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Autore: lady lina 77    10/04/2022    3 recensioni
L'omicidio di una donna e il salvataggio dei suoi due figli porteranno i Poldark dentro a un grande segreto da tenere celato a qualsiasi costo. Una storia che nasce nel freddo dei ghiacci di Oslo per poi approdare in Cornovaglia dove Ross, assieme a due misteriosi gemellini (già conosciuti in una mia vecchia fanfiction ma quì in ruoli diversi), lotterà per poter tenere fede a una promessa.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Nuovo personaggio, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima notte passata nel loro rifugio improvvisato fu tumultuosa per Demelza che, nonostante fosse al sicuro con gli altri suoim figli, non riusciva comunque a trovare pace. Il suo cuore di madre sanguinava e la preoccupazione per Clowance le attanagliava lo stomaco in una morsa micidiale. I pensieri foschi del giorno, addolciti dalle parole di conforto di Inge, non avevano comunque lasciato la sua testa e la preoccupazione per la sua bambina, lancinante e a cui faticava a dar voce, le corrodeva l’animo.
Ross, di fianco a lei nel letto, pareva percepire quasi a pelle il tumulto della moglie. Che poi era anche suo perché l’angoscia per la figlia e la rabbia tipicamente maschile dettata dall’orgoglio ferito per non essere riuscito a proteggere tutta la sua famiglia, non gli avrebbero premesso di chiudere occhio.
Con Jones avevano ideato un piano e ora, solo con Demelza, glielo avrebbe esposto. Ma prima, voleva tentare di calmarla perché anche se a malapena riuscivano a parlarne, era essenziale condividere le loro angosce senza chiudersi a riccio. Lo avevano fatto dopo la morte di Julia e quell’atteggiamento di distacco lo avevano pagato caro negli anni successivi, finendo entrambi per allontanarsi e commettere errori quasi mortali per il loro matrimonio. Non ci sarebbe ricaduto!
Allungò la mano, accarezzò i lunghi capelli della moglie che ricadevano molli sul cuscino e poi la attirò a se. “Tutta questa agitazione non ti servirà a nulla e non ti farà bene!”.
Demelza alzò gli occhi su di lui. “Tu riesci a stare calmo?”.
Certo che no, sono furioso e mi sento impotente… E’ difficile da ammettere, ma ho fallito nel compito di proteggervi e ora scalpito per riprendermi nostra figlia!”.
Demelza lo strinse a se, avvertendo quella sua irrequietezza così tipica. Ross non era uomo da accettare sconfitte e sapeva anche quanto furioso lo rendesse non essere riuscito a proteggerli. In realtà non aveva nulla da rimproverargli, avevano tutti cercato di fare del loro meglio, solo che le circostanze avevano remato loro contro… Però, nonostante le mille preoccupazioni, la inteneriva questo nuovo e più maturo Ross, capace di ammettere i suoi sentimenti e quelle che lui considerava… sconfitte. Era tanto per lui, per il suo orgoglio e per il suo carattere e questo dimostrava quanto fosse cambiato e cresciuto nel corso degli anni. “Tu non hai fallito. Ci possiamo riempire la testa di sentimenti negativi, possiamo incolparci di mille cose perché trovare un colpevole ci fa sentire forse meglio ma sai, oggi Inge mi ha spiegato che se agisci col cuore, nulla puoi rimproverarti. Ho solo paura Ross, paura per nostra figlia… Vorrei semplicemente sapere se sta bene”.
Come se quelle parole di Demelza fossero state un balsamo sul suo cuore, Ross le baciò la fronte. Sapeva sempre come calmare il suo spirito in tumulto, sua moglie… “Da che mondo e mondo, gli ostaggi vengono trattati con cura. E’ tutto loro interesse che Clowance stia bene”.
Ma sarà spaventata, Ross!”.
No, non nostra figlia!”. Lo disse per consolare Demelza, certo,ma Ross in cuor suo ci credeva davvero che quella piccola peste avrebbe fatto vedere i sorci verdi ai suoi rapitori. Era una Poldark fatta e finita Clowance e come Bella sapeva farsi rispettare. Jeremy sembrava più pacato ma le sue bambine erano delle piccole e combattive leonesse e di certo Clowance non se ne stava in un angolo a piagnucolare, di questo ne era certo.
Demelza alzò lo sguardo su di lui. “Ma come ostaggio, se noi siamo scomparsi dalla circolazione, come faranno a… trattare con noi?”.
Ross cercò di inquadrare il carattere di Haakon e grazie alla sua esperienza come spia, tentò di rassicurare sua moglie. “Beh, non si faranno certo fermare da questo e in ogni modo cercheranno di farci giungere il messaggio di volerci contattare. Ma non servirà, non gli daremo il tempo di fare questo, ci riprenderemo Clowance ben prima che si organizzino…”.
Che vuoi dire?”.
Ross sospirò, era ora di metterla al corrente del piano ideato con Jones nel pomeriggio. “Sono o non sono una spia?”.
Beh, da quel che so quando parti e te ne stai via per mesi, lo sei”.
Ross sorrise, nonostante tutto adorava il brivido dell’avventura e se non fosse stato che di mezzo c’era sua figlia, avrebbe apprezzato le avventure londinesi con uno spirito più indomito. “Lo sono e a detta degli altri, sono anche bravo! Io e Jones siamo bravi, sappiamo nasconderci nell’ombra e arrivare ovunque senza essere visti! Londra sarà il nostro campo d’azione, la casa di quel dannato console norvegese la nostra meta e Clowance il nostro trofeo. Domattina usciremo presto e muovendoci senza essere visti, indagando, arriveremo dove dobbiamo! Studieremo il da farsi e colpiremo quando saremo sicuri di vincere! Tu nel frattempo starai qui, al sicuro, con gli uomini messi da Jones a vegliare su di voi. Si travestiranno da servitù, non daranno nell’occhio ma non vi toglieranno gli occhi di dosso. Tornerò quanto prima con nostra figlia sana e salva ma nel frattempo, anche se ovviamente non potrò farti avere mie notizie perché dovrò muovermi in incognito quanto più possibile, non ti angustiare per me”.
Demelza rabbrividì, quel gioco al rischio che Ross spesso amava correre la metteva ancora a disagio e anche se sapeva che non c’erano alternative, non poté non preoccuparsi per lui. “Ross, ho paura” – ammise.
La strinse a se ancora più forte. “Lo so ma so anche che ti fidi di me! Voglio solo che mi aiuti ad agire nel modo più sereno possibile”.
Come?” – domandò lei, esasperata per la sua impotenza in quella dannata situazione.
Stando qui. So che la cattività ti disturba, so che vorresti essere libera di correre all’aria aperta ma per ora ti prego, sta coi bambini in questa casa, prenditi cura di te e di loro e soprattutto, del nostro figlio più piccolo non ancora nato. Mi muoverò meglio se saprò che sei al sicuro”.
Demelza lo baciò sulle labbra. “Lo farò. Ma promettimi che andrà tutto bene”.
Te lo prometto!”.
E che tornerai presto con Clowance!”.
Ti prometto SOPRATTUTTO questo…”.
E che poi torneremo a casa e ce ne staremo in pace. Voglio Nampara, Ross! La nostra casa, la nostra tranquillità, la nostra gente, i nostri amici, la nostra miniera, la nostra spiaggia. Odio Londra, questa dannata città non ci ha mai portato fortuna!”.
Ross annuì, non poteva che darle ragione. Da Adderly in poi, quella città era sempre stata fucina di disgrazie per loro. “Torneremo presto a casa, te lo prometto”.
Coi gemelli sani e salvi, vero? Sai Ross, oggi mi sono sentita cattiva perché per un attimo… dentro di me… ho incolpato loro di tutto questo”.
Ross notò il tremore della sua voce e capì che se per lui era stato doloroso ammettere di aver fallito nella difesa della sua famiglia, per Demelza era stato altrettanto complicato ammettere quel pensiero umano e comprensibilissimo ma che per una come lei doveva essere stato atroce da provare. Era una brava madre, era splendida, per lui era perfetta ma in fondo era umana come tutti e di certo non le avrebbe fatto pesare quanto appena confessato. “Demelza, quando si è fuori di se, escono pensieri che mai davvero proviamo nel cuore”.
Ma tu… tu non hai provato lo stesso” – tentennò lei, in cerca di risposte.
Ross decise di essere sincero. “No, ma semplicemente perché io so dall’inizio a che tipo di guai andavamo incontro. Tu lo hai scoperto nel giro di pochi giorni e il rapimento di Clowance non ti ha permesso di fare ordine nei tuoi pensieri. So che ami i bambini, a me questo basta per non farmi pentire della scelta di averli tenuti! Non potrebbero avere una madre migliore di te e in noi hanno trovato la miglior casa e la miglior famigli che potessero incontrare. So che ovunque siano, noi siamo quello che i loro veri genitori avrebbero voluto per loro”.
Lei sorrise, con gli occhi lucidi. “Anche Inge ha detto qualcosa di simile ma dopo oggi, fatico a crederci”.
Lui le sorrise, baciandola ancora. “Inge è saggia, dalle retta!”.
Ci proverò”.
"Ma quel mio pensiero di oggi..." - tentò ancora, cercando nel marito l'assoluzione a quella che lei sentiva essere una colpa terribile.
"Ami i nostri gemelli?".
"Con tutto il cuore".
Ross sorrise. "E allora non c'è altro di cui discutere. Lascia stare i cattivi pensieri e concentrati su cose più importanti".
"Del tipo?".
"Il nome del nostro prossimo marmocchio. Non vorrei trovarmi davanti al reverendo Halse, il giorno del Battesimo, balbettando che lo vogliamo chiamare come il nostro cane".
A quelle parole, Demelza non poté non ridere. Leggerezza, ecco ciò di cui aveva bisogno e se lei spesso era capace di acquietare l'animo in tumulto di Ross, lui dal canto suo sapeva farla sorridere nei momenti più difficili. Erano una bella squadra e cullata da quel pensiero, lo abbracciò.
Rimasero in silenzio per lunghi istanti, cullandosi nel suono del cuore l’uno dell’altra, impauriti ma pronti a combattere per riprendersi la loro figlia.
Dopo alcuni minuti, Ross la baciò sulla guancia. “Posso partire tranquillo, all’alba?”.
Sì, puoi. Fidati di me come io mi fido di te”.
Ross annuì, serio. “Lo farò, amore mio”.



Odalyn aveva captato movimenti strani sia in casa che fuori casa.
In una passeggiata pomeridiana dove si era spinta fino alla casa dei Poldark, l’aveva trovata abbandonata e vuota e sapendo che il padre di Jeremy era un parlamentare e non era in programma una sua partenza, quella sparizione in toto di tutta la famiglia l’aveva messa in allarme considerando soprattutto quanto suo padre fosse invischiato con le loro esistenze.
I Poldark si sarebbero dovuti fermare a Londra fino alla primavera, era stato Jeremy a dirglielo, quindi cosa poteva significare tutto questo? Ovviamente si era guardata bene dal farne parola col padre e aveva scelto di indagare da sola un po’ per curiosità, un po’ perché ormai si sentiva coinvolta dal giovane Jeremy e aveva scelto di dargli una mano, un po’ perché ormai da quei baci che si erano scambiati, la sua sicurezza era diventata anche affar suo e soprattutto perché di certo suo padre era già a conoscenza di ogni cosa e fingere di non sapere nulla non avrebbe gettato sospetti come invece sarebbe successo se avesse fatto domande.
Il tempo da quel giorno si era fatto pessimo e una incessante pioggia ghiacciata aveva reso impossibile fare altre passeggiate fra le strade deserte e nebbiose di Londra.
Ma proprio stando in casa in cattività, si era accorta di quel qualcosa di ‘diverso’ nella routine di famiglia. I due uomini più fidati di suo padre facevano spesso capolino ad orari strani della sera e si fermavano a parlare – o meglio, a bisbigliare – fino a tardi nello studio grande al piano di sotto. E a volte, dopo pranzo, quando si ritirava nel salottino dove leggeva o suonava il pianoforte, notava degli strani via vai del cuoco nelle cantine.
E non solo quello perché spinta dalla noia e origliando dal buco della serratura del salottino, aveva anche scoperto una tresca amorosa fra la cameriera personale di suo padre e il capo-maggiordomo. La cosa la divertiva tantissimo perché era sempre dopo pranzo, quando credevano di non essere visti, che i due si lasciavano andare a delle effusioni non troppo innocenti nel corridoio principale. Sapeva che era sbagliato spiare ma santo cielo, era più forte di lei ed era curiosa di scoprire nuove sfaccettature dell'amore.
Ma più che dal gossip casalingo, era incuriosita per i movimenti del cuoco. Forse si sbagliava ma se quell'uomo portava cibo di soppiatto in cantina, la sotto ci doveva essere qualcuno che lei non aveva mai visto. Aveva quindi spiato i movimenti dell’uomo e alla fine aveva deciso che di sotto c'era qualcosa su cui investigare e che magari - non se ne sarebbe stupita affatto - riguardava proprio la strana sparizione dei Poldark. D’altronde era già successo ad Oslo con altri nemici e sapeva bene che era consuetudine di suo padre agire in certi modi per ottenere ciò che voleva. Da bambina, di notte, urla di prigionieri torturati raggiungevano la sua camera e anche se a Londra non aveva sentito nulla del genere, la curiosità di sapere chi ci fosse di sotto stava diventando incontrollabile, così come il desiderio di distinguersi agli occhi di Jeremy dalle losche trame di suo padre.
Per alcuni giorni il suo comportamento fu ineccepibile e si comportò come nulla fosse, attenta a non irritare suo padre. Cenava e pranzava compostamente, conversava del più e del meno con la servitù, leggeva, suonava, a volte tentava di abbozzare qualche capriccio dettato dalla noia ma con la mente rimaneva vigile e pensava e ripensava a cosa fare…
Annotò mentalmente i movimenti all’interno della casa: il cuoco scendeva nelle cantine di soppiatto con del cibo dopo i pasti principali, dopo che lei si era chiusa nel salottino, suo padre non si muoveva dalle sue stanze di lavoro per tutto il pomeriggio e se di giorno riceveva ambasciatori ufficiali, era di sera che si incontrava con le sue spie… La servitù andava a dormire dopo aver sistemato le stoviglie per cena e la casa cadeva nel silenzio del sonno della notte. Solo una persona rimaneva vigile, a parte suo padre e i suoi scagnozzi chiusi nello studio: il guardiano alle celle. Ma c’era un modo per farlo smammare ed era creare caos… E Odalyn sapeva come fare.
In realtà pur avendo paura, l’idea di uscire di casa e provare il brivido del pericolo la attirava e quindi decise di agire per cercare di capire chi fosse il prigioniero nelle cantine e nel caso, come aiutarlo.
Chiusa in camera dopo cena, Odalyn prese il suo portagioie, regalo della sua nonna materna per il suo ottavo compleanno. Da allora lo aveva portato in ogni viaggio che aveva fatto e aveva una particolarità che agli occhi di Odalyn lo rendeva magico: la chiave per aprirne il lucchetto. Sua nonna, sapendo quanto lei fosse sbadata, le aveva spiegato che quella era una chiave ‘universale’, una di quelle chiavi che apre ogni porta. “Pas par tout” – bisbigliò, in lingua francese ripetendo le parole della nonna.
Da allora si era portata quella chiave ovunque e se le capitava di perdere qualche chiave nei vari ostelli e alberghi dove alloggiava nel corso dei suoi viaggi, risolveva con quella chiave magica. E visto che apriva ogni porta, avrebbe funzionato anche con quelle della cantina…
Ma come fare a creare scompiglio in modo da lasciarle libera la strada?
Beh, fingere un tentativo di infrazione da parte dei ladri poteva benissimo essere credibile. Quale grande città non ha delinquenza notturna? Quale ladro non sognerebbe di rubare in casa di un facoltoso ambasciatore straniero? Era un buon piano, sì!
E così quella sera rimase vestita. Finse di andare a letto, spense la candela e quando sentì il portone aprirsi per far accedere i compagni di merende del padre, aspettò che questi si chiudessero nello studio e che la casa piombasse nel silenzio.
Poi si alzò, si mise un pesante mantello, aprì la finestra della sua stanza e aggrappandosi a un ramo, saltò giù nel giardino.
Rabbrividì, il freddo era pungente e anche se era una vichinga, si trovò a tremare. Poi si guardò in giro e dopo aver visto un grosso masso sotto a una pianta, lo prese. Era viscido e rischiava di caderle di mano, quindi fece un profondo respiro, le strinse più che poteva e dopo aver preso la rincorsa, lo scagliò contro il vetro della finestra del salone principale.
In un attimo i cani da guardia di suo padre iniziarono ad abbaiare ferocemente, le luci si accesero e iniziò il trambusto.
Odalyn, velocemente, si arrampicò sulla pianta usata per scendere e da lì rientrò in camera. Si mise a letto, si coprì del tutto con le coperte perché non ci si accorgesse che era vestita e quando una domestica corse da lei per accertarsi che stesse bene, fingendosi assonnata la rassicurò, chiedendo cosa fosse successo.
Le fu detto che qualcuno aveva rotto i vetri del salone di sotto e che tutti gli uomini di suo padre stavano correndo in giardino alla ricerca di un fantomatico ladro e che quindi lei doveva stare tranquilla.
Odalyn annuì, si finse assonnata e quando rimase sola, aspettò alcuni istanti e poi uscì dalla camera.
Molte voci la raggiunsero dal giardino e lei, approfittando del fatto che tutti fossero fuori, scese velocemente le scale, attenta a non essere vista. I pochi rimasti in casa presidiavano il portone d'ingresso, anche suo padre non era più nel suo studio e scendendo dalla scala di servizio, nessuno avrebbe captato i suoi movimenti.
Strinse a se la chiave del portagioie, si nascose in uno sgabuzzino e quando vide il guardiano delle celle salire dalle cantine di corsa, armato di mazza, prese la stessa scala e scese nei sotterranei.
Come aveva pronosticato, tutti erano usciti per stanare chi aveva osato violare la loro intoccabile dimora. Come suo padre spesso faceva con le sue prede, ora era quasi comico immaginarlo gonfio di bile nel ruolo del topo cacciato dal gatto come una preda. Se solo avesse saputo, lei avrebbe passato dei grossi guai… Ma orami c’era dentro e anche se aveva paura, non poteva più tirarsi indietro.
Avanzò nel corridoio, solo delle piccole fiaccole appese alle pareti illuminavano il suo passaggio. E poi, a bassa voce, chiamò. “C’è nessuno?”. Era quasi certa che alla sua voce avrebbe risposto quella di Ross Poldark. O di Jeremy, magari… E grossa fu quindi la sua sorpresa quando da una delle porte, sentì la voce di una bambina. “Chi sei?”.
Odalyn ci mise un attimo a capire da dove provenisse ma quando ci riuscì, veloce come un gatto arrivò alla serratura e con la sua chiave, aprì. E si trovò davanti Clowance Poldark. Sporca, infreddolita ma decisamente LEI. "Santo cielo!" - esclamò, riconoscendola all'istante. "Sei sola?".
Clowance si sfregò gli occhi. "Sì... Ma tu sei... Sei la strana amica di mio fratello!".
Erano entrambe stupite ma Odalyn sapeva che non c'era tempo da perdere. "Stai bene?" - chiese con urgenza. "Sai correre?".
"Assolutamente sì".
Odalyn fece un cenno col capo verso la porta. "E allora vedi di farlo velocemente. Seguimi, non abbiamo molto tempo!".
Clowance annuì e Odalyn si mise a correre con la piccola Poldark alle calcagna. Risalirono la scala di servizio, si nascosero in un piccolo sgabuzzino per osservare che ancora non ci fosse in casa nessuno e poi, constatato che la strada era libera, la condusse nella sua stanza.
Fece nascondere Clowance sotto il letto, aprì la finestra e osservò i movimenti degli uomini di suo padre in giardino. Correvano qua e la ma quando i cani smisero di abbaiare, capirono che non c'era più nessuno a cui dare la caccia e che il ladro, forse, era scappato.
Rientrarono e alla fine Odalyn decise di agire.
Chiamò Clowance e le indicò i rami dell'albero con cui aiutarsi a scendere.
Per nulla intimorita, la giovane Poldark fece quando le veniva detto e le due ragazzine arrivarono al giardino. E da lì, di corsa, fino al muro di cinta su cui si arrampicarono con l'agilistà di uno scoiattolo.
E quando furono fuori, in strada, anche se non sapevano dove andare, tirarono un sospiro di sollievo.
Erano salve... Almeno per ora...

  
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