevi una malattia davvero brutta che ti stava portando via da noi. Tu hai lottato per restare aggrappata alla vita e il peggio è passato!” comunica Anibal rompendo il ghiaccio.

“Ora, però, dovrai combattere ancora per fare in modo che quel brutto cattivo non torni più. Magari non ti sentirai molto bene e farai fatica, ma poi passerà tutto!” lo completa Silene, cercando la coesione con il marito.

Nieves prova a deglutire comprendendo, anche se a sei anni, di dover superare qualcosa di più grande di lei. Il cuore della bambina torna ad accelerare e la poca saliva a disposizione non riesce a idratarle la gola in fiamme. La testa le gira, il dolore al petto la blocca nel letto e l’intorpidimento dovuto all’anestesia la intontiscono. Una cosa riesce a capire alla perfezione: il fatto di trovarsi lontana da casa, dagli amici, dai giocattoli e dai sorrisi era qualcosa di anormale per una della sua età.

“Io ho tanta paura…” dice la piccina con labbro tremante, segno di un pianto incombente.

È allora che Tokyo compie un gesto indelebile. Afferrato un pennarello che in genere i dottori usavano per scrivere sulle provette, disegna sul muro l’immagine di una porta.

Nieves si stupisce di quel gesto così trasgressivo e si chiede anche il perché del sorriso di papà.

“Mamma, non andrà più via dal muro!” la rimprovera la bambina stessa, eticamente corretta.

“Meglio… così potrà aiutare tutte le persone che entreranno in questa stanza” risponde Silene chiudendo il pennarello e facendo spallucce, mostrando alla bambina una piccola parte di quella Tokyo ancora nascosta.

“Questa porta ti permetterà di scappare. Quando la paura sarà troppo grande, potrai aprirla e tutto finirà. Presta attenzione però… perché questa porta magica può aprirsi solo una volta. Se sbagli non potrai più tornare indietro” le spiega Silene, facendo venire le lacrime agli occhi al marito che ricorda il medesimo gesto vissuto all’interno della Zecca.

Nieves, da quel giorno, cominciò la sua battaglia per annientare il cancro e, nonostante tutto, la porta non l’aprì mai perché sua madre non la lasciò sola nemmeno per un istante.

Il ricordo della porta scuote Nieves nel profondo la quale comprende la sofferenza della madre e di come, proprio quella porta, fosse stata aperta da Silene una volta conosciuto il destino della figlia.

Nieves capisce di essere tutto per sua madre e che lei non avrebbe mai tollerato di perderla. Tokyo aveva perso sua madre, l’amore della sua vita e con Rio era riuscita a ricucire il proprio cuore.

Quel cuore che, una volta guarito, si strappò completamente a causa della malattia della figlia.

Nieves improvvisamente si sente uno schifo e una morsa allo stomaco le fa desiderare di correre a casa e fiondarsi tra le braccia della madre.

“Non ti ho aiutata ad affrontare la paura… scusami Mamma!” sussurra lei a bassa voce, per poi sfogarsi nuovamente in un pianto disperato.

Nieves trascorre in solitudine i successivi minuti finché Cecilia non si siede accanto a lei.

Silenziosamente la figlia della gitana apre i fogli di Rio e Tokyo, conoscendo anche le loro identità, senza però sconvolgersi.

“Tutto ok?” le domanda poi, capendo la ragione del malessere di Nieves.

“Ora sì. Ho scoperto tutto! Mia mamma ha davvero sofferto e io l’ho lasciata sola” spiega Nieves, asciugandosi gli occhi con le maniche della felpa.

“E ora che cosa vuoi fare?” le chiede Cecilia, all’apparenza triste e amareggiata.

“Voglio tornare a casa. Dirle tutto! Domani porteremo il faldone al suo posto e partiremo… io sicuramente lo desidero, ma se voi volete restare qui va benissimo” ragiona Nieves, guardando di profilo l’amica intenta a rimuoversi nervosamente una pellicina dall’unghia.

“Che c’è? Stai male?” afferma poi Nieves, invitando l’amica a rivolgerle lo sguardo.

“Il passato di mamma è bruttissimo. Io e Ramon abbiamo scoperto della sua famiglia impegnata in attività illecite, del suo padrigno che riempiva di liquori suo figlio per farlo smettere di piangere, del traffico di droga…” si apre finalmente Cecilia, deglutendo per riuscire ad andare oltre.

“Questo bambino… questo Axel… le è stato tolto ingiustamente! Dopo aver scontato il carcere l’hanno fatto sparire e nessuna giurisdizione al mondo può separare in questo modo un figlio dalla madre! Mi sento così arrabbiata! Arrabbiata contro il sistema!” continua Cecilia digrignando i denti e stringendo i pugni.

“Quale sistema?” chiede Nieves confusa, sapendo di conoscere a breve le sofferenze della migliore amica.

“Con la cultura, con gli stati, con la razionalità, con i pregiudizi! I nostri genitori volevano solo libertà, riscatto e degli inutili pezzi di carta! Sì, perché alla fine i soldi sono degli schifosi pezzi di carta che hanno da sempre lacerato l’uomo! Le guerre nascono per motivi economici, da desideri di potere e di sovrastarsi uni gli altri! A me tutto questo sta stretto… perché non mi sento rappresentata…” dichiara Cecilia, pronta a sganciare la bomba.

“Ti sei mai chiesta il perché dei corsi che seguivo a scuola? Il perché dei pomeriggi in cui mi isolavo? Il perché della mia lotta per i diritti e per la tutela dell’ambiente? Ecco… io sono diversa Nieves e la mia diversità non tutti ancora l’accettano” conclude la figlia della gitana, rimanendo sul vago.

“E di quale diversità stai parlando?” la interroga Nieves aggrottando le sopracciglia per il dubbio.

La risposta non tarda ad arrivare perché Cecilia, improvvisamente, si getta in avanti verso la migliore amica e la bacia sulla bocca. Nieves inizialmente rimane impietrita, con gli occhi spalancati, sentendo la morbidezza delle labbra di Cecilia che la invitano ad approfondire. Le bocche si aprono di più e anche le lingue si accarezzano per qualche istante, finché Nieves non si stacca dal bacio pulendosi la bocca con il dorso della mano.

“Aspetta, ma che cazzo fai?!” chiede Nieves confusa, scuotendo la testa per il gesto compiuto.

Cecilia, di fronte alla reazione, scoppia a ridere senza vergogna.

“Ora hai capito una delle mie diversità? Io sono lesbica Ninì…” dichiara Cecilia, guardando l’altra in volto.

“Ti giuro che ora l’ho capito!” scherza Nieves, finendo per scoppiare entrambe in una fragorosa risata.

“Perché hai baciato me?” domanda poi Nieves, sperando di non essere la fiamma della migliore amica.

“Per provare e per farti capire che siamo solo immersi in stereotipi. Sia chiaro Ninì, io non sono innamorata di te. Resterai per sempre la mia migliore amica e mia sorella, ma volevo farti vivere sulla pelle quello che sento io” chiarisce Cecilia, convinta e orgogliosa del proprio atto di libertà che fa meditare Nieves.

“Sei una donna forte Ceci… vedo tanto di tua mamma in te! Io ti accetto, ti rispetto e per me non cambia nulla. Sono anche sicura, con tutto il mio cuore, che la tua famiglia ti accoglierà a braccia aperte perché non sei diversa! Sei Cecilia!” la rassicura Nieves, felice di quel momento così intenso che aveva permesso a entrambe di conoscere la propria identità.

Le amiche sanciscono il dialogo con un abbraccio stretto e significativo. Le due trascorrono qualche minuto in silenzio, riconoscendosi ancora una volta compagne di viaggio, finché Nieves non balza in piedi con un sorriso smagliante.

“Che cosa fai ora?” le dice Cecilia titubante.

“Devo andare a fare una cosa. Mi accompagni? Ci metteremo poco” propone Nieves offrendole una mano per alzarsi.

“Basta che non mi chiedi di andare di nuovo al museo o fare qualcosa di illegale” mette le mani avanti Cecilia, preoccupata dai colpi di testa dell’altra.

“No… voglio fare una cosa super legale e super bella” le risponde Nieves con serietà, facendo capire all’altra di essere finalmente cambiata.

Cecilia afferra la mano dell’altra e si mette in piedi, disposta a seguirla in quel mistero.

“E comunque ora ho capito… ma evitiamo di limonarci ancora, ok?” cambia discorso Nieves, intenzionata ad alleggerire la situazione. Le due scoppiano nuovamente a ridere e si dirigono fuori, a respirare aria di una momentanea libertà.
  
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