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Autore: Milkyna    04/05/2022    0 recensioni
[Made in Abyss]
[Made in Abyss]In questa storia, le relazioni fra i personaggi sono state stravolte al fine della narrazione.
Applejack è la sorella maggiore di Riko, e al contrario di quest'ultima, non ha alcuna intenzione di scendere nell'Abisso a cercare i loro genitori, neppure quando un robottino di nome Reg fa capolino dal 1° Strato...
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: OC
Note: AU, Cross-over, OOC, Soulmate!AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Orth era il fiore all’occhiello del pianeta Terra, un meraviglioso villaggio dalla squisita architettura.

I boschi che ricoprivano quella zona si erano fusi splendidamente con le costruzioni, dando vita a giardini e parchi, ed ad una fiorente agricoltura.

Erano presenti chiese e torri dai tetti rossicci, e quando all’alba la luce del sole inondava tutto quanto, Orth si tingeva di tinte calde ed accoglienti, le quali si riflettevano sulla voragine famosa in tutto il mondo, e che da 1900 anni richiamava avventurieri e curiosi: l’Abisso.

Nessuno sapeva cosa fosse esattamente, nessuno ne aveva mai visto il fondo, o comunque non era mai tornato indietro a raccontarlo.

L’Abisso era maledetto, e man mano che si scendeva nelle sue viscere e si cercava di riemergere, quella Maledizione colpiva con ferocia sempre più pesante, lasciando segni indelebili sui corpi e nell’anima delle persone colpite, addirittura togliendo loro direttamente la vita.

Nonostante ciò, intere generazioni di Esploratori si assiepavano sui suoi bordi, pronti a discenderli, lasciando indietro ogni cosa, ogni affetto, ogni altro desiderio.

In palio c’era un sapere misterioso, datato migliaia di anni, e reliquie dotate di poteri oltre ogni possibile immaginazione.

Le famiglie piangevano quando i giovani muovevano le loro mani in segno di saluto, tributo a quella bocca famelica perennemente spalancata, che fagocitava ogni nuova speranza per il paese di Orth senza risputarne neppure le ossa.

Sulla collina più alta di Orth, svettava il Giardino Dolci Mele, una fattoria di legno rosso e dal tetto lilla, dove viveva una famiglia molto in vista, la quale produceva molti prodotti agricoli e dava lavoro a molte persone del paese.

La matriarca della famiglia Apple, Granny Smith, era una donna anziana dalla pelle chiara, i capelli bianchi raccolti in uno chignon e gli occhi color nocciola. Era amata e rispettata da tutti, per la sua esperienza e il suo polso fermo.

Era vedova da tempo e aveva quattro figli; la maggiore di loro, Pear Butter, aveva sposato Bright Macintosh, un onesto coltivatore di frutta.

Pear Butter aveva una gran massa di riccioli arancio chiaro, un bel viso lentigginoso, occhi color dell’acqua e un sorriso gentile.

Insieme, avevano avuto un figlio, Big Macintosh, che aveva i capelli lisci come il padre e arancioni come la madre, e due occhi verdi mansueti. Era un ragazzo di ventidue anni affidabile e pacifico, che non alzava mai la voce.

La più piccola delle sorelle, Ginger, aveva i capelli rosso tiziano lunghi e mossi, gli occhi verdi e le lentiggini.

Aveva sposato Avery, un commerciante venuto da lontano, ed i due avevano avuto una figlia, Apple Bloom, che aveva preso i meravigliosi capelli della mamma. Aveva quattordici anni e amava aiutare le persone, sia grandi che piccole.

Infine c’era Gust, il fratello minore, l’ultimo nato. Anche lui aveva i capelli lunghi e leggermente mossi, biondo dorato, e gli occhi verde chiaro. Aveva appena tre anni più di suo nipote Big Macintosh, ed era uno zio adoratissimo dai nipoti.

La sorella di mezzo si chiamava Lyza, ed era una delle anime richiamate dall’Abisso.

Capelli lunghi, dalla consistenza di una nuvola e dalla stessa tinta di Gust, occhi azzurri come il cielo.

Lyza ce li aveva lisci prima di subire la maledizione dell’Abisso, felice come una Pasqua con appresso un ragazzetto conosciuto nel Giardino dei Fiori della Resilienza, un tale Torka dai capelli verdi e gli occhi limpidi. Si erano sposati ad Orth, e lì avevano concepito due figlie a distanza di sei anni l’una dall’altra, prima di ridiscendere nuovamente nell’Abisso lasciando nella fattoria due bambine di otto e due anni. Granny Smith si era occupata di loro, allevandole con amore e pazienza, insegnando loro disciplina e rispetto.

Tuttavia… Non aveva perdonato la sconsideratezza di Lyza e Torka; abbandonare così due bambine piccole!

Da allora erano trascorsi dieci anni e di loro non si era saputo più nulla.

Applejack era diventata una splendida ragazza diciottenne, dalla pelle abbronzata, i capelli lunghi e biondi e gli occhi verdi.

Sua sorella minore, Riko, aveva i capelli lunghi e biondi della sorella, legati in due codini, e gli occhi verdi.

Un bel giorno di primavera, Applejack e sua sorella Riko stavano passeggiando lungo i bordi dell’Abisso, quando qualcosa attirò la loro attenzione: era la testa di una persona, che con un balzò saltò sul sentiero: era certamente un Esploratore dell’Abisso, ed a giudicare dall’altezza e dal viso, sembrava avere più o meno l’età di Riko…

“Ehi! Ehi, tu! Sei un Esploratore? Non ti ho mai visto da queste parti!” gli chiese Applejack, correndogli incontro.

Il ragazzino rimase sorpreso da quel benvenuto improvviso, ma subito riconobbe le due fanciulle:

“Tu sei Applejack?” domandò infatti.

Per qualche strana ragione, la ragazza provò un tonfo al cuore.

“S-Sì, sono io… Come fai a conoscermi?”

“Mi ha mandato Lyza.”

Lyza… Aveva detto l’unica parola al mondo che Applejack non era disposta a tollerare, appaiata unicamente al nome di suo padre.

“Che cosa vuole quella donna da noi?” gli chiese, difatti, freddamente.

Il ragazzo si meravigliò di quel cambio di umore, ma prima che potesse replicare, furono raggiunti dalla sorella di Aj.

“Wow, ma tu sei un robot!”

“Tu devi essere Riko…”

“Oooh, conosci il mio nome! Hai visto, Applejack? Hai visto? E’ un robot dall’intelligenza strepitosa!”

Presa com’era dall’idea di sua madre, la ragazza più grande non aveva neppure fatto caso alle sembianze di quel ragazzino, ed alle sue braccia di metallo.

Indossava un casco con un oblò violaceo, aveva i capelli castani e corti e gli occhi dorati. Era a torso nudo, e la sua schiena era coperta da un mantello svolazzante. Indossava pantaloni multicolore, che sembravano ricavati da una tenda. Ai piedi, aveva stivali neri, forse metallici anche loro.

A parte le componenti robotiche, non aveva nulla di anomalo o spaventoso: pareva un normale ragazzino dodicenne.

Il fatto però che conoscesse Lyza turbava Applejack, che non vedeva la madre da dieci anni e l’aveva salutata in malo modo.

“Per voi quello stupido Abisso è più importante di noi! Siete cattivi!”

A nulla erano valse le rassicurazioni di Lyza e Torka, anche perché suonavano false, e le probabilità di tornare vivi dopo l’Ultima Immersione erano praticamente sottozero.

Applejack si era tappata le orecchie e aveva voltato le spalle ai genitori, poi era corsa in camera sua, ad abbracciare la piccola Riko.

I due adulti erano rimasti sulla soglia di casa con Granny Smith, che li aveva guardati con notevole riprovazione, ma nulla aveva potuto contro l’ardente desiderio di tornare là sotto.

La digressione di Applejack tornò al presente quando la ragazza vide Riko toccare l’elmetto del giovane.

“Riko! E tu… Come ti chiami?”

Il ragazzo si grattò la nuca.

“Reg. Mi chiamo Reg.”

“Potresti accompagnarci a casa? Parlerai di Lyza a sua madre, nostra nonna.”

Applejack era seria, non aveva alcuna voglia di sentire quello strano ragazzetto glorificare le imprese di sua madre, una donna che aveva preferito una voragine ai suoi figli. Stesso discorso per suo padre, una specie di cagnolino che non aveva mai dato contro alla moglie.

“D’accordo.” le rispose lui.

Mentre camminavano, Aj si sentiva il cuore pesante, mentre Riko la scrutava, tenendo Reg per mano.

Poco dopo, i tre ragazzi arrivarono nella fattoria.

Granny Smith osservò a fondo Reg, e il mezzo robot si sentì un poco sotto esame, e non poté fare a meno di notare quanto simile fosse l’austerità dello sguardo di quella donna a quella di Lyza.

“Come hai conosciuto mia figlia?” gli domandò allora. Una domanda a bruciapelo.

Applejack avvertì il cuore accelerare i battiti.

“Io… Non ricordo. Conosco Lyza, ma non ricordo quando l’ho conosciuta. Davvero non ricordo.”

Ci fu un sospiro di scontentezza.

“Ti hanno smontato qualche bullone?” chiese curiosamente Riko.

“Se anche fosse, non ne avrei memoria.”

L’unico modo per scoprire la verità sarebbe stato scendere nell’Abisso, ma Applejack era assolutamente contraria a quell’idea, non aveva alcuna intenzione di rischiare la vita per una donna che si era disinteressata di lei.

Granny si toccò i capelli.

“Immagino che l’unica soluzione sia quella di rivolgerci a Jiruo…” prospettò la donna.

Jiruo era stato l’apprendista di Lyza. Aveva soltanto due anni in più di Applejack ed era cresciuto con lei.

Lavorava come istruttore per i futuri Esploratori all’Orfanotrofio Belchero, ed era un bel ragazzo dai capelli albini e gli occhi azzurri.

Era incuriosito dalle componenti metalliche di Reg, e come lui anche gli orfani dell’istituto.

“Reg può restare con noi?” chiese Kiyui, un simpatico bimbetto di quattro anni.

“Sì… Non sarebbe male restare qui…” considerò il ragazzo, mentre gli altri bambini gli si assiepavano attorno e lo inondavano di domande.

Mentre i bambini accompagnavano Reg a fare il giro dell’istituto, Jiruo rimase nel suo studio con Granny Smith, Applejack e Riko.

“Se non vi dispiace, ospiteremo Reg nell’Orfanotrofio. L’ho osservato come si deve, non sembra umano ma neanche un robot in tutto e per tutto. Se davvero viene dall’Abisso, potrebbe aiutarci parecchio nell’addestramento.”

“Secondo te è vero che ha incontrato quella?”  gli chiese Applejack.

Jiruo si toccò il mento.

“Non lo so… Può essere… Con l’Abisso tutto è possibile…”

Arrivato il momento di congedarsi, Granny e Riko andarono avanti, mentre Jiruo pose una mano sulla spalla dell’amica.

“Ascolta, so che quella ferita sanguina ancora e non smetterà mai, ma credo dovresti provare a fare pace con i tuoi genitori.”

Applejack si ribellò:

“Non ci penso nemmeno. Di cosa dovrei perdonarli? Di amare di più l’Abisso di me e Riko?”

“Non è affatto così e tu lo sai.”

La bionda si voltò di scatto.

“AH, DAVVERO? E COM’E’ ALLORA? SE CI AMANO COSI’ TANTO PERCHE’ NON SONO RIMASTI IN SUPERFICIE A FARE I GENITORI DECENTI?”

Jiruo restò zitto, non seppe più cosa dire.

“Scusami…”

“Non è nulla. Forse è vero che io non posso capire, in fin dei conti io sono nato e cresciuto in una famiglia con i genitori presenti… Scusami tu, non voglio forzarti.”

Applejack gli sorrise, e tra i due tornò il sereno.

La giornata, di lì a qualche ora, sarebbe volta al termine, e il mistero di Lyza aleggiava tra di loro, impalpabile ed inafferrabile come l’Abisso stesso…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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