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Autore: _etriet_    30/03/2022    0 recensioni
La vita è fatta di morali, di discorsi silenziosi che si imparano e si fanno man mano che si vive, un po' a gesti, un po' a parole, e poi un po' con tutti e due.
Come una scalinata fatta in silenzio, in cui i gradini appena fatti si cancellano autodistruggendosi dopo pochi secondi, e non rimane nient'altro se non la scelta di continuare, o rischiare di perdere l'equilibrio fermandosi.
Perché ad ogni passo avanti corrisponde uno sbilanciamento, fisico, morale e psicologico.
Veronica Lisi è sempre stata di idee chiare, ha sempre basato la propria vita su principi fondamentali, come quello che il passato non si cancella, si descrive, che il presente non va guardato, va vissuto, e che il futuro non deve essere sognato, ma costruito; mette tutta se stessa per portare avanti le cose al meglio.
La sua quotidianità, tuttavia, viene sconvolta nel giro di nemmeno un mese, e pur di vedere sua madre felice, cambia tutte le carte in tavola, prende, fa le valige e parte verso qualcosa a lei sconosciuto.
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Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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La luce del sole entrava come stanca dalle finestre, illuminava quello che le capitava davanti quasi per obbligo e lasciava tutti, comunque, in una piacevole penombra. Leonardo aveva ispirato pesantemente, le narici allargate per raccogliere nei polmoni quanta più aria possibile, stringendo gli occhi fra loro talmente forte da sentire dolore alle tempie e poi, lentamente, si era girato. Veronica, di fianco a lui, dormiva serenamente: il suo petto si alzava e abbassava in modo lento e regolare, la bocca, leggermente aperta, era schiacciata contro il cuscino che stavano condividendo e con le proprie stringeva una delle sue mani, come solo un bambino con il proprio peluche avrebbe mai potuto fare. Aveva sorriso di poco e si era sporto verso di lei per farle una carezza, togliendole alcune ciocche di capelli che le coprivano il volto e disegnando, con i polpastrelli, la linea della sua mandibola. Si era sistemato meglio, disteso su un fianco, e, dopo alcuni secondi in cui aveva chiuso gli occhi con lo scopo di riaddormentarsi, la mano che la ragazza stringeva a sé era stata tirata costringendolo a seguirla nei movimenti; si era ritrovato, così, nel giro di pochi secondi, ad abbracciare la ragazza da dietro, mentre gran parte del suo braccio destro serviva, evidentemente, aveva pensato ironico, come appiglio a Veronica. Aveva sospirato per poi far passare, delicatamente, il braccio sinistro sotto alla nuca di Veronica (tanto per non ritrovarselo formicolante di lì a pochi minuti). Leonardo aveva socchiuso gli occhi, godendosi del silenzio della stanza e del calore che lo circondava, puntando il proprio sguardo sulla curva morbida dell'incavo del collo della ragazza, lasciato scoperto per via della posizione; si era avvicinato, stringendo Veronica a sé, e aveva posato il mento su quel punto. Veronica poco dopo, quando ormai Leonardo stava per addormentarsi nuovamente, si era girata verso di lui e, nel mentre, stava cominciando ad aprire li occhi. Si erano guardati per alcuni secondi senza che nessuno si muovesse, istanti di tempo silenziosi che si erano prolungati quando, poi, Veronica gli aveva circondato un fianco con un braccio e Leonardo aveva cominciato a giocare con il tessuto della maglietta della ragazza, arricciandolo intorno alle dita e distendendolo di conseguenza. Si erano assopiti ancora, destreggiandosi in una dormiveglia calda, l'uno nei proprio sogni e, tal volta, l'una in quelli dell'altro.

Veronica si era mossa in avanti, le braccia quel poco aperte per far capire a Leonardo quali intenzioni avesse. L'aveva raggiunta a passo veloce, voltandosi totalmente verso di lei e compiendo quei due metri che li dividevano in modo fulmineo, a quel punto i polsi della ragazza erano stati totalmente inglobati nelle mani del ragazzo che, per facilitarsi, l'aveva sforzata a portare le braccia dietro la schiena.

«Fai tutto così alla leggera, vero?» «Volevo solo...» «Lo so.»

Leonardo le aveva soffiato in faccia, sbarazzino, cercando di toglierle quell'espressione da donna ferita che stava assumendo in quel momento. Non gli piaceva e lo faceva sentire come se stesse sbagliando in qualcosa. Con la mano destra aveva preso anche l'altro polso della ragazza, stringendoli di più e trovando, in modo momentaneo, un posizione che gli permettesse di tenerli bloccati entrambi con una sola mano. Si era tirato leggermente indietro, per quanto quella specie di abbraccio glielo permettesse, e con la mano libera aveva spostato una ciocca di capelli dal viso della ragazza. Era cresciti e il caschetto che aveva fatto ormai due mesi prima si era sfatto, trovando nuova forma in un taglio di media lunghezza. Non gli dispiaceva quella versione di lei, nemmeno lo entusiasmava che fosse chiaro, ma la preferiva di gran lunga con i capelli lunghi. Le immagini di quelle ciocche nero lucido che venivano tirate dalla sua mano, portandole il viso all'indietro mentre il suo intero corpo veniva spinto in avanti dalle scoccate secche che continuava ad infliggerle, il collo in tensione, traslucido per il sudore, e il busto piegato, quasi sollevato, poi le mani della ragazza che cercavano e arrivavano al suo di collo e la schiena di lei che gli si appoggiava interamente al petto, le gambe divaricate per lui e il fondo schiena schiacciato sul suo bacino avevano avuto il potere di regalargli scariche elettrice per tutto il corpo. Piccoli brividi avevano trovato spazio sulle sue braccia, poi sul suo petto, erano scesi fino alle cosce e infine erano risaliti al suo basso ventre e lì erano esplosi, espandendosi in vampate di calore tanto intense fa farlo tremare. Leonardo l'aveva stretta a sé, incurante della condizione in cui si trovava, il bisogno fisico di un contatto con lei stava andando oltre il sopportabile. Le aveva lasciato le mani, circondandole i fianchi con le braccia e avvicinandola a lui. Aveva appoggiato il viso sulla sua spalla, piegandosi quel tanto che era necessario. «Leo» Il ragazzo l'aveva guardata quasi incurante, in modo non sinceramente interessato, ma poi, quando i suoi occhi chiari si erano congiunti con quelli della ragazza, non aveva potuto fare a meno che guardarla. Gli occhi colorati di nero, per via del trucco, assumevano un espressione decisa, la loro lucidità e il calore che trasudavano però gli facevano apparire a istanti incerti, le labbra dischiuse, piene e quasi propense gridavano di essere guardate e baciate, le guance si stavano colorando di rosa. Aveva camminato in avanti, portando lei a farlo a ritroso e, quando l'aveva sentita sussultare per il contatto con le lenzuola fresche, l'aveva guardata intensamente, accarezzandole un fianco per chiederle il permesso. Quando lei aveva annuito l'aveva fatta distendere sul letto delicatamente, portandosi sopra di lei mentre le lasciava i polsi liberi, le mani ora possibilitate a toccarlo in qualsiasi momento volessero. L'aveva baciata, ancora e ancora e ancora, fino a perdere il conto di quante volte le loro labbra si erano scontrate e staccate per poi rincorrersi, alla ricerca di un contatto che era diventato estremamente importante, nuovo. Era sceso con i baci, guidato anche dalle mani di lei, morsicando leggermente, delicatamente, il suo collo in alcuni punti, le aveva tolto la giacca ed era sceso con la bocca, posando le labbra sopra ai suoi seni, morsicando più forte la pelle che sporgeva dalla canottiera e dal reggiseno, lasciando ben visibili i segni dei propri denti. L'aveva sentita gemere e, di conseguenza, aveva continuato, scendendo con le labbra fino alla vita, poi ai fianchi, di conseguenza alla cosce: in ognuno di questi spiccavano, di tanto in tanto, segni rossi e lucidi. La ragazza, quando ormai era arrivato all'altezza delle ginocchia, lo aveva attirato verso di sé, baciandolo ancora, ancorandosi a lui. Senza staccarsi da lei aveva fatto in modo che si mettessero meglio, in quanto erano distesi dalla parte corta del letto, quindi l'aveva sollevata leggermente  dalle cosce, le mani completamente aperte e posizionate  appena prima della cucitura della gonna, e, girandosi sulle ginocchia, le aveva fatto posare la nuca sul proprio cuscino. L'aveva guardata alla luce della penombra, fissando i propri occhi chiari nei suoi. Le aveva accarezzato il volto con una mano e lei, quando lui era arrivato alla sua guancia, gli aveva baciato il dorso della mano, accoccolando il viso e strusciando la pelle tiepida e lievemente rossa sulla sua più fredda. Le aveva sorriso, baciandole prima la fronte, poi gli zigomi, le guance, un angolo della bocca, di poco sollevato, e successivamente le labbra. 

Veronica aveva la pelle calda, talmente calda che al confronto con la sua lei sembrava avere la febbre, e più volte Leonardo si era chiesto se in quel momento non stesse realmente male. Poi, distolti gli occhi dalle sue labbra schiuse, l'aveva guardata negli occhi lucidi, scorgendo in quel mare solo emozioni positive. Si era stretto a lei, accarezzandole i fianchi e le spalle con le punte dei polpastrelli, sentendo immediatamente la reazione del suo corpo contro al suo: brividi avevano corso fino ai punti in cui la stava toccando, e, dopo di loro, la pelle d'oca si era fatta e mostrata prepotentemente. Aveva sorriso contro al suo collo quando le mani di lei si erano posate sulla sua schiena, l'aveva sentita passare delicatamente le unghie dalle sue scapole al suo collo, per poi infilarsi piano tra i suoi capelli, muovendosi lentamente sulla nuca, per poi fare il percorso inverso. Le sue mani, nel frattempo, si erano infilate piano nella canottiera che la ragazza stava portando e si erano posizionate appena sotto al suo seno, sfiorandolo di tanto in tanto con i pollici, lei, a quei tocchi, aveva azzardato mentre passava le unghie sulle sue spalle, intensificando di poco il tocco e lasciando leggere strisce rosse, parallele tra loro. Tutto intorno a loro era quasi completa oscurità e silenzio, niente, oltre i loro corpi che strusciavano e si scontravano fra loro, non ancora del tutto spogli dai vestiti, produceva rumore o emanava calore. La porta chiusa impediva a qualsiasi suono esterno di entrare: le urla, gli schiamazzi, la musica erano cose che non appartenevano a quell'ambiente. Perché non era momento per quelle cose, perché l'aria che aleggiava con loro era totalmente diversa dall'aria che respiravano tutti gli altri. Leonardo aveva chinato il viso posando le labbra sul collo niveo della ragazza, questa, colta di sorpresa, aveva sospirato tendendosi verso di lui, abbracciandolo e stringendosi al suo corpo. Il ragazzo aveva lasciato baci freddi, segni delebili su quella pelle pallida, fino alle sue labbra che, già aperte, avevano accolto prontamente il bacio che lui era intenzionato a darle fin dall'inizio. Si era tirato su sulle ginocchia aperte mentre inclinava il volto e si spingeva verso di lei, prendendole le natiche a mani aperte e portandola con sé, facendola sedere sul proprio bacino. Le aveva morso il labbro inferiore con i canini destri, tirandolo leggermente, prima di staccarsi completamente da lei e guardarla meglio alla luce fioca della luna che entrava attraverso la finestra. Un sorriso era nato il modo naturale sulle labbra di Leonardo quando l'aveva guardata, incantato, e il suo cuore aveva accelerato il proprio battito mentre, dolcemente, lei lo stringeva a sé, posando nuovamente le labbra sulle sue. A occhi socchiusi l'aveva sentita mugugnare, gemere silenziosamente, mentre approfondiva il bacio portandola a inarcarsi. Si erano mossi nello stesso momento poi: mentre lei gli toglieva definitivamente la camicia bianca, che ormai non serviva più a nulla, lui le alzava la canottiera verso l'altro, godendo della vista del suo seno coperto dall'intimo, ancora, poi, Leonardo aveva spostato le mani verso il basso, cercando alla cieca la cerniera laterale della gonna mentre Veronica slacciava velocemente la cintura e il bottone dei pantaloni, tirandoli poi verso il basso. Si erano spostati, distesi di nuovo sul letto, privati di tutto tranne dell'intimo. Leonardo aveva fatto scivolare le mani sulla schiena della ragazza, che, inarcandosi, lo aveva aiutato, cercando il gancetto del reggiseno per slacciarlo. Le aveva lasciato un bacio nell'incavo tra i seni mentre lo slacciava del tutto e lo faceva scivolare piano dalle sue spalle, sorridendole divertito quando aveva scorto la leggera scintilla di irritazione che aveva visto protagonisti i suoi occhi. Quando le posizioni si erano ribaltate e lei si era strusciata su di lui, rendendolo partecipe di quanto lo volesse, Leonardo aveva dovuto fare appello a tutto il proprio autocontrollo: una morsa stretta aveva circondato il suo cuore, raggelandolo in un attimo, rendendolo impotente davanti all'unica vera paura che aveva. Ma Veronica lo aveva capito, anche molto prima di lui, e gli aveva preso dolcemente le mani, portandosele ai fianchi, facendoglielo vedere, sentire, provare. Veronica gli aveva sorriso dolcemente, distendendosi su di lui, mantenendo la stretta sulle sue braccia, in modo che non smettessero di stringerla «Non mi farai del male amore, non sei lui.» La ragazza aveva intrecciato le mani con le sue e le aveva portate verso l'alto, fino alla parete, le aveva strette e, in contemporanea, lo aveva baciato, muovendo le proprie labbra su quelle di Leonardo che, lentamente, aveva cominciato a ricambiare. Aveva sentito le proprie mani essere lasciate e quelle di Veronica cominciare, lentamente, a scendere in concomitanza delle sue mani: dove prima passavano le labbra piene dopo passavano le mani calde, lasciando scie diverse, causandogli brividi più intensi. 

Leonardo, risvegliato dal susseguirsi infinito del suo nome pronunciato, si era svegliato intontito, disorientato da quel sogno, tanto che, prima di rendersi conto di dove era, con chi era e chi lo stava chiamando, aveva avuto per alcuni secondi la vista e l'udito completamente appannati, in un caso, e ottavati, nell'altro. Quando tutto era diventato più lucido aveva girato il volto verso Alessandro che, mezzo vestito, praticamente stava urlando il suo nome per svegliarlo. Il ragazzo aveva subito guardato alla propria sinistra, alla ricerca della ragazza, ma invece di trovare lei aveva trovato il posto affianco a lui vuoto e freddo. La testa, nel frattempo, aveva cominciato a duoliergli e un senso di disorientamento lo aveva colto in pieno, trascinandolo in quella che era l'abitudinarietà dei propri movimenti. Si era alzato passandosi una mano tra i capelli, senza ascoltare minimamente Alessandro o Damiano che gli parlavano, e, traballando leggermente, aveva recuperato alcuni vestiti per poi andare verso il bagno. Si era guardato allo specchio, leggermente confuso da quel senso che gli invadeva il corpo e, in un gesto automatico, dopo essersi spogliato, si era buttato in doccia. Più volte, sotto l'acqua calda, si era passato le mani sul viso, cercando di svegliarsi sul serio, pensando di essere ancora intontito dal sonno, strabuzzando gli occhi fino ad allargarli al massimo, ma niente era servito a togliergli quel senso di confusione che lo aveva circondato anche quando era uscito dalla doccia. Era come se fosse stato leggermente ubriaco, come se fosse ancora sveglio ad un'ora tarda della notte, come se avesse addosso solo due ore di sonno. Quella sensazione era alla stregua del trovarsi sott'acqua, mentre, lentamente, si scendeva verso gli abissi e niente aveva suono, le parole erano inutili perché non capibili, i gesti erano limitati dalla pressione e la vista appannata, tutto, intorno al proprio essere, sembrava essere tranquillo; risalire a galla a a quel punto avrebbe comportato la perdita di quel momento. Leonardo aveva preso un momento sotto l'acqua, l'attimo in cui quella gli colpiva i capelli risciacquandogli dallo shampoo, per rilassare il proprio corpo, per sciogliere la tensione nei muscoli. Poi, quando aveva riaperto gli occhi e una fitta alla testa lo aveva preso di sorpresa, aveva deciso di uscire dalla doccia. Si era vestito in bagno, circondato da vapore, indossando alla rinfusa i vestiti che si era preso dalla valigia: tralasciando l'intimo aveva preso dei jeans chiari, leggermente strappati, e un maglione leggero nero. Non che avesse molta importanza in ogni caso, comunque fosse uscito da quella stanza pochi avrebbero notato come era vestito e chi lo avrebbe notato sarebbe stato in silenzio, più perché non volevano una risposta sgraziata dalla controparte che altro. Tornato in camera aveva trovato Damiano disteso sul letto, completamente vestito, mentre Alessandro era già andato verso la sala da pranzo. Il suo amico lo aveva guardato senza dire nulla e Leonardo si era seduto sul proprio letto per mettersi le vans, aveva recuperato dalla valigia anche il proprio bomber nero, con le rifiniture sulla cerniera e sulle tasche catarifrangenti. Aveva guardato Damiano ancora una volta che, vedendolo pronto, si era alzato dal letto con uno slancio

«Tutto bene?» Leonardo lo aveva guardato mentre usciva dalla stanza, chiudendosi poi la porta alle spalle

«Sì. Perché?» 

Damiano lo aveva guardato sospirando mentre camminava in avanti, verso le scale che li avrebbe condotti al piano terra «Non lo so, è da quanto ti sei svegliato che sembri appena sceso dal The King.»

«Mh. -Il ragazzo biondo si era passato le mani sul viso mentre il suo amico lo guardava curioso, la testa leggermente inclinata- Non lo so, non mi interessa, magari mi serve solo fare colazione.»

Entrati nell'enorme sala Leonardo aveva fatto viaggiare lo sguardo su tutte le persone presenti, non che fossero molte, e, come se niente fosse, il suo sguardo, insieme al suo pensiero, si era andato a posizionare su un unica persona. Veronica se ne stava seduta con Giada e altre loro amiche a parlare, sorrideva, ogni tanto si portava danti alla bocca il krafen che, di poco in poco, stava finendo e, fatto un morso, si puliva dallo zucchero a velo che le rimaneva di residuo. Aveva sorriso con le sopracciglia leggermente sollevate, tuttavia, quando se ne erano reso conto, era tornato a fare la propria "poker face", dirigendosi verso il buffet. Si era preso una brioche all'albicocca, decisamente quella meno stomachevole per lui rispetto a quello che erano esposte, e una tacca di caffè. Damiano, che si era già preso, gli aveva fatto indicazione di seguirlo per dirigersi verso Alessandro. Mai lo avesse fatto. Non se ne era accorto mentre procedeva verso il suo amico, probabilmente perché non voleva notarlo, ma Caterina, Caterina Di Paolo, quella stessa ragazza che il giorno prima, a pochi minuti dalla partenza verso Verona, gli era stata attaccata come una cozza e di cui, da un anno, sapeva l'interesse nei propri confronti, era seduta di fronte ad Alessandro. Come ragazza, di aspetto fisico, non era brutta, ma di per sé la trovava una persona appiccicosa e per nulla conscia, di certo, di quanto fastidiosa potesse essere. O almeno: lui sperava non ne avesse la consapevolezza, perché se ne aveva, anche solo un minimo, ma continuava imperterrita allora era proprio il genere di persona che Leonardo avrebbe potuto odiare con tutto sé stesso. Quando si era seduto di fianco a lei, di conseguenza all'ordine imposto dalla sua professoressa di inglese, l'aveva guardata con la coda dell'occhio mentre prendeva il caffè e se lo portava alla bocca. Era riuscito a guardarla proprio nel mentre lei guardava lui, la ragazza aveva subito distolto lo sguardo trovando improvvisamente interessante la brioche che aveva davanti a sé. Nel corso dei successivi cinque minuti era riuscito a vedere almeno quattro delle volte il cui la ragazza aveva provato a girarsi verso di lui per dire qualcosa ma che, all'ultimo, si era sempre fermata. Riusciva a sentire, dentro di sé, una spiacevole sensazione cominciare a palesarsi e  a diffondersi universalmente in tutto il proprio corpo. Aveva guardato i propri amici in cerca di aiuto, un palese, affranto, estremo e disperato aiuto, loro però lo avevano guardato non capendo, perché solo Andrea sapeva. A lui aveva detto di Caterina in un disperato momento in cui la ragazza gli scriveva quasi ogni giorno su instagram. Alessandro aveva costretto Damiano ad accompagnarlo al buffet per prendere altro cibo e Leonardo, così, si era ritrovato da solo con lei.

«Bello il tempo fuori, vero?» Il ragazzo aveva leggermente allargato gli occhi mentre masticava l'ultimo pezzo della propria brioche.

«Sì, bellissimo.» Issimissimo, aveva pensato. La ragazza aveva ridacchiato con un risata tanto finta da fargli venire i brividi, nulla in paragone a quella da delfino di Veronica.

«Facciamo una passeggiata?»

«Le morti per assideramento non mi piacciono, grazie.» Caterina aveva riso ancora, portandosi una mano davanti alla bocca. Leonardo aveva alzato gli occhi al cielo, senza nemmeno cercare di nascondere la cosa.

«Non essere esagerato. -La ragazza gli aveva posato una mano sulla spalla e Leonardo, di rimando, si era allontanato, infastidito. Lei lo aveva guardato incrinando le sopracciglia, ma poi aveva ripreso- Se ti metti una giacca pesante non sentirai niente! O se ci stringiamo...»

Leonardo si era guardato attorno, individuando al buffet i propri amici, e si era alzato di scatto, facendo strisciare leggermente la sedia per terra.Alcune persone si era girate verso di lui e lui le aveva guardate male una ad una.

«Scusami, ma non mi interessa.» Il ragazzo si era diretto a passo spedito verso la tavola in cui era disposto il cibo, prima che lei potesse aggiungere altro o inventarsi qualcosa per farlo rimanere lì, con media velocità, aveva raggiunto Damiano e Alessandro che lo avevano guardato senza chiedergli niente.

Questa volta erano andati a sedersi vicino ai loro compagni di classe, anche se il ragazzo poteva giurare di riuscire a sentire ancora lo sguardo della ragazza addosso, come se la luce di un palcoscenico stesse illuminando solo lui e il teatro fosse pieno, colmo di persone. Si era guardato intorno, individuando Veronica alcuni posti più in là, l'aveva guardata, incapace di distogliere lo sguardo, e senza nemmeno rendersene conto si era perso ad osservarla: aveva sorriso al suo sorriso, provando una sensazione simile alla felicità nel vedere gli angoli della sua bocca all'insù, poi il suo sguardo era andato ai suoi occhi, luminosi come un intera costellazione, alle sue mani che gesticolavano, all'inclinazione del suo volto, alla posizione delle sopracciglia, ai capelli che si muovevano al ritmo dei suoi movimenti.

Aveva distolto lo sguardo Leonardo, scottato quasi, piccoli brividi si era sparsi sulle sue braccia, sulla sua schiena, le mani gli si erano gelate e la testa aveva preso a fargli di nuovo male. Veronica, inconsciamente, si era girata verso di lui proprio in quel momento, Giada però non le aveva nemmeno dato il tempo di pensare, a qualsiasi cosa, e l'aveva richiamata con l'attenzione verso di sé, per questo quando si era girata di nuovo minuti dopo, e il posto del castano era risultato al suo sguardo vuoto, aveva percepito la frustrazione logorarle lo stomaco. Leonardo, in quel lasso di minuti, si era diretto verso il tavolo dove stavano mangiando i professori e, con tono e parole cortesi, aveva chiesto al professore di Italiano se avesse qualcosa per il mal di testa.

«Non ti sei portato nulla dietro?» Leonardo aveva sorriso ironico, sollevando dopo le sopracciglia

«Non che fosse mia intenzione avere un mal di testa in gita.» Il professore aveva sospirato, portandosi le mani al ponte del naso per poi alzarsi.

«Maria -Si era rivolto alla professoressa di inglese, sul volto un piccolo sorriso- Riesci ad occuparti tu dei ragazzi della terza AA? Porto Leonardo nella farmacia qui vicino»

«Certo, vai tranquillo.» Il professore aveva annuito e poi si era girato verso il ragazzo, facendogli segno con le mani di muoversi verso il primo piano, dove c'erano le stanze maschili.

Veronica, che aveva cercato il biondo con gli occhi per tutta la stanza, aveva sentito un piccolo vuoto allo stomaco quando lo aveva visto salire le scale con il professore. Giada, che era curiosa, aveva seguito con lo sguardo gli occhi di Veronica e, quando aveva individuato la fonte delle emozioni che le si stavano palesemente mostrando sul volto, aveva sospirato. La ragazza l'aveva rassicurata con tono calmo, quasi piatto e Veronica aveva annuito, anche se l'inclinazione delle sue sopracciglia faceva pensare che, in realtà, non fosse del tutto convinta.

Leonardo aveva recuperato il giubetto e il portafoglio dalla valigia, avrebbe potuto anche prendere solo la tessera sanitaria ma ormai che c'era aveva preso tutto, per essere sicuro. Il professore, nel frattempo, lo aveva aspettato nel corridoio. Il ragazzo era uscito dalla stanza e l'aveva chiusa, si era messo le chiavi di questa in tasca e, dopo uno sguardo al professore, lo aveva seguito prima giù per le scale e poi in strada.

«Villa.» Lo aveva chiamato al un certo punto mentre camminavano lungo la strada in ciottoli.

«Sì?»

«Sta mattina, quando sono venuto a svegliarvi, ho notato che Lisi stava dormendo nel tuo letto, riesci a darmi una spiegazione?»

Il ragazzo aveva alzato le mani in aria, uno sguardo sbarazzino sul volto «Io? Che ne so io, dormivo! Sarà arrivata da sola, ha le gambe dopo tutto.» Aveva visto il professore alzare gli occhi al cielo e guardarlo di sbieco da sotto le lenti degli occhiali. 

«Villa.» Il tono di rimprovero, fatto per nascondere la punta di ironia della conversazione che aveva provato ad inserire Leonardo, lo aveva scoraggiato dal rispondergli nuovamente in tono ironico. Leonardo aveva alzato gli occhi verso il cielo azzurro e le nuvole bianche.

«Le sembrerebbe una bugia se le dicessi la verità.» «Prova, potrei crederti.» «Mi sono svegliato questa mattina all'alba, sono andato fuori sul balcone e ho trovato Veronica che, evidentemente, aveva avuto la mia stessa idea. L'ho fatta venire in stanza e siamo stati un po' sul balcone, poi siamo rientrati e ci siamo coperti perché avevamo freddo, ci siamo riaddormentati insieme. Tutto qui.» «Veronica vive a casa tua da quello che ho capito, no?» «Mia madre ha il suo affidamento.» «Che rapporto avete?» «Che sta cercando di dire?»

Il professore aveva scosso la testa, facendogli anche un segno con le mani di non pensarci «Lascia perdere, più che altro cerca di fare in modo che non ricapiti. Non voglio darvi note in gita.» «La professoressa di inglese credo ne sarebbe felice.» «Insegno inglese e sto per andare in meno pausa, per caso?»

Leonardo aveva sorriso e poi la conversazione non aveva più ripreso. Prendere qualcosa per il mal di testa era stato abbastanza facile, la farmacia era praticamente vuota e il ragazzo sapeva già ciò che doveva prendere, quindi non si erano trattenuti più di tanto, il ritorno, di base, era stato silenzioso e veloce. Non che fosse silenzioso di un silenzio spiacevole o pensante, come quelli che si creavano nelle situazioni difficili, uno di quei silenzio che era ben voluto, un silenzio che di imbarazzante non aveva nulla.

Leonardo, all'entrata dell'hotel aveva visto tutti i proprio compagni radunati in quello che era un cerchio disordinato, mentre ascoltavano la professoressa di inglese parlare di qualcosa. Il ragazzo aveva cercato con lo sguardo i propri amici e Veronica, i primi erano stati più facili di trovare, principalmente grazie ad Alessandro che, non stando fermo un secondo, turbava Damiano e questo cercava di riportare l'altro alla compostezza. Veronica, invece, che in quel momento stava ascoltando interessata la professoressa, mentre Giada sbuffava di tanto in tanto accanto a lei, era stata un po' più complicata da individuare perché coperta dalla statura alta di altri ragazzi. Aveva sorriso, però, quando anche lei si era voltata verso di lui, le aveva fatto un segno con in capo al quale lei aveva risposto cercando di venirgli incontro ma era stata bloccata sia da Giada sia dalla professoressa che, con tono scortese e gracchioso le aveva chiesto dove volesse andare. Aveva visto Veronica bloccarsi delusa e il suo sguardo quasi si era spento.

Leonardo, quasi di fretta, costretto alla velocità dal professore di italiano, aveva preso l'antidolorifico e poi aveva raggiunto i suoi compagni, inserendosi nel semicerchio e avvicinandosi poi ai suoi migliori amici, i quali gli avevano chiesto subito che cosa avesse. Lui gli aveva dato una risposta sbrigativa, tanto per, sentendo il peso dello sguardo truce dei professori addosso, che gli intimavano di stare in silenzio per poter a loro volta parlare.

«Allora, a causa di un contrattempo la nostra tabella di marci si e spostata di qualche minuto -LA professoressa di inglese aveva guardato lui, sollevando le sopracciglia in modo inequivocabile, ritendolo il colpevole di un ritardo minimo.- L'altra classe ci ha preceduto ed è già partita, noi ci muoveremo ora. Cercate di non cadere nel fiume o di non farvi male in generale che di prendermi la colpa non ne ho nessuna voglia.» 

«Ah beh, grazie.» «Cosa hai detto Villa?» «Che disgrazie!» «Mh»

La professoressa di inglese si era mossa, come capocoda, e aveva instaurato un andamento lento, che, come Leonardo aveva previsto, aveva stufato dopo poco tutti quanti. Alcuni dei suoi compagni, quelli più esuberati, come Alessandro, avevano sorpassato la professoressa facendola dannare, la sua voce probabilmente era stata sentita anche dalle persone che abitavano i piani più alti dei palazzi che li circondavano. Leonardo aveva sorriso sbieco alla faccia infastidita di Damiano quando un altro urlo della donna, invocante uno dei nomi dei suoi compagni, aveva raggiunto forte le loro orecchie già stanche. Aveva lanciato uno sguardo di comprensione al suo migliore amico che gli aveva risposto con uno irritato.

Damiano aveva sospirato, irritato fino al midollo dalla voce gracchiante della donna che, in quel momento, sbracciava a destra e manca con il viso rosso e i capelli crespi che si muovevano ad ogni movimento che faceva. Lui la odiava, dal profondo del suo cuore, la detestava e non riusciva a provare nessuna emozione positiva verso di lei, non riusciva a vederla come una brava persona e nemmeno era in grado di riuscire ad ascoltarla durante le lezioni. C'era chi diceva che l'odio, come l'amore, parallelamente all'amore, era un sentimento fin troppo complesso perché dei semplici ragazzi, adolescenti nel pieno della pubertà e della scoperta del mondo, fossero in grado di provarlo. Damiano, di suo, era sicuro che il sentimento che provava verso la sua insegnate fosse proprio odio, completo, assoluto, complesso e profondo odio, del quale si potevano trovare le ragioni nel carattere e nelle convinzioni che aveva la professoressa. Era una donna scaltra, manipolatrice, egoista, egocentrica e incurante dei sentimenti altrui, a cui importava solo la facciata delle cose e non del contenuto e dalle idee discutibili; lo aveva dimostrato più volte in classe e ai colloqui con i genitori. Affermava, nel complesso delle cose, che gli unici studenti con il diritto di essere seguiti da lei fossero solo quelli con una media superiore al buono e che non erano pro a qualsiasi tipo di amore che non fosse quello tra uomo e donna, e che gli uomini e le donne in questione dovessero essere vere donne e veri uomini, e non "donneuomini" o "uominidonne", come li chiamava lei, anche perché, nel caso la seconda convinzione non fosse rispettata, abbassava di un voto la media. Nella classe quindi si erano formate alcune categorie, due principali, quelli che per salvarsi facevano finta di avere le stesse idee della professoressa e chi, invece, si opponeva. Damiano capiva tante cose, come il periodo in cui era nata e crescita l'insegnate, il genere di insegnamenti che le erano stati dati, e ne prendeva in considerazione altrettante, come i genitori di alcuni dei suoi compagni che non ammettevano fallimenti, tuttavia, anche comprendendo quel genere di cose, non poteva fare a meno di guardare con astio sia i suoi compagnia sia la donna che, durante le ore di inglese, si trovava davanti.

«Vianello potresti aiutarmi un attimo? Come rappresentante, anche se provvisorio, dovresti almeno dirgli di stare attenti! -Il ragazzo aveva chiuso gli occhi e si era passato una mano tra i capelli, cercando di non strapparseli, chiedendosi perché, quando gli era stato proposto di sostituire Sartori aveva accettato. Che aveva nel cervello, pigne? Truccioli? Un intera vegetazione che impediva ai suoi neuroni di connettere tra loro?- Vianello!» Aveva urlato poi la donna, alzando il tono della voce di almeno un paio di ottave.

«Sì!» Aveva guardato Leonardo, in cerca di aiuto, ma come aveva immaginato il ragazzo aveva alzato le spalle, facendogli capire che non poteva fare nulla. Anche perché non era rappresentate e l'unica persona che avrebbe potuto aiutarlo sarebbe stata l'altra rappresentate che, tuttavia, in quel momento era impegna a parlare con il professore di italiano. Si era dovuto occupare quindi, poi, di riportare "all'ordine" chi si era mosso e, tempo di riuscire a farlo senza far scendere  qualche santo, erano ormai arrivati alla casa di Romeo e Giulietta. 

Leonardo aveva sospirato, sentendosi spinto da una parte e anche dall'altra da compagni e persone che non conosceva. Si era spostato verso il professore di italiano, affiancandolo e cercando si farsi scudo con lui. Non si faceva nemmeno abbracciare da sua madre, figuriamoci se si faceva toccare da sconosciuti.

[..]Il bisogno fisico di un contatto con lei stava andando oltre il sopportabile.[...]l'aveva fatta distendere sul letto delicatamente, portandosi sopra di lei mentre le lasciava i polsi liberi, le mani ora possibilitate a toccarlo in qualsiasi momento volessero. L'aveva baciata, ancora e ancora e ancora, fino a perdere il conto di quante volte le loro labbra si erano scontrate e staccate per poi rincorrersi, alla ricerca di un contatto che era diventato estremamente importante[...]Le aveva sorriso, baciandole prima la fronte, poi gli zigomi, le guance, un angolo della bocca, di poco sollevato, e successivamente le labbra.[...]Dove prima passavano le labbra piene dopo passavano le mani calde, lasciando scie diverse, causandogli brividi più intensi.

Aveva scosso la testa, facendo muovere il capelli da una parte all'altra, impedendosi di ricordare e immaginare altro. Sbagliato, completamente sbagliato. Era sbagliato. Non perché era lui, non perché era lei, non perché fossero loro, ma non era giusto. Si era passato le mani sul viso, respirando pesantemente.

«Qualcuno di voi conosce qualche citazione da Romeo e Giulietta?» Aveva proferito l'insegnate che poi gli aveva lanciato uno sguardo apprensivo a cui lui aveva risposto scuotendo la testa, facendogli capire che era tutto a posto.

Certo, come no, aveva pensato mentre, mentalmente, si sforzava di ricordare qualcosa dal libro che aveva lasciato a metà più di un paio di sei mesi prima. In ogni caso, si era detto, ci sarebbe stato qualcun altro che sarebbe intervenuto, quindi lui poteva anche stare in silenzio, senza per forza dover intervenire.

«L'amore corre ad incontrare l'amore con la gioia con cui gli scolaretti fuggono dai loro libri; ma l'amore che deve separarsi dall'amore ha il volto triste degli scolaretti quando tornano a scuola» Era intervenuta la rappresentate di classe che, senza alzare la mano, aveva parlato ricordandosi la frase di colpo.

«Giusta, altri?»

«Dubita che le stelle siano fuoco; dubita che il sole si muova; dubita che la verità sia mentitrice: ma non dubitare mai del mio amore» aveva detto qualcun altro

«Questa è da Amleto, qualcuno sa qualcosa sulla storia in generale? -Il professore si era guardato intorno ed aveva sospirato, sopraffatto da un silenzio che sapeva di ignoranza- Dio mio non ci posso credere... Quando lo sguardo di Romeo incrocia quello della dolce Giulietta, è amore a prima vista. La loro è una passione divorante e profonda, ma proibita: le loro famiglie, sono nemiche e loro non possono stare insieme. Il destino fa di tutto per separarli, solo l'ombra della notte e la luce della luna permette l'incontro dei due giovani amanti. È l'incanto assoluto che li unisce in segreto su un balcone, quello che, se sollevate gli occhi, trovate sopra le nostre teste, in una profumata notte veronese, un paradiso, destinato però a non conoscere eternità. Romeo e Giulietta sono diventati il simbolo dell'amore con la A maiuscola, dell'amore ideale, del vero amore che tutti sognano: sincero, profondo, impossibile, tragico. Un amore che sceglie di vivere nel tempo e oltre la vita, oltre la morte. Un amore che sopravvive a tutte le barriere. Così, da questa ricerca di un amore assoluto e unico, nascono frasi come "Spero nel mio Romeo" o "Sei la mia Giulietta", con anche controparte al femminile, rivolte alla speranza nel vero amore o nella consapevolezza, o speranza, di averlo davanti. Deplorevolmente sdolcinate e zuccherose tanto da carie ma sentite fin troppo.» La classe aveva riso e poi era intervenuta la professoressa di inglese, raccontando vita, morta e miracoli, letteralmente, di Shakespeare.

Leonardo non aveva mai pensato all'amore, forse perché non ne aveva mai avuta una dimostrazione concreta, forse perché non si era mai innamorato, più probabilmente perché non ne aveva avuto la forza o perché non aveva dato possibilità a nessuno di avvicinarsi. Ma amare, amare qualcuno sul serio, cosa significava? Quale era il tipo di amore giusto? Quale era l'emozione da provare? E, soprattutto, cosa costruiva l'amore?  Nel suo immaginario, per come l'aveva sempre visto, l'amore era direttamente proporzionale al dolore: le persone amate valevano tante quante erano le lacrime che si era disposti a piangere per loro; perché alla fine di una relazione, parentale, amicale o sentimentale, si soffriva perché si aveva amato (anche quando qualcuno muore si verifica questo, anche se, aveva pensato, il caso è un po' diverso). Il momento in cui il dolore diventava sbagliato in una relazione era solo quando questo si provava con molta intensità, tanto da diventare ossessivo, e nel mentre della relazione, in quel caso si definiva un rapporto come tossico.

Più si ama più ci si mette a rischio, non tanto perché si diventi deboli o altro ma perché si è disposti a tutto per un'altra persona, anche a soffrire.

L'insegnante di italiano gli aveva fatto cenno di muoversi e, quindi, di entrare nella casa. Avevano visitato la casa di Giulietta ed aveva dovuto fare delle foto a Veronica, che erano entrata dopo di lui, alcune da mandare a sua madre e altre ad Angela, altre per Lucrezia e per chi altro sapeva solo lei, fatto sta che a Leonardo faceva male il pollice. Aveva anche dovuto aspettare la ragazza perché aveva voluto fare delle foto al muro di entrata, dove c'erano frasi d'amore e di devozione scritte su biglietti, post-it o direttamente sul muro. Rimasti indietro avevano dovuto correre, ovviamente, per riuscire a tornare dalla classe. Leonardo era stato anche rimproverato, nonostante non fosse lui il problema centrale e non si fosse fermato lui, ma oltre ad alzare lo sguardo verso il cielo e pregare di essere fulminato non aveva potuto fare altro. Erano poi andati verso la casa di Romeo, un palazzo imponente che non avevano potuto visitare essendo una proprietà privata. Erano poi andati a visitare un piccolo monumento che si trovava in un punto più distante a quello dove erano loro.

Erano tornati in albergo per pranzo e Leonardo si era ritrovato a cercare di non farsi vedere da Caterina che, di suo, non aveva capito nulla. Il ragazzo, all'ennesima volta in cui si era ritrovato a coprirsi con il menù, aveva deciso che si era letteralmente stufato della situazione. Si era quindi alzato, guadagnandosi gli sguardi di alcuni suoi compagni, dei suoi migliori amici, di Veronica e di qualche altra persona.

«Dove vai?» Gli aveva chiesto proprio la sua coinquilina. Si era girato verso di lei con un sorriso sghembo, sorridendo sarcastico

«A levarmi un peso dalle palle.» Poi, giratori verso la castana scuro, che già, inquietamente, lo guardava, le aveva fatto segno di seguirla e, di suo, girato di schiena, non aveva visto lo sguardo chiaro di Veronica farsi buio. 

Leonardo, con le mani in tasca, si era ritrovato davanti alla ragazza che, con fare imbarazzato, guardava per terra, contemplando il pavimento come una bellissima opera d'arte. 

«Senti... -Aveva cominciato lei, come se lui non sapesse quello che voleva dirgli, tuttavia l'aveva lasciata parlare e illudersi da sola- Tu mi piaci.»

«Si, lo so» «E?» lui l'aveva guardata con irritazione visto che non gli aveva nemmeno fatto finire la frase, quindi aveva deciso di farle sperare in qualcosa ancora un pochino, come vendetta personale per l'ansia che gli aveva fatto provare.

«Cosa?» «Mi ricambi? Mi hai chiamato qui per questo?» «No. L'ho per caso detto o hai letto nelle righe sbagliate di una conversazione mai avvenuta?» La ragazza aveva sgranato gli occhi e aveva cercato di prendere un lembo del suo maglione, in un ultimo gesto di speranza e un disperato tentativo, ma si era scostato

«Credevo...»

Lui aveva alzato un sopracciglio «Credevi?» «Ti piace qualcun altro?» «Non mi piace nessuno, nemmeno tu.» «Ho una possibilità?» «Ti sto per caso dicendo che ti amo?» «No...» «Esattamente. No è la risposta a tutte le tue domande da ragazza innamorata. Ora torno a mangiare senza il tormento della tua speranza in qualcosa che non accadrà mai.» 

Si era seduto di nuovo, sospirando, e si era seduto comodo. Aveva raccontato ciò che era accaduto solo in un secondo momento a Damiano e Alessandro, durante il tempo che avevano per stare in camera prima di decidere cosa fare nel pomeriggio. I professori in gita erano otto, quattro per ogni classe (per loro, oltre alla professoressa di inglese e l'insegnante di italiano c'erano quello di storia e quello di storia dell'arte) e, divisi in coppie si sarebbe preso in carico un numero preciso di alunni per portarli in una differenze zona della città, facendo fare loro un giro in differenti zone della città. Leonardo non sapeva ancora dove sarebbe andato, anche se la zona del ponte di Castelvecchio non sembrava male. I due ragazzi, in ogni caso, erano rimasti sollevati dalla cosa, Alessandro perché almeno da quel momento in poi avrebbero potuto mangiare tranquillamente e Damiano perché lo aveva visto più stressato e ansioso del solito durante quella giornata e quella appena passata.

Il pomeriggio, quindi, era trascorso tranquillo, Leonardo era andato con il professore di arte a Castelvecchio insieme a Veronica, Damiano e altri della loro classe. Avevano trascorso lì, e nei dintorni, il tempo e poi si erano spostati, come era prevedibile, verso i luoghi di cultura artistica più elevata. Avevano fatto una lezione di arte dal vivo, praticamente, con le opere, o riproduzioni, davanti e non viste attraverso uno schermo o una foto. Il professore aveva dato loro modo anche di comprare qualcosa, così si era ritrovato fuori ad una pasticceria mentre aspettava Veronica e Giada, visto che avevano insistito per compare dei macaron.

La cena e la sera, a quel punto, erano arrivati velocemente, e, ancora più velocemente, Leonardo si era ritrovato nel piccolo giardino dell'hotel composto principalmente da piante in fiore. Il giubbotto gli faceva caldo e, con la testa verso l'alto, guardava le stelle. Non c'era nulla che lo appassionare di più che astronomia, non sapeva perché, non era a conoscenza del motivo logico per il quale si era sempre ritrovato a voler conoscere di più su ciò che stava in cielo, ma lo stesso concetto che ci fosse altro lo affascinava. Soli, lune, stelle e pianeti erano cose di cui si era sempre interessato, che aveva sempre amato e che, di suo, aveva sempre studiato. Era l'unica materia di scienze che fin dalle elementari gli era sempre piaciuta e che aveva continuato a piacergli, quella per cui aveva scoperto una passione e che non si era mai stancato di studiare. La sua stessa home di Google era piana di articoli astronomici riguardanti scoperte di pianeti, galassie, stelle, buchi neri, soli.

«Hey» la voce di Veronica gli era giunta vicina, e quindi si era girato. La ragazza, stretta nel proprio cappotto, si era seduta di fianco a lui.

«Hey.»

«Come è andata oggi, con quella ragazza?» Leonardo si era girato verso di lei, osservando il suo profilo, partendo dai suoi occhi, sulla curva del naso, e per arrivare alle labbra, su cui il suo guardo si era soffermato.

[...]Il ragazzo aveva lasciato baci freddi, segni delebili su quella pelle pallida, fino alle sue labbra che, già aperte, avevano accolto prontamente il bacio che lui era intenzionato a darle fin dall'inizio.[...]

«Tu cosa credi sia sucesso?»

«Non lo so, te lo sto chiedendo.»

«L'ho rifiutata, perché io le piaccio ma lei non piace a me.»

Veronica si era voltata verso di lui, l'opacità della sera rendeva la sua pelle luminosa, gli occhi chiari lo guardavano sorpresi e le labbra erano schiuse, le guance rosse dal freddo.
In quel momento, lei era come un sole forte e luminoso e Leonardo una luna che brillava della sua luce, che ne rifletteva la bellezza; seduto al proprio posto il ragazzo la osservava splendere e si illuminava di conseguenza.

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Non ho le forze, e il tempo, di correggere il capitolo, quindi lo farò uno di questo giorni, perdonate gli errori.

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