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Autore: MaryFangirl    07/04/2022    0 recensioni
Hanamichi Sakuragi. Compleanno: 1° aprile. Segno zodiacale: Ariete.
Kaede Rukawa. Compleanno: 1° gennaio. Segno zodiacale: Capricorno.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lime, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Kaede Rukawa. Compleanno: 1° gennaio.
 
Capricorno.
 
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Il Capricorno può sembrare innocuo come un cuscino di piume, ma è resistente come un’armatura. Lavora con costanza, senza sosta e riesce a digerire insulti e pressioni.
 
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Il cielo primaverile, azzurro e profondo, coprì tutta la sua visuale per alcuni secondi dopo aver aperto gli occhi in seguito al lungo pisolino. Non aveva sognato niente e per fortuna (degli altri) nessuno lo aveva disturbato. Era un’abitudine sviluppata fin dall’infanzia, secondo sua madre, quindi ora, a 13 anni, era impossibile cercare di sradicare una consuetudine tatuata nel suo sangue e dna. Dormire era una seconda natura per lui. Come il basket, gli diceva sempre suo padre con un sorriso assonnato.
 
Solo pensando a quello sport, Kaede lentamente si alzò. Arricciando le labbra e tenendo gli occhi aperti, si pulì l’uniforme coperta di polvere.
 
Dovrebbero pulire meglio il tetto, pensò senza rivoglergli una seconda occhiata e dirigendosi in palestra.
 
Avanzando lungo i corridoi, pieni di studenti che si recavano alle rispettive attività extrascolastiche, Kaede notò che alcuni lo guardavano con la coda dell’occhio; l’attribuì alla propria statura, stranamente alto per un ragazzino della sua età.
 
Tutto per il basket, pensò sbadigliando, ignorando ogni suono e persona sul suo cammino.
 
Entrò negli spogliatoi per cambiarsi, e sentì di nuovo gli occhi dei compagni sulle spalle. Kaede non si soffermava mai su pensieri inutili...troppo fatica...ma immaginava che molti degli altri ragazzi non si fidassero di lui, dato che praticamente non parlava mai e che, quando era apparso in squadra qualche giorno prima, le sue uniche parole erano state che ‘giocava in qualsiasi posizione’ (il che era assolutamente vero).
 
Decidendo di ignorare tutto ciò che non era il basket, si mise la maglietta, i pantaloncini e la fascetta sull’avambraccio. Andò al campetto e vide diversi ragazzi che si allenavano mentre il capitano parlava con il coach al bordo.
 
Non sapendo cosa fare, rimase in disparte in attesa di istruzioni, ascoltando risatine non molto basse da un gruppo di ragazzi a pochi metri da lui; questi lo guardavano con espressioni di scherno. Kaede alzò le spalle e si voltò verso il capitnao, che accorgendosi dell’arrivo di tutti, ordinò loro di mettersi in fila per cominciare con la pratica.
 
La prima ora fu dedicata al lavoro di base e all’esercizio fisico. Per Kaede era una perdita di tempo. Se qualcuno non sapeva giocare a basket, non doveva nemmeno essere ammesso; inoltre, secondo la sua opinione, il lavoro fisico non doveva durare tanto. Sospirando e scuotendo il capo, Kaede ignorò l’irritazione e continuò in modo impeccabile e perfettamente ordinato, richiamando l’attenzione dei più grandi.
 
Nell’ultima ora fortunatamente il capitano li separò in due gruppi per una partitella. Tanto per provare, disse con un sorrisetto. Kaede non capì e nemmeno gli importò, voleva solo giocare.
E lo fece non appena ne ebbe occasione. Quando un suo compagno gli passò la palla, concentrò gli occhi sul tabellone e avanzò per raggiungerlo.
 
Dribblando e palleggiando con forza, corse oltre la difesa inesperta come una bufera. Lasciò tutti a bocca aperta quando, vicino al canestro, saltò dritto in alto, con le braccia tese, quasi accarezzando la palla, lanciandola e segnando due punti.
 
Sentì sussurri e sommessi applausi, ma li ignorò...voleva solo giocare.
Continuò a farlo in quella partita e nelle seguenti, sentendo ogni giorno gli sguardi dei compagni di squadra o di classe sulla schiena.
 
A volte il capitano lo richiamava per il suo gioco individuale e presunto egoismo, o per quanto fosse geloso della palla dopo averla ricevuta. Kaede, per rispetto, cercava di ascoltarlo e cambiare (un po’), tuttavia il basket era la sua priorità.
 
Con il passare dei mesi Kaede diventò sempre più indispensabile per la squadra di Tomigaoka. E sì, forse molti lo invidiavano ed erano gelosi di lui...molti lo volevano fuori dalla squadra...altri lo ammiravano come una star del cinema.
 
Ma a Kaede Rukawa importava solo di essere il migliore nel suo basket.
 
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Il Capricorno prova una grande ammirazione per chi prima di lui ha raggiunto la vetta del monte, stabilendo le regole del viaggio. Corteggia il successo, rispetta l’autorità e onora la tradizione. Molte persone energiche e impulsive lo bollano come snob e presuntuoso. A sua volta, il Capricorno può considerare assurdi e sciocchi coloro che lo criticano, ma in generale è troppo prudente per farsi nemici inutilmente.
 
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Come giocatore di basket, entrare nel liceo Shohoku probabilmente non era stata la decisione più intelligente che avesse preso in vita sua. La squadra del Ryonan, per esempio, in ascesa e con uno dei giocatori migliori del paese, sarebbe stata una scommessa facile e geniale. O il Kainan, la squadra più forte del distretto e riconosciuta su larga scala nazionale, sarebbe stata un’altra scommessa quasi sicura per la sua crescita. Nonostante ciò, Kaede non era fissato per nessuna squadra in particolare, non aveva discusso con i suoi genitori le opzioni su allenatori e piani di attività...aveva solo cercato la comodità.
 
Il sonno era vitale nella sua routine, era essenziale per la sua quotidianità. Era necessario per la sua esistenza. Per quello aveva scelto la scuola più vicina a casa sua. Inoltre, perché mentire, anche nello Shohoku conobbe grandi giocatori. Del capitano Akagi sinceramente non aveva pensato che fosse granché, credendo che la sua autorità giungesse più dal suo status di alunno del terzo anno che dalla sua abilità, ma si era sbagliato completamente.
 
Takenori Akagi era per Kaede senza troppi dubbi uno dei migliori centri del paese. Facendo sentire la squadra al sicuro e con il tabellone protetto. Cosa che era stata ben provata nella partita amichevole con il Ryonan, in cui non solo lo Shohoku era stato testato per la prima volta, ma in cui ci fu l’opportunità di giocare contro Akira Sendo, noto fuoriclasse che, si diceva, avrebbe superato anche Maki del Kainan.
 
Mettersi alla prova contro giocatori come lui era la cosa più emozionante ed intrigante. Per Kaede non c’era niente di più rinvigorente che affrontare quei giocatori. Non avrebbe mentito, il tipo non gli piaceva, in primo luogo perché era arrivato tardi alla partita; secondo, aveva trascorso il tempo con quello stupido sorriso disegnato in faccia; e terzo, in campo era incredibile. Sì, lo ammirava (molto, molto segretamente) ma invidiava e detestava il suo talento e la sua naturalezza; pur essendo un giocatore eccezionale, sembrava essere in sintonia e armonia costante con i compagi, qualcosa che per Kaede era totalmente estraneo, dato che alla Tomigaoka era sempre stato il leader che guidava la squadra, senza aiuti e senza domande.
 
Nello Shohoku conobbe Ryota Miyagi, un tizio scemo come quell’idiota di Sakuragi, ma che giocava da playmaker con autorità. Senza dimenticare l’MVP, Hisashi Mitsui, ex teppista che quasi aveva distrutto la squadra con le sue scemenze e che pur non giocando da molto tempo aveva dimostrato un talento unico: in difesa e in attacco, era un giocatore prodigioso.
 
Di sicuro nello Shohoku non era affatto piacevole quell’idiota di Hanamichi Sakuragi.
 
All’inizio Kaede lo ignorò. Non aveva idea del perché quel tizio violento ce l’avesse con lui e onestamente non gliene fregava niente. Per lui c’era solo il basket. Così le stupidaggini di quell’inutile gli scivolavano addosso come acqua.
 
Ma quell’idiota aveva l’abitudine di incapricciarsi sempre con lui. Per quanto lo ignorasse o gli dimostrasse che non lo considerava parte della squadra, lui rimaneva a infastidirlo e a mettere in mostra abilità che ovviamente non aveva. Kaede ne era irritato come non mai.
 
Mai, mai in tutta la sua vita si era sentito così seccato come con quel deficiente, arrivando ad abbassarsi al suo livello e ricambiando gli insulti e i colpi. Ma non riusciva a controllarsi...non con Hanamichi che rideva con quella boccaccia e parlava, parlava e parlava di cose che non conosceva.
 
Sì, sì, forse aveva un po’ di talento (e imparava molto velocemente), ma non aveva il diritto di andare in giro a urlare per qualsiasi giocata che gli riusciva per miracolo.
 
In breve, Kaede Rukawa era soddisfatto di essersi unito allo Shohoku, ma vedendo quel rosso durante l’allenamento gli faceva riconsiderare la sua decisione ogni sera.
 
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Il suo sguardo è rivolto in avanti e i suoi piedi sono ben piantati a terra. Gelosia, passioni, impulsi, rabbia, frivolezze, stravaganze, pigrizia e incuria sono ostacoli; che siano gli altri ad inciamparci e a cadere. Il Capricorno no. Può dare una rapida occhiata indietro, compatire i caduti o ringraziandoli per i consigli e l’aiuto dato in precedenza, ma non ci metterà molto per continuare senza fretta e senza sosta fino alla meta.
 
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“Stai zitto e guarda, idiota” disse Kaede ad Hanamichi (che il professor Anzai aveva tolto dal campo(, voltando le spalle ed entrando in gioco per continuare la lotta contro il Kainan che al momento, grazie alle giocate del grande Maki, era in vantaggio.
 
Erano indietro...molto indietro...e a peggiorare le cose, quello stupido rosso aveva abbassato il suo rendimento affrontando quel ragazzino, fallendo come il principiante che era e rendendosi ridicolo (come sempre), e ancora più importante, diminuendo l’efficacia con i rimbalzi.
 
È un inetto, pensò Kaede, sospirando e piantando i piedi in campo con determinazione e il fuoco sulla pelle.
 
E non era tutto...quell’altra scimmia assurda, Kiyota, non smetteva di prenderlo in giro e di provare a provocarlo (come se le sue sciocche sfide o parole potessero smuovere un suo capello)...a Kaede non importava affatto chi fosse la matricola dell’anno, o il miglior principiante, o la stella emergente per gli anni successivi.
 
Voleva solo vincere...accorciare le distanze, fare più punti, molti di più, fare canestro...canestro...canestro!
 
Come se il karma avesse deciso di spegnersi su di lui, il capitano Akagi sentì dolore per l’infortunio alla caviglia; una ferita vitale per un centro come lui che, difendendo sotto il canestro, doveva saltare per recuperare i rimbalzi e salvaguardare il tabellone da qualsiasi attacco avversario. Akagi si ritirò per curare la ferita.
 
Tutto stava cadendo a pezzi, tutto crollava...lo Shohoku andava male. Stava perdendo. I presenti in palestra gridavano, celebravano le giocate, urlavano per i loro preferiti, ma Kaede zittì ogni cosa. Lo rinchiuse in un luogo nascosto delle sue orecchie, lo cancellò dalla sua coscienza. In quel momento c’erano solo lui e la palla. La palla e lui...e il canestro in attesa di essere perforato.
 
Nient’altro, nessun altro. Non c’era pressione, non c’era umore, non c’era rabbia, frustrazione, irritazione o stanchezza. Solo determinazione. Fiera, appassionante, energica, consumatrice e travolgente.
Con ciò in mente giocò come non mai. Palleggiò e dribblò in un modo che molti ritennero da film. Passò e superò la scimmia del Kainan. Non perché volesse umiliarlo, non perché volesse insegnargli o mostrargli qualcosa...doveva fare più punti. Lo fece anche con Maki e con la sua difesa alta. Kaede portò tutti in avanti.
 
Con il sudore che gli scorreva lungo le tempie, con il respiro agitato e spezzato, alzò lo sguardo e fissò gli occhi blu sul tabellone dei punti. 15...solo altri 15...con quelle parole in mente si scatenò una saetta di fuoco dentro le sue braccia e gambe, mentre i palmi si attaccavano alla palla. Era quella la sensazione di cui parlavano atleti e professionisti? Era quella la trance agonistica? Kaede non lo sapeva né gli importava, non quando doveva continuare a fare punti. Non quando doveva schiacciare, fare un canestro e ancora un altro. Niente e nessuno importava.
 
Il canestro. Il canestro. Il canestro. Ancora un punto. Solo un altro punto.
 
Vincerò...vincerò a tutti i costi...
 
Quando Sakuragi finalmente affrontò le sue debolezze, le cose sembrarono tornare in carreggiata per la squadra con le divise rosse. Il capitano Akagi, chiaramente dolorante, tornò in campo e continuò a lottare con un coraggio che proveniva solo dal suo cuore. Kaede lo ammirò per questo. Ma non c’era tempo per pensarci...non quando mancava così poco e la dannata distanza non scompariva.
 
Il Kainan continuava a segnare. Maki era incredibile, quasi invincibile, spettacolare e di ferro.
 
Con quasi 1.30 minuti rimanendo della partita e sei punti di differenza (svantaggio ancora dello Shohoku), la palla uscì verso la panchina del Kainan. Sakuragi, quell’idiota, quel principiante, quel mostro, corse verso la palla e la lanciò verso di lui.
 
“Rukawa! Non importa se segni per fortuna, fallo!” gli urlò rialzandosi e Kaede, palleggiando di fronte al blocco di Kiyota, avanzò con autorità e potenza. Kiyota rimase sorpreso dalla sua aura, dall’energia che sprigionava il suo gioco.
 
“Io non sono te” replicò Kaede impassibile, sudato, esausto, respirando pesantemente, ma determinato, “non ho bisogno della fortuna, stupido!” urlò saltando e schiacciando con la mano destra, resistendo e superando la difesa del Kainan.
 
È abilità..., pensò, sdraiato a pancia in giù sul suolo, con la fronte madida e le braccia rilassate, quasi perdendo i sensi...esausto, frustrato della sua poca resistenza, irritato con il proprio corpo, infastidito dalla propria mente.
 
“Hai giocato bene. Ottimo lavoro...ora lascia il resto ai tuoi compagni” gli disse il professor Anzai quando lo sostituì con Kogure.
 
Kaede, seduto sulla panchina e i pugni serrati furiosamente sulle ginocchia, la testa nascosta dall’asciugamano e la respirazione ancora affannata, pensò: Lasciare il resto ai miei compagni...?
 
No...non poteva farlo...
 
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A volte il Capricorno dimentica di nascondere le sue ambizioni e si rifiuterà di lavorare se non in una posizione chiave. Diventerà quindi testardo insistendo di partire dal gradino più alto, luogo che ritiene di sua appartenenza. Naturalmente, tale atteggiamento porta a una persona cupa, egoista e fredda, impossibile da soddisfare. Ma di solito un paio di colpi ben assestati basteranno per rimetterlo sulla retta via.
 
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A volte, per quanto sia difficile da credere, le persone possono cambiare completamente le prospettive di vita se lo propongono (cosa che per Kaede Rukawa sembrava impossibile).
 
Tuttavia, in altre circostanze, si preferisce rifugiarsi nel proprio guscio e guardare da una piccola crepa come cambia il mondo intorno, senza muovere un dito, senza un respiro più profondo, senza spostare un muscolo.
 
E altre volte...molte altre...ci si ritrova immersi in correnti imprevedibili e impetuose senza volontà. In quei casi è quasi opprimente prendere fiato ed espirare...e pensare ‘questo ora sono io, questo è ciò che sono diventato’ a volte è inteso negativamente, altre in meglio.
 
Per Kaede Rukawa, la sua esperienza di vita lo portò verso la seconda opzione (o almeno così gli piaceva pensare). Una che non si sarebbe mai aspettato, che non aveva mai voluto, ma eccolo lì, a lottare per qualcos’altro.
 
Molte persone all’inizio del liceo l’avevano soprannominato re dei ghiaccio, o marcato come giocatore egoista, individualista...e onestamente non gli era mai importato, perché anche alle medie era conosciuto per quelle caratteristiche. Non si vergognava del suo stile. Non si pentiva di giocare un basket più personale...non perché i suoi compagni fossero dei buoni a nulla, tuttavia gli era molto difficile interagire con le persone. Non era timido, vulnerabile, non si imbarazzava facilmente né era un idiota...ma non gli interessava.
 
Parlare e farsi degli amici non serviva ai suoi scopi, al suo obiettivo.
Cos’avrebbe guadagnato con l’amicizia di un coetaneo? Avrebbe dribblato più precisamente? Più velocemente? Più basso o più alto? Avrebbe saltato di più? Avrebbe fatto più punti? Più schiacciate? L’avrebbe reso un giocatore migliore? No...per questo non vedeva la necessità di creare legami con i suoi compagni di squadra.
Erano tutti pezzi di un grande gioco, dopotutto. E quel pensiero lo dominò a lungo, forse troppo.
 
Ma nello Shohoku...qualcosa nello Shohoku cambiò, qualcosa andò fuori dai binari e cadde lungo un profondo precipizio, uno di cui non vedeva ancora la fine e forse nemmeno voleva farlo.
A pensarci bene, forse era stato il professor Anzai che aveva motivato il suo cambiamento dicendogli di dicentare il giocatore delle scuole superiori numero uno in Giappone. Dopo aver sconfitto il Ryonan e in attesa dei nazionali. Forse furono i suoi insegnamenti e le sue lezioni di vita che lo portarono a mutare.
 
Forse fu anche per Takenori Akagi, il capitano. Il pilastro. Il cuore. Il centro e difensore del canestro. Forse la sua sicurezza, la sua grinta, la sua fiducia, i suoi sogni lo motivarono a unirsi alla squadra. Ispirandolo ad arrivare ai nazionali con lo Shohoku. Non poteva escludere Miyagi, Mitsui, persino Kogure e Ayako. Ognuno di loro, con le proprie capacità, con i loro caratteri, con il loro contributo personale, riuscirono a farlo sentire parte di qualcosa. Gli fecero credere in veri compagni di squadra; con loro si sentiva non con persone con cui condivideva uno spogliatoio, giocando con la stessa uniforme, ma parte di qualcosa più grande, più profondo...più significativo.
 
E probabilmente...
 
Quello che più influenzò la sua vita e le sue decisioni fu Hanamichi Sakuragi. Il ragazzo un tempo principiante e testa vuota, che a malapena sapeva palleggiare. Il presuntuoso che passava il tempo a urlare durante l’allenamento (e ancora lo faceva).
 
Kaede non provò mai a essere suo amico, non provò mai a parlargli, conversare con lui o accostarsi a lui. Il tipo lo odiava e lui ricambiava pienamente il sentimento, per cui faceva orecchie da mercante ai piani deliranti del professor Anzai di fare di loro un duo vincente.
 
In realtà Kaede non sapeva dire quando le cose cominciarono a cambiare. Quanto tutto iniziò a sfuggire al suo controllo. Quando la sua ambizione tremava e la sua testa cominciò a riempirsi di altri pensieri (inutili, secondo lui).
 
Osava dire che accadde quella mattina di agosto, poco prima che iniziassero i nazionali al primo anno di liceo. Quel giorno Kaede si stava esercitando e allenando senza disturbare nessuno quando, dal nulla, apparve l’idiota scandaloso.
 
“Ehi, tu! Che ci fai qui?!” gli urlò contro Hanamichi, puntandogli il dito e avvicinandosi con presunta aggressività. Kaede si sentì esasperato e irritato per l’interruzione, specialmente da parte di quello scemo che non faceva altro che infastidirlo.
 
“Tu cosa dici? Mi alleno, stupido” rispose impassibile per farlo arrabbiare. Dopo qualche insulto e grido, Hanamichi si arrese e si rinchiuse nella sua parte del campo, esercitandosi con i tiri. Kaede si chiese se l’allenamento segreto con il professor Anzai avesse riguardato quello, nel periodo del ritiro; ma rapidamente alzò le spalle proseguendo per i fatti suoi. Quello che faceva l’idiota non era affare suo.
 
Ma nonostante le sue stesse parole e i suoi pensieri, quella mattina si ritrovò a prestare poca attenzione al proprio tabellone e pallone, guardando con scarsa dissimulazione mentre Hanamichi cercava di lanciare la palla da ogni angolo, ancora e ancora. Segnava e segnava. Quando sbagliava, grugniva e stringeva i pugni, ma continuava a provare.
 
È un mio compagno di squadra..., pensò Kaede quella mattina. Sakuragi forse era un presuntuoso. Un illuso. Un boccalone. Un idiota. Ma era uno stupido con talento, uno che Kaede non poteva più negare.
 
“Non migliorerai in nulla se ti metti a saltare come un idiota” lo interruppe quando lo vide lanciare la palla con potenza ma scarsa coordinazione e precisione, saltando fuori tempo e sfiancando le gambe e il corpo.
 
Kaede non sapeva dire ciò che l’aveva motivato ad aiutarlo, cosa lo spinse a provocarlo e a impicciarsi. Quella mattina si disse che lo avrebbe aiutato per il bene della squadra.
 
Da allora Hanamichi era migliorato e di conseguenza tutto lo Shohoku. Certo, c’era ambizione ed egoismo ancora in ogni sua mossa, in ogni sua parola. Anche con il Sannoh il suo gioco fu ancora individuale, ma...quella mattina d’agosto...Hanamichi Sakuragi entrò nella sua vita come un vortice, come una tempesta che lo colpì da testa a piedi.
 
Kaede immaginava che avrebbe dovuto aspettarselo: per tutta la sua vita i suoi sentimenti e stati emotivi erano rimasti stabili, equilibrati e controllati, ma con quel tipo tutto si era alterato e mutato in qualcosa che si rifiutava di riconoscere. Non importava quante volte lo cercasse durante gli allenamenti. Non importava quante volte si sentisse...sollevato...ad allenarsi con lui in un campo pubblico...solo loro due...non importava cosa lo irritasse del fatto che Sakuragi guardasse tanto la nuova assistente.
 
Non importava. E se lo disse migliaia, milioni di volte nelle mattine in cui lo vedeva con quel sorriso idiota. Se lo ripeté nei pomeriggi in cui lo incontrava mezzo nudo negli spogliatoi. E se lo gridava di notte quando le immagini di Hanamichi, sudato e ridente, gli assalivano la testa.
 
Ma non tutto poteva rimanere perfetto, o almeno così sembrò nella partita di aprile del secondo anno; quella in cui Miyagi, nuovo capitano, fu assente perché si era ammalato e non poté assistere al match contro lo Shoyo. Hanamichi, da chiacchierone e presuntuoso qual era, non impiegò molto a prendere le redini e gridare discorsi retorici nello spogliatoio. Kaede lo ignorò, abituato alle sue buffonate, sapendo che a prescindere da quanto fosse vanitoso, i suoi rimbalzi, la sua ottima condizione fisica e le sue schiacciate erano fondamentali. Quello che non si aspettò, però, fu altro:
 
“Che ti succede, volpe?! Concentrati! O quel novellino è migliore di te?” gli disse, dopo aver affrontato la recluta dello Shoyo, un ragazzo del primo anno che giocava come un professionista. Inizialmente Kaede provò una furia ardente intorno a ogni muscolo.
 
Non devi ricordarmelo, stupido, pensò, frustrato e irritato perché un dannato ragazzino del primo anno gli stava facendo mangiare la polvere...
 
No, grazie. Non aveva bisogno delle stupide parole di un idiota.
 
“Non dimenticare il motto dello Shohoku, idiota” continuò Hanamichi, sussurrando, più serio. Kaede, ancora respirando pesantemente, sudato e infastidito da se stesso, si ritrovò in fiamme, ma per una ragione completamente differente. Hanamichi non gli aveva mai parlato in quel modo: così intimo. Così privato. Così maturo.
 
“Siamo forti, volpe! Tu sei forte...quindi non lasciare che venga un ragazzino a prenderti a calci...quello è compito mio” commentò voltando il viso, con le guance rosse.
 
Kaede non poteva credere che Hanamichi, quel presuntuoso e autoproclamato suo rivale, avesse detto quelle cose a voce alta.
 
Con gli occhi luminosi, le labbra secche, la bocca che salivava, la pelle in fiamme e il cuore che palpitava come un pazzo, Kaede si sentì cadere alla mercé del compagno. Non c’erano più dubbi. Non c’erano altre domande. Non poteva negarlo.
E ancora meno quando quelle semplici parole sembrarono iniettare energia e potenza nel suo sangue e nella sua mente. In seguito giocò perfettamente, in modo brillante e ispirato...e tutto grazie all’idiota.
 
Il resto giunse semplicemente come l’autunno dopo l’estate. Kaede faceva ancora fatica a digerire tutto. Impiegò mesi per accettarlo e guardarlo come una cosa non esattamente brutta, ma non necessariamente buona.
 
Quello stupido gli piaceva...e non solo come compagno di squadra. Non solo come potenziale amico.
 
E se gli fossero mancate ragioni per crederci, bastava ricordare il campionato nazionale del mese precedente, in cui avevano perso in semifinale contro una squadra di Tokyo e Hanamichi era rimasto bloccato sotto il tabellone, con gli occhi sbarrati e i muscoli paralizzati. Quel giorno Kaede aveva curvato le spalle, sconfitto. Si era irrigidito, disgustato da se stesso, per non aver aiutato di più, per non aver dato di più, per non aver fatto più punti o aiutato a farli...una nuvola nera gli aveva coperto la faccia e lo spirito, finché non aveva visto Hanamichi praticamente sotto shock in quell’angolo. Non aveva provato pietà, divertimeno, rabbia o compassione...ma empatia...perché Kaede sapeva che entrambi condividevano le stesse sensazioni quando si trattava di basket. Erano sempre in sintonia sul campo, sempre in armonia.
 
Così, quando aveva visto Miyagi avvicinarsi al ragazzo, mettendogli un braccio intorno alla vita e provando a confortarlo, qualcosa gli era parso sbagliato...spiacevole...all’altezza del ventre e sulla pelle. Perché Miyagi non capiva. Nessuno poteva capire Hanamichi come lui in quel momento. Nemmeno quella ragazzina che continuava a fare arrossire l’idiota. Senza volerlo, li aveva fissati come uno stalker, attirando l’attenzione del più basso, che l’aveva chiamato subito. Quando si era avvicinato, Ryota-san se n’era andato lasciandoli soli. E Kaede l’aveva tirato fuori da quello stato di stordimento nell’unico modo che conosceva: provocandolo, facendolo infuriare...e ci era riuscito. L’aveva fatto sorridere per il resto della giornata, nonostante la sconfitta.
 
Quindi ora, in una fresca notte di settembre, in prossimità dell’autunno, Kaede camminava tranquillamente e sicuro verso la palestra, dove sapeva che Hanamichi si stava contorcendo nel dubbio...perché quando si trattava di basket erano sempre in sintonia.
 
Quel pomeriggio lo aveva visto assente e sconnesso durante l’allenamento...e ad aumentare i suoi sospetti, non aveva parlato, gridato né si era vantato per tutto il tempo. Non appena gli altri se n’erano andati, Kaede si era avvicinato a Miyagi e con estrema discrezione aveva chiesto notizie dell’idiota numero uno di Kanagawa. Ryota-san gli aveva detto che lui avrebbe presto lasciato la squadra e sicuramente Sakuragi sarebbe diventato capitano. Onestamente Kaede si era aspettato un’esplosione di arroganza dal suo rivale, non quel Sakuragi silenzioso e quasi depresso. Ma aveva capito, unendo i puntini e comprendendo gli sguardi persistenti di Hanamichi verso il capitano, Ayako e il coach...e tutto era stato chiaro.
 
Ecco perché ora, in silenzio e con espressione immutabile, aprì la porta scorrevole e vi si appoggiò osservando il suo compagno di squadra. Hanamichi era sdraiato sul suolo, con le mani sullo stomaco e gli occhi fissi al soffitto. Appena lo sentì, si mise a sedere e voltò il viso.
 
“Volpe! Che ci fai qui?” chiese Hanamichi con gli occhi castani aperti e i lineamenti rilassati. Kaede lo vedeva calmo come non mai. Quella fiamma che lo avvolgeva sempre pareva docile e debole, e sebbene durante il primo anno Kaede avrebbe fatto qualsiasi cosa perché l’idiota fosse così tranquillo, in quel momento voleva solo l’Hanamichi turbolento e presuntuoso che tutti conoscevano e apprezzavano.
 
Sapendo di non poter rispondere alla domanda senza far capire quanto fosse assorbito dalle sue faccende, mise le mani nelle tasche e avanzò con calma, senza sedersi e guardandolo direttamente.
 
“Che ci fai tu qui, scemo?” quasi rise quando un lampo passò attraverso gli occhi del ragazzo. Funzionava sempre. Infastidire Hanamichi era più facile che accendere un fiammifero.
 
“L’ho chiesto prima io” ribatté come un moccioso, arricciando le labbra e muovendo la testa in segno di sfida. Kaede alzò gli occhi al cielo e sospirò senza spostarsi, chiedendosi se dire la verità o altro.
 
Ma come spiegargli perché era lì...
 
Perché ero preoccupato...perché ti conosco...perché so che, nonostante quello che mostri agli altri, dentro di te sei insicuro...perché volevo vederti...
 
“Ryota-san mi ha detto che sarai capitano” si limitò a rispondere, girando il viso per evitare di arrossire in maniera umiliante.
 
Hanamichi non rispose e Kaede lo guardò, chiedendosi cosa e come dirlo. Scuotendo il capo, si accovacciò e si sedette con le gambe incrociate, abbassando le spalle e osservandolo.
 
“Andrai bene” sussurrò piano, girando il volto e giocando con le dita. Probabilmente Hanamichi avrebbe urlato, lo avrebbe insultato, picchiato o altro...ma Kaede pensava di doverglielo. Hanamichi inconsapevolmente l’aveva aiutato molto nell’ultimo anno. Grazie a lui era uscito dal suo mondo oscuro ed egoista. Grazie a lui gli piaceva pensare, stava diventando una persona migliore.
 
“Certo che andrò bene, idiota...non ci sono dubbi! Ma...questo genio è indispensabile sotto canestro...un talento come me deve allenarsi giorno e notte, quindi...non so se...non sono sicuro di poter...non so se ho il tempo per altre cose...perché c’è tanto da fare e...”
 
Kaede desiderò di nuovo ridere per il suo strano nervosismo e vulnerabilità. Era sul punto di rispondergli quando improvvisamente sentì la mano di Hanamichi vicino alla coscia. Inconsciamente si tese, smise di respirare e fissò a terra.
 
Potrebbe essere...? Ma..Sakuragi è infatuato di quella ragazza...dell’assistente...?, o almeno così sembrava.
 
“Pensi davvero...che me la caverò?” sussurrò Hanamichi.  “Non che io abbia bisogno della tua opinione o altro, scemo...questo genio sa che-”
 
“Lo so. So che te la caverai bene...stupido” mormorò fissandolo profondamente e intensamente, inconsapevole dei propri lineamenti rilassati che trasmettevano dolcezza e comprensione.
 
Sapendo che forse stava commettendo il peggiore e più stupido errore della sua vita, spostò una mano su quella di Hanamichi. Il suo palmo, freddo, coprì la calda pelle dell’altro...Kaede sgranò gli occhi per lo stupore quando il ragazzo ricambiò il gesto, guardandolo con un sorriso timido e con un labbro tra i denti.
 
Merda...merda. Merda. Merda...
 
Lui...prova lo stesso?
 
Qualsiasi domanda, dubbio, attacco di cuore che minacciava Kaede scomparve quando Hanamichi prese la sua mano fra le sue, portandosela in grembo e poi contro il cuore, che batteva con la stessa travolgente intensità del suo. Tutti e due, arrossendo come gamberi, si voltarono verso il canestro...e rimasero lì finché la gelida notte li costrinse a cercare riparo.
 
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Dove trovarlo? Quasi ovunque gli sia possibile fare progressi o migliorare. Ovunque possa avanzare e realizzare le sue ambizioni segrete.
 
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Kaede Rukawa, studente dello Shohoku al terzo anno, aveva la mente pronta e desiderosa su un unico obiettivo: essere il miglior giocatore di basket del Giappone. A qualunque costo. A prescindere dai sacrifici e le ore che vi avrebbe dedicato. Era determinato a farcela.
 
Da quando il professor Anzai lo aveva sfidato due anni prima, Kaede aveva lavorato, si era allenato ed esercitato quotidianamente. Senza riposo e senza sosta. Solo su richiesta di sua madre lasciava le domeniche per dormire fino a tardi e non fare altro se non alcuni compiti per la scuola. Per molto tempo, per mesi e mesi, la sua routine era ridotta ad alzarsi presto per andare a correre. Lavorare sul suo corpo con macchinari per le braccia, le spalle, le gambe...e nel pomeriggio si allenava fino a non sentire altro che dolore e soddisfazione.
 
Tuttavia, dal settembre dell’anno prima, le cose erano leggermente cambiate...perché un’altra persona si era inserita nella sua vita in modo impetuoso. Una persona forte, vibrante, energica, vanitosa e...adorabile...Hanamichi Sakuragi, come un turbine, come una tempesta, una visione, aveva fatto irruzione nella sua vita e si rifiutava di andarsene. E onestamente Kaede sperava che rimanesse per sempre.
 
Tuttavia, non importava quanto gli piacessero i pigri pomeriggi nella stanza di uno dei due, a baciarsi lentamente, ad assaporarsi profondamente; non importava quanto apprezzasse pranzare o cenare in famiglia con Hanamichi e sua madre quando erano liberi; quanto gli piacessero i pomeriggi in cui vagavano per la città con l’Armata a punzecchiarli, quanto lo amasse e lo desiderasse...il futuro si avvicinava. Il futuro e l’incertezza del domani bussavano con insistenza alla porta.
 
Kaede sapeva cosa voleva fare, cosa doveva fare. Unrisi agli All Japan. Grazie al professor Anzai si stava candidando e parlando con le persone responsabili (allenatore, direttori, medici) per accedere ai try-out.
 
Ma...cosa sarebbe accaduto con Hanamichi?
 
La squadra giapponese era a Tokyo e dalla prefettura di Kanagawa distava, in treno, poco più di un’ora. Tempistica che per chiunque sarebbe parsa una sciocchezza, ma...una volta entrato in squadra, Kaede si sarebbe allenato tutti i giorni, senza riposo né tempo per viaggiare a visitare il suo ragazzo ogni volta che ne avrebbe avuto voglia. Anche il professor Anzai gli aveva detto che sarebbe stato un compito impegnativo e sacrificale, soprattutto se pensava di andare anche all’università. Ma Kaede si rifiutava di rinunciare ad Hanamichi...così, da quando erano ricominciate le lezioni, aveva insistito e chiesto sottilmente al suo compagno cosa voleva fare alla fine del liceo.
 
Anche se sembrava una ragazzina idiota e innamorata, Kaede sognava che anche lui si unisse agli All Japan...fantasticava di lui e Hanamichi che si trasferivano a Tokyo, vivendo insieme nuove avventure, nuove sfide, ma sempre insieme, mano nella mano e appoggiandosi l’uno all’altro...
 
Ma...la realtà, come sempre, si dimostrava leggermente diversa e sorprendentemente più crudele...
 
“Rimarrai qui...? A Kanagawa?” chiese Kaede con la testa sul petto del compagno. Quella domenica di ottobre, approfittando del fatto che la mamma di Hanamichi era uscita con alcune amiche, i due amanti avevano colto l’occasione per darsi alla pazza gioia in ogni angolo della casa, battezzando il bagno e la cucina e concludendo, come sempre, nella stanza di Hanamichi, con le lenzuola stropicciate tra le gambe, i vestiti gettati atterra e i respiri ancora agitati.
 
Kaede, sentendo ancora il bruciore nelle parti posteriori, le guance rosse e calde, i fianchi un po’ dolenti, cercò di respirare e calmare i suoi battiti irregolari. Perché Hanamichi aveva deciso.
 
E non aveva scelto lui...
 
Beh, era un po’ egoistico vederla da quella prospettiva, ma Hanamichi gli aveva appena detto che aveva deciso di entrare in un’università locale, più vicina a casa e conveniente per ciò che la sua famiglia poteva permettersi; aveva detto che ancora non sapeva cosa studiare, ma probabilmente qualcosa legato allo sport.
 
“Mmh...anche Yohei sta facendo domanda...gli altri non sanno se ci riusciranno, ma sai come sono...lui rimarrà vicino a casa mia quindi non dovrò spendere per il trasporto, ahahah...almeno mia madre sarà contenta” Hanamichi continuò a ignorare la lotta interna di Kaede che, per distrarsi, allungò la mano e giocò con alcune ciocche rosse del compagno.
 
Era quello il momento? Doveva dirgli...pregarlo...chiedergli di andare con lui? Per quanto Kaede fosse determinato, non aveva ancora detto al suo ragazzo che dopo il marzo dell’anno seguente si sarebbe trasferito a Tokyo.
 
Forse...forse questo è il momento...
 
“Io...mi unirò agli All Japan...a Tokyo” sussurrò con le labbra incollate alla sua pelle. Kaede sentì immediatamente la rigidità dei suoi muscoli. La mano che gli stava accarezzando la schiena si interruppe. Sentì il fiato sospeso del ragazzo.
 
“...a Tokyo?” mormorò con voce roca, priva della solita leggerezza ed umorismo. Kaede, consapevole di non poter più ignorare la situazione, si mise a sedere. Hanamichi lo seguì, osservandolo con le sopracciglia aggrottate e un luccichio negli occhi. Non riuscendo a sostenere il suo sguardo, annuì.
 
“...e quando pensavi di dirmelo? Direttamente alla stazione?!”
 
Kaede sapeva che quella reazione violenta era prevedibile, ma si stupì comunque di vederlo alzare dal letto bruscamente, iniziando a cercare i vestiti.
 
“Non urlare, scemo” implorò con il cuore che palpitava forte, sempre di più, rischiando di sopraffarlo.
 
“Urlo quanto mi pare...dio! Sei un dannato bastardo! Quanto tempo fa l’hai deciso?!” chiese infilandosi le mutande e la maglietta. Kaede sapeva che la risposta gli sarebbe valso un pugno, ma preferì essere onesto che mentire e aumentare la tensione.
 
“Lo so dall’anno scorso”
 
Hanamichi lo fissò con occhi infuocato, il corpo immobile e i pugni chiusi.
 
“...non puoi rimproverarmi nulla, Hanamichi. Fin dall’inizio sapevi che voglio giocare a basket” continuò fingendo calma e alzandosi per vestirsi, “ma in ogni caso mi dispiace...per non avertelo detto prima...non sapevo in che modo” si scusò avanzando verso il ragazzo per guardarlo negli occhi e cercare di trasmettergli che era deciso, ma che comunque si rammaricava di non essere stato più onesto.
 
“E quando te ne vai?” chiese Hanamichi con più calma, ma ancora rigido.
 
“Dopo il diploma”
 
Hanamichi si passò le mani fra i capelli. Si mise a camminare intorno alla stanza. Grugnì e si schiaffeggiò le guance alcune volte. Poi si sedette sul letto e lo guardò negli occhi. Castani come cioccolato amaro. Profondi come il mare. Dolci come i gelati che condividevano in estate. Kaede in quel momento lo amò come non mai. Lo desiderò come non mai.
 
“Vieni con me” si sentì dire. Hanamichi aprì gli occhi per lo stupore. Kaede non si fermò. Forse non stava pensando in maniera logica, razionale o sana. Non era da lui...ma non voleva rinunciare a lui...non voleva rinunciare alla persona che più di chiunque al mondo lo rendeva felice.
 
“Vieni con me a Tokyo, negli All Japan...hai talento, Hana...possiamo farcela...possiamo essere ammessi e vivere insieme e-”
 
“E come dovrei pagare, volpe? Come pagherò l’alloggio, la spesa, il trasporto e tutte le altre cose?”
 
“...possiamo trovare un lavoro part-time. Possiamo dividere le spese”
 
“Kaede” lo interruppe con una strada dolcezza da parte sua. Kaede temette il peggio, “questo è il tuo sogno. Non posso approfittarmene...né tu puoi costringermi a inseguirlo” disse calmo, con lentezza e serenità. Kaede si ritrovò con le labbra e gli occhi aperti, stupito da tanta maturità, saggezza...ma anche dalla realtà delle sue parole.
 
Era indiscutibile che ci fosse amore tra loro. Era innegabile che ci fosse desiderio, fuoco, affetto. Ma il futuro e l’incertezza del domani bussavano con insistenza. Erano ancora troppi giovani per pensare in maniera fatalista. Forse alcuni passaggi delle loro vite avrebbero preso percorsi diversi, ma ciò non significava che non si sarebbero più visti.
 
Kaede Rukawa aveva un sogno. Un obiettivo. Una meta. Avrebbe fatto tutto il necessario per ottenerlo. Si sarebbe allenato fino ad esaurire i muscoli, esercitato fino ad addormentarsi...ma non avrebbe mai rinunciado ad Hanamichi Sakuragi.
 
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In un gruppo numeroso potrebbe anche passare inosservato, perché lui è impegnato a guardare, calmo e silenzioso, le altre personalità splendenti, affascinanti, aggressive e luminose che lo circondano. Qualsiasi membro del gruppo darà l’impressione di essere meglio equipaggiato di lui per la carriera, qualunque essa sia. Molti si vantano, altri hanno paura, ma tutti sembrano così preparati, così lucidi, da avere l’impressione che il Capricorno non potrà fare nulla contro di loro. Ma il Capricorno li batterà.
 
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Toshiyuki Ishida, Tadashi Itoi e Masahiko Terazawa erano i suoi migliori concorrenti. Se c’erano persone negli allenamenti preliminari degli All Japan per le quali avrebbe potuto perdere il suo posto o essere messo in ombra, sarebbero stati loro. O almeno così Kaede la pensava.
 
Ishida-kun era un ragazzo rumoroso, estroverso e imponente. I suoi salti raggiungevano i 70 centimetri senza troppe difficoltà e passava il tempo a fare battute e a parlare fino a quando non distruggeva le orecchie degli sfortunati ascoltatori (Kaede ovviamente non era mai tra quelli). Da quello che aveva sentito, contro la sua volontà proveniva da una piccola scuola rurale di Kyoto, doveva aveva giocato come centro, ed era approdato lì solo per il supporto di sua madre e del coach. Il suo entusiasmo inesauribile era probabilmente dovuto al trovarsi nella grande capitale e in una squadra rinomata.
 
Itoi-san, un giovane di due anni più grande di Kaede, aveva quasi la sua stessa altezza e un corpo enorme e muscoloso. Come aveva detto lui stesso durante un pranzo (in cui Kaede si era concentrato maggiormente sul suo cibo), aveva giocato nella squadra di football americano del liceo, data la sua stazza. Era un mostro in difesa, preferibilmente come ala grande.
 
Terazawa-san, anche lui un po’ più grande, aveva una personalità riservata, introversa e matura, ma sembrava attirare le persone con magnetismo; sicuramente perché la sua aura ispirava sicurezza, come quella di un padre, di un fratello maggiore, di qualcuno che si sarebbe avuto accanto in qualsiasi pericolo. Anche lui ala piccola, correva con un’eleganza e naturalezza che Kaede lo paragonava a Sendo, ma era ancora più fantastico.
 
A quel punto, Kaede sentiva maggiore competitività e atmosfera di sfida, essendo a Tokyo da tre mesi, con allenamenti durissimi e infiniti e una fatica doppia, anche tripla rispetto a quelli dello Shohoku.
 
Solo uno degli allenatori, Taisuke Kenzo, aveva fiducia e speranza in lui, incoraggiandolo nella sua formazione e correggendo i suoi errori. Gli altri dirigenti, direttori, assistenti ed equipe medica lo guardavano con disprezzo o indifferenza, a seconda dell’occasione. Kaede sapeva che il suo corportamento freddo e silenzioso non aiutava molto a migliorare la propria immagine, ma non sarebbe cambiato per nessuno.
 
Con il basket, con una palla tra le mani e il canestro negli occhi, avrebbe dimostrato chi era e quanto sarebbe andato lontano.
 
E lo fece.
 
Lasciando tutti a bocca e occhi aperti nella prima partita in cui invitarono la squadra ufficiale in una delle più prestigiose università sportive.
 
Assomiglia a Michael Jordan, mormoravano ora per i corridoi ogni volta che appariva.
 
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È circondato da un muro che lui stesso ha costruito. È timido, ma forte e duro; piacevole, ma orgogliosamente ambizioso. Come i leggendari e silenziosi cowboy del West, l’uomo Capricorno dà l’idea di voler stare da solo, ma non è proprio così.
 
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Attraverso la piccola finestra dello spogliatoio, una leggera e gelida brezza entrava con forza nella notte oscura di quel finale di dicembre. Kaede, sotto la doccia, riceveva la calmante carezza dell’acqua calda, e si accorse appena del cambiamento di temperatura, chiudendo gli occhi e lavando i capelli più corti rispetto agli anni precedenti.
 
“Ehi! Per favore, qualcuno chiuda quella dannata finestra!” sostenne uno dei suoi compagni.
 
“Sì! Mi si stanno gelando le palle!” disse un altro.
 
“Le hai ancora? Pensavo che la tua ragazza te le avesse rubate” lo prese in giro Ishida-kun facendo la linguaccia e con un’espressione da gatto dispettoso.
 
“Ah ah, che divertente” rispose l’altro insieme a una manata. I minuti passavano e i ragazzi terminavano di lavarsi e pulirsi, rintanandosi nelle loro camere. Kaede, normalmente tra gli ultimi, vide Ishida e Terazawa che lo aspettavano. Sollevò le spalle, non capendo perché quei due avessero preso l’abitudine di parlare con lui o sedersi insieme a lui a pranzo (era bello, non poteva negarlo, ma non lo capiva).
 
“Perché tardi sempre tanto, Kaede-chan?” chiese Ishida inclinando il capo e sorridendo. Kaede lo guardò torvo e si mostrò più alto, con l’occhiata assassina che aveva perfezionato con Hanamichi.
 
“Non chiamarmi così, stupido” rispose con sguardo freddo.
 
“Che farete per Natale?” intervenne Terazawa con la calma e la serenità che lo seguivano sempre. Sia Kaede che Ishida si placarono subito, prendendo le borse e avanzando verso le loro stanze.
 
“Mmh...mi sarebbe piaciuto tornare a casa, ma il biglietto è troppo costoso...però Shimizu-sama mi ha invitato a cena con la sua famiglia”
 
Shimizu era uno degli allenatori, il più giovane e con cui i ragazzi andavano d’accordo, e aveva invitato tutti quelli che sarebbero rimasti lì da soli. Kaede non disse nulla e Terazawa aggiunse lentamente:
 
“I miei fratelli minori verranno in città, andremo in un ristorante del centro. E tu, Rukawa-kun?”
 
Kaede guardò in avanti, pensando ai suoi progetti con irritazione. Nemmeno lui aveva i soldi per comprare il biglietto per tornare a casa, e quando aveva accennato a sua madre l’idea di trascorrere del tempo insieme, i suoi genitori avevano proposto di spostarsi loro a Tokyo. Tuttavia Kaede voleva, bramava, aveva bisogno di tornare a Kanagawa, e non esattamente per vedere la sua famiglia.
 
“Verranno i miei genitori” rispose pigramente alzando le spalle.
 
“Ah? Non vai a trovare il tuo ragazzo?”
 
Kaede sussultò alla domanda, maledicendo il giorno in cui, mentre parlava con Hanamichi in videochiamata, Ishida era entrato nella sua stanza senza bussare o avvertire, presentandosi e chiedendo sfacciatamente ad Hanamichi chi fosse. Hanamichi, che da tempo aveva superato l’imbarazzo della domanda, aveva riso rispondendo che era il ‘ragazzo di questo stronzo egoista’.
 
“No” rispose senza guardare nessuno, sentendosi di colpo irritato e frustrato, affrettò il passo per raggiungere la sua stanza, ascoltando le grida da dietro. Quando entrò notò il suo coinquilino inghiottito da un gioco al computer. Si guardarono e si fecero un cenno col capo, tornando a ignorarsi. Kaede sistemò le sue cose, si mise dei vestiti più comodi e uscì. Si appoggiò al muro e scivolò sedendosi sul pavimento del corridoio, tirando fuori il cellulare. Lo sbloccò ed entrò nella sezione delle foto.
 
Molte di esse, se non tutte, raffiguravano lui e Hanamichi. Litigando. Discutendo. Abbracciandosi con imbarazzo. Posando con facce stupide. Baciandosi.
 
Hanamichi che rideva. Hanamichi arrabbiato. Hanamichi che sorrideva con la lingua fuori. Hanamichi a torso nudo sul suo letto. Hanamichi che si allenava. Hanamichi con i suoi compari. Hanamichi con i genitori di Kaede. Hanamichi sdraiato sulla spiaggia. Hanamichi. Hanamichi. Hanamichi...
 
Come gli mancava. Quanto gli mancava. Quanto desiderava essere al suo fianco...a gridarsi sciocchezze. A parlare del nulla. A dargli un colpetto durante una discussione. Stringendolo al suo petto. Appoggiando le labbra sulla sua guancia, sulla fronte, sul collo, le mani.
 
Sopraffatto, frustrato e furioso, Kaede chiuse gli occhi e respirò profondamente per lenire quello strattone soffocante che avvertiva al cuore.
 
Presto sarebbero arrivati i supervisori per verificare che tutti fossero nelle loro stanze, quindi non aveva molto tempo. Si appoggiò contro il muro e, osservando il soffitto, chiamò il suo ragazzo.
 
“Volpe?” la voce di hanamichi si udì sopra un rumore fastidioso. Guardando l’ora, immaginò che fosse con la sua Armata, e lo confermò sentendo risate e battute, probabilmente di Takamiya e Ookusu.
 
“Ciao” sussurrò con un sospiro. Hanamichi l’avrebbe capito subito, come sempre.
 
“L’allenamento è stato duro, eh? Ti manca la resistenza, volpe! Non come il genio” scherzò con risate fresche e leggere, calorose come le giornate estive più intense. Kaede si ritrovò a sorridere dolcemente, percependo dalla chiamata il calore che tanto gli mancava e desiderava ardentemente.
 
“Come vanno le tue lezioni?” chiese.
 
“Ovviamente bene! Non sono solo un genio in campo, sciocco...non come altri” lo provocò prendendolo in giro. Kaede notò che il rumore era scomparso, probabilmente il ragazzo aveva cercato un posto riparato.
 
“Sei tu l’idiota che è stato bocciato in 9 materie” gli ricordò sbuffando.
 
“Sette, bastardo. Sette. E a te non andava meglio”
 
“Perché mi addormentavo”
 
“Non parlare al passato, scemo. Ishida mi ha detto che arrivi sempre tardi e che ti addormenti sotto la doccia”
 
Kaede si accigliò. “Parli con Ishida? Perché?” chiese infastidito e incuriosito. Come aveva fatto quello ad avere il numero di Hanamichi? E, cosa più importante, perché lo chiamava?
 
“Eh, non lo so, un giorno mi ha chiamato...credevo gli avessi dato tu il mio numero”
 
“Quell’idiota” ringhiò Kaede, pensando che il giorno dopo gliene avrebbe dette quattro. Pensando a cos’avrebbe fatto, si distrasse prima di sentire la forte e volgare risata del ragazzo. “Cosa ridi?”
 
“Perché ora non chiami più me così”
 
“Non illuderti, sei ancora il più grande idiota del pianeta”
 
“E tu sei un vanitoso egoista”
 
“Credulone”
 
“Presuntuoso”
 
“Inutile”
 
“Bastardo”
 
“Scemo”
 
“Volpe”
 
“Questo non è un insulto” disse con le labbra increspate.
 
“Lo so...” rispose piano Hanamichi. Kaede sentì il proprio cuore allargarsi di tre volte rispetto alla sua dimensione standard. Probabilmente non c’era più spazio nelle sue costole. Probabilmente il giorno dopo si sarebbe svegliato con un buco al petto dovuto all’esplosione. Probabilmente si sarebbe sciolto per il calore prodotto dal suo ragazzo. O sarebbe diventato imbecille per tutti i neuroni che uccideva a parlargli in quel modo così dolce.
 
“...mi manchi...” mormorò senza trattenersi.
 
“Anche tu” disse subito Hanamichi.
 
“Voglio vederti per il mio compleanno” decise, raddrizzandosi contro il muro.
 
“Kaede, non posso viaggiare ora-”
 
“Verrò io. Chiederò i soldi ai miei genitori...non mi importa se è solo per un giorno...Hanamichi...voglio vederti” disse con tono implorante. Hanamichi sospirò e ridacchiò.
 
“Mi stai costringendo a comprarti un regalo” scherzò, accettando l’offerta. Kaede rise piano.
 
“Non ne hai ancora preso uno? Sei un pessimo fidanzato”
 
“Ma mi ami comunque”
 
“Sì...” sospirò chiudendo gli occhi, “per questo devo essere io l’idiota più grande del pianeta”
 
“Finalmente lo ammetti!”
 
“Zitto, scemo”
 
Sì...la verità era che lo amava...molto...forse troppo.
 
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Nei suoi sogni più intimi, il Capricorno è un inguaribile romantico, ma la sua natura è incatenata da Saturno. Il severo pianeta della disciplina richiede un comportamento tranquillo, azioni pratiche e serietà di intenzioni.
 
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Biglietto, pronto. Borsa con tutto il necessario, pronto. Denaro, pronto. Regalo, pronto. Cellulare, pronto.
Con tutto già controllato e preparato, non restava che salire sul treno e arrivare a Kanagawa a mezzogiorno. Proprio come aveva programmato qualche settimana prima, pensò Kaede entrando nel treno e sedendosi vicino al finestrino. Indossò le cuffie e mise un po’ di musica, mandando qualche messaggio al suo ragazzo e ad altri amici (se quel ficcanaso di Ishida poteva essere definito così).
 
Hanamichi pensava che Kaede non ci sarebbe stato per il suo compleanno, che era oggi, il 1° aprile, per un allenamento urgente con gli All Japan senior, ma faceva tutto parte di un piano per sorprenderlo. Aveva chiamato Yohei qualche settimana precedente e insieme avevano deciso di preparare una festicciola per il chiacchierone più grande della storia, invitando i ragazzi dello Shohoku e del passato, oltre al numero imprecisato di amici che Hanamichi aveva da quando era all’università.
 
Kaede avrebbe avuto Hanamichi tutto per sé fino alle 20, ora in cui avrebbe dovuto riportarlo a casa per una presunta cena con sua madre, quando in realtà sarebbero stati tutti lì ad aspettarlo.
 
Non vedeva l’ora di vedere la sua faccia...di abbracciarlo, stringerlo a sé, sentire la sua pelle, accarezzare i suoi muscoli con mani disperate, baciare ogni angolo...
 
Kaede, anche se si rifiutava di ammetterlo apertamente, si sentiva eccitato e impaziente di arrivare e baciarlo con tutte le sue forze; l’ultima volta che si erano visti dal vivo era stato per il suo compleanno a gennaio, e da allora si erano limitati a telefonate, videochiamate e messaggi. Cosa per nulla sufficiente.
 
Il viaggio di più di un’ora sembrò eterno. Il paesaggio era noioso e ripetitiv. La sua gamba destra si muoveva a ripetizione, portando alcuni passeggeri a osservarlo infastiditi; lui li ignorò freddamente, pensando di essere il solo a sentirsi così disperato, ansioso e irritato. Quando la voce femminile dall’altoparlante indicò la sua fermata, Kaede fu il primo ad alzarsi e ad avvicinarsi alla porta scorrevole. Scese e si diresse frettolosamente alla fermata dell’autobus che l’avrebbe portato a casa del suo ragazzo (dove Yohei l’aveva assicurato che l’avrebbe trovato ancora addormentato perché era rimasto fuori fino a tardi la sera prima). Una volta arrivato, bussò con calma.
 
“Kaede-kun! Che bello vederti. Hana non mi ha detto che saresti arrivato” lo salutò la madre del suo compagno con un sorriso disinvolto e dolce, uguale a quello del figlio. Kaede abbassò il capo per rispetto.
 
“Buongiorno, Sakuragi-san. Non sa che sono qui, è una sorpresa” sorrise indicando la borsa.
 
“Oh, che dolce da parte tua...ma che maleducata, entra, entra” gli indicò, facendosi da parte per lasciarlo passare verso il piccolo soggiorno collegato alla cucina. Come sempre, era tutto impeccabile e lucido (non come la stanza di Hanamichi). “Posso offrirti qualcosa? Succo, the? Qualcosa da mangiare?”
 
“No, grazie mille, ho mangiato prima di partire”
 
“Ma dimmi, come stai? Te la passi bene? Come va la squadra? Hana non mi dice mai niente”
 
Kaede rise dentro di sé, da tempo aveva dedotto che la parlantina di Hanamichi provenisse da sua madre. Anche se parlava molto, la donna, a differenza del figlio, era gentile e pacata, forse più calma per gli anni di esperienza e per il figlio irrequieto che aveva.
 
Sedendosi lentamente sull’unica poltrona presente, commentò a proposito della squadra e dell’università, descrisse un po’ le sessioni di allenamenti, com’erano i coach e alcuni compagni di squadra. La donna, dai capelli castani e corti, rideva e faceva domande con entusiasmo, sempre stupita che un ragazzo così serio ed educato fosse tanto intimo con suo figlio.
 
“Bene, non ti trattengo oltre, sicuramente sarai impaziente di vedere Hana”, Sakuragi-san rise mentre Kaede arrossiva e guardava in basso, “è ancora in camera sua, di sicuro dorme. Ti do il permesso di picchiarlo, perché è rientrato molto tardi” scherzò strizzandogli l’occhio prima di dirigersi verso il cortile sul retro. Senza attendere, Kaede salì nella stanza del ragazzo, aprendo la porta e trovandolo, come previsto, solo con le mutande addosso, sdraiato a pancia in giù sulle coperte disfatte. Il viso voltato rivelò la bocca aperta, con la bava che correva lungo le labbra, mentre ronfava piano.
 
Kaede scosse il capo e si sedette al suo fianco. Senza potersi controllare né desiderando farlo, fece scorrere una mano lungo la schiena solida e calda, muscolosa e segnata dal basket che continuava a praticare con i suoi amici sportivi. Hanamichi sospirò e si mosse, un piccolo sorriso sfuggì dalle sue labbra. Kaede abbassò il viso e baciò lentamente il collo, accarezzandolo col naso e inalando profondamente il suo aroma. Alla disperata ricerca di più, si sdraiò accanto a lui e portò le braccia intorno alla sua vita, premendosi e appoggiando la fronte sulla sua.
 
“E-eh?” balbettò Hanamichi, gli occhi velati dal sonno. Kaede gli sorrise e si chinò per dargli un bacio, fregandosene dell’alito mattutino. “Volpe?”
 
“Sorpresa” sussurrò con espressione impassibile, ma sapeva che i suoi occhi erano luminosi, attenti e fissi su quelli del compagno, impaziente di una reazione e ansioso di sentire il suo calore.
 
“C-che ci fai qui?! Credevo che non potessi venire” disse aprendo gli occhi e mettendosi a sedere. Kaede lo seguì baciandogli la spalle e appoggiandovi il mento.
 
“Ho mentito” rispose avvicinando il naso e strofinandolo sulla sua guancia. Hanamichi, ancora un po’ assonnato, grugnì e si voltò per baciarlo profondamente, aprendo le labbra e infilando la lingua rudemente, come per punirlo.
 
“Dannato, potevi avvisarmi” mormorò dopo essersi allontanato.
 
“Non sarebbe stata una sorpresa, scemo” ironizzò prima di baciarlo ancora sulle labbra, sul collo, sulla clavicola, sul petto. Incapace di trattenersi, montò sul suo grembo e gli avvolse le braccia intorno al collo. Hanamichi sorrise e continuò a baciarlo, accarezzandogli i fianchi, stringendo la schiena, le natiche e sfregandosi contro il suo inguine.
 
“Più tardi” sussurrò Hanamichi mordendogli il labbro inferiore.
 
Kaede volle protestare, dicendogli che più tardi ci sarebbe stata la festa con tutti i suoi amici, ma...anche quella era una sorpresa...e poi non doveva essere così egoista, ad ogni modo avrebbe avuto il suo ragazzo per tutto il giorno seguente.
 
Sì...per il bene e la felicità di Hanamichi, poteva resistere...(forse).
 
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Forse sembra freddo e poco sentimentale. Non sarà un amante focoso che corteggia con occhi pieni di stelle, né con parole fiorite e appassionate, ma proteggerà la sua metà da ogni paura. È un uomo rigido, ma dal cuore tenero. E anche con i capelli grigi, i chili di troppo o le rughe che si aggiungeranno con il passare del tempo, per lui la sua metà sarà sempre la persona che è riuscita a fargli dire ‘Ti amo’. E se ci si ferma a pensare, che bisogno c’è che lo ripeta ancora e ancora? Una volta è sufficiente.
 
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Kaede non sapeva perché fosse così nervoso. Non gli devo mica chiedere di sposarmi o altro, pensò sospirando e muovendo la palla tra le mani con impazienza. Ma non è nemmeno una cosa da poco, si ricordò, palleggiando con forza nel campetto.
 
Hanamichi poteva benissimo dirgli di no. Poteva guardarlo negli occhi, dirgli che gli dispiaceva ma che non poteva...che non voleva...c’erano mille possibilità, ma Kaede voleva soffermarsi solo su una, sul ‘Sì, volpe, voglio venire con te’.
 
Erano passati poco più di due anni da quando era arrivato a Tokyo per unirsi agli All Japan, ma solo da qualche mese lo avevano nominato titolare in una partita per la prima volta. Hanamichi sfortunatamente non era potuto essere presente a quella partita né a quelle successive, ma gli aveva detto che lo aveva visto sempre in televisione. Kaede aveva dimostrato il suo valore e le sue capacità ad allenatori e dirigenti che lo avevano nominato titolare per gli incontri che si sarebbero svolti in Spagna la settimana successiva. Kaede aveva chiesto se poteva portare qualcuno. Il coach gli aveva ricordato che sarebbero stati isolati e con obbligo di totale astinenza durante la competizione, ma se si fosse attenuto a quegli standard, allora avrebbe potuto portare una persona.
 
Per quel motivo oggi era lì, a Kanagawa in un giorno in mezzo alla settimana, era partito da Tokyo alla prima occasione inviando un messaggio al suo ragazzo, facendogli sapere che lo aspettava dove erano soliti allenarsi ai tempi del liceo.
 
“Ehi, volpe!” non appena sentì l’esclamazione, sentì anche un abbraccio poderoso e soffocante intorno alla vita. Kaede lasciò la palla e ricambiò il gesto serrando gli occhi, notando solo ora quanto si sentisse nervoso e timoroso.
 
“...il genio ti mancava così tanto?” lo prese in giro Hanamichi con un sorrisetto.
 
 “Nei tuoi sogni, scemo” rispose accigliandosi. Hanamichi rise e lo baciò dolcemente sulla fronte e le guance. Kaede girò il viso e le bocche si unirono con poca cordinazione, godendosi il calore del contatto. Gemette piano quando il suo ragazzo gli aprì le labbra per esplorarlo con perizia.
Rimasero incollati per diversi minuti, scherzando, ridendo e ringhiando per insulti e sfottò. Un mondo privato e colorato cadde su di loro, allontanandoli dal resto del pianeta. Nessuno dei due fu cosciente del tempo, della temperatura né delle persone che passavano e li osservavano con curiosità.
 
“Dai, sul serio” interruppe Hanamichi, rilassando i lineamenti e prendendolo per mano, “perché sei venuto?”
 
In altre circostante Kaede si sarebbe offeso per l’insistenza, ma in realtà non era affatto da lui presentarsi di punto in bianco, specialmente considerato il suo programma incredibilmente serrato ed estenuante.
 
“Voglio chiederti una cosa” disse Kaede guardandolo direttamente negli occhi. Le sue labbra, precedentemente umide per i baci condivisi, si percepirono asciutte e ruvide contro la brezza che passava tra loro. Le sue mani sudavano e le ginocchia tremarono per alcuni secondi.
 
“Non dirmi che mi chiederai di sposarti! Kaede, ti amo, ma...non pensi che siamo troppo giovani?” gridò Hanamichi scandalizzato, guardandolo divertito e con una mano all’altezza del cuore. Kaede si rilassò, mostrandosi offeso e colpendolo sul petto.
 
“Zitto, idiota. Non è questo”
 
“E allora?”
 
“Ricordi che ti ho parlato del torneo in Spagna?”
 
Hanamichi annuì, con un’espressione confusa. Kaede fece un profondo respiro per darti coraggio. “Beh, sono stato nominato titolare quindi ovviamente andrò...”
 
Il ragazzo aprì occhi e bocca, ma prima che potesse dire qualcosa, Kaede continuò: “...ho chiesto all’allenatore e...mi ha detto che...posso portare qualuno...quindi...tu...insomma, vuoi venire con me?”
 
“Sul serio?”
 
“No, stupido, per finta. Ovvio che sono serio, scemo. Ti va o no?” chiese, irritato e impaziente.
 
“Ehi! Un altro insulto e dirò di no!” esclamò Hanamichi accigliandosi e irrigidendosi. Kaede, sentendo il proprio cuore fermarsi, deglutì e si morse il labbro.
 
“Quindi sì?” sussurrò.
 
“Cosa credi? Come se volessi sprecare l’occasione di andare in Spagna per assistere a uno dei campionato di basket migliori!” sorrise Hanamichi allegramente. Kaede lo guardò subito infastidito.
 
“Solo per questo?”
 
“Per cos’altro?” fece Hanamichi inclinando il viso, confuso e innocente.
 
“Sai cosa? Ho cambiato idea, non voglio che tu venga” sbuffò Kaede voltandosi e dirigendosi all’uscita.
 
Hanamichi rise sonoramente prima di corrergli dietro.
 
“Ehi, ehi, volpe! Era uno scherzo, scemo. Certo che voglio venire per vederti...è l’unica cosa che conta per me” sussurrò abbracciandolo forte da dietro. “Ti amo, stupido” disse con le labbra attaccate al suo collo, inviando una serie di scosse elettriche in tutto il corpo dell’altro.
 
“Va bene, puoi venire”
 
Hanamichi rise e lo prese in giro per il resto del tragitto fino a casa, dove fecero l’amore fino all’alba.
  
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