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Autore: moganoix    09/04/2022    0 recensioni
- SEQUEL DI FIREFLIES -
Minho, giunto finalmente al palazzo della Capitale in groppa al drago di Jisung e accompagnato dallo stesso Cantastorie morente, sembra adattarsi bene ai ritmi della corte, non gli piace farsi notare.
O, almeno, questo è quello che pensava Changbin prima di finire quasi ammazzato a causa della nuova Fonte della Felicità. Ha proprio l'impressione di avere un enorme deja vu...
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Felix, Han, Lee Know, Sorpresa
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Lee Minji quasi balzò giù dal suo prezioso scranno all’interno della Sala del Consiglio di corte quando, dopo averle chiesto udienza, Chan e Changbin si presentarono al suo cospetto con l’intenzione di rivelarle ciò che era successo. Il novizio fu breve, così come lo era stato con Chan poche decine di minuti prima, ed evitò di omettere il particolare del bacio, nonostante gli causasse, ancora una volta, non poco imbarazzo.
“Quindi pensate che la Fonte abbia finto il malore?”
No, Chan e Changbin non lo pensavano, ma era di certo una conclusione che avrebbero potuto trarre anche da soli date le motivazioni del moro nel tenersi per sé l’aggressione finita male.
“Non lo so, non credo che abbia finto…” continuò a ragionare tra sé e sé la consigliera, già evidentemente provata dal trambusto di quelle settimane “Però è anche vero che non sappiamo che cosa sia davvero in grado di fare con le sue Emanazioni. In fondo Lee Minho è una Fonte Atipica, ha ricevuto lo spirito del Divino senza rito di mediazione ed è risaputo che probabilmente non arriverà a governarci nemmeno per la metà degli anni che dovrebbe vivere. È forte fisicamente, ma non sappiamo per quanto tempo la sua mente reggerà il bombardamento psichico al quale gli dei lo stanno sottoponendo. Per quanto ne sappiamo potrebbe morire domani.”
Changbin non si accorse di quanto la donna paresse sconvolta nel pronunciare tali parole quando, avvertendone la pesantezza, rimbeccò: “E se davvero stesse morendo adesso? E se non si risvegliasse più?”
“Dovremmo tenerlo sotto controllo per un po’.” propose quindi Chan, per una volta d’accordo con il novizio “Posso occuparmene io direttamente, così eviteremo di diffondere i nostri sospetti in giro.”
Lee Minji sospirò e, dopo un momento di esitazione, annuì lentamente: “Ti affido quindi il compito di controllare Lee Minho per una settimana, soldato Bang. L’ordine ha effetto immediato, sei sollevato da ogni altro compito. Parlerò io direttamente con i tuoi superiori.”
Fu una fortuna che la guardia decidesse di tenere d’occhio la Fonte. Quella stessa notte, come se nulla fosse accaduto, Lee Minho saltò giù dal letto e, dopo essersi preso qualche secondo per sgranchire la schiena e le braccia, uscì tranquillamente dall’infermeria per imboccare il corridoio su cui era situata anche la stanzetta in cui riposava Changbin. La guardia fece attenzione a non essere subito scoperta – la Fonte, risorgendo all’improvviso, lo aveva immancabilmente colto di sorpresa – e si diresse, silenziosa, nella stessa direzione. Non si stupì quando vide il corvino sgusciare nella camera del novizio, sbirciò da dietro la porta non appena avvertì un tonfo proveniente dall’interno e, questa volta, non gli lasciò nemmeno il tempo di sfoderare il pugnale che aveva probabilmente trafugato dall’armeria. Si gettò su di lui e in pochi secondi lo scaraventò a terra e gli bloccò le mani dietro la schiena. Changbin, mentre ringraziava mentalmente Chan per essere intervenuto tanto in fretta, non perse tempo e, ignorando il dolore alla gamba, si accucciò a sua volta sul pavimento ed aiutò il biondo a legare la Fonte. Non era sicuro che avrebbe funzionato, aveva già assistito a ciò che Lee Minho era in grado di fare – aveva dannatamente trasformato il legno centenario del portone d’ingresso principale in rigogliosi alberi monumentali! – ed un paio di robuste corde non lo avrebbero sicuramente fermato. Per quanto ne sapeva, se avesse voluto le avrebbe potute trasformare in serpenti e ritorcerli contro di loro, a quel punto, lui almeno, avrebbe urlato di certo.
La Fonte della Felicità, invece, ridacchiò ed esalò un mormorio roco: “Ma bene, eccoci di nuovo tutti qui…”
Dopodiché, in un lampo, di fronte alla confusione degli astanti, si addormentò di nuovo.
Dire che sia Chan che Changbin erano sconvolti sarebbe stato un eufemismo, nessuno dei due, il cuore ancora a mille per l’agitazione, avrebbe mai saputo descrivere che cosa fosse davvero appena successo.
Opzione numero uno: la Fonte è un gran simpaticone e il suo obiettivo è quello di incutere timore come metodo per ribadire il suo potere (lasciare un paio di enormi alberi di fronte al gran salone a palazzo evidentemente non è stato abbastanza).
Opzione numero due: la Fonte è incapace di esprimere i suoi sentimenti e in verità desidera solamente fare nuove conoscenze, ma non gli hanno mai insegnato come fare.
Opzione numero tre: una volta senza rendermene conto ho pestato un piede alla Fonte con una stampella e adesso vuole vendicarsi.
Opzione numero qu—
Chan, con gli occhi ancora sgranati per l’accaduto – aveva sperato fino all’ultimo che Changbin avesse immaginato tutto – sollevò il corpo del corvino e se lo mise in spalla, per poi interrompere il flusso di coscienza dell’altro: “Lo porto nell’attico della torre Ovest, tu vai a chiamare la consigliera.”
Changbin si fece aiutare a mettersi in piedi e chiese a Chan di passargli le stampelle, poi sfrecciò verso gli appartamenti di Lee Minji e, non appena quest’ultima si rese presentabile, raggiunse Chan con lei sulla torre indicatagli poco prima. Il soldato aveva già provveduto ad immobilizzare completamente il detenuto con corde e catene ad un duro lettino (nella torre venivano internati i prigionieri che presentavano disfunzioni di tipo psichico o mentale), in modo che non toccasse terra. Aveva imparato a sue spese, quando ancora viaggiava con Felix, che la Fonte acquisiva più potere quando si trovava a contatto con il suolo, per questo motivo aveva scelto un luogo parecchio rialzato rispetto al terreno, nonostante le segrete potessero, con i loro pesanti cancelli, apparire molto più sicure. Coprì gli occhi al prigioniero, legò polsi e caviglie lontano dal corpo e bloccò il busto al sottile materasso stretto abbastanza da permettergli almeno di respirare. Lee Minho rimase fortunatamente inerte per tutto il tempo, fino quando poco più tardi non arrivarono, arrancando a causa delle ripide scale, anche la consigliera ed il novizio.
Fu un attimo, non appena Changbin varcò, ansante, la porta della celletta, Lee Minho parve riscuotersi. Chan gli puntò immediatamente alla gola lo stesso coltello che lui aveva trafugato, ma, per quanto potesse dimostrarsi freddo e minaccioso, non era convinto che il corvino fosse davvero spaventato da lui, anzi, in quel momento aveva ben altro di cui preoccuparsi. Inondato dalla fioca luca delle torce appese all’alto soffitto, Minho si contorceva su se stesso in preda agli spasmi. Poteva possedere un corpicino molto meno possente di quello di Chan, ma in quelle sue flessuose braccia scorreva la forza di cento cinghiali, nelle gambe il vigore e la robustezza di cento orsi, nel cuore la temerarietà del fiero leone. A vederlo da fuori, animato da uno spirito indemoniato, non poteva che incutere terrore nei tre astanti. Era uno spettacolo penoso, assistevano impotenti alla disfatta di un combattente e, in fondo al loro animo, non ne erano dispiaciuti. Tutti e tre erano perfettamente consapevoli dell’anomalia di cui Lee Minho si faceva carico, un buio ostacolo nel corso della storia della Nazione in cui i suoi abitanti non avrebbero potuto permettersi di incappare, eppure vederlo fuori dai giochi tanto presto non poteva che essere un conforto. Ecco che la scena si tingeva di tragicomico, ecco che le grida sorde della Fonte scandivano il ritmo della loro contentezza ed i loro sospiri di sollievo si mischiavano agli orripilanti lamenti in cui di tanto in tanto il terzo ragazzo si lanciava mentre, in preda al panico, combatteva contro il diavolo che lo aveva posseduto.
Durante i primissimi giorni, nonostante il disordine mentale con cui aveva dovuto avere a che fare dopo essere prodigiosamente resuscitato, Minho non aveva avvertito alcun cambiamento sostanziale in sé, aveva semplicemente imparato come compiere quelli che le persone accanto a lui definivano ‘miracoli’, e, anche in questo caso, era come se fosse sempre stato in grado di farli. Ora, semplicemente, ne aveva preso consapevolezza. Sapeva, inoltre, che le sue erano facoltà che avrebbe dovuto sfruttare a fin di bene, ma da quando era giunto a palazzo una certa voce aveva cominciato ad intrufolarsi tra i suoi pensieri. Inizialmente erano vani suggerimenti, Minho li scansava con facilità, ma con il trascorrere delle giornate si erano fatti decisamente più insistenti. Picchiettava alla porta della sua coscienza e la imbeveva di assurdi ragionamenti, di favole, miti antichi e storielle moderne. Spesso si rinchiudeva quindi nella stanza del Cantastorie e trascorreva con lui questi attimi di profonda crisi. Temeva che presto non sarebbe più stato in grado di tenere quel germe maligno sotto controllo, quindi si rintanava con l’unica persona a cui sapeva che non avrebbe mai fatto del male. Il Cantastorie aveva ancora bisogno del suo aiuto, non avrebbe osato avvicinarglisi per nulla al mondo.
“Santo cielo, tagliagli la gola!” mormorava il parassita nella sua testa mentre gli mangiava il cervello, e all’improvviso si era trovato con un coltello tra le mani e fin troppa paura ad avvelenargli il cuore.
Alla fine era scappato anche dall’anziano vate e, tradito proprio da quel timore recondito che i grevi sussurri dell’altro gli provocavano, aveva ceduto all’ubriachezza dei sensi. Non dormiva da giorni, aveva diritto ad un po’ di riposo, e la figura, ora ben definita, del giovane che dimorava in lui gli aveva promesso che si sarebbe preso cura del suo corpo finché lui sarebbe stato via. Non ci aveva impiegato mezzo secondo, comunque, per comprendere di essere stato un totale idiota. Aveva assistito impotente all’aggressione del novizio, era stato felice quando il soldato lo aveva impedito per la seconda volta, ma non immaginava che l’ospite indesiderato sarebbe quindi tornato indietro per sfogare la sua rabbia su di lui. ’Siamo incatenati’ gli gridava, ‘Devi liberarci subito!’ gli intimava con tono tanto acuto da risultare stridulo. Minho gli chiese se volesse di nuovo tentare di uccidere quel novizio, ma non attese la replica dell’altro. Si sentiva incredibilmente stanco, in fondo morire non era una cosa da nulla ed il corpo aveva ancora bisogno di ricaricarsi dopo essersi ripreso, ma scelse comunque di tentare di contrastarlo. Si gettò sul ragazzo, ma questi, nonostante fosse decisamente più minuto di lui, riusciva a tenergli testa senza alcuno sforzo. Il corvino non era di certo una guardia esemplare, ma gli era stata insegnata l’arte del combattimento e non poteva dire di essere davvero così penoso. Faceva fatica a muovere braccia e gambe, provava dolore con il solo atto di respirare e, di punto in bianco, non aveva visto più nulla. Strattonava ogni arto con quanta più forza possedeva e, sebbene non se ne rendesse conto, chiuso nella sua bolla di terrore, aveva cominciato a distruggersi. A forza di tirare aveva rotto entrambe le ossa dei pollici ed era riuscito, così, a sfilare le manette, e la stessa cosa voleva fare per piedi. Non gli importava se si fossero spezzate tutte le ossa del corpo, se si fossero strappati i muscoli o dilaniati i tendini, tutto ciò che desiderava era riuscire a scacciare quell’infausta presenza di dentro di sé prima che fosse troppo tardi. Doveva riprendere coscienza di sé, il dolore lo aiutava, gli ricordava di non appartenere più al mondo dei morti, e schizzò alle stelle quando la prima caviglia cedette e le ossa del piede destro si frantumarono sotto la pressione del metallo turgido. Accolse l’istante di vertiginosa realtà da cui fu investito, chiese aiuto – lo chiese per davvero! – e si stupì di come la donna che aveva scorto davanti a lui prese a chiamare il suo nome con voce straziata: “Minho! MINHO!”
Minho.
Minho.
Aveva di nuovo il suo nome, era lui il proprietario del corpo che si stava dimenando su un lettino in una fetida soffitta, per un po’ di tempo ne sarebbe stato al comando, ma prima doveva respirare. Era di nuovo in preda alla stessa asfissia che aveva provato quando era venuto al mondo per la seconda volta, ma qui non c’erano talpe o vermi in grado di salvarlo. Ancora una volta gli toccava pregare e domandare aiuto a quelle astruse facoltà per scamparla, avrebbe dovuto mettersi d’impegno e creare qualcosa che lo aiutasse a respirare. Diede fondo a tutta l’aria che ancora gli inondava i polmoni, soffiò via la voce dell’intruso che lo perseguitava e smise di prestargli attenzione. Non era la sua priorità, se avesse continuato a battersi con lui senza poter respirare sarebbe morto di certo. Il respiro, l’aria, l’ossigeno che gli bruciava i bronchi e faceva sfrigolare di umile piacere il petto, era tutto ciò che ancora lo legasse al mondo dei vivi e a quello dell’immenso reale, quello a cui appartenevano quei tre che ancora lo squadravano con orrida preoccupazione ed infima speranza. Forse loro desideravano che morisse, ma lui non li avrebbe assecondati. Non sapevano chi avrebbero dovuto nuovamente affrontare se lui non fosse stato abbastanza forte da contenerlo dentro di sé. Spalancò quindi le porte del proprio busto teso, la pelle si squarciò, i muscoli si ritrassero all’improvviso mentre il lettino sotto di lui si imbeveva di finissima linfa vitale. Sangue, icore dorato, verde clorofilla, ogni strato di tessuto andava consumandosi finché le costole, imperlate d’oro zecchino, non spuntarono fuori come acuminati tesori e cominciarono a nutrirsi del fluido divino che Minho aveva sprigionato. Presero vita, per un momento furono serpi, nacquero dalle loro uova d’avorio, crebbero, mutarono squame, denti e veleno, si nutrirono, fameliche, l’una dell’altra fin quando non giunse il momento, per loro, di abbandonare il mondo dei vivi. Prosperarono immensamente, la loro eredità divenne terra, e dalla terra, dal corpo vibrante di vita della Fonte, dagli organi pulsanti del suo livido addome, fiorì un timidissimo germoglio. Sembrò fare fatica, pareva imbarazzato di fronte agli sguardi di odio combattuto del soldato, del novizio e della consigliera, ma le labbra ormai livide del suo signore e padrone gli diedero coraggio e lo aiutarono a diventare grande a sua volta. Diede vita ad una spessa corteccia, ad un’anima forte e tenera assieme, ad un tronco sinuoso che continuava ad intrecciarsi, rigoglioso, su se stesso. In pochi secondi fecero capolino i primissimi rami, e furono questi a gettarsi, con precisione millimetrica, sotto la spessa catena che bloccava il petto di Minho per spezzarla. Il metallo, a contatto con il legno chiaro, parve essere nient’altro che inutile burro. Gorgogliò appena quando cadde a terra ed il corvino fu libero. Ancora incosciente, sollevò una mano sanguinolenta e strappò via da dentro di sé la dolce pianta, per poi ricucirsi il petto con un rapido gesto della stessa. Si mise allora seduto sulla fradicia branda, liberò anche il secondo piede e fece sgranchire il primo, come se le ossa fossero già completamente guarite. Anche i pollici ormai funzionavano correttamente. In ultimo, finalmente tornato in possesso della propria mente, Minho spalancò gli occhi e, tremolando, comprese che ormai non vi era altra via che spiegare tutto ciò che gli era capitato nelle ultime settimane, finché ancora ne era in grado.
 
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Che Lee Minji e Chan faticassero ad accettare che Lee Minho fosse davvero morto e resuscitato non fu poi tanto inaspettato, entrambi lavoravano nel mondo della politica e dell’ordine e di tanti astrusi vaneggiamenti ne avevano già avuto abbastanza con la storia di Felix. La mitologia era certamente interessante, ma non più di quanto lo fosse una delle tante favolette popolari che i bambini erano soliti chiedere prima di andare a dormire; ciò che a loro interessava era il puro ed inequivocabile fatto, a differenza di Changbin che, da anni e anni, navigava con estrema sfacciataggine nel vasto mare dell’occulto. Eppure, anche quest’ultimo desisteva dal digerire la confessione del corvino.
“Non appena mi sono risvegliato ho sentito il bisogno di respirare… Ho dovuto lasciare che questi poteri mi pervadessero o sarei morto sepolto vivo, ma non sapevo che poi lui avrebbe preso il controllo.” aveva ammesso Minho con miserabile sguardo, ma non sapeva davvero se fosse giusto credergli. Ricordava il suo cadavere, la città in fermento, la piazza, lo splendido albero a cui Felix aveva dato la vita, lo strazio, la concitazione, la costernazione e la festa, l’ubriachezza il giorno seguente al dolore del funerale. Ricordava ogni singolo particolare di quel giorno, specialmente le perle nere di Lee Minho che ora rilucevano di vivacità e stanchezza e che, un mese e mezzo prima, sfoggiavano, gonfie e rovesciate indietro, un livido pallore di morte. Tuttavia non poteva affidarsi alle sue parole, non era un esperto di storia, ma era abbastanza sicuro che nessuno, prima di lui, fosse mai riuscito a tornare indietro dal regno dei morti.
“Chi intendi con lui?” domandò quindi in risposta al ragazzo.
“Ma come?” un inquietante luccichio, come misto ad una tenera pietà, schizzò negli occhi della Fonte “Non lo hai riconosciuto quando ti ha baciato?”
L’espressione di Changbin si tramutò in una smorfia di innocente, limpido terrore, e Chan accanto a lui non poté che seguirlo mentre spalancava le labbra e sgranava le palpebre. Anche la consigliera, di solito posata ed imperturbabile, sembrò avere un mancamento quando comprese che Lee Minho si stava riferendo esattamente a Lee Felix, vivo quanto lui nel suo stesso corpo e nel suo debole animo.
“Come…?” si sentì sussurrare, ma Minho si limitò a scrollare le spalle con dispiaciuta ingenuità.
“Sono sempre stato un soldato, tutto quello che riesco a fare lo faccio per puro istinto. Non… non comprendo nemmeno come io abbia potuto liberarmi” ammise con tono greve.
“Lo so io come ha fatto” mormorò quindi il novizio, prendendosi mentalmente a pugni per non esserci arrivato prima “Lee Minho è solo un’altra delle sue assicurazioni, l’ultima possibilità di attuare il colpo di stato nel caso il suo piano fosse fallito.”
Quando sia la consigliera che il soldato si voltarono verso di lui con espressione dubbiosa, al moro non restò che intervenire: “Felix non era uno sprovveduto, sapeva di aver architettato un buon piano, ma non privo di enormi falle che avrebbero potuto mandare tutto a monte. Voleva, inizialmente, sostituire il mio spirito e la mia anima con i suoi e trasferire così il suo potere e la sua coscienza dentro di me. Io sarei morto a fine incantesimo se lo avessi portato a termine. La sua seconda opzione era tentare un rito proibito per ringiovanire il suo corpo, decisamente più pericoloso e dal risultato evidentemente incerto. Tutti noi eravamo a conoscenza di ciò, ma se Felix avesse avuto una terza alternativa?”
“Ha lasciato al mondo un pezzo di sé” mormorò Minho con sguardo quasi spiritato.
“Dritto al punto, eh?” Changbin sorrise a metà “Comunque è corretto. Felix sapeva che c’era una terza possibilità, e questa era fare in modo di staccare parte di sé ed incastonarlo in un posto sicuro, in modo che il suo spirito non perisse del tutto con lui sul vulcano. È una parte minuscola del suo essere, io e Chan, quando abbiamo assistito al processo, non ci siamo accorti di nulla.”
“Intendi il funerale?” mugugnò, ancora incredulo, il biondo.
“Esattamente. Durante il funerale Felix non si è limitato a seppellire i corpi in maniera un po’ spettacolare, come avevamo ritenuto fino ad ora, ma ha ufficialmente scelto Lee Minho come suo successore e tramite. E con suo, non intendo dello spirito della Fonte, ma di se stesso, che anche in questo momento, sebbene minuscolo, combatte dentro di lui per avere finalmente il controllo del suo corpo e, probabilmente, impadronirsi delle sue straordinarie facoltà per attuare il colpo di stato.”
“Oh no, questo è scorretto;” intervenne quindi Minho, riscuotendosi con garbo “se c’è una cosa che so per certo è che lui non è in grado di fare quello che faccio io, il suo spirito non è abbastanza temprato per reggere la pressione. Io stesso fatico, nonostante non abbia ancora scoperto tutte le mie capacità, a tenere a bada i miei poteri.”
Spesso e volentieri, senza nemmeno accorgersene, a Minho capitava infatti di lasciare impronte erbose nel bel mezzo dei corridoi a palazzo. L’erba che nasceva dal suo passaggio ogni tanto cresceva così in fretta che bucava anche le guide dei passaggi riservati ai reali.
“Ciò che desidera ora, avendo compreso di essersi messo con le spalle al muro da solo, è pura vendetta. Ed ora che ve l’ho confessato non so quanto tempo mi resti prima che riesca a riprendere il controllo sulla mia parte umana.”
“Ed ecco spiegato il motivo dell’aggressione” sbuffò Chan “Beh, per una volta sono contento di non essermici fidanzato io con lui.”
“Oh, non ti preoccupare, ormai odia tutti indistintamente” scandì con irriverente candore il corvino.
“Riassumendo,” si inserì quindi Lee Minji per recuperare l’attenzione di tutti “Minho è controllato da Felix e, in quanto Fonte Atipica che non ha ricevuto rito di iniziazione, presto perderà il controllo sulla sua parte divina anche a causa del suo predecessore, che ormai desidera veder colare a picco la Nazione.”
“C’è un’unica soluzione…” rimbeccò Changbin, ma Minho fu più veloce e, nello stupore generale, propose con ascetica consapevolezza: “Devo lasciare la Capitale e trovare rifugio fuori dalla Nazione ora che sono lucido, prima che sia troppo tardi.”
Ancora una volta, la consigliera parve angosciarsi ed incupirsi nell’ascoltare la greve sentenza: “Non c’è un altro modo? Una nuova Fonte, dopo quello che è successo con Felix, potrebbe sollevare il morale della Nazione.”
“Oppure, al contrario, fare sì che il popolo cominci a diffidare di noi. Se si fosse trattato di una normale Fonte si sarebbe potuto aiutarla in qualche modo, ma Lee Minho non è stato sottoposto al rito di iniziazione, quindi…”
“… Quindi non ne vale la pena” concluse il diretto interessato in un sospiro.
“Partirò,” decretò, dopo alcuni secondi di amaro silenzio, la Fonte della Felicità “ma devo chiedervi il permesso di portare con me il Cantastorie. Se ancora non è stato strappato al mondo dei vivi è perché l’ho legato al mio ciclo vitale fin quando non riuscirò a guarirlo, ma se mi dovessi allontanare troppo da lui morirebbe comunque. Partiremo con il suo drago, in questo modo, una volta ripresosi, potrà tornare comodamente indietro. Lo porterò con me verso Sud, all’Isola Dormiente.”
Non ci fu modo di smuoverlo, Minho, fin troppo consapevole del pericolo che rappresentava per il popolo della Nazione, quello che sarebbe dovuto essere il suo popolo, ormai aveva deciso che l’Isola Dormiente, ultimo baluardo prima dell’immensa distesa dell’Oceano degli Specchi, sarebbe stata la sua casa. Si prese un paio d’ore per fare le valigie e sellare il drago, e quella stessa notte, accompagnato dal lento fruscio delle ali di numerose, marmoree falene, volò con il vecchio profeta verso una nuova alba.
   
 
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