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Autore: Sofyflora98    28/04/2022    0 recensioni
Nell'estate della giovinezza, la luce penetrava le coltri di nubi. Non lo faceva realmente, a dir la verità, ma faceva differenza? Era sufficiente che sembrasse così a lui. Non c'era motivo di non vedere luce, mentre accarezzava un frammento del suo cuore e permetteva che il proprio venisse sfiorato a sua volta.
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ripensando a quello che avrebbe potuto essere, il rimpianto sorgeva prima di ogni altro sentimento. Anche prima della tristezza e di quell'amore avvizzito e avvelenato, il rimpianto lo faceva destare con un dolore sordo alle tempie.
Il dolore, nel primo periodo, era stato annichilente. Per un ragazzo così giovane era stato troppo e troppo in fretta: la convinzione di aver trovato il proprio confidente e alleato nel desiderio di forgiare un mondo più giusto, poi di essersi congiunto con la sua anima gemella, e infine la paura che aveva cercato di nascondere nel rendersi gradualmente conto di non conoscere affatto la persona a cui aveva messo in mano il proprio cuore e il proprio futuro. Tutto questo sarebbe già stato molto, senza che sopraggiungessero la morte, il senso di colpa, la paura della colpevolezza, e l'abbandono da parte del suo compagno.
Della vulnerabilità dell'amore non ne aveva mai sentito parlare. Eppure era così lampante, si era detto. La sua intera persona era esposta, debole. Per settimane aveva guardato le labbra di Gellert aprirsi e sussurrare, parlare, gridare, temendo che la prossima parola sarebbe stata quella che l'avrebbe infranto nel profondo, sapendo che l'altro ne aveva la facoltà. Era ad un suono di distanza dal cadere in pezzi. Questo fu prima ancora che Gellert se ne andasse con il suo nuovo ideale di sopraffazione, lasciandolo con una sorella morta ed una voragine nel petto a chiedersi in modo ogni giorno più disperato e più febbricitante come fosse possibile che non ci fosse del sangue che sgorgava dal suo torace.
Il tempo aveva attutito il dolore, come attutisce ogni cosa. Non scomparve mai, restando come un nervo scoperto ed una cicatrice sensibile al tempo stesso, pronto a tornare a pulsare e dolere.
Era stato a quel punto che il rimpianto si era fatto avanti, subdolo e aspro. I pensieri a cui non avrebbe dovuto badare, futili quanto insidiosi, avevano preso a sussurrare tante piccole parole.
Davvero non c'era mai stata la possibilità che le cose fossero diverse?
Gellert era sempre stato così, o era cambiato durante il periodo passato assieme? E, non poteva esserne stato in parte responsabile, assecondando ed esaltando le sue idee?
Aveva mai avuto anche lui potere su una parte di Gellert, allo stesso modo in cui lui l'aveva avuto su Albus?
Aveva accarezzato il pensiero che anche lui avrebbe potuto ferirlo allo stesso modo. Anche se aveva avuto paura, una terribile paura, di essere stato l'unico a donare un pezzo di sé, convincersi che non si era sbagliato nel pensare che anche Gellert gli avesse concesso vulnerabilità lo aveva aiutato a rimettersi in piedi.
Non poteva essere stato l'unico. Non poteva concedergli di umiliarlo in quel modo anche da lontano.
Anni dopo era giunto ad una conclusione. Era semplice, in verità, ma non era qualcosa che l'animo di un ragazzo così giovane poteva realizzare ed accettare. Non era che Gellert l'avesse reso vulnerabile per fargli del male, al loro incontro. Non era nemmeno che Gellert non condividesse lo stesso struggimento e la stessa adorazione che aveva provato lui ogni volta che lo guardava in volto. Semplicemente, i loro cuori che in quel frangente erano tanto in sintonia da spingerli ad unirsi in modo indissolubile ora non lo erano più. Eppure, non lo amava meno di quanto avesse fatto quell'estate.
E così, mentre duellava contro il suo amante, contro il suo amore, questo era ciò che vedeva. Qualcuno con cui non era più in grado di comunicare, che conosceva senza comprendere.
Anche Grindelwald ne era consapevole. Lo vedeva, nei suoi occhi che si abbassavano di quel poco, nel tremolio del suo labbro.
Il battito nel suo torace, sotto le sue dita, lo percepiva al di sopra dei rumori della battaglia.
“Mi apparteneva. Un tempo, questo cuore mi apparteneva”
Il dolore era di nuovo cocente, non meno intenso della prima volta che l'aveva sentito. Era solo più maturo, più profondo, e più un'abitudine. Non gli impediva di fare ciò che doveva mentre lo feriva ancora più a fondo, anche se avrebbe dato anche il resto del suo cuore per cambiare questa realtà.
 
 
Nell'estate della giovinezza, la luce penetrava le coltri di nubi. Non lo faceva realmente, a dir la verità, ma faceva differenza? Era sufficiente che sembrasse così a lui. Non c'era motivo di non vedere luce, mentre accarezzava un frammento del suo cuore e permetteva che il proprio venisse sfiorato a sua volta.
- Ah! -
Albus si morse il labbro subito dopo aver lasciato che gli scappasse quel suono poco dignitoso. Gellert rise piano, senza una traccia di scherno nella voce. Sembrava solo compiaciuto e deliziato.
Gli accarezzò la schiena con la mano libera, in un gesto confortante.
- Serve che tu li trattenga? -
Albus non rispose, ma il suo viso era sempre più bollente. Gellert aveva un modo di usare le parole che metteva a nudo i suoi nervi più sensibili. Nel bene e nel male. Ma preferibilmente nel bene.
- Se proprio devi, usa me per soffocarli. - disse ancora il ragazzo.
Albus fece come gli era stato detto, e affondò il viso nell'incavo della spalla di Gellert. La nuova angolazione lo costrinse ad aggiustare la posizione delle gambe ai lati di quelle del biondo, che era seduto sul bordo del letto. Del suo letto, pensò con un nuovo moto di imbarazzo ed eccitazione Albus.
Mugolò contro la pelle del compagno quando questi affondò di nuovo le dita lucide di olio dentro di lui.
Quando lo toccava nel profondo Gellert era delicato. Lo teneva tra le mani come qualcosa di prezioso, aveva cura di lui. Lo vedeva nel modo in cui era sempre attento ad ogni suo segno di disagio o di fastidio, e in come si premurava di accarezzargli i capelli, baciargli il collo e sfiorargli la guancia con la punta del naso e con le labbra mentre allargava le dita dentro di lui.
Così aperto e vulnerabile, era facile lasciarsi toccare dalle sue mani e permettergli di maneggiare il suo corpo come meglio preferiva. Non c’era vergogna, solo esaltazione e delizia.
- Più a fondo. – sussurrò al suo orecchio. – Più a fondo, Gellert. –
- Più di così è impossibile con le mie mani. – arrivava già fino alle nocche con tre dita, e anche se si sforzò di muoverle con più vigore, la loro lunghezza non poteva cambiare.
Gellert strinse un braccio attorno alla sua vita, soffocando i suoi gemiti con la propria bocca quando curvò le dita in cerca del punto più sensibile. Lo trovò con facilità. Aveva fatto una mappa delle sue membra nelle ultime settimane, e aveva imparato molto in fretta a ottenere da lui le reazioni che desiderava toccandolo nel modo giusto. Avrebbe dovuto spaventarlo il modo in cui Gellert riusciva a giocare con il suo corpo, ma in realtà lo confortava essere conosciuto.
- Gellert… - sospirò chiudendo gli occhi.
Era normale che fosse così facile donare l’accesso a qualcuno? Quando guardava l’ombra delle ciglia di Gellert sui suoi zigomi, la piccola curva del suo sorriso, le ciocche di capelli biondi che si appiccicavano sulla sua fronte, sembrava l’unica cosa sensata. Rendersi vulnerabile era liberatorio, ed era una delle poche cose che gli permettevano di respirare.
Si era afflosciato contro il corpo di Gellert, lasciando che l’altro lo sorreggesse e facesse ciò che desiderava. Era davvero troppo faticoso mantenere il controllo anche in quei momenti. Non ne aveva nemmeno bisogno. Sapeva che non doveva aspettarsi che piacere dalle mani del compagno.
Come se volesse dimostrarlo, Gellert premette con insistenza le falangi nel punto più sensibile dentro di lui. Albus emise un suono languido, quasi un miagolio, che fu parzialmente soffocato nel collo di Gellert.
C’era una macchia sull’addome di Gellert, dove l’erezione gocciolante dell’altro giovane lo sfiorava mentre cercava di andare incontro alle sue dita con i fianchi.
“Come faceva a mantenere un aspetto dignitoso?” pensò Albus ansimando, aggrappato con le braccia attorno al suo collo come se ne andasse della sua vita.
La sensazione delle dita di Gellert che lasciavano il suo corpo lo lasciò con uno sgradevole senso di vuoto. Questo non gli piaceva mai: anche se sapeva che sarebbe durato solo per poco, non sopportava la sensazione di quel nulla dove prima era riempito dal suo amante. Aveva bisogno di averlo dentro di sé, e di riempirlo a sua volta. Di fondersi, diventare un tutt’uno. Questo era ciò che ci andava più vicino.
Gellert lo aiutò ad allinearsi tenendolo per i fianchi, e mentre si calava sul suo membro prese a baciargli la fronte e i capelli. Scese lentamente, cercando di rendere il respiro regolare. 
Nell’arrivare fino in fondo esalò un sospiro tremulo. Si fermò per abituarsi alla dilatazione.
Gellert avvolse le braccia attorno al suo torace, disegnando sulla sua schiena con la punta delle dita, tracciando ghirigori e lasciando carezze lente.
- Albus. –
- Cosa? – rispose con un filo di voce. 
Si ritrovò un ciondolo che dondolava davanti agli occhi.
Al collo di Gellert c’era una catena d’argento, e appesa a quella era un ciondolo con all’interno due gocce di sangue. Il ragazzo, senza smettere guardare il compagno seduto su di lui, si avvicinò lentamente il gioiello alle labbra, e le premette contro di esso.
Albus non riusciva a distogliere lo sguardo da quello spettacolo. Ora il gioiello che sanciva il loro patto veniva lambito dalla lingua di Gellert con piccole brevi lappate. Trattenne il respiro, e una nuova scarica di eccitazione lo fece tremare da capo a piedi, incapace di smettere di guardare come le labbra di Gellert si chiudevano attorno al simbolo della loro unione.
Con un gemito sottile iniziò a muovere i fianchi in modo ondulatorio. La pressione dentro di lui era così appagante, assieme alla visione del suo amante che stringeva l'argento tra i denti e lo stuzzicava con la punta della lingua.
Una spinta più intensa costrinse un grido strozzato ad uscire dalla sua gola. Si aggrappò alle spalle di Gellert, ansimando, mentre il biondo iniziava a spingere dal basso in modo regolare, tenendo i suoi fianchi magri tra le mani per cercare di controllare l'angolazione. La trovò, ad un certo punto, come dimostrato dai gemiti più alti del rosso.
Un mugolio basso. Gellert aveva socchiuso gli occhi, e protendeva il viso verso di lui. Quando la sua pelle pallida iniziava a divenire di quella tinta rosata, quando i suoi occhi si facevano lucidi per il piacere e l'espressione seria e leggermente arrogante si scioglieva e si apriva in quel ritratto fragile, Albus si sentiva colmare dall'emozione.
Appoggiò al fronte contro la sua, scivolosa per il sudore e accaldata. Il suo respiro era caldo sulle sue labbra, e l'argento del gioiello era ormai diventato tiepido per il calore della bocca di Gellert. Baciò la sua bocca, e il sigillo del loro patto assieme ad essa.
Gellert ansimò. Il suono era disperato, flebile, e lo fece rabbrividire. Si sentiva pulsare, teso come una corda di violino, sull'orlo di un precipizio.
Gellert lasciò scivolare il sigillo dalla bocca dal suo torace, ancora appeso alla catenella, e premette il viso nell'incavo tra il collo e la spalla del compagno, con un singhiozzo. Un lieve bruciore alla schiena, dove Gellert aveva involontariamente conficcato le unghie, fu la goccia che lo fece inarcare con un gemito, facendogli versare il proprio piacere sul petto del compagno.
Gellert venne pochi istanti dopo, stringendolo spasmodicamente a sé, sussurrando il suo nome con un filo di voce, come un incantesimo.
Il sigillo premeva tra i loro toraci, contro la pelle, e la carne, e le ossa.
 
 
Sdraiati pigramente tra le lenzuola stropicciate, il tepore dei loro corpi premuto l'uno contro l'altro diventava un bozzolo. Le loro gambe intrecciate si muovevano solo di tanto in tanto per sfiorarsi giocosamente le une contro le altre, e alzava appena il viso per posare dei baci leggeri sugli zigomi e sul naso del compagno.
Albus aveva, in quei momenti, una percezione molto vaga dello scorrere del tempo. Si sollevavano, amava pensare, dal mondo. Si elevavano al di sopra delle preoccupazioni della loro vita, e anche al di sopra dei loro ideali. Tutto diventava quieto, e languido, e sicuro.
- Quella cosa che hai fatto, con il sigillo... - biascicò con poca energia. La voce usciva a malapena, strascicata, e quasi sbadigliò mentre tentava di parlare chiaramente.
- Ho esagerato? - rispose la voce di Gellert da sotto l'angolo di un cuscino che, chissà come, era fino sulla sua faccia.
- No, è stato... intenso. -
- Ti appartiene. -
- Cosa? -
- Quello che di mio è lì dentro, ti appartiene. -
- Il tuo sangue? - rise Albus, fingendo di non capire fin troppo bene cosa intendesse. Era troppo difficile ammettere qualcosa di simile, lasciava troppo spazio vuoto, e privo di difese.
- No, Albus. Non il mio sangue. -
Silenzio.
Provò a cercare qualcosa da rispondergli, senza riuscirci.
- Posso avere quello che è tuo? -
La domanda era più incerta delle parole che l'avevano preceduta.
Albus, a bassa voce, rispose.

 
   
 
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