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Autore: Nereisi    21/04/2022    1 recensioni
Barnaby assorbì il momento, incapace di metabolizzarne la semplice perfezione.
Una tenda piantata grossolanamente svettava sull’argine erboso del fiume - poco fuori dalla città, perché Sterb Billd poteva essere in mortale pericolo nonostante le ferie messe faticosamente da parte in mesi di lavoro. Una stereo portatile di ultima generazione diffondeva nell’aria le note di una generica stazione radio, il volume calibrato alla perfezione per restare una piacevole compagnia di sottofondo.
Poco distante, un tavolino pieghevole, un set per preparare il caffè con tanto di macinino per i chicchi tostati e due tazze, una col manico verde e l’altra, invece, rosa. L’aroma del caffè di cui erano ricolme riempiva l’aria, grazie ad una leggera e piacevolissima brezza. La temperatura era perfetta. Non faceva né caldo, né freddo. Si stava bene.
Stavano bene.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Barnaby Brooks Jr., Wild Tiger
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I call it love

 

 

 

Barnaby assorbì il momento, incapace di metabolizzarne la semplice perfezione.

Una tenda piantata grossolanamente svettava sull’argine erboso del fiume - poco fuori dalla città, perché Sterb Billd poteva essere in mortale pericolo nonostante le ferie messe faticosamente da parte in mesi di lavoro. Una stereo portatile di ultima generazione diffondeva nell’aria le note di una generica stazione radio, il volume calibrato alla perfezione per restare una piacevole compagnia di sottofondo. 

Poco distante, un tavolino pieghevole, un set per preparare il caffè con tanto di macinino per i chicchi tostati e due tazze, una col manico verde e l’altra, invece, rosa. L’aroma del caffè di cui erano ricolme riempiva l’aria, grazie ad una leggera e piacevolissima brezza. La temperatura era perfetta. Non faceva né caldo, né freddo. Si stava bene.

Stavano bene.

Socchiudendo appena gli occhi contro i raggi di sole del tramonto, Barnaby girò la testa per guardare apertamente Kotetsu. Il suo partner rispose al suo sguardo con affetto e calma, gli occhi castani e profondi. Sui visi di entrambi, un sorriso sincero, appena accennato.

Barnaby continuava a non capacitarsene. Come poteva un’altra persona farlo sentire così in pace con sé stesso e, al contempo, come se stesse camminando sulle stelle? Una persona così diversa da lui e, al contempo, in perfetta sincronia.

Se ci fosse stato qualcun altro, probabilmente anche solo se la radio avesse interrotto il flusso delle canzoni  con qualche gracchiante annuncio, la magia si sarebbe spezzata e avrebbero distolto lo sguardo l’uno dall’altro, imbarazzati. Anche se fosse successo, però, Barbaby era sicuro che sarebbero riusciti a ricreare quell’atmosfera senza problemi.

Da quanto il sole aveva iniziato a tuffarsi dietro i grattacieli di Stern Bild, non si erano scambiati una parola. Eppure, sapevano entrambi che andava tutto bene. Stavano bene. La tenda era stata montata, il mobilio da campeggio sparso intorno alla macchina di Kotetsu, il caffè preparato. Aveva persino infilato la sedia sotto il sedere del suo partner mentre si sedeva, guadagnandosi uno sbuffo divertito e imbarazzato.

Un’occhiata, un sorriso, nessuno scambio. Persino nei suoi rari momenti di silenzio, Kotetsu riempiva lo spazio intorno a sé con la sua presenza, come un faro, e Barbaby ne veniva inevitabilmente attratto, un vagabondo alla disperata ricerca di fuoco e calore.

Non ricordava l’ultima volta in cui era stato così felice. Semplicemente felice, e nient’altro. Gli sembrava impossibile quanto il suo umore fosse condizionato da quel vecchietto pasticcione, che ne combinava una dietro l’altra con le migliori intenzioni e i peggiori risultati – a seconda dei punti di vista.

Kotetsu allungò una mano verso le tazze, annusando la propria e beandosi del divino profumo – ma non lo portò ancora alle labbra, no; la sensibilità ai cibi bollenti era una delle migliaia di cose che li accumunava. Incrociò di nuovo il suo sguardo e sorrise, quel suo sorriso onesto e tutto denti che tanto lo contraddistingueva.

Un gesto insignificante, eppure Barbaby sentì il cuore cantare, ballare, sciogliersi. Voleva abbracciarlo senza avere un conto alla rovescia per doverlo lasciare andare. Voleva strapparsi il petto e nascondere Kotetsu sotto le costole, nasconderlo al mondo intero, tenerlo solo per sé. Lo amava, lo amava, lo amava.

Sarebbe morto mille volte per quell’uomo e aveva l’assoluta certezza che sarebbe stato ricambiato – una volta ci erano andati pericolosamente vicini. In alcuni istanti fugaci ed egoisti, era convinto che il mondo non si meritasse il suo cuore così grande, ma che ne avesse un bisogno disperato. E Barbaby non era mai stato bravo a condividere.

Inspirò, cercando di stamparsi nella memoria quel momento, quelle sensazioni, quei profumi, quelle emozioni. Era illogico pregare che quel momento così semplice quando unico potesse durare in eterno, eppure fu più forte di lui.

Nathan una volta gli aveva detto che sembravano una vecchia coppia sposata ancora ferma alla fase della luna di miele. Che il modo in cui guardava Kotetsu con gli occhi dell’amore mentre faceva una cazzata dietro l’altra fosse imbarazzante persino da guardare.

Che fossero arrivati ad un livello disgustosamente domestico di intimità, Barnaby non lo poteva negare. Ma non aveva mai osato dare un nome al loro rapporto. Forse, non lo voleva nemmeno fare. Dopotutto, cos’erano loro due? Partner? Ovvio. Amici? Di più. Amanti? La definizione calzava male, come una maglietta indossata al contrario.

Si amavano, e non vi era dubbio.

Forse era un bene non aver mai affrontato quel discorso in maniera seria. Il loro rapporto andava benissimo così com’era. Metterci un’etichetta avrebbe comportato tutta una serie di aspettative e regole che nessuno dei due sembrava propenso a seguire. Erano un’anomalia, loro due. In tutto e per tutto.

Barbaby e Wild Tiger. Si creavano da soli il proprio posto.

Come quell’angolo di mondo, insospettabile e insignificante ai più, che avevano reso loro semplicemente esistendoci insieme.

Degli indignati sputacchi lo riportarono con i piedi per terra. Il suo partner aveva provato a fare il temerario con la sua bevanda, finendo solamente per scottarsi la lingua. Con i suoi movimenti esagerati, gesticolanti e drammatici, fu un mistero come riuscì a non cadere dalla sedia pieghevole. Barbaby lo guardò, un sorriso pieno d’affetto sulle labbra. È proprio un idiota.

“Bunny, dai, vieni qua.” Fece la voce cantilenante e lamentosa di Kotetsu. Bambinone capriccioso che non era altro.

Barbaby alzò gli occhi al cielo, una curva divertita nell’angolo della bocca nonostante l’esasperazione per quel nomignolo infantile che, ormai, considerava come qualcosa di prezioso – anche se l’avrebbe negato fino alla morte.

“Non voglio sporcarmi i vestiti, Kotetsu-san.”

“E allora prendi l’altra sedia! Tanto semplice, no?” Lo rimproverò l’uomo. “Dai Bunny, sbrigati, vieni qua.” Disse, strascicando l’ultima vocale per impietosirlo, come se gli stesse facendo un affronto a non essergli più vicino possibile.

Forse era così, pensò Barnaby. Forse stava facendo un peccato mortale ad entrambi.

Uno stormo di uccelli schiamazzò, uscendo dalla boscaglia sull’altra sponda del fiume, volando verso Stern Bild e il suo tramonto scenico. Li seguì con lo sguardo. Sarebbe quasi stato da fare una foto.

Un rumore alle sue spalle lo fece girare di nuovo, trovando il suo partner a sorridere sornione con il telefono in mano e la tazza tenuta precariamente in equilibrio sulla coscia. “Cheese, Bunny!”

“Che stai combinando?”

“Ho pensato che era un momento troppo bello per non immortalarlo.” Abbassò il dispositivo, incrociando i suoi occhi con sguardo complice. “Non lo stavi forse pensando anche tu? Ammettilo!”

Barnaby sorrise. “Mi leggi nel pensiero, Kotetsu-san?”

“Faccio del mio meglio.” Disse lui, imitandolo.

Il giovane lo scrutò con affetto da sopra gli occhiali. “E a cosa sto pensando in questo momento?”

Ci fu un momento di silenzio, poi l’altro si grattò la nuca con un leggero colorito sulle guance e un adorabile broncio a storcergli la bocca. “… Che mi merito la lingua bruciata perché mi precipito a testa bassa nelle cose e la devo smettere perché porto questa mia brutta abitudine anche nel lavoro?”

Sei così stupido.

Barnaby prese la sua tazza, chiudendoci le mani intorno e prendendo un piccolo sorso. “Esattamente.” Era ancora troppo caldo.

L’altro fece un broncio offeso, ma non durò a lungo quando vide che stava cercando di nascondere con la tazza il suo sorriso divertito. “Bunny! Mi prendi sempre in giro!” Esclamò, puntandogli contro un dito accusatore.

“Me lo rendi così facile, Kotetsu-san.”

“Sei fortunato. Sto troppo bene in questo momento per alzarmi e fartela pagare.” Lo avvertì l’altro, stravaccandosi ancora di più sulla sedia.

“Certo, certo.” Lo rabbonì, imitandolo e rilassandosi di nuovo, inspirando profondamente e tornando a guardare il tramonto con quella che era, a conti fatti, la sua anima gemella.

Tornò di nuovo quel silenzio accogliente, quell’atmosfera di pace, quella sensazione di quieta felicità che Barnaby avrebbe fatto carte false per imbottigliarla e portarsela a casa.

Ma, anche lui, era solo umano.

“…Vecchietto.”

“Che hai detto?!”

 

 

Almeno per quel giorno, Stern Bild non chiamò.

 

 

 

Note autrice: Breve pezzo basato sulla sigla di chiusura della seconda stagione.

La seconda stagione di Tiger & Bunny mi ha investita come un treno merci. Sono sempre stata fan di questa serie, ma vedere questi due idioti che si comportano da vecchia coppia mi ha uccisa e resuscitata più volte. La trama si potrebbe riassumere con “Barnaby e Kotetsu che cercano di uscire a bere, ma qualcosa glielo impedisce in continuazione”. Ci sto sotto talmente male che mi sono riguardata la prima stagione da capo, poi i film e ora sono tornata alla seconda stagione. Per una volta, grazie Netflix.

Dovevo in qualche modo far fuoriuscire questa hyperfixation, perché continuare a vedere come Barbaby guarda Kotetsu con quello sguardo pieno di amore credo che mi avrebbe causato conseguenze psicosomatiche. Vorrei essere capace di scrivere qualcosa di più avvincente, ma l’introspezione è la prima cosa che fuoriesce dal mio flusso di coscienza. Attesa di 12 anni ampiamente ripagata. Ora, Netflix, sbrigati a darci la seconda parte, MALEDETT-

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