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Autore: EleWar    01/04/2022    5 recensioni
C'è poco da fare, Ryo è un gran vizioso, ma stavolta di quale vizio stiamo parlando? E Kaori sarà ancora disposta a tollerarlo o ricorrerà a drastici rimedi?
Altra avventura per i nostri due super innamorati!
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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… E stasera mi andava di farvi leggere anche il penultimo capitolo della mia storiella. Che ne dite, vi piace l’idea? Se sì, buona lettura e GRAZIE di tutto *___*
 
 
Cap. 8 Portami a casa
 
Ryo si era messo a battere l’intero quartiere, diviso fra controllare il traffico e la strada, e il piccolo palmare fissato sullo spartano cruscotto, che però si ostinava a non dar segni di vita, con il cursore che continuava a lampeggiare in alto a sinistra, ma che non segnalava affatto la presenza di Kaori.
Era ripassato davanti al Cat’s Eye ormai chiuso e aveva fuggevolmente guardato sulle finestre del piano di sopra, dove vivevano i suoi amici, ma anche lì le luci erano spente.
Li immaginava dormire nel caldo intimo della loro casa, mentre lui vagava per la città come un’anima in pena e la sua ragazza era chissà dove.
Pigiò sull’acceleratore e la piccola utilitaria schizzò via con stizza.
 
Passò anche sotto il loro appartamento, più per non lasciare nulla d’intentato che per altro, perché era strasicuro che Kaori non fosse tornata indietro; e infatti, il nulla.
 
Zigzagò per le strade del Kabukichō, davanti al negozio di Gen, di nuovo sotto al palazzo di Saeko, ma ancora niente; si ripeteva che se lei lo aveva pedinato, o tenuto sotto sorveglianza, era dovuta passare negli stessi posti in cui era stato lui, pertanto controllò tutti i luoghi in cui si era fermato abbastanza a lungo per permetterle di agganciare il segnale dei suoi bottoni.
Le ricerche, però, non stavano dando i risultati sperati.
Stava quasi per perdere la speranza, immaginando che Kaori, forse, aveva disattivato la ricetrasmittente nel caso avesse sentito anche l’ultimo dialogo avuto con il Professore e, veramente, non volesse essere trovata, quando un bip assordante riportò la sua attenzione sullo schermino del palmare.
 
Aveva appena svoltato ad un incrocio ed eseguì un’inversione precipitosa per quanto pericolosa, e tornò indietro, stavolta a passo d’uomo; di nuovo quel bip salvifico a colmargli il cuore di speranza.
Quello in cui si trovava era un quartiere di uffici, e l’aveva lasciato per ultimo perché era trafficato solo di giorno, mentre di notte era quasi spettrale e abbandonato.
Girò intorno agli isolati, finché non trovò l’indicazione di accesso ad un parcheggio sotterraneo.
Ebbe un tuffo al cuore: il segnale non smetteva più di pigolare, con urgenza, riempiendo ritmicamente l’abitacolo e le sue orecchie d’impulsi sonori, sollecitandogli l’ansia e l’impazienza.
Ryo era un fascio di nervi.
 
Imboccò la rampa discendente e, girone dopo girone, giunse infine al livello più basso di tutto il parcheggio.
Non ci mise tanto a ritrovare la macchina di Kaori nell’immenso vano deserto; a quel punto, però, provò un forte senso di insicurezza e le pensò tutte.
E se non fosse stata da sola?
Magari con qualcuno, appartata a fare cose?
“Calmati, Ryo, sei tu il porcello dei due” si disse.
E se fosse fuggita riconoscendolo?
Avrebbe dovuto bloccarla?
Parcheggiare più lontano ed avvicinarsi a piedi?
 
E mentre era preda di questi mille interrogativi, non si accorse di essersi avvicinato così tanto da poter vedere che… mancava il sedile del guidatore!
Scese a scatti dalla sua macchina e si diresse all’utilitaria della socia: era apparentemente vuota e, sfiorando il cofano con una mano, appurò pure che il motore era freddo, segno evidente che l’auto era spenta da un bel pezzo.
Si sporse attraverso il vetro leggermente appannato e per poco non gli prese un colpo.
Kaori giaceva raggomitolata in posizione fetale, sul sedile reclinato all’indietro: sembrava priva di sensi, il viso esangue, le labbra violacee.
Istintivamente tentò di aprire lo sportello, ma ovviamente la ragazza si era chiusa dentro.
E se in condizioni normali lo sweeper avrebbe apprezzato la sua premura, dovendo dormire da sola in macchina in un parcheggio sotterraneo abbandonato, lì per lì provò un forte senso di frustrazione, perché gl’impediva di entrare.
Tentò più volte di alzare la leva della maniglia, ma lo sportello non si apriva, fino a quando non si ricordò quasi all’ultimo che aveva anche lui le chiavi della Honda, attaccate a quelle della Mini.
Armeggiò nervosamente con il portachiavi a forma di martello che gli aveva regalato proprio lei, e finalmente trovò la chiave giusta.
Fu con enorme sollievo che, infilandola, la sentì girare nella serratura.
E nonostante la foga con cui aveva trafficato intorno all’apertura, quando aprì finalmente lo sportello lo fece con delicatezza, quasi non volesse farla trasalire.
La chiamò dolcemente:
 
“Kaori…?”
 
Ma lei non diede segno di risvegliarsi.
Ryo allungò una mano sul ginocchio e la prima cosa che notò fu che il tessuto era bagnato, umido al tatto; una rapida occhiata al resto del vestiario gli confermò che la ragazza era completamente fradicia e che, anzi, in alcuni punti la stoffa aveva iniziato ad asciugarsi, formando ampie chiazze più chiare.
La scosse leggermente, sempre chiamandola:
 
“Kaori…? Tesoro, svegliati…” e nel dirlo s’introdusse con il busto nell’abitacolo, allungandosi verso di lei: la luce di cortesia era quanto mai cruda, e accentuava il pallore del viso e le guance rosse scarlatte.
Immaginando che quello non fosse semplice sonno, e che mai e poi mai la sua socia si sarebbe lasciata andare in quel modo, a dormire senza essere sufficientemente vigile da prevenire intrusioni indesiderate, infilò le braccia sotto la sua schiena e provò a rimetterla a sedere.
A quel punto Kaori dischiuse gli occhi:
 
“Ryo? Ryo, sei tu?” e gli regalò un sorriso stanco.
 
“Sì, sì, sono io… ma che è successo?”
 
E preso da un empito di amore, le baciò teneramente la fronte e subito si ritrasse sentendo quanto scottava:
 
“Kaori, ma tu stai bruciando, hai la febbre!” esclamò allarmato.
 
“No, no, ho solo fatto un pisolino… ora mi tiro su e passa tutto” gli rispose strascicando le parole.
 
“… tu stai male, Kaori!” insistette il compagno, con un filo di disperazione nella voce.
 
“Mmm… forse…” ammise infine la ragazza, chiudendo nuovamente gli occhi, e afflosciandosi fra le braccia del compagno, che la riprese prontamente.
 
“Vieni, ti porto a casa” le disse Ryo con fermezza, afferrandola più saldamente e facendola uscire dallo stretto abitacolo con non poca fatica.
 
Quando furono fuori, lei gli si abbandonò sul petto possente sussurrandogli, fra le pieghe della giacca:
 
“Sì, portami a casa…” evidentemente dimentica della litigata, della sua fuga, del fatto che era stata lei a lasciarlo.
 
Ma in quel momento non era importante, per nessuno dei due.
 
Ryo la pose all’interno della Mini e le mise addosso la sua giacca a mo’ di coperta e, assicuratosi che non scivolasse dal sedile, schizzò verso casa, sollevato per averla ritrovata e preoccupato per il suo stato di salute.
 
 
 
 
 
 
 
Quando Ryo parcheggiò di sotto in garage prese nuovamente la socia fra le braccia, e con lei così stretta a sé, salì le scale dell’appartamento e si diresse di filato in camera; lì la depositò dolcemente sul letto e, per prima cosa, si disse che avrebbe dovuto toglierle di dosso quegli abiti bagnati e metterle biancheria asciutta e pulita, prima di infilarla sotto le coperte.
Solo a quel punto si accorse di che razza di vestiti stesse indossando la compagna, che non erano di certo quelli che aveva quando era andata via di casa, e nemmeno altri che appartenessero al suo guardaroba: indossava una specie di divisa, un coordinato giaccone e pantaloni, di chiara foggia maschile, e più ci pensava più gli faceva venire in mente qualcosa che aveva già visto, di cui non riusciva a ricordare altro.
Insistentemente gli tornava alla mente l’immagine di un fattorino che per poco non aveva fatto cadere aprendo lo sportello della Mini, quando ancora sconvolto dalla rottura con Kaori, aveva incrociato dalle parti del Cat’s Eye.
Ma non gli diede peso più di tanto: avrebbero avuto modo di parlare quando sarebbe guarita.
Già… parlare nuovamente…
Cercò di scacciare il disagio che tale prospettiva gli metteva.
 
Prima di dirigersi al cassettone della sua biancheria, si chinò sulla ragazza e le sussurrò:
 
“Hai freddo?” e senza che lei rispondesse, la coprì con una calda coperta.
 
“No, adesso no” rispose Kaori, sforzandosi di sorridergli.
 
Di certo quella non sarebbe stata la prima volta che spogliava la sua fidanzata, e poteva ricordarsi tutte le altre volte in cui lo aveva fatto, con sommo piacere di entrambi.
Però ora, inspiegabilmente, si sentiva in imbarazzo a denudarla, e sì che nel farlo non c’era assolutamente nessuna malizia; ma vederla lì, semi-incosciente, gli sembrava di stare ad approfittarsene.
Poi però si disse che lui era il suo compagno, il suo uomo.
Se fossero stati sposati sarebbe stato suo marito, e doveva prendersi cura di lei: cura che in quel momento richiedeva anche di cambiarla, togliendole di dosso i vestiti bagnati e sostituendoli con altri puliti e freschi di bucato.
 
Fatto un bel respiro, si accinse a cambiarla, non prima di aver recuperato anche il suo pigiama più caldo e un paio di calzettoni per i piedini gelati.
In un certo senso era una fortuna che Kaori fosse in quello stato, perché era quasi sicuro che anche lei si sarebbe imbarazzata a farsi spogliare e rivestire da lui, nonostante adesso fossero amanti e, appunto, ora facesse parte della loro relazione.
Eppure qui era diverso… ma allo stesso tempo era anche necessario, quindi amen.
 
Ryo usò tutta la dolcezza di cui era capace, e faticò un po’ a far scorrere i pantaloni umidi lungo le gambe, perché si erano appiccicati alla pelle e facevano resistenza.
Aveva come la spiacevole sensazione di starla scuoiando, e quando finalmente riuscì nel suo intento, gli sfuggì un “Ecco!” soddisfatto, a cui fece eco il “Grazie” della compagna, così profondo ed impastato di torpore che lo gratificò enormemente.
Lui non aveva molta dimestichezza con queste cose, non si era mai preso cura di una persona in quel modo, e le donne le aveva sempre spogliate con altre intenzioni e in tutt’altra maniera.
Si sentiva impacciato nei movimenti, e temeva di essere goffo e maldestro, quindi i ringraziamenti di Kaori non potevano che dargli fiducia, facendolo sentire meno imbranato.
 
Tutto sommato fu più facile del previsto e, quando terminò, la ragazza si raggomitolò su sé stessa sospirando con gratitudine.
Ryo le accarezzò i capelli e la fronte e, sentendo che ancora scottava, nell’armadietto dei medicinali prese del paracetamolo in compresse, da sciogliere in un bel bicchier d’acqua.
Fece rialzare Kaori un pochino, giusto per permetterle di bere, poi con lo stesso sforzo con cui si era tirata su, sprofondò sul cuscino.
 
Ancora ad occhi chiusi gli disse:
 
“Ryo… stai qui con me”.
 
Quella richiesta gli fece un effetto strano, provocandogli un’enorme emozione che lo fece arrossire.
Era curioso che una semplice domanda, fatta dalla sua compagna febbricitante, lo mettesse in un tale subbuglio!
Forse perché Kaori non si era mai dimostrata debole davanti a lui, non gli aveva mai chiesto aiuto, e anche quando avevano dato una svolta alla loro relazione, una richiesta del genere avrebbe presupposto altro.
In quel momento la sua fidanzata gli mostrava tutta la sua fragilità, e la tenerezza che gli stava suscitando era qualcosa di nuovo, di inedito: lo faceva sentire l’uomo più forte del mondo.
Lui, lo sweeper numero uno del Giappone, era come se avesse solo bisogno di essere utile e forte per lei, per essere veramente qualcuno.
 
“Certo, amore mio, non vado da nessuna parte” le sussurrò con dolcezza.
 
Ma non si stese accanto a lei: afferrata una seggiola l’accostò al letto, dalla sua parte, e procuratosi un catino di acqua fredda, prese a farle degli impacchi freddi, per abbassarle la temperatura.
Sarebbe rimasto così tutta la notte, proprio come aveva fatto lei con lui tanto tempo prima, quando una brutta influenza l’aveva costretto a letto e lo aveva curato, vegliandolo per tutta la nottata.
 
 
 
 
 
Le ore passarono lente, la febbre continuava a mantenersi alta, nonostante l’antipiretico e gli impacchi di acqua fredda che le applicava Ryo sulla fronte e sui polsi: instancabile lui l’assisteva, mentre lei mormorava, nel sonno febbricitante, al limite del delirio, frasi smozzicate senza senso.
Si allontanava da lei solo per il tempo di cambiare l’acqua nel catino e metterne altra più fredda.
Kaori respirava male a causa di un brutto raffreddore, e ogni tanto inframmezzava qualche colpo di tosse che la squassava tutta.
Per fortuna, alle prime luci dell’alba, la febbre si decise a calare, e il respiro della ragazza si fece più regolare, seppure ancora un po’ sibilante a causa del naso chiuso.
Ma il viso appariva più disteso e meno arrossato, e finalmente sprofondò in un sonno ristoratore e non più tormentato come quello delle ore precedenti.
Allentata la tensione, suo malgrado Ryo si appisolò sulla sedia, con le braccia appoggiate sul materasso, la testa abbandonata sopra; era sfinito.
 
 
Qualche ora dopo, quando Kaori si svegliò con la bocca riarsa e la testa pesante, trovò Ryo profondamente addormentato, ripiegato su sé stesso: i vestiti gualciti, i capelli spettinati, sembrava reduce da un’impresa faticosa e stancante.
Istintivamente allungò una mano, lo accarezzò dolcemente sulla folta criniera e sorrise con tenerezza.
 
Le tornarono allora alla mente tutti i discorsi ascoltati la notte precedente, il freddo, la pioggia, quell’assurdo pedinamento, e soprattutto il motivo per cui si era decisa a lasciarlo… e si rabbuiò.
Non era così che pensava di tornare a casa…
 
Quando anche Ryo più tardi si ridestò, con la schiena a pezzi e le braccia indolenzite, la prima cosa che pensò fu: “Kaori!”
Tirandosi su di scatto si voltò a guardarla.
Il letto era vuoto, sfatto, e subito lo sweeper si allarmò.
Dov’era Kaori?
Era andata via di nuovo?
Lo aveva lasciato nuovamente?
Ma stava male, in quelle condizioni non era il caso di uscire!
 
Provò a chiamarla con un vago senso d’inquietudine:
 
“Kaori? Kaori dove sei?”
 
Girò lo sguardo spasmodicamente ad abbracciare tutta la camera e, constatando la sua assenza, si alzò in piedi e si accinse ad uscire, per cercarla anche nelle altre stanze.
Era già arrivato sulla porta quando se la ritrovò davanti.
 
“Ry-Ryo buon giorno!” farfugliò, sorpresa di incontrarlo e vederlo in quello stato.
 
L’uomo si rilassò vistosamente, e il particolare non passò inosservato alla donna: era stato veramente in pena per lei tutta la notte, e sicuramente, quando non l’aveva trovata, aveva temuto di essere stato lasciato di nuovo.
Anche se non avevano chiarito nulla rispetto alla sera precedente, Kaori gli sorrise incoraggiante: sapeva che lo avrebbe amato comunque e per sempre, e non riusciva a portargli rancore.
 
“Dove… dove sei stata? Mi hai fatto preoccupare!” le disse, anche se guardandola vedeva benissimo che stava indossando un accappatoio e che i capelli, che spuntavano da sotto il cappuccio, erano ancora bagnati.
 
“Scusami… Sono andata a farmi una doccia. Dopo tutta l’acqua presa ieri sera e il sudare di questa notte, ero in condizioni pietose. Avevo assoluto bisogno di lavarmi” e gli rivolse un sorriso stiracchiato.
 
“Potevi dirmi qualcosa, ti avrei aiutata… e se fossi svenuta nel box doccia?” la rimproverò Ryo; ma la sua voce tradiva profonda apprensione, e Kaori si sentì invadere da una potente ondata d’amore.
 
Era così adorabile quel cretino, se non avesse rovinato sempre tutto come al suo solito…
Però non aveva tutti i torti: c’erano state un paio di volte in cui si era chinata per lavarsi e insaponarsi le gambe o raccogliere la spugna, in cui rialzandosi aveva visto tutto nero e le era girata la testa.
Era stata imprudente e testarda, avrebbe dovuto chiedergli una mano.
Lei, che chiedeva aiuto a Ryo per qualcosa?
E mostrarsi debole e inetta?
E, soprattutto, svegliarlo mentre dormiva così saporitamente?
Va bene, si disse, avrebbe dovuto imparare a contare di più su di lui, a chiedergli aiuto e non solo per quando andava a fare la spesa: ora erano una coppia, stavano insieme, e si dovevano reciproca assistenza, più di quella che c’era prima.
Al bando l’individualismo, la pretesa di poter bastare a sé stessi.
 
Scelse di dargli ragione, piuttosto che impuntarsi o sminuire i suoi timori:
 
“Hai ragione Ryo… avrei dovuto quanto meno avvertirti” e passandogli accanto gli toccò brevemente un braccio.
 
L’altro apprezzò la sua resa, e il tocco, che sapeva di familiarità e speranza di riconciliazione.
 
“Mmm… va bene…” mugugnò a corto di parole.
 
Si era preparato a sostenere almeno mezz’ora di bisticci, e invece Kaori aveva disattivato prima del tempo il loro litigio.
“Però asciugati subito i capelli, che sei ancora raffreddata” aggiunse poco dopo.
 
“Va bene, mamma!” gli rispose lei, facendogli la linguaccia.
 
Ryo si emozionò: era buon segno se lei aveva ancora voglia di scherzare e prenderlo in giro, e ridacchiò soddisfatto mormorando uno: “Stupidina” a mezza voce, con la paura che lei ne avesse a male.
 
“Piuttosto” disse poi seriamente l’uomo, dopo un po’ “Da quant’è che non mangi? Qui ci vuole una bella colazione per ritornare in forze!”
 
“Umm … direi che non mangio da… da quando non mangi tu! Anzi no! Qualcosa ho mangiato dopo! Avevo scordato di essermi sbafata un paio di porzioni di ramen… Ero così impegnata che le ho trangugiate senza pensarci ed ora… nemmeno me ne ricordavo” e finì per ridacchiare leggermente a disagio: si era dimenticata della sosta nella bettola.
 
Ryo fece un rapido conto di quando era stata l’ultima volta che aveva messo sotto i denti qualcosa, e cioè il pranzo del giorno prima, perché quando erano tornati a casa per l’ora di cena, lei lo aveva piantato in asso e, pur avendogli lasciato quel bigliettino in cui gli comunicava che se avesse avuto fame la cena era in frigorifero, lui non aveva toccato nulla; poi si era messo a girare per la città e si era completamente dimenticato di nutrirsi.
Spalancò gli occhi.
Era da tantissimo che non mangiava… che non mangiavano!
E come se solo in quel momento si ricordasse di avere uno stomaco, questo protestò gorgogliando.
 
“Ah, ecco!” esclamò schioccando la lingua “Allora… allora mentre tu finisci di asciugarti, io vedrò di preparare qualcosa per colazione. Ah, e un’altra cosa: non muoverti di qui, che ti porto su tutto io, intesi?”
 
E prima che lei potesse protestare, lui sgattaiolò al piano di sotto.
 
Kaori sospirò, divertita e soddisfatta: era bello che Ryo si preoccupasse per lei e se ne prendesse cura.
Probabilmente non si sarebbe abituata mai.
 
   
 
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