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Autore: Golden Bonnie    24/04/2022    0 recensioni
Ogni azione ha una sua conseguenza. Alan è l’arrogante e severo proprietario di una ragioneria, che dopo aver tormentato le persone intorno a lui per anni, presto si ritroverà tormentato lui stesso da qualcosa, una cosa inspiegabile da cui non si può né scappare né nascondere. Ma nel raccapricciante mondo di Five Nights at Freddy’s, nessuna cattiva azione rimane impunita.
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Foxy
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Golden Bonnie's FNaF Fan Universe'
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Alan si risvegliò trafelato. Aveva avuto un altro incubo in cui quella cosa col muso di lupo lo attaccava. Questa volta erano in una fabbrica, e la Cosa lo aveva scuoiato vivo prima di distruggerlo completamente schiacciandolo con un marchingegno industriale. Il suo primo istinto fu quello di prendere il binocolo, ed andare al balcone. Jessie era ancora lì. Aprì la porta del balcone, e guardò all’orizzonte. Ma questa volta non ci fu bisogno di usare il binocolo. La Cosa era molto più vicina. Si potevano vedere i cavi e le mani con quattro dita, ed anche gli occhi dorati scintillanti. Dietro di lei gli sembrò di avvistare per qualche breve secondo altre quattro figure, non ben definite. Ma forse stava solo allucinando. Infatti gli bastò sgranarsi un po’ gli occhi perché sparissero. Magari fosse sparita anche Occhi Dorati. “Jessie” disse, dandole un piccolo calcio sulla testa. “Papà” disse lei, alzandosi. “La vedi?” disse indicando la cosa con gli occhi dorati. “Che cosa?” chiese lei di nuovo. “Dannazione!” urlò Alan “Come diavolo è possibile che tu non la veda? Hai problemi di vista forse? Ora vai in camera tua e non fiatare fino a domani”. Lei rientrò con il passo lento e lo sguardo basso. Alan tornò in camera, ed aprì il suo computer. Voleva fare qualche ricerca e risolvere la questione una volta per tutte. Non riusciva a sopportare l’idea che quel maledetto robot lo stesse perseguitando sia nei sogni che nella vita reale e che sua figlia facesse finta di non vederlo. Inserì nella barra di ricerca la parola Lupo animatronico, ma non uscì nulla di attinente. Provò con parole simili, come Lupo robot, Animatronic simile ad un lupo, Lupo robotico e Lupo ristorante animatronico, ma sempre niente. Iniziava a farlo innervosire. Forse doveva guardare le cose da un’altra prospettiva. Forse Occhi Dorati non era un lupo. Forse era un altro animale, come un cane o… una volpe! Come aveva fatto a non pensarci. Ora che ci pensava quella cosa nella mente contorta di colui che lo aveva creato doveva senz’altro essere una volpe. Cercò Volpe animatronica, e guardò fra i risultati. Fra le varie cose, lesse di un esperimento con un cucciolo di volpe ed un robot, una serie di inquietanti giocattoli inspirati a personaggi di cartoni animati e la pubblicità di un ristorante che una certa Fazbear Entertainment aveva aperto nella vicina città di Loreis. Nulla di interessante, a quanto sembrava. Dopo quasi mezz’ora di ricerca, però, trovò finalmente qualcosa che catturò la sua attenzione: un post su un forum per avvenimenti paranormali che aveva come titolo Perseguitato da una volpe animatronica. Aiuto. Lo aprì per leggerlo. Salve a tutti, mi chiamo Liam ed ho un grave problema. Da qualche tempo faccio sogni su una specie di volpe animatronica, un ammasso di cavi e fili che mi insegue, qualche volta in spiaggia, qualche volta in una biblioteca, e qualche volta nel bosco. Ho iniziato anche a vedere quella stessa volpe, prima in lontananza, poi via via più vicina. Il problema è che nessun altro sembra vederla. Aiuto. Update: Grazie per i vostri messaggi. La volpe ora è molto più vicina, inizio ad avere paura. Ho provato a lasciare casa ed andare in albergo, ma quando guardo dalla finestra vedo sempre quella stramaledetta volpe. Update 2: La volpe è vicinissima. I sogni si sono interrotti. Update 3: La volpe mi sta letteralmente col fiato sul collo ora. Mi guarda mentre scrivo questo messaggio con i suoi occhi dorati. Per favore, aiuto. Alan guardò i dettagli. Aggiornato la prima volta tre anni, dieci mesi e quattro giorni fa. Aggiornato la seconda volta tre anni, dieci mesi e tre giorni fa Aggiornato l’ultima volta due anni, dieci mesi fa e due giorni fa. Guardò il profilo dell’utente. L’ultimo commento risaliva a tre anni, dieci mesi e due giorni prima. Non prometteva affatto bene. Un senso di ansia e terrore invase Alan. Sarebbe morto, se lo sentiva. Occhi Dorati lo avrebbe trovato, e lo avrebbe dilaniato, proprio come nel sogno. Ripensò alla sua vita. Come lo avrebbero ricordato tutti una volta morto? Da giovane diceva che non aveva paura della morte, perché anche se fosse morto, sarebbe vissuto nel ricordo delle persone. Ma come sarebbe stato ricordato ora? Di certo non bene. La verità è che lui altro non era che un tiranno infantile, che sfogava la sua rabbia contro i bulli della sua adolescenza con soprusi nei confronti di gente innocente. Non avrebbe concesso che fosse ricordato come uno sbruffone idiota che si era meritato il suo destino. No, avrebbe trovato il modo di farsi amare dalla gente. Andò un’ultima volta in balcone, ed osservò con orrore che Occhi Dorati era ancora più vicina.

Quella notte Alan non chiuse occhio. Passò tutto il tempo a fissare Occhi Dorati in balcone, in attesa che facesse qualche movimento. Doveva tenerla sotto controllo, non lasciare che si muovesse senza che lui lo sapesse. Eppure, stranamente, quella volpe non si azzardò a fare un solo passo mentre Alan la stava guardando. Forse era come gli Angeli Piangenti di Doctor Who, che stavano immobili quando qualcuno li fissava e si muovevano quando non erano osservati. Il Sole era già sorto. Alan decise di andare in camera a vestirsi prima di prepararsi per uscire. Dopo che ebbe finito, tornò in balcone, e vide che Occhi Dorati ancora non si era mossa. Meglio così. Provò ad andare in camera di Jessie per salutarla, ma desistette quando si rese conto che lei stava ancora dormendo. Uscì dalla porta principale, e si incamminò verso la ragioneria. Preferiva andarci a piedi. D’altro canto, era vicina, e perché mai lasciare che i benzinai gli succhiassero il sangue? Di tanto in tanto si girava, notando Occhi Dorati in lontananza. Sempre alla stessa distanza. Era come se per ogni passo che Alan facesse anche Occhi Dorati ne facesse uno. Cercò di non pensarci. Sarebbe quasi sicuramente morto lo stesso, quindi ora ciò che era importante era concentrarsi sull’assicurare che la gente lo ricordasse bene. Sì, era quello l’essenziale. Entrò nella ragioneria, trovandosi circondato da quegli occhi mesti e rassegnati. Questa volta però vederli non gli fece provare la solita inebriante sensazione di potere, ma solamente una grandissima tristezza. “Allora, ragazzi” disse, sorridendo “Mi dispiace per come vi ho trattato fino ad ora, quindi ho deciso di farmi perdonare”. “In che modo?” chiese Helen, con tono aggressivo. “Vi quadruplico lo stipendio, vi offro un bonus immediato di cento dollari ed oggi vi lascio la settimana libera” rispose Alan, tutto d’un fiato. Tutti lo guardarono stupiti, come se avessero visto un fantasma. “Stai scherzando, vero?” chiese Helen. “No, sono serissimo” disse Alan “Ah, e, Helen, scusami tanto per ieri. Non ero in me. Avrei dovuto trattarti meglio. Ti prego di accettare le mie scuse, ed in cambio ricevere ufficialmente una promozione a vice-proprietaria della ragioneria”. “Io…io” provò a dire Helen, ma le parole non gli uscivano di bocca. Alan sapeva cosa stavano pensando. Doveva essere impazzito, o rimpiazzato da un sosia. Ma vedere quelle facce estasiate e sorprese positivamente per una volta lo riempiva di orgoglio. Aveva sbagliato così tante cose nella vita, ora era tempo di sistemarle. “Grazie” disse Helen. “Di nulla” rispose Alan. “E a proposito” aggiunse “Chiama Bryan e digli che è stato appena riassunto”.

Una volta uscito, Alan si guardò indietro, e notò che Occhi Dorati si era avvicinata di molto. Ora era a pochissimi metri da lui. Doveva sbrigarsi. Corse verso casa il più veloce che poteva. Dietro di sé sentiva i passi pesanti e metallici di Occhi Dorati. Mentre però correva disperato, pregando che riuscisse a raggiungere casa il prima possibile, gli venne un’idea. Quella volpe se ne stava ferma quando lui la fissava, quindi perché non provare a camminare all’indietro. Anche quest’idea però presto si rivelò null’altro che un inutile tentativo di sfuggire al destino. Sulle prime tutto sembrò andare per il meglio. Non appena si girò, infatti, la volpe sparì. Alan fu sollevato, pensando di averla fatta franca, ma dopo aver fatto il primo passo, la neonata speranza abbandonò il suo cuore. Sentì infatti, proprio alle sue spalle, dei passi metallici. Quel dannato robot in qualche modo era riuscito a tele-trasportarsi dietro di lui e continuare a braccarlo senza che lui potesse vederlo. Non aveva senso, era solo un animatronic, un insieme di cavi e fili, non avrebbe potuto farlo. Ma d’altro canto nulla della situazione in cui si era cacciato aveva senso. Ora, proprio come nel suo sogno, non gli rimaneva altro che correre. E allora corse, corse finché non raggiunse casa. Entrò dalla porta, e corse subito in camera di Jessie. “Papà” lo salutò lei. “Bambina mia” disse lui. Era passato tanto da quando l’aveva chiamata così per l’ultima volta. All’epoca la madre di lei era ancora in vita. La abbracciò, e prese a piangere. “Papà, cosa ti è successo?” chiese Jessie. “Scusami” disse lui “Per tutto. Non avrei mai dovuto trattarti in quel modo”. Poi si mise la mano nella tasca, raggiunse con le dita il portafogli, ed estrasse tutti i soldi lì contenuti. “Tieni” disse, porgendoglieli. Jessie sembrava quasi in stato di shock. Alan era molto tirchio, e quasi mai le dava dei soldi. Era stato un padre pessimo. “Papà” disse lei “Stai bene?”. “Mai stato meglio” rispose Alan. Ed era vero. Nonostante avesse letteralmente un mostro alle calcagna, per la prima volta si sentiva a posto. Con sé stesso. E con il mondo intero. Uscì dalla camera di Jessie ed andò in camera sua, chiudendosi dentro a chiave. Occhi Dorati era ora a pochi centimetri da lui, poteva sentire il suo odore, un odore orrendo, un misto fra quello di plastica bruciata, di metallo arrugginito e di carne marcia. Poteva vedere con la coda dell’occhio i suoi denti affilati, che non aspettavano altro che di stringersi sul suo volto e staccargli pelle e carne dalla faccia. Si sedette sul letto, ed attese l’inevitabile.
   
 
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