Cemetery Ghost
La storia che state per leggere è
assolutamente reale ed autobiografica.
Potete credere A ciò che volete, ma questa
cosa è successa. Oggi.
E io ero lì. Ho visto tutto e sono qui per
raccontarvi ciò che ho visto.
Ero appena
uscito dal centro del paese.
Avevo inforcato
la bicicletta dopo aver noleggiato un film dal blockbuster dietro l’angolo e avevo
continuato a pedalare sino a giungere davanti al cimitero. Facevo quella strada
per tornare a casa, quella che attraversava il bosco poco distante e che mi
portava sino alle mie adorate quattro mura senza dovermi sorbire tutto quel
maledetto traffico onnipresente, anche di domenica mattina.
Il caldo era allucinante, sentivo quasi come se il mio cuore potesse scoppiare.
Un po’ per la fatica anche le mie gambe si erano immobilzzate.
Tirai fuori dal mio zaino azzurro le mie fidate salviettine umidificate e mi
ero passato il viso con quello strano abbraccio umido e morbido che mi
rinfrescava. Cazzo! Com’era possibile che ad inizio di settembre facesse ancora
caldo come se fosse il 15 di luglio?
Abbandonai la
bici ad un posteggio di ferro apposito e pensai che, dopotutto, era da tanto, troppo tempo che non andavo a visitare la
tomba dei nonni.
Attraversai il
macabro cancello e al varco, feci il segno della croce, procedendo a passi
lenti. Sotto di me, i sassolini bianchi del terreno tremavano inconsciamente. Qualche
vecchietta piangeva di fronte alla tomba dei propri cari o puliva il vaso dei
fiori. Procedetti ascoltando il tombale silenzio della morte. Lontano da quegli
assordanti schiamazzi cittadini, quell’orribile rombare di motorini e clacson,
le urla incomprensibili di dilettanteschi idiomi dialettali, lì calava il
silenzio. Scesi dai piccoli scalini che mi portavano sino ad una
ulteriore landa di morti di pietra e marmo.
A passo veloce
arrivai sino alla tomba di mio nonno e, a mani giunte, gli chiesi scusa per non
essere mai andato a trovarlo in tutto questo tempo.
Poi sentii come
un impeto dentro di me, come se la vescica dovesse esplodere. Fortunatamente
all’interno del cimitero del mio paese c’era un piccolo bagno e non era troppo
distante da quella tomba. Scattai a passo veloce e mi rinchiusi dentro la
stanza della salvezza.
Un passo.
Schrieeeek. Un rumore imperversò nelle mie orecchie.
Alzai il piede e
scoprii che era solo il rumore di una foglia morta, calpestata dalla mia
ingordigia. Mi abbassai la zip dei pantaloni mentre il
minuscolo bagno sporco era imperversato da continui e strambi rumori.
PUPUM! TUTUM! TUTUM!
Rumori
agghiaccianti, come se fossero lame di ferro percosse. Tuttavia non ci feci
troppo caso e feci ciò che dovevo fare sin dal principio. Terminata l’opera mi
avvicinai al lavandino. Mi sciacquai le mani, me le insaponai e le risciacquai,
attraversando i solchi tra le dita. Poi me le asciugai con un pezzo di carta
igienica.
E fu lì che
accadde. Avvicinai la mano alla maniglia per aprire la porta, quando incominciò
un lungo cigolio che rompeva il silenzio. Aprii lentamente la porta e poi…la
vidi.
Era una bambina,
poco distante da me. Ma non era viva.
Era come se fosse tagliata, strappata. Non aveva più la parte superiore. Era come
se fosse tagliata di sbieco e che io vedessi solo la parte inferiore al petto. Avvinghiata
in un infantile vestitino a fiori e in scarpe laccate rosse. Quella rideva.
Rideva forte.
Non riuscivo a capire se fosse una risata ilare o malvagia, ma rideva. Ne ero
sicuro.
La sua risata mi rimbombava nelle orecchie ed erano brividi impazziti quelli
che mi salivano lungo la schiena. Una continua tempesta di fremiti.
La fissavo ed
ero come impietrito di fronte a quella strana figura. Ma quella non scompariva.
Vedevo il suo metà-corpo immobile, di fronte a me.
E quando
finalmente ritrovai il coraggio di muovermi fuggii, risalendo le scale che mi
avevano portato al terrore.