be somebody.
I’m
just the boy inside the man, not exactly who you think I am
Trying to trace my steps back here again so many times
I’m just a speck inside your hand, you came and made me who I
am
I remember where it all began so clearly
«Courtney,
hai
rotto il cazzo con 'sta festa.»
Victoria
le lanciò
una frecciatina delle sue da sotto il mascara firmato Helena
Rubinstein. Nathan
stava dall'altra parte del tavolo del Mc ad aggiornare la homepage di
Facebook,
silenzioso e annoiato per essere già le nove e mezza di
venerdì. Erano lì
dentro da una vita, probabilmente. Aveva quasi dimenticato come ci si
sentisse
a respirare aria non viziata e odorante di fritto.
La
grassona e Vic
si presero ancora un po' prima di dargli sollievo: aveva preso i
tranquillanti
ma questa serata sembrava non finire mai e lui non vedeva l'ora di
sballarsi in
pace.
Lanciò
un'occhiata
furtiva a Victoria, che stava gesticolando con le sue spaventose unghie
chilometriche, presumibilmente per terrorizzare anche la sua amichetta
cretina.
«Finisce
che ti
mollo con Taylor e io e Nathan andiamo da soli al concerto.»
Anche
Vic però
sembrava davvero scazzata stasera. Forse aveva le sue cose. Nathan non
provò
nemmeno a ricordarsi l'ultima volta che l'aveva vista così
acida, non ci capiva
un cazzo di 'ste cose da femmine.
Ripeté
le sue
parole in mente per rendersi conto di quello che aveva detto.
«Che
concerto?»
«Ti
ci metti anche
tu?» lo ammonì lei, puntandogli addosso i suoi
occhi di ghiaccio, e Nathan capì
che dopo quello sgarro non gliene erano concessi altri. Lei fece per
dire
altro, ma preferì ammorbidirsi il cervello con il suo
McFlurry al cioccolato.
Era una merda quella roba eppure Vic riusciva a mandarlo giù
lo stesso. Non la
invidiava per niente per essere in grado di buttare giù
tutte quelle schifezze
commerciali, ma cosa non si fa per la popolarità? Vic, in
fondo, era così
insicura e Nathan lo aveva visto con i suoi occhi. «Il
concerto che ti dicevo
l'altro giorno, Nate. Quello con Gayram.»
Si
fece scappare
una risatina inadeguata. Sì, aveva le sue cose sicuro.
Nathan si trattenne dal
lasciar cadere teatralmente l'iPhone sul tavolo unto del McDonald's, ma
in
compenso non si fece scrupoli a mostrare il suo disappunto sbuffando
come un
bambino. «No, che palle, non vorrai andarci davvero. Io non
vengo.»
Era
vero, gliene
aveva parlato, ma non ricordava di averle mai detto che sarebbe venuto.
Come
gran parte delle cose che scandivano la sua vita, Nathan semplicemente
ci
girava attorno e le ignorava come niente fosse. Era più
facile e meno
stressante. Non voleva correre il rischio di intripparsi per qualcosa,
come una
relazione sociale, un'opposizione, una risposta. Le sue giornate
sillabate
dagli antidolorifici, le canne e, ogni tanto, Jefferson con le sue
manie erano
troppo allettanti per essere riempite di qualcosa che avesse
effettivamente
valore.
Così
le parole che
gli venivano dette da tutta la gente che aveva attorno e che non poteva
vedere
– ma la cosa era reciproca – gli entravano da un
orecchio e uscivano
dall'altro.
«Dai,
ci
divertiamo» Vic mescolò la panna dentro al
bicchiere con la cannuccia. «se fa
qualche figura di merda, va in giro per tutta Instagram entro domani
mattina.
Non ti attira?»
No,
a Nathan
attirava uscire da quel sudicio locale da bimbiminchia, accendersi
l'erba e
farsi di ecstasy. In più, a quello stupido concerto ci
sarebbe stata anche la
Caulfield con la puttana lesbica e di vederle ne aveva la voglia che ne
avrebbe
avuta di prendere un calcio negli stinchi. Prese ad aprire e chiudere
le
notifiche di Instagram finché non si impallò la
home e a quel punto sbottò: «Ma
perché dobbiamo andare a una festa da sfigati?»
Victoria
parve
quasi offesa. «Nate, ci vanno tutti, ci sono anche Zachary e
Juliet che ci
aspettano stasera.»
«Cazzomenefrega
di
Zachary e Juliet» borbottò Nathan grattando via
dello sporco dalla cover, gli
occhi bassi e imbronciati. «Però se fa schifo me
ne vado.»
«Sei una
palla.»
I
feel a million miles away, still you connect me in your way
And you create in
me something I would’ve never seen
Alle
undici e
quaranta, nello spazio dedicato alle feste del Vortex Club sul retro
della
Blackwell, terminavano i preparativi per il concerto dei Quadraphonic
Since
Dolls. A Nathan venne un conato di vomito solo a vedere la
locandina del
gruppo, appesa su una delle bacheche davanti alla scuola. Prese una
delle biro
a disposizione del fruitore e scarabocchiò un pene sulla
fronte di Gayram. Ora
sì che era degno del suo soprannome.
Vic
e le sue
troiette parlottavano dalla parte del palco, probabilmente aspettavano
qualcuno. Nathan sarebbe potuto scappare in quel momento a fumare, ma
era
davvero troppo annoiato per fare qualsiasi cosa. Era arrivato anche a
sperare
che il concerto iniziasse presto.
A
mezzanotte e
dieci finalmente cominciava lo strazio. Della Blackwell c'erano davvero
tutti,
su questo Vic c'aveva preso, e anche di fuori. Certo che la gente pur
di non
rimanere a casa a fare niente si vende a tutto, pensò Nathan
mentre seguiva il
suo gruppo che si infilava nella massa.
Le
luci
stroboscopiche erano l'unica cosa che apprezzò dei primi
cinque minuti in cui
la folla acclamava i musicisti, perché era deciso nel
sorvolare l'inutilissimo
maxischermo appeso dietro al palcoscenico e anche i componenti della
band che
sembravano usciti da The Big Bang Theory.
Quando
Gayram fece
il suo ingresso al microfono, sembrava quasi decente. Grazie a Dio non
portava
uno dei suoi completi osceni a cipolla, ma una camicia bianca
leggermente
sbottonata e dei pantaloni aderenti. Forse un po' di buongusto ce
l'aveva anche
lui, osservò Nathan.
«Vuoi
da bere?» gli
chiese una delle amiche di Vic, bionda, tette rispettabili,
cheerleader. Dana,
probabilmente. Non che Nathan ci facesse troppo caso, alle sue tette. O
alle
ragazze. Ormai sapevano tutti che era frocio come la morte.
«Prendo
quello che
c'è» rispose, cercando di sovrastare il fracasso
della musica. «Purché sia
alcool.»
I
primi pezzi non
erano nemmeno troppo tristi, ma sicuramente c'era di molto meglio. La
scaletta,
poi, sembrava stata fatta dalla Caulfield per quanto era pacchiana.
C'era anche
da dire che alcune tracce erano più che passabili, come la
cover di Losing
My Religion o di Poison, in cui
però Gayram aveva stonato e anche di
brutto. In generale, la sua voce era ascoltabile, i suoi gusti musicali
meno.
Victoria,
Dana e
gli altri sembravano passarsela alla grande, nonostante gli assoli di
chitarra
non fossero dei migliori e sembrasse di essere a un concerto dei My
Chemical
Romance. L'alcool era arrivato, ma soprendentemente Nathan non aveva
buttato
giù che un paio di shots rum-pera. Forse i calmanti avevano
fatto il loro
lavoro più del previsto.
«Allora?»
gli fece
Hayden, l'unico che tollerava lì in mezzo oltre a Victoria.
«Sono bravi, eh?»
«C'è
di peggio»
Nathan si sentiva buono. Non aveva intenzione di accennare alle
Converse
sformate del bassista né alle espressioni spastiche che
assumeva Gayram durante
gli acuti. Non voleva rendere la serata più merdosa di
così.
«Non
avrei mai
pensato che sarebbe venuta così tanta gente. Sembra uno dei
party del Vortex,
ma in scala maggiore.»
Andarono
avanti a
chiacchierare per altri tre o quattro pezzi, poi Hayden si
congedò per
rimorchiare una tipa e Nathan non lo vide più per tutta la
serata. Aveva perso
di vista anche gli altri, quindi si sedette su una delle impalcature,
buttò giù
il suo ultimo goccio di gin e si costrinse a non sbadigliare. Se non
sbagliava,
stavano suonando una canzone di Ida Maria, Drive Away My Heart.
Warren –
cioè, Gayram – aveva la
frangetta umida appiccicata alla fronte e le
maniche arrotolate ai gomiti. Da lontano, a limonare con il microfono,
sembrava
quasi sexy.
Erano
quasi le due
e finito il pezzo fecero una pausa. Ottimo, se si fosse girato verso le
quinte
avrebbe potuto appurare se anche il suo culo faceva una bella figura in
quei
pantaloni attillati.
Da
lassù la visuale
era assolutamente migliore, poteva quasi vedere la forfora
adolescenziale di
quei bambocci intorno a lui. Riconobbe alcune sfigate del corso di
Jefferson
più vicine al palco, probabilmente ammiratrici del calibro
della Caulfield.
Sembravano in procinto di andarsene e Nathan capì che quella
non era una pausa,
forse avevano finito di suonare.
Che
nerd. Non aveva
intenzione di muovere il culo prima delle quattro, come minimo, e molti
nel
pubblico la pensavano allo stesso modo perché alle due e un
quarto la calca era
rimasta integra a sbronzarsi e aspettare altra musica.
A
quel punto Warren
e il resto della band tornarono sul palco, a disagio nei loro vestiti
sudaticci.
«Okay»
balbettò
Gayram al microfono, intimidito. «Suppongo che vogliate un
bis?»
La
folla li
applaudì, ormai ubriaca. Nathan si chiese cosa si sarebbero
inventati ora che
avevano finito la scaletta. Che schifo. Senza accorgersene stava
prestando più
attenzione del previsto a quel concertino del cazzo. Sbloccò
il telefono per
cercare Victoria e chiederle altro alcool.
«Questa
è War Of Change, dei Thousand Foot
Krutch.»
La
linea era
occupata. Fanculo anche a quella stronza. Non era la prima volta che
spariva
con le sue amichette e il giorno dopo lo chiamava alle nove di mattina
per
raccontargli chi si era fatta e chi no. Poco male. Se lo sognava che
sarebbe
venuto con lei allo Student Party.
Nathan
si concentrò
sullo spettacolo e quasi non riconobbe la voce di Gayram. Era
maledettamente
bravo quando improvvisava. Ma forse era solo la canzone che non era
granché e
non richiedeva doti particolari.
La
gente era
gasatissima, scalpitava che a momenti finiva sul palco. Qualcuno aveva
già
sboccato di brutto. Certo che questi primini erano proprio ripugnanti.
Finalmente
il
telefono squillò e dall'altra parte c'era Vic. Si
tappò un orecchio per sentire
attraverso il casino: «Nate? Dove sei? Ho trovato uno che
dice di essere homo
ed è figo.»
Nathan
capì subito
che non ci stava con la testa. Victoria sapeva bene che a lui non
piacevano le
scopate veloci come a lei, che lui preferiva che gli venisse portata
della
vodka piuttosto.
«Hai
bevuto?» le
chiese. Non intendeva qualche bicchierino, intendeva bevuto.
Di solito
lei non si sbilanciava mai con l'alcool, aveva sempre paura che ci
fosse in
giro Jefferson.
«No,
sto bene» ma
cantilenava. «Ascolta, noi siamo qua eh, siamo dal
parcheggio. Raggiungici,
Nate, che ci divertiamo.»
Nathan
le
riagganciò in faccia. Non aveva alternative che rimanere ad
ascoltare gli
ultimi minuti di concerto, ma non era male, tutto sommato. Non era male
affatto. Se si fossero esibiti completamente sul momento, sarebbe stato
una
bomba. Okay, vabbè non esageriamo. Warren in particolare
cantava con abbandono,
come se fosse sotto la doccia, e la sua voce defluiva con tanta
facilità da
essere sul serio orecchiabile.
Decise
di
avvicinarsi, mantenendosi sull'esterno per evitare la mandria di
pogatori.
Trovò una transenna libera e vi si arrampicò.
C'era una visuale di merda da lì
ma se non altro era vicino alle casse e la voce di Warren si sentiva da
dio.
Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce ma apprezzava i toni che poteva
raggiungere in quel tipo di canzoni. E poi poteva vedere il suo culo da
lì. E
dio se aveva un bel culo.
«Sempre
dello
stesso complesso, suoniamo Be Somebody, l'ultima
della serata» fece
Gayram, un po' più sicuro di sé. Un tizio delle
quinte gli allungò una chitarra
acustica e Nathan sentì un brivido percorrergli la spina
dorsale. Si costrinse
a mantenere i nervi saldi, anche se cominciavano già a
riaccendersi le immagini
della terza media, e il ricordo della festa di fine anno, quella
festa
di fine anno, il suo scheletro nell'armadio. Gli parve di perdere un
battito
quando ripensò a quel momento, il palchetto in mezzo al
parco della scuola, gli
applausi dei genitori, il bambino dell'altra classe che si accovacciava
sulla
chitarra...
«Buona
visione.»
Merda,
no, non
poteva essere, no. Anche dopo lo sviluppo della pubertà era
dannatamente
riconoscibile. Come aveva fatto a non accorgersene ancora?
«I’m
just the boy inside the man, not exactly who
you think I am.»
Warren
Graham era
stato lo stronzo che gli aveva fatto avere l'erezione più
imbarazzante della
storia. E Nathan era stato visto da tutti i suoi compagni di classe
correre in
bagno, paonazzo in volto, in quell'occasione.
«Trying
to trace my steps back here again, so many
times.»
Non
era possibile,
con tanta gente ad Arcadia Bay proprio lui doveva essere. Eppure il
modo di
tenere la chitarra sulla gamba, senza usare il plettro e la
rapidità con cui
passava da un accordo all'altro... e la capigliatura riccia e
spettinata. Non
c'era dubbio, merda, merda, merda. Ecco
perché la sua voce lo aveva
attizzato da subito. Era lui.
Lo
stronzo.
Dopo
essersene
fatto una ragione, Nathan non riuscì a non rimanere
incollato alle sue labbra
per tutta la durata della canzone. Anche se stonava, lui non lo
sentiva.
Rivedeva il bambino di dodici anni che lo aveva eccitato con la sua
voce prima
che potesse farlo qualsiasi delle figlie degli amici dei suoi con cui
passava i
weekend al ristorante. Nathan lo odiava, quello sfigato, per avergli
lasciato
un segno così: non aveva voluto fare sesso con il primo che
capitava per causa
sua, solo sua, idiota, merdoso coglione. Sperava di incontrarne un
altro che
glielo drizzasse così, senza nemmeno toccarlo. Come aveva
fatto
lui.
«When
I could only see the floor, you made my
window a door. So when they say they don’t believe, I hope
that they see you
and me.»
Ma
dall'altra gli
era debitore per avergli risparmiato le pomiciate da prima superiore
con le
cheerleader. Gli aveva fatto capire di che farina era il suo sacco.
«After
all the lights go down, I’m just the words
you are the sound. A strange type of chemistry, how you’ve
become a part of me.»
Sentiva
ancora
l'angoscia di allora all'altezza dello stomaco. L'ansia. La foga.
Quando hai
dodici anni e per la prima volta ti ecciti su qualcosa che non sia una
rivista,
te ne sbatti all’inizio che il soggetto in questione sia
maschio o femmina.
Aveva
voglia di
prendergli a calci quella chitarra del cazzo e ficcargli il microfono
in gola.
Aveva voglia di ficcargli anche la lingua in gola, ma si tratteneva dal
pensarlo. Di quello si sarebbe occupato dopo.
«And
when I sit alone at night your thoughts burn through
me like a fire.»
Dio
se era oscena
quella canzone. Ma se la sentiva nelle viscere, sotto la pelle, fra i
denti,
nel cavallo dei pantaloni. Aveva il respiro boccheggiante tanto quanto
il suo,
sentiva il suo fiato in gola. Voleva
il suo
fiato in gola.
«You're
the only one who knows who I really am.»
Sarebbe
potuto venirci
su quella canzone, in quel momento, come quattro anni prima. Aveva i
brividi,
gli era passata anche la voglia di fumarsi l'erba. Il groppo allo
stomaco gli
aveva offuscato il resto, non ci pensava nemmeno più, gli
piaceva pensare che
il colpevole fosse solo Gayram – Warren.
«Porca
troia se ti
prendo cosa ti faccio» grugnì fra i denti, mentre
Warren si aggrappava al
microfono per cantare il ritornello. Era sempre stato un nerd diverso
dagli
altri, aveva i suoi momenti derp in cui non si poteva vedere, ma quando
era
tirato era piuttosto carino. Dio, Nathan stava cercando disperatamente
delle
attenuanti per quel sentimento così fortemente gay
che gli stava
bruciando i polmoni. Il fatto era che lui era stato più
sfigato di tutti per
aver aspettato quel momento da così tanto, come una fighetta
alla prima tirata
di sigaretta. Quella festa di terza media ormai sarebbe stata incisa
sulla sua
tomba.
Fanculo.
We just need a taste of who we are
We all wanna be somebody
We're willing to go but not that far
«Grazie»
sorrideva
come un'idiota, nascosto dietro ai capelli lunghi. «Grazie a
tutti. Siamo i Quadrophonic
Since Dolls, buona serata.»
Oh
sì che sarebbe
stata una buona serata, ora.
Nathan
si fece
largo tra la gente a furia di spintoni, giù fino al palco.
La gente finalmente
defluiva verso il parcheggio e presto lo spiazzo sarebbe stato vuoto.
Ma doveva
sbrigarsi prima che qualche puttanella si mettesse in testa di farsi
delle foto
con la band o stronzate simili.
Quando
la fermarono
dalle transenne, bastarono un paio di spallate per allontanare i
corpicini
gracili dei vigilanti della security ed era fatta, era nell'area vip.
Che di vip non aveva una minchia.
Il
gruppo si stava
cambiando, scambiando saluti con alcuni professori, sistemando gli
strumenti.
Ed eccolo, di spalle, a sbrodolarsi con la sua pepsi nello spogliatoio
vuoto.
Sembrava piuttosto sfinito.
Nathan
gli si
avvicinò, forse troppo rapidamente, perché Warren
sobbalzò e si rovesciò la
lattina sulla camicia.
«Tranquillo,
tra
poco non ti serve più quella» disse Nathan,
afferrandogli il colletto. Finalmente
poté soddisfare i suoi impulsi viscerali: probabilmente non
aveva mai spinto la
lingua così in fondo alla bocca di nessuno,
perché Warren ebbe un attimo di
panico. Poteva anche essere per il fatto che non avevano mai avuto un
approccio
particolarmente ravvicinato, ma cazzogliene, poco importava.
Fu
quasi
liberatorio.
Warren
si staccò
subito. Ma cheppalle. Cosa c'è adesso.
«Ma
che fai?!
Prescott?!» carino l’urletto da bimbetta.
«Me
lo hai fatto
diventare duro» fece Nathan, senza spostarsi di un
centimetro, seccato. «Due
volte. Basta come pretesto per scopare?»
«Ma
che problemi
hai?!»
«E
dai, cristo»
sbuffò rumorosamente in risposta, in procinto di perdere la
pazienza. Warren
aveva una faccia sconvolta e sembrava voler diventare un
tutt’uno con il muro
dietro di lui. Aveva gli occhi più grandi della sua testa, a
momenti. «Non fare
finta che non ti sia piaciuto, frocetto del cazzo. Non
c’è bisogno dei
convenevoli.»
L’altro
tentò di
ricomporsi, e abbassò lo sguardo un secondo con
l’aria di chi stava seriamente
riflettendo. Si guardò attorno, evidentemente per appurare
che fossero soli.
«Ti siamo piaciuti?»
«Non
esagerare.»
Il
che suscitò una
risatina da parte di Gayram. Nathan stava per spaccargli quel bel
faccino, o
meglio, per sbatterlo sul cemento e violentarlo. Riallacciò
le labbra alle sue,
e stavolta Warren non si ritirò prima di una ventina di
secondi. Ah, ora ti
piace eh.
«Tornerai
a
vederci?» rise.
«Ma
vaffanculo.»