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Autore: Madeleine_Smith_Choppi    24/04/2022    1 recensioni
Era un vizio come un altro, un po' come il latte caldo con un cucchiaio intero di miele, che non aveva smesso di bere nemmeno ora, all'alba dei suoi diciannove anni e che era infatti motivo di scherno da parte del maggiordomo - un'inutile aggrapparsi al ricordo di una tenera età che lo aveva abbandonato sempre più velocemente, cambiandolo nell'aspetto e nel carattere. Proprio lui, che non pensava nemmeno sarebbe arrivato a compierne quindici di anni, anelando con tanta disperata rabbia quella vendetta che ancora non arrivava, un labirinto senza soluzione.
Ed ora, di quei diciannove anni, Ciel non sapeva cosa farsene.
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[SebastianxCiel][CanonVerse][Rating Arancione][AdultCiel!]
Genere: Angst, Dark, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: What if? | Avvertimenti: PWP
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Il Lusso del Vizio

 


 
L’acqua calda era uno dei tanti lussi che la sua posizione privilegiata gli aveva sempre concesso, così come il sapone, in particolare quello ai fiori di campagna che mandava Sebastian a comprare al mercato cittadino.
Era un vizio come un altro, un po’ come il latte caldo con un cucchiaio intero di miele, che non aveva smesso di bere nemmeno ora, all’alba dei suoi diciannove anni e che era infatti motivo di scherno da parte del maggiordomo – un’inutile aggrapparsi al ricordo di una tenera età che lo aveva abbandonato sempre più velocemente, cambiandolo nell’aspetto e nel carattere. Proprio lui, che non pensava nemmeno sarebbe arrivato a compierne quindici di anni, anelando con tanta disperata rabbia quella vendetta che ancora non arrivava, un labirinto senza soluzione.
Ed ora, di quei diciannove anni, Ciel non sapeva cosa farsene. I doveri dell’alta società chiamavano – premevano – lo soffocavano sempre di più e lui non era assolutamente preparato perché la sua vita da quel giorno era stata tutta una farsa, una recita da portare avanti per rialzare la dignità e l’onore dei Phantomhive e in nome del Dio della Vendetta.
Aveva passato gli anni dell’adolescenza istruendosi e partecipando alla vita mondana, aveva una fidanzata di copertura e le mani in più affari di quelli in cui erano state immischiate quelle di suo padre. Ma non c’era modo, per Lui e Sebastian di venirne a capo, di chiudere quel patto di sangue e anime che restava in piedi e legava le loro vite ancora.
Mosse i piedi nell’acqua, giocherellando con le bolle di sapone che si erano agglomerate sul bordo della vasca d’avorio, scoppiettandole distrattamente con l’alluce tenendo gli occhi ben chiusi e godendosi il silenzio pomeridiano.
Il silenzio in quella villa era una delle cose che stavano scomparendo man mano che la sua età avanzava: di fatti la maggiore età lo aveva trascinato nel vortice del fidanzamento e Lizzy era una presenza sempre più ingombrante in casa sua, ma da cui non poteva in nessun modo districarsi se non voleva far ripiombare il proprio buon nome nell’abisso dei pettegolezzi.
E proprio a causa di quel fidanzamento protratto nel tempo, ormai sapeva di avere pochi mesi ancora prima di dover ufficializzare e organizzare le nozze. Anche quelle, facevano parte del teatro che avevano allestito in quegli anni. Perché la vita andava avanti e doveva sembrare tutto normale: come ogni conte che si rispetti.
Come ogni tradizione che si rispetti.
E come ogni buon conte, doveva avere una moglie di tutto rispetto. Poco importasse che lui per Elizabeth non nutrisse altro se non un sentimento di tiepida amicizia, molto simile alla sorellanza che ad altro. E non importava che i suoi impulsi sessuali non gli facessero mai venire in mente di primo mattino la sua bocca rosea di gloss e le calze bianche che indossava fin sopra il ginocchio o i polsi scoperti dai guanti e nemmeno il décolleté che le stava crescendo.
Lizzy semplicemente non gli interessava. Ma avrebbe finto, come aveva sempre fatto da quando Sebastian lo aveva riportato sulla terra.
Però, se c’era una cosa che l’adolescenza gli aveva fatto capire, era che i vizi erano un lusso che un conte come lui – seppur in segreto – poteva permettersi.
E proprio durante quegli anni in cui l’impazienza aveva preso il sopravvento, era cambiato tutto seppur rimanendo tutto dannatamente uguale.
Erano uguali le piastrelle del suo bagno, bianche e pulitissime, così come gli asciugamani e gli specchi. C’erano gli stessi tappeti pregiati, gli stessi quadri di famiglia, per fino le stesse piante. La magione era rimasta immobile – salvo nei momenti in cui Lizzy metteva mano con qualcuna delle sue stramberie infiocchettate – solo la servitù fatta eccezione per Sebastian era cambiata. Bard iniziava a mostrare i primi capelli bianchi; Mey Rin era diventata una donna e aveva perso un po’ quell’aura svampita che la caratterizzava durante i suoi primi anni di servizio; soprattutto dopo la morte del signor Tanaka.
Ecco, quello era stato forse l’avvenimento più significativo negli ultimi anni, quello che aveva segnato una rottura definitiva con tutto quello che Ciel era stato prima di Sebastian ed era diventato dopo di Lui, rompendo definitivamente con quei ricordi che lo ancoravano al passato.
Non c’era più niente di quella famiglia, nemmeno le macerie, solo un cognome rimesso a nuovo grazie al lavoro sporco che ogni notte Sebastian si assicurava di portare a termine.
Era un gioco che lo stava spazientendo. Non che Ciel desiderasse la morte, ma quella situazione di stallo andava avanti da troppo tempo.
Ruppe il silenzio tirando fuori dall’acqua le braccia: l’acqua ricadde ai lati della vasca e si portò una mano tra i capelli che erano cresciuti un po’. Chiunque aveva avuto l’onore di conoscere suo padre giurava che lui ora ne fosse la copia vivente. Perfino Lui, Undertaker, che era sparito lasciando più domande che risposte, una volta glielo aveva detto.
Un bussare alla porta lo destò dai suoi pensieri. Conosceva a memoria il rumore delle nocche di Sebastian sul legno di noce: non era mai troppo forte o troppo leggero. Era fastidiosamente perfetto. Udibile, cristallino, inconfondibile.
-Vieni-
Il diavolo dalle fattezze umane entrò nella sala da bagno e si richiuse la porta alle spalle, camminò fino alla vasca dove Ciel era ancora immerso fino al busto e si fermò al suo fianco.
-Mi scusi se la disturbo signorino, ma pare, che ci sia un risvolto riguardo quella ricerca-
Gli occhi cristallini di Ciel si aprirono e incontrarono quelli cremisi del corvino che lo fissava senza battere ciglio – quante probabilità ci sono che questa volta sia quella giusta? -
Sebastian non respirò, non mutò la propria espressione: non era qualcosa di cui c’era più la necessità. Il suo signorino era ormai un uomo fin troppo consapevole – Non saprei dirlo con certezza. Se vuole provare ad essere ottimista questa volta, probabilmente il cinquanta per cento – poi sogghignò consapevole della stizza che sarebbe nata sul volto del ragazzo.
Ma quando quella non apparve, le sopracciglia corvine si incurvarono curiose. Ciel mantenne lo sguardo fisso sul suo, immobile, rompendo l’atmosfera solo con il respiro, l’acqua ferma e limpida appena sbavata di schiuma come fosse lui stesso un quadro parte di quello stesso mobilio.
Poi all’improvviso, come se la conversazione non fosse mai avvenuta, Ciel portò lo sguardo sull’acqua e sui suoi stessi piedi. Si stava veramente annoiando.
-Sai Sebastian, una cosa che ho imparato ad apprezzare da quando sono vivo è il tempo- Si alzò dall’acqua, restando immerso solo fino alle ginocchia. Il maggiordomo con un movimento meccanico – dettato dagli anni di servizio e dall’abitudine non perse tempo ad allungargli l’asciugamano caldo – E poi, anche un’altra cosa –
-Posso sapere quale, Signorino? – La scintilla che Ciel era in grado di accendere nel suo petto vuoto di demone era sempre qualcosa che lo estasiava, che lo rendeva schiavo di quella routine, che gli faceva pregustare il momento in cui lo avrebbe divorato – anzi – assaggiato con calma, pezzo per pezzo di quell’anima tormentata, ingoiando fino alla più piccola fibra di paura e saccenza, ingurgitando l’orgoglio di cui traboccava Ciel Phantomhive.
Ciel sorrise. E non era un sorriso buono o gentile. Era un diabolico, bellissimo e mellifluo sorriso – tanto letale che Sebastian, nel profondo dell’oscurità in cui abitava aveva la ferma convinzione che lo avesse imparato da lui. Ne fu segretamente fiero. Sì, Ciel Phantomhive sarebbe stato un demone coi fiocchi se solo ne avesse avuto l’occasione: racchiudeva perfettamente dentro di sé i sette peccati capitali e non c’era traccia di pentimento nel suo cuore.
-Tutti i lussi e i vizi che posso permettermi – E non parlo degli sporchi soldi per cui sei abituato ad essere invocato, Cane –
-Oh, questo lo so bene, mio Signore. Altrimenti non avrei risposto alla sua chiamata quella notte di tanti anni fa – ed erano possessive le mani di Sebastian sui fianchi di Ciel in quel momento, che lo avevano avviluppato come un serpente nelle sue spire. Erano l’uno Servo e Padrone dell’altro in un circolo vizioso senza vincitore.
-Allora viziami, Sebastian. Mi sento molto ottimista oggi – Lo sbeffeggiò, liberandosi dall’asciugamano che ricadde nella vasca ancora piena. Un vero e proprio dispetto adolescenziale a cui poi avrebbe dovuto rimediare il corvino. Ma lui non sembrò badarci, troppo preso a sbavare come il cane che era – schiavo della sua anima e del suo corpo che poteva solo toccare – abbassando lo sguardo incendiato sull’intimità del ragazzo. – In fondo, se questa volta porterai a termine il tuo compito, potrai divorarmi. Quindi, Sebastian, questo è un ordine: Viziami
L’acqua abbandonò le sue cosce qualche istante dopo. Sebastian fu veloce: quello non era un ordine nuovo per Lui. Era quasi un gioco in realtà, un pretesto per godere di quel piccolo vizio in cui a loro piaceva dilettarsi.
Una scusa, per spogliarsi dai costumi di quel teatro che cadeva oramai a pezzi.
L’aria fredda investiva i piedi di Ciel che si erano allacciati al bacino dell’uomo bagnandogli la divisa. I suoi canini, affilati come lame gli graffiavano la pelle candida dell’orecchio – Sì, mio Signore –.
E poi gli succhiò la pelle tenera dell’orecchio, scendendo sul collo, sentendo sulla lingua il sapore del sapone disturbarlo perché nascondeva la vera essenza del suo Padrone.
Lo poggiò sul letto, bagnando anche le coltri mentre con la lingua era impegnato a rincorrere ogni goccia d’acqua presente sul corpo del ragazzo. Niente lo avrebbe mai smosso da quel compito tanto importante.

La poca grazia con cui Sebastian lo faceva ricadere ogni volta sul letto, distruggendo la perfetta piega delle lenzuola era qualcosa che Ciel poteva definire erotico, ed era tutto quello che restava quando quel gioco finiva. Era tutto così immobile tranne in quel momento dove la sfida prendeva il sopravvento e incendiava i lombi di entrambi e a Ciel regalava la gioia di essere vivo e di respirare ancora, di toccare con mano carne capace di risvegliarlo, di fargli sentire caldo – sudare e ansimare – di rendergli il membro turgido e inarcare il corpo nell’attesa di qualcosa di più.
Era divertente per lui: Un Vizio, vedere Sebastian capitolare per quell’assaggio di anima, schiavo del suo sangue e della sua stessa vittima mentre si spogliava della divisa dimenticandosi della sua finta perfezione. Quella era tutta una bugia, l’unica cosa reale erano quei momenti.
Ed erano come una droga, una costosa droga, dove per ogni dose c’era in palio la vita, la sua. Ma infondo il suo tempo era scaduto da quella notte, in quella gabbia, su quell’altare.
Quindi Ciel sorrise, sorrise quando Sebastian si sbottonò di fretta la camicia e poi i calzoni e salì con le ginocchia sul materasso spiegazzando le coperte e ingabbiandolo col suo corpo.
E quando le labbra gelide violarono le sue gli mancò il respiro come ogni volta. Gli si bloccò in gola, affogando nel sapore che non riusciva a decifrare della sua bocca, della sua lingua che urtava la sua con violenza e urgenza, come se anche lui non aspettasse altro che quell’ordine – quel vizio. Sebastian lo baciò come se volesse privarlo anche dell’ultima stilla d’aria mentre gli carezzava la pelle con la punta delle unghie curate, lasciandogli appena delle sottili striature bianche sull’epidermide che sarebbero sparite appena dopo l’amplesso. Perché ogni cosa restava uguale, non importava se Ciel non era più un bambino, se scopavano in quel letto più di quanto gli fosse concesso ammettere e desiderare, se lui si sarebbe dovuto sposare con Lizzy o se finalmente sarebbe morto. La sua vita era un teatro immobile e per fino Sebastian era una marionetta. Lo sapeva Ciel, che si aggrappava alla sua schiena graffiandogli a sangue le scapole e sorridendo malignamente in quel bacio, godendo di quella violenza perché tanto Sebastian era eterno e inscalfibile a differenza di tutto il resto che era solo una mera illusione. Non importava quante volte lo avrebbe morso, graffiato, per fino accarezzato. Sebastian sarebbe rimasto così com’era.
Non gli disturbava ammettere a sé stesso però, che quella era l’unica costante immobile che andava benissimo esattamente così.
Non avrebbe cambiato niente. Avrebbe potuto ordinare a Sebastian di sanguinare, di invecchiare e di imprimersi le cicatrici sulla pelle. Ma lo sapevano entrambi che la verità silenziosa era che anche quello era uno dei vizi del conte: graffiare, mordere e succhiare. Ancora, fino a lacerare per poi vederli scomparire e ricominciare tutto d’accapo, finché la sua anima non sarebbe stata consumata.
Artigliò i suoi capelli, sempre come lisci come le piume delle sue ali demoniache e poi passò i polpastrelli sulla sua pelle diafana e perfetta: immortale.
Lasciò quindi che Sebastian lo viziasse con la lingua, che entrasse dentro di lui sporcandogli ogni rimasuglio di innocenza, rendendolo schiavo di quel vizio sempre più allettante muovendo i fianchi allo stesso ritmo dei suoi: innaturali e perfetti. Spensero ogni ansito l’uno sulla bocca dell’altro impastata di saliva, le mani che toccavano ovunque, stringevano le cosce e tastavano le curve che sotto gli abiti erano sempre celate.
E il profumo della pelle, del sesso che invadeva le narici di entrambi, i gemiti nelle orecchie e il calore dei loro corpi che aumentava con l’aumentare delle spinte. Il letto a baldacchino di legno che cigolava, le lenzuola sfatte e i loro occhi incatenati in attesa dell’orgasmo.
Si resero schiavi l’uno dell’altro ancora, rilegando in un angolo remoto della mente la possibilità che quella volta fosse l’ultima, che quel vizio fosse qualcosa che li legava come il patto stesso aveva fatto anni prima.
Ed era un lusso che non potevano concedersi, quello.
Ma andava bene così, per entrambi. Tanto anche quella volta la vendetta non sarebbe stata compiuta, la sua anima sarebbe rimasta intoccabile e la sua vasca piena e profumata avrebbe atteso Ciel dopo gli impegni mondani,
E nell’ombra poi, lo avrebbe atteso il suo Vizio più lussuoso.
 
 






 


Note dell’autrice:
Ciao carissim*
Era una vita che non scrivevo qui O.O
Come state? Non so come mi sia venuta in mente questa cosa, ah sì più o meno così: stavo nel letto dopo aver letto l’ultimo volume di blackbutler e niente l’ho scritta, di getto. Non mi sono impegnata più di tanto né l’ho riletta, sinceramente. Mi andava solo di condividerla con voi, spero comunque che vi sia piaciuta, se ci saranno degli errori provvederò a correggerli più avanti appena avrò tempo ^^
Nel frattempo, grazie per aver letto 😊 Baci!
-Madeleine
   
 
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