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Autore: eddiefrancesco    30/03/2022    0 recensioni
L'umore di Christopher Marchnet è cupo come le nuvole nere che sovrastano la sua residenza.
Eppure quando un lampo illumina una damigella in difficoltà, lui si comporta da gentiluomo.
Per Kit comincia così un eccitante avventura insieme alla misteriosa Hero Ingram, alla ricerca di un libro scomparso da oltre un secolo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Solo Hero sapeva cosa c'era nel pacco e quello era il suo asso nella manica. E così, invece del timore dal quale avrebbe potuto a buon diritto lasciarsi sopraffare, provò una fredda collera verso l'inetto usurpatore che avrebbe potuto rovinare la sua unica occasione di conquistarsi la libertà. Hero lo guardò con freddezza. «Non ve ne verrà niente di buono» affermò sottovoce. «Raven non si fida di voi. Sa quanto siete avido ed egoista.» Gli occhietti di Erasmus lasciarono trapelare un odio profondo. «Ebbene, allora siamo della stessa pasta. E voi? Non so neppure chi siete veramente. Non ho mai capito perché siete sempre stata la prescelta mentre ero io quello che si faceva in quattro per compiacerlo, rinunciando persino al mio nome per prendere il suo. Raven e io abbiamo lo stesso sangue nelle vene. Ma voi?» Hero non reagì alla provocazione. E neppure si soffermo' a pensare a Kit, lontano soltanto pochi passi, che di sicuro stava ascoltando con la massima attenzione il loro dialogo. Si concentrò invece sulle capacità che sapeva di possedere e sull'esperienza che le aveva tanto spesso fornito un vantaggio sugli antagonisti, mentre Erasmus... Come al solito lui si stava lasciando guidare dalle emozioni invece che dalla razionalità e quello era uno dei motivi per cui Raven non gli aveva mai affidato gli incarichi più delicati. «Lo sanno tutti che non siete sua parente e che vi comprò, né più né meno come gli oggetti della sua collezione. Anche se, nel vostro caso, la spesa fu assai più modesta.» Hero si mantenne impassibile, come se lui stesse parlando del tempo e non di una realtà così drammatica. Erasmus non poteva conoscere tutta la storia, si disse. Perlomeno, non ne conosceva il capitolo più penoso. «Dove vi trovò, eh?» chiese Erasmus avvicinandosi di un passo, i lineamenti affilati distorti da anni di delusioni, invidia e soprusi. «Ho frugato dappertutto, libri e corrispondenza personale di Raven, eppure non ho trovato niente. Questo dimostra che il vostro valore è pari a zero.» Fece ancora un passo. Ormai era così vicino che Hero vedeva le goccioline di saliva sulle sue labbra. «Vi trovò in mezzo alla strada? Una mendicante? Una ladruncola?» Sorrise. «No, non credo. C'è solo un posto dove può aver comprato una come voi, a poco prezzo. E questo posto è un bordello, dove vostra madre era una sgualdrina che vendeva il suo miserabile corpo.» Erasmus la guardava tanto fissamente da dimenticarsi di Kit e dei due uomini che aveva assoldato, i quali assistevano con gli occhi sgranati a quella singola conversazione. Alla parola sgualdrina, Kit si gettò in avanti. Colse Erasmus così di sorpresa che questi, più basso di lui, cadde a terra sotto l'impeto del suo assalto, mentre Hero conficcava il gomito nello stomaco dell'uomo che le teneva la pistola puntata alla schiena. Il terzo li prese di mira con la sua arma, e al rumore di uno sparo, Hero si lasciò cadere sul pavimento. «Fermo, idiota! Volete uccidere me?» L'uomo che aveva tenuto sotto tiro Hero strillo' infuriato contro il compagno. Il proiettile era finito chissà dove, ma lo sparo avrebbe attirato l'attenzione. Hero approfittò del suo panico per precipitarsi a spalancare la finestra, felice di aver scelto una stanza che dava su una bassa tettoia. Con una giravolta, si accuccio' e sfilò dallo stivale la propria arma, decisa a tenere a distanza il suo assalitore. L'uomo era però impegnato ad aiutare il suo compagno che stava lottando con Kit. Erasmus, invece, era disteso sul pavimento; il suo livore era scomparso e ora guardava la scena con gli occhi dilatati dalla paura. Ignorandolo, Hero prese una sedia e la usò per colpire con forza alla schiena l'uomo più basso. Questi cadde con un grugnito e lei fu svelta ad afferrare la pistola che era finita a terra. «Ah!» Il grido di dolore proruppe dalla bocca del compagno più alto mentre anche la sua pistola cadeva sul pavimento. L'uomo si teneva stretto un braccio, dove una macchia rossa si allargava sulla manica. In un baleno Kit corse alla finestra e asciugo' la lama insanguinata del suo pugnale sulla tenda. «Dove lo tenevate?» gli chiese Hero. «Nello stivale.» Lei gli lanciò un'occhiata stupita. «E dire che siete un semplice agricoltore.» Uno scalpiccio nel corridoio li avviso' che stava per arrivare qualcuno, richiamato dallo sparo. I due giovani salirono sul davanzale. Non c'era tempo per recuperare le loro cose, solo per un'ultima occhiata alla stanza, dove i due scagnozzi giacevano doloranti sul pavimento. La porta che dava sul corridoio era aperta. Erasmus si era dileguato. Tenendosi curvi, più che camminare scivolarono sulla tettoia sdrucciolevole che copriva l'ingresso della cucina. Kit saltò agilmente a terra e si voltò per prendere Hero. Ancora una volta lei si sentì grata per la sua forza tranquilla. Purtroppo non ebbe il tempo di assaporarla, perché lui la trascino' verso le scuderie e da lì raggiunsero la strada. Quando finalmente furono su un marciapiede affollato, Kit rallento' il passo per non farsi notare, tuttavia Hero dovette ugualmente affrettarsi per non essere distanziata. Aveva la mente in tumulto e non riusciva a decidere dove andare, perché sembrava che ovunque ci fosse qualcuno che la teneva d'occhio. Sentiva l'urgenza di affrontare Raven, ma non voleva presentarsi davanti a lui così travestita. E i suoi abiti femminili erano rimasti alla locanda. Tutto ad un tratto ebbe la sensazione di essere uscita sconfitta dalla battaglia, ammaccata e ferita dalle implicazioni dell'intervento di Erasmus. Senza il Mallory, la sua posizione, già precaria, sarebbe stata resa ancora più difficile dall'odio di Erasmus. Come se Raven li avesse messi uno contro l'altra in una lotta senza fine per conquistare il suo favore. Era così assorta in quei deprimenti pensieri che sbatte' appena le palpebre quando Kit la infilò quasi a forza in una vettura di piazza. Si accosto' al conducente per pronunciare un indirizzo a bassa voce e quando ebbe finito salì a sua volta e si sedette di fianco a lei. «Dove andiamo?» indago' Hero. «In un posto sicuro.» Kit le diede un colpetto sul braccio. Fino a non molto tempo prima, lei avrebbe accolto quelle parole con sospetto, ora invece appoggiò la testa contro lo schienale e chiuse gli occhi, troppo sfinita per protestare. I pensieri si inseguivano in un folle girotondo nella sua testa, ma la mancanza di riposo e il calore del corpo di Kit vicino al suo le indussero uno stato di sonnolenza che proseguì fino a quando la carrozza si arrestò e Kit l'aiuto a scendere. Hero si guardò intorno, senza aveva la minima idea di dove si trovassero. Lui la fece entrare in un negozio che attraversarono per poi uscire dalla porta sul retro, percorsero un'altra strada e bussarono alla porta di una bella casa. Kit sussurro' qualche parola al domestico venuto ad aprire e furono fatti accomodare in un accogliente salotto dove pochi istanti dopo entrò un giovanotto piuttosto attraente che Kit le presentò come Charles Armstrong. «Kit, amico mio! Che piacere rivedervi!» fu la cordiale accoglienza del padrone di casa. Era biondo tanto quanto Kit era bruno e sembrava possedesse la medesima affabilità. «Quante volte vi ho invitato a venirmi a trovare qui in città? Ma adesso che siete diventato un proprietario terriero immagino che non abbiate tempo per la mondanità.» Hero per poco non scoppiò a ridere, perché Kit era l'unico individuo di sua conoscenza che contemporaneamente possedeva una vasta conoscenza letteraria, andava in giro con un coltello infilato in uno stivale ed era in grado di sopraffare due delinquenti alla volta. Eppure il suo aspetto non differiva da quello dell'elegante Charles Armstrong, nonostante in quel momento Kit fosse un po' più scarmigliato dell'amico. Possedeva un'eleganza disinvolta e una tranquilla padronanza di sé che potevano ingannare riguardo alla sua natura, giacché la forza interiore e i molteplici talenti rendevano Christopher Marchant un uomo davvero formidabile. Anzi, decisamente pericoloso. Pervasa da un'improvvisa ondata di emozioni, degluti' con forza prima di concentrarsi sul dialogo tra i due uomini. «E come sta la vostra deliziosa sorella?» stava chiedendo Armstrong, con un tono pigro che tradiva qualcosa di più di un ozioso interesse. «È fidanzata e sposerà presto il nostro vecchio vicino, che ora è diventato il Visconte Hawthorne.» «Oh, questa è... una buona notizia, naturalmente. Vi prego di riferirle che le auguro di cuore ogni felicità.» «A dire il vero, speravo di poter approfittare di questo nostro incontro per farle avere un breve messaggio. Vi prego di perdonarmi se mi sono presentato così a casa vostra senza avvisarvi prima, ma abbiamo avuto qualche... seccatura qui in città» spiegò Kit. Prese da parte il padrone di casa e i due si immersero in una conversazione appena sussurrata e punteggiata di esclamazione da parte di Armstrong e di occhiate furtive verso di lei. Di nuovo Hero pensò che un tempo avrebbe diffidato di ciò che non poteva udire, ma Kit sembrava avere tutto perfettamente sotto controllo mentre lei sentiva di aver raggiunto e forse superato i propri limiti, fisici e mentali. Quando ebbero finito di parlare, una cordiale ed efficiente governante li condusse al piano di sopra e mostrò a Hero una deliziosa camera da letto prima di accompagnare Kit in un'altra. Per un lungo istante la giovane donna rimase immobile a osservare la stanza luminosa e allegra, con le tappezzerie fiorite e i mobili leggeri e raffinati. La luce entrava a fiotti dalle ampie finestre e velate da tende di garza ed Hero pensò che forse avrebbe dovuto tirarle, ma le mancava il coraggio. Kit busso' alla porta ed entrò e di colpo Hero non si sentì più stanca, bensì spaventata. Aveva sperato di poter uscire alla chetichella dalla vita di lui, ma le accuse di Erasmus avevano reso impossibile quella soluzione indolore. Era venuto il momento della verità, pensò, con il cuore in tumulto e le tempie pulsanti. Sarebbe voluta fuggire, ma era impossibile, quindi prese a camminare per la stanza, ammirando la brocca e il catino di fine porcellana e tutte le piccole comodità che un perfetto sconosciuto aveva messo generosamente a sua disposizione. «Ho spiegato ad Armstrong che siete sotto mentite spoglie» esordì Kit. Senza tante cerimonie, si lasciò cadere su una sedia imbottita. «Ha chiesto a una cameriera di portarvi dei vestiti di sua sorella. Nel caso vogliate cambiarvi.» Hero soffoco' una risata. Adesso che erano nel mondo di Kit, si accorgeva delle proprie lacune. Una bizzarra giovane donna, con indosso degli abiti da ragazzo, in una casa come quella era fuori posto. Sarebbe stato il caso di... «Volete che gli diamo un'occhiata?» Per un istante lei lo fissò senza capire. Di che cosa diamine stava parlando? E poi rise quando si accorse di quanto i suoi pensieri fossero distanti dall'obiettivo della sua missione. Sembrava impossibile, eppure si era completamente dimenticata del Mallory, la cosa più importante della sua vita. O perlomeno così si disse. Hero si sbottono' la giubba e sfilò il pacchetto dalla tasca interna. «Non è il vero libro» spiegò a Kit. «Ho fatto preparare un facsimile.» «Che cosa?!» «Proprio così» Hero prese a camminare per la stanza. «Raven ha sempre messo in dubbio l'autenticità dei libri di Laytham e io ho puntato su questo.» A quel punto non c'era più motivo di misurare le parole. «Ho usato il ricatto per convincere Laytham ad assemblare un volume che, almeno a un primo esame, ingannera' Raven.» «Una mossa molto astuta» commento' Kit. Hero lo guardò sorpresa, ma sul suo viso non lesse la disapprovazione che si sarebbe aspettata. Appoggiò il pacco sul tavolino, di fianco alla sedia di lui. «Vedremo» disse semplicemente. Il successo del suo piano era tutto da dimostrare. Raven era molto intelligente e lei non sapeva di preciso cosa contenesse il pacco. Cominciò ad armeggiare con lo spago, le dita incerte, finché Kit non prese il coltello dallo stivale e lo tagliò di netto. Hero cominciò a tremare mentre spostava la carta per scoprire il contenuto del pacco. Un libro. Hero tirò un sospiro di sollievo. La rilegatura era antica, doveva risalire ad almeno un secolo prima, e il titolo a malapena leggibile. Che fosse un caso o una mossa deliberata, era comunque un tocco di classe, pensò picchiettando sulla copertina con la punta dell'indice. Le pagine interne erano altrettanto antiche, come osservò Kit che si era messo dietro di lei. «Che ne pensate? A me sembra autentico» le disse. «Non lo è, credetemi» ribatte' lei. «Altrimenti Laytham non se ne sarebbe mai separato.» Un colpo alla porta la fece trasalire ed Hero avvolse in fretta il volume nella carta mentre una vivace cameriera entrava nella stanza con le braccia cariche di vestiti. «Mr. Armstrong ha detto che vi servivano degli indumenti... signori» annunciò la ragazza. «Sì. Grazie» rispose Kit. La cameriera depose il fardello. «E vi porterò anche un vassoio con qualcosa da mangiare. Desiderate qualcos'altro?» «Un bagno?» suggerì Kit. «Subito, signore.» Con un cenno del capo, la cameriera uscì dalla stanza e chiuse la porta. Un bagno. Abiti puliti. Del buon cibo, non come quello delle locande. Pensare ai piaceri che Kit apprezzava tanto consentì a Hero di rimandare l'inevitabile. Almeno per un poco. Riavvolse con cura il libro nella carta da pacco e lo ripose in fondo a un capiente armadio, di fianco a un vaso da notte che non avrebbe mai usato, così come non avrebbe mai dormito nel grazioso letto. «Vostro zio si lascerà ingannare?» le domandò Kit. «Non chiamatelo così.» Le parole le sfuggirono prima che potesse trattenerle. Per un lungo istante Kit non disse nulla. «Non crederete alla storia che quel miserabile di vostro cugino ha cercato di darvi a bere? Veleno puro, ne sono sicuro, sputato da un poveraccio roso dalla gelosia.» «No» mormorò Hero. «La verità è perfino peggio di quanto crediate.» Si girò a guardarlo. Kit si era seduto di nuovo sulla sedia imbottita ed era così a proprio agio in quell'ambiente raffinato ed elegante che lei si sentì un'intrusa. Quello che era in realtà. «Raven mi ha comprato in un manicomio. Mia madre era pazza.» Chiuse gli occhi per un istante, cercando di farsi forza, ma l'orrore e il biasimo che si era aspettata di leggere nell'espressione di Kit non apparvero. Al contrario, lui si limitò a scuotere la testa. «Non ci credo. In base a quello che mi avete raccontato di Raven, questo è proprio il genere di storia che deve essersi inventato per spaventarvi e tenervi legata a sé.» Fece una pausa e la guardò dritto negli occhi. «Forse lui è vostro padre.» Una teoria che le causò un brivido, perché anche in quel caso lei sarebbe stata la figlia di un malato di mente. Forse di due malati di mente. Al tempo stesso, non riusciva proprio a immaginare Raven in atteggiamento intimo con... con chiunque. Hero scosse la testa. «Non riesco a credere che Raven abbia potuto generare un figlio con qualcuno. Nel modo più assoluto.» «Neanche in un impeto di passione?» «La passione che Raven può provare non è del genere che porta alla nascita di un bambino.» «Glielo avete mai chiesto?» Hero rise, ma senza allegria. «Mettere in dubbio la sua parola? Voi non capite. Con lui i dialoghi consistono in allusioni e misteriose trame, mentre le contestazioni vengono accolte da un silenzio gelido.» Kit inarco' le sopracciglia scure, come se lei gli avesse appena dato ragione. «Se lui parla per indovinelli ed è noto per i suoi intrighi, come potete credere a quello che vi ha raccontato sulla vostra origine?» Perché Raven godeva nel ricordargliele, alludendo subdolamente alla pazzia che con il passare del tempo avrebbe distrutto anche la sua mente. Kit la incalzo', vedendo che non rispondeva. «E perché sarebbe dovuto andare a cercare dei bambini da adottare proprio in un manicomio? È assurdo.» «Immagino che ne volesse uno che nessun altro sarebbe andato a reclamare, sconosciuto, senza legami. E che gli sarebbe stato grato...» «Avrebbe potuto farlo in qualsiasi strada, senza spendere tempo e denaro per qualcuno che avrebbe potuto non rivelarsi né utile né riconoscente.» «Forse l'idea gli piaceva» riflette' Hero. «Di sicuro si sposa perfettamente con il suo amore per i drammi gotici. Si sarebbe servito di me finché non fossi impazzita, dopodiché mi avrebbe rinchiusa nella torre di Raven Hill, dove i miei gemiti e le mie grida avrebbero fornito un pregevole contributo all'atmosfera del castello» concluse, rabbrividendo al solo pensiero della fine che avrebbe potuto toccarle in sorte.
   
 
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